Politica, economia e società: un impegno pubblico a 360 gradi
Cristina Maderni, Vicepresidente Cc-Ti
Vicepresidente della Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino, Presidente della Federazione ticinese delle Associazioni di fiduciari e dal 2019 Deputata del PLRT in Gran Consiglio. Per Cristina Maderni vita professionale, attività associativa e militanza politica sono la costante testimonianza di un impegno pubblico a 360 gradi per la crescita economica e sociale del Paese. Con la sua prima elezione in Parlamento si è impegnata personalmente, con numerosi interventi e atti parlamentari, sui temi più pressanti dell’attualità politica: dalle misure per contenere gli effetti della pandemia e della crisi della materie prime alle problematiche sui frontalieri e l’occupazione; dalla fiscalità al Decreto cantonale per il pareggio dei conti entro il 2025; dal risanamento energetico degli stabili ticinesi alla modifica della legge sull’apertura dei negozi e all’istituzione di un centro educativo chiuso per i minorenni; dalla battaglia per meno burocrazia al sostegno della continuità aziendale nelle procedure di successione. Ed è in prima fila anche nelle iniziative popolari per neutralizzare gli effetti dell’aggiornamento delle stime immobiliari e per abrogare la tassa di collegamento.
Quella che sta per concludersi non è stata una legislatura facile. Pandemia, guerra in Ucraina e crisi energetica hanno pesantemente condizionato la vita politica. Comunque, guardando ad un quadriennio ormai agli sgoccioli, in generale, cosa è mancato, cosa si poteva fare di più?
L’emergenza del Coronavirus e la crisi energetica hanno pressoché monopolizzato l’agenda politica. Forse quello che è mancato, e che ancora manca, è la piena consapevolezza delle gravi difficoltà che le imprese hanno dovuto affrontare con i ripetuti lockdown, dei problemi causati dalla crisi delle materie prime e del caro energia, non solo per le imprese, ma per la società tutta. Come ha evidenziato l’ultima inchiesta congiunturale della Cc-Ti, le aziende ticinesi hanno dimostrato una notevole capacità di resilienza e adattamento a questi eventi straordinari; tuttavia, i contraccolpi sul tessuto economico si sono sentiti e si faranno sentire in futuro. Dunque, quello che si può fare di più è uno sforzo maggiore nel migliorare le condizioni quadro volte a salvaguardare e potenziare la competitività e l’innovazione delle nostre aziende per rilanciare l’economia. È altresì necessario un maggiore impegno nel rinsaldare il dialogo tra le parti sociali, mettendo da parte pregiudiziali ideologiche, nell’interesse del nostro Paese. Due obiettivi sui quali dobbiamo concentrare i nostri sforzi anche nella prossima legislatura.
Che bilancio fa di questa prima esperienza in Gran Consiglio?
Sono stati quattro anni particolari e molto intensi che mi hanno dato la possibilità di conosce- re più a fondo il nostro Cantone, i suoi bisogni, le sue aspirazioni ma anche le sue potenzialità. Tutto ciò rappresenta oggi per me un capitale importante di conoscenze e competenza che, spero, gli elettori mi permetteranno di mettere a loro disposizione nella prossima legislatura. Certo, in un sistema consociativo come il nostro i tempi delle decisioni politiche non sono veloci per come si vorrebbe, il più delle volte bisogna ricorrere a dei ragionevoli compromessi, costruire le opportune alleanze, affinando la capacità di ascolto e di dialogo con tutti. Ma tirate le somme, posso dire che servire il Paese con dedizione, onestà e competenza è sempre un’esperienza entusiasmante e arricchente.
Molti dei dossier su cui si è impegnata sono tuttora aperti e dibattuti. Contro la modifica della legge sull’apertura dei negozi, ad esempio, la sinistra e i sindacati hanno lanciato un referendum. Eppure, non si chiede la luna: una mezz’ora d’apertura in più e una domenica in più per sostenere i commerci e favorire il turismo. Come spiega tanta resistenza dopo trent’ anni di discussioni e diverse votazioni popolari?
