Perché i conti non tornano mai
di Alessio del Grande
Inutile girarci attorno, sino a quando lo Stato continuerà a spendere più di quanto incassa, non ci sarà mai un vero risanamento delle finanze cantonali. Anzi, per sostenere gli aumenti continui di spesa s’inasprirà, sotto varie forme, la pressione fiscale su cittadini e imprese. Con il preventivo 2017 si è assistito al rituale tormentone di una classe politica che invoca sì risparmi, ma allo stesso tempo è avvezza a sollecitare nuove spese, e soprattutto incapace di affrontare quei nodi strutturali che impediscono di perseguire un reale rigore finanziario.
La situazione resta, infatti, molto critica. Con il consuntivo del 2016 non c’è stato un vero miglioramento: se il bilancio dello scorso anno si è chiuso con un deficit di 47, 4 milioni di franchi, anziché di 88, ciò è dovuto alle entrate fiscale superiori a quanto preventivato. Senza questi maggiori introiti, il consuntivo si sarebbe chiuso in rosso per 104 milioni.
Si conferma, insomma, la costante che da troppi anni sta logorando le finanze cantonali: le uscite aumentano più delle entrate. Anche nel 2016 la spesa ha registrato un’ulteriore crescita di 16 milioni. Certo, il pareggio del conto della gestione corrente per il 2019 è un obiettivo raggiungibile, ma servirà a ben poco se non si risolve il problema di fondo: la crescita inarrestabile della spesa pubblica. L’unica strada per farlo è di mettere mano, una volta per tutte, alla riforma dei compiti dello stato.
Una riforma di cui si parla da almeno un ventennio, ma mai avviata perché richiede una diversa cultura politica che sinora è mancata. Senza questa cultura capace di ragionare non solo in termini di entrate e uscite, di spendi e tassa, ma nei termini invece di un differente rapporto tra stato e cittadini, amministrazione pubblica e società civile, tra pubblico e privato, non si uscirà mai dal cul de sac dei deficit ricorrenti e di un debito pubblico ormai vicino ai 2 miliardi di franchi.
Riforma dei compiti dello stato significa innanzitutto passare ai raggi X tutto il funzionamento dell’amministrazione cantonale e i servizi offerti alla collettività (un lavoro del genere, rimasto purtroppo lettera morta, era stato fatto quando in governo c’era Marina Masoni), ma significa anche saper guardare alla società civile, alle risorse e alle idee di un’articolazione sociale a cui lo stato potrebbe delegare non poche attività. Qui non si sta facendo l’elogio del privato a scapito di uno stato che si ritiene inefficiente, si sta invece parlando di un’equilibrata complementarietà tra prestazioni e servizi che deve necessariamente garantire lo stato e quelli di cui si può far benissimo carico il mercato, secondo una logica condivisa di ripartizione delle responsabilità tra pubblico e privato.
Riforma dei compiti dello stato significa innanzitutto passare ai raggi X tutto il funzionamento dell’amministrazione cantonale
Soltanto questa radicale innovazione istituzionale permetterà di risanare strutturalmente le finanze del cantone e di liberare le risorse necessarie per affrontare le sfide di quella grande trasformazione generata dall’economia digitale e dalla robotica. Un cambiamento che, inevitabilmente, produrrà scompensi economici e sociali. Tanto più un cantone dove la politica sociale è alle corde per mancanza di mezzi e dove le imprese da 12 anni non beneficiano di sgravi fiscali.
Vanno ripensati l’attuale Welfare statale, troppo improntato sulla statalizzazione della solidarietà più che sulla autopromozione individuale, e la politica fiscale per imprese e cittadini se si vuole che garantiscano sempre entrate adeguate per l’erario. Per farlo bisogna, però, avere risorse finanziarie sufficienti, il che è possibile solo rendendo meno costosa, ma più efficiente, la macchina dello stato.