Salari e statistiche
di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti
Era scontato. L’ultimo rilevamento dell’Ufficio federale di statistica sulla struttura dei salari in Svizzera nel 2022 ha ridato la stura alle polemiche sulle buste paghe ticinesi che sarebbero inferiori del 18- 20% rispetto alla media nazionale.
Ecco una di quelle contraffazioni della realtà che, ripetute per anni, sono diventate una verità incontestabile. Ma le cose stanno veramente così? Non proprio. Indubbiamente una differenza salariale esiste, ma non dell’entità che si vuol far credere, sfruttando delle “distorsioni” statistiche al solo scopo di dimostrare che nel nostro Cantone i “padroni” sono disonesti.
Nella statistica federale il Ticino da solo e paragonato con intere regioni composte da più Cantoni
Innanzitutto, secondo i dati dell’Ufficio federale di statistica (UST), la forbice retributiva, sia in Svizzera che in Ticino, è rimasta in generale pressoché stabile. Storicamente un certo divario salariale con le altre ragioni è dovuto al fatto che da noi, per le caratteristiche stesse che ha avuto lo sviluppo economico, ci sono
parecchi settori annoverati nella fascia media e medio bassa dei salari, ad esempio, ristorazione, servizi d’alloggio e commercio al dettaglio, mentre altrove, come sottolinea l’UST, c’è una maggiore presenza di attività a forte valore aggiunto e, quindi, buste paga più alte.
Ciò non significa che la nostra economia sia debole, anzi. Semplicemente hanno un peso specifico taluni settori che in altri cantoni hanno un ruolo “annacquato” dalla presenza di grandi strutture, spesso multinazionali. È pertanto chiaro che la situazione ticinese, con un terzo di manodopera frontaliera e pur contando tante realtà produttive avanzate, ma comunque non comparabile alla concentrazione di sedi e centri dirigenziali di grandi imprese che vantano altri Cantoni, sia strutturalmente diversa.
Una comparazione fuorviante
Ma c’è un aspetto cruciale da rimarcare per non interpretare l’inchiesta dell’UST in maniera fuorviante al fine di avvalorare la tesi del notevole scarto salariale: nella statistica federale il Ticino da solo è paragonato con intere regioni composte da più Cantoni, il che è come confrontare le mele con le pere”.
Difatti, l’UST utilizza la seguente ripartizione regionale:
- Arco lemanico con VD, VS, GE;
- Espace Mittelland con BE, FR, SO, NE, JU;
- Svizzera nord-occidentale con BS, BL;
- Svizzera orientale con GL, SH, AR, AI, SG, GR, TG;
- Svizzera centrale con LU, UR, SZ, OW, NW, ZG;
- Zurigo;
- e, infine, il Ticino, da solo!
Dunque, a parte Zurigo che per forza economica e struttura generale fa storia a sé, non c’è una vera comparazione tra Cantoni. Così il Vallese, con un’economia certamente meno diversificata e per molti aspetti meno forte della nostra, è affiancato al Canton Vaud e al Canton Ginevra Stesso discorso per il Giura affiancato a Friburgo, cantone che negli ultimi anni grazie all’insediamento di importanti realtà industriali come Rolex e Nespresso, ha registrato una forte crescita grazie che hanno alzato sensibilmente anche i livelli retributivi di tutta la regione. Un assemblaggio regionale che porta a relativizzare di molto i risultati pubblicati la scorsa settimana, che necessitano di molti distinguo e interpretazioni. Basti ricordare che, quando si stilano le graduatorie per i singoli cantoni, il Ticino si colloca all’ottavo posto in termini assoluti di PIL pro capite. Difficile credere che i famelici imprenditori si pappino tutti i proventi di quanto prodotto…
Si potrebbe obiettare che nella produzione del PIL sono conteggiati anche i frontalieri. Bene, togliamoli. Ma allora per coerenza vanno tolti anche nella statistica sui salari per evitare distorsioni. Sì, perché il divario salariale arriva al 18-20% solo se nel calcolo si conteggiano gli stipendi degli oltre 78mila frontalieri che sono retribuiti in Ticino, ma non vivono qui. Retribuzioni che generalmente sono più basse e che, aggregate a quelle più alte dei residenti, comprimono la media dei salari. Detratte le paghe dei frontalieri e confrontando i salari dei soli residenti con quelli degli altri Cantoni la differenza si riduce all’ 8-10%. Anche su questo occorrerebbe confrontarsi se si vogliono fare discorsi costruttivi e correggere le vere situazioni problematiche in termini di salari e non solo quelle presunte che fanno comodo per scatenare polemiche e inventare rimedi spacciati per miracolosi.