Da tempo si insiste tanto sulla necessità di puntare sul turismo, perché è una delle voci più importanti della nostra economia, ma quando s’intraprende una qualche misura diretta a favorirlo, incentivando le sinergie tra commerci e presenza turistica, ecco che insorge il solito fronte del no. La modifica della Legge, nata da un’iniziativa parlamentare del PLRT, vuole innanzitutto sostenere le piccole attività commerciali che stanno vivendo gravi difficoltà e, allo stesso tempo, rispondere meglio ai nuovi stili di vita, alle nuove abitudini nei consumi e ai bisogni dei turisti. L’ estensione della modifica alle superfici commerciali di 400 mq, senza includere, quindi, la grande distribuzione, così contestata dai referendisti, ha solo lo scopo di migliorare l’attrattività turistica, concedendo ai negozi più grandi la possibilità di qualche apertura in più. Con questo aggiustamento non si obbliga nessuno a fare qualcosa, si vuole solo offrire un’opportunità ai piccoli negozi. Non ci sono, dunque, motivi plausibili per opporsi, ma solo ragioni ideologiche.
È dal 2015 che si parla della tassa di collegamento. Ben 19 ricorsi, una votazione popolare, una sentenza del Tribunale federale e una decisione del Gran Consiglio che vorrebbe introdurla nel 2025 per un periodo di prova di tre anni. Perché abrogare questa tassa?
Per tre motivi semplicissimi: in tempi in cui in Ticino furoreggiava il risentimento verso i lavoratori di oltre confine, si è contrabbandata questa tassa anche come una misura anti-frontalieri e risolutiva per ridurre il traffico. In realtà, come si è visto, a pagarla sono i ticinesi e i residenti, mentre la soluzione per ridurre il traffico è il potenziamento dei trasporti pubblici. In secondo luogo, perché essa colpisce soprattutto chi non può fare a meno dell’auto per andare a lavorare o perché abita in zone periferiche. Infine, è inammissibile che in una situazione economica così pesante per i cittadini e le aziende li si voglia caricare di un ulteriore costo aggiuntivo. Si stima che questo balzello costerebbe 875 franchi all’anno ad ogni residente che usa l’auto per recarsi al lavoro. È bene ricordare che in meno di un decennio le tasse causali, in cui rientra quella di collegamento, sono aumentate di circa 80 milioni. Una spirale perversa che bisogna fermare.
Sarà battaglia anche sulla revisione delle stime immobiliari. Quali sarebbero le conseguenze di una mancata neutralizzazione dei nuovi valori di stima?
Senza il principio della neutralità fiscale della revisione, le conseguenze sarebbero troppo pesanti. Difatti, con l’aggiornamento gli attuali valori delle stime potrebbero addirittura raddoppiare, il che significa che le imposte sulla sostanza pagate dai proprietari di case e appartamenti mezzo miliardo di franchi: 280 milioni al Cantone e 220 milioni ai Comuni. Un salasso per il ceto medio, soprattutto per chi a costo di grandi sacrifici è riuscito a farsi un’abitazione propria. Ma a pagare non sarebbero solo i proprietari, l’aumento si ripercuoterebbe inevitabilmente sugli inquilini che vedrebbero aumentare gli affitti. La revisione toccherebbe, inoltre, una ventina di leggi che saranno condizionate dai nuovi valori, con un effetto a cascata: dal calcolo delle rette nelle case per anziani, alle prestazioni complementari, alla concessione di borse di studio. All’aumento dei valori di stima corrisponderebbe, perciò, una riduzione delle persone che ricevono questi aiuti. Ancorare nella Costituzione il principio della neutralità dal profilo fiscale, delle prestazioni e degli aiuti sociali, significa evitare un ulteriore impoverimento del ceto medio.
Da tempo il mondo dell’economia ha lanciato l’allarme sulla penuria di manodopera. Un problema destinato ad acuirsi col pensionamento della generazione dei baby boomer. Si stima che In Ticino nel prossimo decennio 50-70 mila persone lasceranno il lavoro. Come affrontare questa emergenza?
