Uno sviluppo sostenibile è erede di aziende determinate
La Cc-Ti affianca le imprese nel rafforzamento e nella promozione di una responsabilità sociale consapevole
Imprese sempre più socialmente responsabili e orientate sulla sostenibilità ambientale. L’ultima Inchiesta congiunturale della Cc-Ti ha messo in luce, in collaborazione con la SUPSI che ha analizzato una parte di dati, una crescente sensibilità delle aziende ticinesi per la Corporate Social Responsibility (CSR). Sono state, difatti, rilevate ben 138 buone pratiche, suddivise in 32 diverse tipologie d’intervento, adottate nei diversi settori economici. Un impegno che va dalla tutela dell’ambiente ai rapporti con la comunità, dalla gestione delle risorse umane alla governance, dallo smart working al risparmio energetico, coinvolgendo sia le piccole imprese che le medie e le grandi aziende. Per tutte c’è un significativo denominatore comune. La vocazione alla responsabilità sociale non è sollecitata da pressioni esterne o dall’aspettativa di guadagni maggiori. Nasce, invece, autonomamente all’interno delle stesse imprese per migliorarne l’immagine e, soprattutto, con la convinzione di un valore aziendale fondamentale.
Le piccole imprese
È chiaro che quanto più grande è l’impresa tanto più sono i mezzi a disposizione per la CSR. Risultano, perciò, ancora più apprezzabili gli sforzi intrapresi dalle piccole aziende. Se si guarda ai piani per la mobilità, si nota che oltre un quarto delle aziende ha predisposto delle misure specifiche: incentivi per il trasporto pubblico, car-sharing, mobilità lenta e ottimizzazione dei parcheggi. Non si prevederanno delle navette aziendali per ridurre ancora di più l’impatto ambientale, ciò non toglie però che anche con altre modalità si possa dare un fattivo contributo alla mobilità sostenibile. Del resto, per un piccolo imprenditore con una decina di collaboratori non è possibile organizzare, e non solo per ragioni di costi, un trasporto collettivo per i dipendenti che il più delle volte arrivano da località diverse del Ticino. A differenza di un’industria con centinaia di collaboratori dove può essere più facile coordinare un simile servizio. Va ricordato, inoltre, che, queste “piccole” imprese adottano spesso spontaneamente delle buone pratiche senza, magari, qualificarle e consapevolizzarle come tali. Se si considera che il 64% delle imprese ticinesi sono a proprietà familiare, questa loro stessa natura implica un legame più personale e diretto col territorio e il contesto sociale in cui operano. Un rapporto che si traduce in una sensibilità istintiva per l’ambiente, i dipendenti e le relazioni sociali, sentendosi parte integrante della comunità locale. Le buone pratiche non vanno, quindi, identificate esclusivamente con quelle riconosciute dai canoni ordinari della CSR. Né vanno demonizzate quelle realtà che non rientrano apertamente in questi schemi. Esse danno un apporto, forse meno visibile ma non per questo meno positivo, alla tutela dell’ambiente e al benessere della società. In fondo, cosa c’è di più socialmente responsabile dell’avviare un’attività economica in una regione periferica, creando dei posti di lavoro laddove le opportunità occupazionali scarseggiano? O gli sforzi di un piccolo imprenditore che non è nelle condizioni di creare un asilo nido aziendale, ma che fa di tutto, tra mille difficoltà, per agevolare i propri collaboratori e assicurare il futuro alla sua azienda? Sacrifici questi che vanno riconosciuti e sostenuti per un concetto di responsabilità più aderente alla vita reale delle imprese. Ci sono dei margini per migliorare l’adozione della CSR e su questo obiettivo si concentrerà l’impegno della Cc-Ti. Con un lavoro mirato di informazione, formazione e consulenza, offrendo strumenti praticabili e adeguati alle singole realtà produttive, nell’ottica di ridurre i deficit portati all’attenzione dallo studio.
Le grandi aziende
Nei nuovi scenari dell’economia digitale, che aprono anche prospettive inedite per lo sviluppo sostenibile, la CSR ha un peso particolare per le grandi aziende. In primo luogo per quelle che hanno il loro core business proprio nell’evoluzione tecnologica, come la Swisscom a esempio. “La digitalizzazione influisce sempre di più su economia e società. In quanto azienda ICT leader in Svizzera, Swisscom sente di avere una particolare responsabilità al riguardo. Occorre rendere fruibili le opportunità che si creano per il benessere del Paese, senza perdere di vista i possibili rischi; in altre parole, vogliamo plasmare il futuro con responsabilità, curiosità e impegno” spiega Carlo Secchi, Sales Director Ticino- VP della principale società svizzera di telecomunicazioni. Swisscom intende approfondire tre nuove sfide fondamentali per la società digitale dell’informazione. “Per le persone: da qui al 2025 aiuteremo due milioni di persone all’anno a sviluppare le loro competenze nel mondo interconnesso e nella nostra catena di fornitura – precisa Secchi –. Per l’ambiente: insieme ai nostri clienti ridurremo le emissioni di CO2 di 50’000 t (netto) a fronte di un impatto climatico positivo. Ciò equivale all’1% delle emissioni di gas serra della Svizzera. Per il Paese: portiamo una connessione affidabile a banda ultralarga a tutte le persone e a tutte le aziende in Svizzera. Così contiamo di aumentare la competitività e la
qualità della vita nel nostro Paese”.
Sostenibilità e crescita economica
Oggi la CSR e lo sviluppo sostenibile sono, giustamente, temi centrali nel dibattito politico. Ma è altrettanto importante riportare al centro del discorso pubblico anche la necessità di rafforzare le condizioni quadro, sia sul piano nazionale che cantonale, per salvaguardare la competitività e la leadership tecnologica della Svizzera, che risentono della forte pressione della concorrenza internazionale. I segnali di allarme non mancano. Tre qualificati studi, dell’IMD di Losanna, del WEF e della Banca Mondiale, hanno registrato, difatti, una flessione della competitività svizzera, a causa dei ritardi per alcune riforme, così come nella modernizzazione delle infrastrutture della comunicazione e del loro quadro giuridico, che permetterebbe di utilizzare meglio, e a beneficio di tutti, le opportunità offerte dall’economia digitale. “A mio personale parere, la trasformazione digitale talvolta coglie impreparati diversi elementi del nostro ecosistema – avverte Secchi –. Per fare qualche esempio, basti pensare a certi modelli commerciali avvenieristici, che non hanno trovato impianti legislativi adeguati, oppure al rapporto tra l’evoluzione della tecnologia rispetto alla formazione in azienda, con un divario che rischia di crescere costantemente. Inoltre, a fianco di un’infrastruttura competitiva, serve un atteggiamento più consapevole verso gli strumenti digitali, dagli smartphones ai social media, dalla posta elettronica agli acquisti online. Il che ci riporta allo sviluppo delle competenze digitali”. Responsabilità sociale e tutela dell’ambiente sostengono anch’esse la crescita economica e creano ormai un rapporto di reciprocità. Frenare questa crescita, si traduce nella limitazione dei mezzi a disposizione che possano permettere uno sviluppo delle buone pratiche della CSR, in una costrizione degli investimenti tecnologici che consentono un uso più efficace e proficuo delle risorse ambientali.