Una distorsione statistica
Insomma, è in gioco quella stessa forzatura statistica che il Consiglio di Stato ha denunciato a Berna per ottenere maggiori contributi nell’ambito della perequazione finanziaria intercantonale.
Se il Ticino quest’anno riceverà 86,77 milioni di franchi, molto meno di quanto avranno altri Cantoni di certo non più svantaggiati (il Vallese, ad esempio, riceverà 884 milioni) ciò è dovuto anche al fatto che i redditi di quasi 79mila frontalieri vengono inclusi nel potenziale delle risorse utilizzato nel calcolo fiscale pro capite. Un’ ingente massa salariale che ci fa apparire più ricchi, quando in realtà essa fluisce oltre confine. Riconoscendo questa semplice verità il contributo per il nostro Cantone sarebbe molto più consistente. Perciò, Il Consiglio di Stato ha chiesto di limitare al 50% la quota di redditi dei frontalieri usata per stimare il potenziale fiscale.
Applicando lo stesso ragionamento non si vede perché le retribuzioni dei frontalieri, che abbassano la media salariale, non devono essere estrapolate dal totale delle paghe versate in Ticino ai fini di una più corretta valutazione statistica dei livelli salariali e del confronto con gli altri Cantoni. Tolti i salari dei frontalieri, le cifre sarebbero diverse. Infatti, dalle tabelle dell’UST si evince che per le funzioni non dirigenziali gli svizzeri guadagnano molto di più dei residenti stranieri e dei frontalieri. Elemento questo fondamentale, visto che la grande massa dei lavoratori d’oltreconfine è occupata in funzioni non dirigenziali. Un dato in particolare merita però un’attenzione speciale, perché da quanto pubblicato dall’UST emerge (almeno nel settore privato) un aumento dei salari delle funzioni più basse, tradizionalmente occupate soprattutto da frontalieri, a scapito della categoria della categoria dei quadri inferiori, dove troviamo invece soprattutto residenti. Primi effetti perversi dell’introduzione del salario minimo? Molto probabile, anche perché è sempre stato chiaro che il salario minimo sarebbe andato a beneficio soprattutto dei frontalieri. Non essendo le masse salariali variabili indipendenti modificabili a piacimento, è logico che alzando il livello degli stipendi più bassi taluni livelli più alti possano essere compressi.
Si sottrae reddito ai cittadini
Tematizzando i livelli dei salari ormai è usuale fare riferimento solo al fatto che essi non crescono abbastanza, come se questo potesse essere un meccanismo automatico e dovuto, indipendentemente dall’andamento delle aziende. Di per sé negli ultimi anni i salari, anche in assenza d’inflazione, sono costantemente aumentati in Ticino sebbene forse non in modo omogeneo e generalizzato.
Si dimentica però troppo spesso l’erosione del potere d’acquisto che, di fronte a certe evoluzioni repentine e massicce, non può essere compensata “solo” da aumenti salariali. Il riferimento è all’aumento esponenziale delle spese obbligate, assicurazione malattia in testa, e al peso dello Stato che preleva quote crescenti di reddito sottraendole ai consumi privati e ai risparmi. Secondo una recente stima dell’UST, un’economia domestica tipo, composta da 2,09 persone, con reddito lordo mensile di poco meno di 10mila franchi, vede volar via oltre 3’000 franchi al mese in spese vincolate, a cui vanno aggiunti i costi dell’affitto, del riscaldamento e dei vari premi assicurativi.