Da noi, già quest’anno il numero di baby boomer che andranno in pensione sarà superiore ai nuovi ingressi nel mondo del lavoro. È la prima volta che si registra questo scarto e ciò la dice lunga sull’emergenza che ci troveremo ad affrontare sotto la spinta dell’invecchiamento della popolazione e dell’innovazione tecnologica che elimina, o riduce, vecchi lavori, ma ne crea di nuovi. Dobbiamo pensare a misure sul breve, medio e lungo periodo. Quello che si può fare sin da subito è sollecitare un vero salto di qualità del sistema formativo a tutti i livelli, per ricalibrarlo sui nuovi trend occupazionali, incentivare un più deciso aumento sul mercato del lavoro della presenza femminile che rappresenta un patrimonio di competenze, professionalità e versatilità ancora a volte sottovalutato e trascurato. Come Cc-Ti stiamo ultimando un’indagine a tappeto tra le nostre associazioni per capire quali sono i profili professionali di cui hanno bisogno ora e in futuro le imprese. Una sorta di radiografia a tutto campo sulle prospettive occupazionali sui cui si potrebbero calibrare nuovi percorsi formativi alla luce della continua innovazione tecnologica.
Non mancano solo tecnici qualificati per l’industria, informatici, professionisti del settore IT personale sanitario e specialisti in scienze ingegneristiche, ma non si trovano neanche elettricisti, orologiai, artigiani e molte altre figure professionali. Una carenza che potrebbe essere fatale per la nostra economia, mentre la formazione stenta a stare al passo con le richieste del mondo del lavoro. Come intervenire?
La penuria di personale qualificato, ma anche di manodopera non specialistica, è il tallone d’Achille della nostra economia che può mettere in serio pericolo la crescita. Da anni ormai per i profili professionali più qualificati dobbiamo ricorrere all’estero, ma anche gli altri Paesi hanno lo stesso problema e faranno di tutto per trattenere in patria i lavoratori specializzati, offrendo buone retribuzioni, vantaggi fiscali e benefit vari. La concorrenza internazionale nell’accaparrarsi questa manodopera sarà sempre più agguerrita e non possiamo restare a guardare. In Ticino abbiamo già circa 500 imprese, soprattutto start-up, specializzate nelle Scienza della vita e sta prendendo forma il Parco dell’Innovazione, è evidente che da solo lo sviluppo di questi settori innescherà una forte domanda di maestranze e specialisti a vari livelli. Le tecniche produttive, le conoscenze e l’economia in generale si stanno evolvendo con una rapidità e un’estensione mai registrate nella storia, di fronte a tutto ciò un primo punto fermo deve essere la convinzione che innovazione e formazione non sono entità separate, ma che devono procedere, per quanto possibile, su binari paralleli. Soltanto partendo da questo presupposto si può escogitare una strategia d’intervento che riduca man mano il divario tra domanda e offerta di lavoro. Ma perché sia davvero proficua questa strategia deve essere condivisa tra politica, istituzioni e parti sociali. Come Cc-Ti siamo pronti a fare la nostra parte.
L’apprendistato da noi, a differenza di molti altri Cantoni, stenta a decollare davvero. Tante iniziative promozionali e campagne pubblicitarie, mentre si è fatto poco per alleggerire vincoli burocratici, costi e dispendio di tempo che soprattutto nelle piccole imprese limitano fortemente l’assunzione di apprendisti. Che pensa al riguardo?
Anche queste campagne promozionali servono, soprattutto se finalizzate a combattere il luogo comune, ancora molto radicato, che l’apprendistato sia una formazione di serie B. È chiaro che da sole non bastano. La formazione duale è uno dei punti di forza del nostro sistema scolastico, purtroppo però sulle aziende formatrici gravano tanti oneri che incidono negativamente sull’aumento dei contratti di tirocinio. Il peso degli oneri imposti dalle normative federali è tale da scoraggiare le imprese più piccole: l’obbligo, ad esempio, di avere al proprio interno un maestro di tirocinio, l’investimento di tempo ri- chiesto non solo per formare adeguatamente gli apprendisti, ma anche per evadere le numerose pratiche burocratiche, non sono certo un incentivo, in particolare, per i piccoli imprenditori che hanno meno mezzi e risorse. Così si spreca una possibilità, sia per tanti giovani, sia per le aziende di formare loro stesse i collaboratori di cui hanno bisogno. Alleggerire il carico di questi obblighi contribuirebbe certamente ad aumentare l’offerta di nuovi posti per gli apprendisti.