Una differenza salariale esiste, ma non dell’entità che si vuol far credere
A limitare i budget domestici ci sono imposte e tasse (comunali, cantonali, federali), oneri delle assicurazioni sociali, balzelli amministrativi, costi burocratici e i prezzi amministrati dallo Stato che rappresentano il 30% del totale dei prezzi al consumo svizzeri, una tra le più alte percentuali in Europa. Prezzi che non sono
determinati dal libero mercato, ma spesso indotti da interessi corporativi o politici e il cui livello non ha sempre una motivazione economica plausibile.
Alla radice del problema dei redditi insufficienti, assottigliati dall’esplosione dei costi e delle uscite vincolate, non c’è un’economia privata che non funziona e dal braccino corto con gli stipendi, o comunque non è la sola responsabile. Si dimenticano troppo spesso gli eccessi di un sistema pubblico il cui peso si scarica
per mille vie sui cittadini.
L’escalation delle tasse
Solitamente si parla molto delle imposte e poco invece delle tasse e dei vari balzelli che cittadini e imprese pagano per coprire i costi di gran parte dei servizi pubblici forniti dallo Stato. Ad evidenziare l’escalation di questi tributi causali in Ticino è il rapporto del novembre scorso sul “Finanziamento mediante tasse o emolumenti nel 2021”, elaborato dal Dipartimento federale delle finanze (DFF), nel quale si analizza in che misura determinati compiti svolti da Cantoni e Comuni sono coperti da queste entrate.
Nell’analisi si mettono a fuoco solo gli indicatori di quei servizi che generano i maggiori incassi, ovvero: Uffici della circolazione stradale e della navigazione, diritto generale (emolumenti riscossi dagli uffici d’esecuzione, dei fallimenti, del controllo abitanti, del registro fondiario, dello stato civile e da molti altri sportelli), approvvigionamento idrico ed eliminazione delle acque di scarico e la gestione dei rifiuti. Ebbene, in tutti questi settori tasse ed emolumenti, pagati per ricevere una determinata prestazione pubblica, hanno registrato un considerevole aumento. Una crescita vertiginosa in cui spicca il Ticino.
Alla voce Uffici della circolazione stradale (pagamenti per patenti, licenze di circolazione e collaudi di veicoli), se l’indice medio nazionale è pari al 119%, il Ticino si colloca in testa alla classifica, toccando addirittura il 162%, seguito da Ginevra col 154%. Nel nostro Cantone si è passati da un indice del 116% nel 2008 al 162% del 2021. È aumentato anche l’indicatore relativo al diritto generale: dal 79% all’80% sull’arco degli stessi anni, mentre per l’approvvigionamento idrico e lo smaltimento delle acque di scarico il balzo è stato dal 55% al 68%. Infine, per la gestione dei rifiuti si è passati dal 44% del 2008 al 75% di tre anni fa. Nel giro di 13 anni, per il totale di questi quattro servizi il Ticino ha registrato uno dei maggiori incrementi con un indice di finanziamento schizzato dal 61% al 78%. E, si badi bene, che oltre a questi servizi, c’è una miriade di altre tasse, pure rincarate, per altre funzioni che non sono contemplate nel rapporto del DFF. Tasse per servizi certamente utili, per carità e di cui non si mette certo in dubbio la legittimità. Ma elementi di cui occorre tenere conto prima di additare con superficialità e generalizzazioni la politica salariale delle imprese.
Più che solo su una presunta differenza salariale eccessiva, bisognerebbe, quindi, concentrare l’attenzione anche sulla progressiva erosione dei redditi provocata dal continuo aumento dei carichi di spesa originati dall’ente pubblico. L’onere fiscale complessivo in Ticino è molto al di sopra della media nazionale per cui parlare di fantomatici sgravi fiscali selvaggi è del tutto fuori luogo e chi insiste su questo mantra dovrebbe magari usare una maggiore prudenza… Se in questi ultimi anni le imposte non sono state toccate, è aumentato per contro in maniera sconsiderata il peso delle tasse e delle spese obbligate che impoveriscono la popolazione, contro cui non c’è aumento salariale che basti.