A volte si ha pure l’impressione che si continua a formare apprendisti in settori con scarse opportunità d’impiego, mentre non se ne formano abbastanza in quei comparti innovativi che potrebbero invece offrire occupazione e ottimi stipendi. Non crede sia urgente un’attenta analisi sul sistema della formazione per ricalibrare l’orientamento professionale dei giovani verso attività con prospettive più sicure?
L’orientamento è un elemento cruciale. Ai giovani vanno spiegate e comunicate meglio non solo le attività che possono intraprendere subito, ma anche quelle a medio e lungo periodo. Basta pensare alle specializzazioni che si creeranno nelle tecnologie ambientali e nel settore delle energie rinnovabili, che stanno già trasformando radicalmente attività tradizionali come la falegnameria o l’edilizia.
Va spiegato come stanno evolvendo, grazie allo sviluppo della tecnologia, anche i vecchi mestieri artigianali, prefigurando nuove professioni molto promettenti ed economicamente gratificanti. Va insegnato loro che un diploma o un attestato federale non sono più il punto di arrivo, ma di partenza, per ulteriori formazioni più specifiche per le quali a volte occorre valicare il Gottardo. Ciò non è di sé stesso un male, ma è un aspetto su cui bisogna ragionare. È altresì necessario riflettere su un dato allarmante diffuso poche settimane fa dall’Ufficio federale di statistica: in Ticino il 35,8% dei contratti di tirocinio viene rescisso (la media nazionale è del 22,4%), vale a dire che 448 giovani hanno interrotto il percorso formativo a metà strada. È evidente che non solo il lavoro è cambiato ma che anche i giovani sono cambiati. La cosiddetta Generazione Z ha un approccio col lavoro del tutto diverso rispetto alle passate generazione. C’è ora in gioco una nuova variabile che va tenuta in grande considerazione in tutti i contesti formativi.
Da tempo Lei si batte per la de-burocratizzazione. È stato calcolato che in Svizzera, tra Confederazione, Cantoni e Comuni, la burocrazia assorbe il 7,3% del Pil; in Ticino essa comporta un onere finanziario annuo pro capite di 5.700 franchi, oltre al carico di vin- coli, tempo e obblighi che soffoca cittadini e imprese. La digitalizzazione nelle aziende private è servita pure a razionalizzare processi e ridurre i costi, cosa che invece non pare sia avvenuta nella pubblica amministrazione. Come lo spiega?
Per la semplice ragione che nelle imprese vige il criterio della redditività, senza cui ogni attività economica fallirebbe, principio da cui è invece pressocché esonerato l’apparato statale. Comunque, dei passi avanti nella digitalizzazione dell’amministrazione pubblica sono stati fatti, ma non con la rapidità auspicata né con i risultati sperati. Si è arrivati al paradosso che il cittadino debba pagare delle tasse per ottenere dei documenti da presentare ad enti statali o comunali, quando questi stessi documenti sono già in possesso dello Stato, oppure che si persista nella pratica dei “doppioni” nella raccolta di dati presso le imprese. È dal 2019 che mi batto in Parlamento contro queste assurdità. Purtroppo, per sua natura la burocrazia va avanti con una forza inerziale che rallenta ogni cambiamento. Il proliferare di leggi, regolamenti, ordinanze complica ulteriormente le cose, con un eccesso di regolamentazioni che opprime i cittadini, le imprese e scoraggia l’iniziativa privata. La crescita metastatica di vincoli e oneri burocratici è un male contro cui bisognerà intervenire con maggiore determinazione.
In Ticino circa 18mila imprese nei prossimi dieci anni dovranno affrontare il problema della successione aziendale. Lei, assieme al Presidente del PLRT Alessandro Speziali, ha presentato un’iniziativa parlamentare per modificare l’attuale Legge tributaria che penalizza la successione tra parenti non diretti o a terze persone, scoraggiando di fatto potenziali subentranti. Senza questa modifica a che rischi si andrà incontro?
Il rischio è d’impoverire il nostro tessuto produttivo, di perdere un notevole know-how, posti di lavoro e gettito fiscale. Di cancellare una presenza che assicura stabilità e competitività alle dinamiche socioeconomiche del territorio. Un problema oggi ancora più urgente poiché il pensionamento dei baby boomer coinvolgerà anche la conduzione e la proprietà aziendale. Obiettivo della nostra iniziativa è di evitare che nel momento in cui un imprenditore decide di ritirarsi, un gran numero di piccole e microimprese, per lo più a conduzione familiare, sia costretto a cessare l’attività perché il subentrante non ha la liquidità necessaria per far fronte all’onere fiscale della successione o della donazione. Va ricordato, al proposito, che l’89% delle 39mila aziende attive in Ticino sono piccole imprese che contano meno di 10 collaboratori, ma che danno lavoro a ben 79mila persone. Una variegata realtà produttiva che si sta già confrontando con una scelta che è uno dei momenti decisivi nella storia di un’ impresa, da cui possono nascere seri rischi per la sua sopravvivenza così come buone opportunità di rilancio. Perciò, bisogna rendere sopportabile il trapasso della titolarità a subentranti in grado di garantire la continuità e il successo dell’azienda, e spesso si tratta di collaboratori di lungo corso dell’impresa stessa o di persone attive nel settore ma che non sono eredi diretti.
Noi abbiamo proposto una riduzione dell’onere fiscale del 75%, rispetto all’attuale sistema, nel caso di trapasso a parenti non diretti, come ad esempio nipoti o affini, oppure ad un soggetto estraneo alla famiglia. La successione aziendale deve essere un’occasione di rinnovamento imprenditoriale e di salvaguardia dei posti di lavoro, e non una minaccia di cessazione dell’attività. Con la nostra proposta vogliamo che chi subentra, chi vuole rimboccarsi le maniche e portare nuove idee per il successo dell’impresa, riesca nel suo intento e non sia scoraggiato sin dall’inizio da una fiscalità troppo elevata. Se ci sono queste condizioni, la successione può rappresentare una grande opportunità anche per i dipendenti più giovani, se sono pronti a rilevare l’attività.
Allungando lo sguardo sulla nuova legislatura quali saranno i temi dominanti?
Certamente la tassa di collegamento, la revisione delle stime immobiliari e la modifica degli orari dei negozi domineranno ancora il confronto politico. A ben vedere saranno dei test rivelatori della forza propositiva di due schieramenti contrapposti: chi vuole tenere a galla la società a forza di sussidi, estendendo il rapporto di dipendenza dallo Stato, e chi invece crede che bi- sogna incoraggiare l’autonomia dei cittadini e la libertà d’impresa per produrre quella ricchezza di cui beneficia poi tutta la collettività. L’esito di questo confronto può determinare l’indirizzo politico degli anni a venire. A tenere banco ci sarà, inoltre, il risanamento delle finanze cantonali e il pareggio del bilancio entro il 2025 col vincolo di non aumentare imposte e tasse. Un obiettivo reso ancora più complicato dal mancato contributo della BNS nel 2023. Ciò dovrà spingere Governo e Parlamento ad una gestione molto più oculata del denaro dei contribuenti e ad una razionalizzazione della spesa pubblica. Bisognerà lavorare ad un piano condiviso su quelle che sono le vere priorità per il Paese, senza abbassare la guardia sulla fiscalità in modo che la riforma del 2020 entri in vigore nei modi e nei tempi previsti. Anche la transizione ecologica, con lo sviluppo delle energie rinnovabili, assieme alla formazione e al consolidamento della riforma della scuola media con il dibattito sul superamento dei livelli, saranno temi centrali nel prossimo quadriennio.