L’intrepido imprenditore: coraggio e resilienza
Non è facile oggi fare impresa
Da imprenditori bisogna confrontarsi giorno per giorno con rischi e ostacoli che le tensioni congiunturali di questi anni hanno reso più complessi e gravosi rispetto al passato. Una sfida ancora più dura in Ticino. Lo strisciante interventismo statale, anche federale e non solo cantonale, ha condizionato pesantemente la libertà economica. Alimentando ad arte, inoltre, un clima poco favorevole alle imprese, all’insegna di un diffuso politically correct economico per cui il mercato è la fonte di ogni ingiustizia, il profitto un furto, il capitale una parola oscena e l’imprenditore è solo uno sfruttatore privo di coscienza sociale. Eppure, i nostri imprenditori hanno continuato a fare tenacemente il loro lavoro. Non certo incuranti della pioggia di accuse ingenerose, ma per l’alto senso di responsabilità che caratterizza la stragrande maggioranza delle imprenditrici e degli imprenditori, tutt’altro che mossi solo da interessi egoisti.
Con creatività, flessibilità e grande spirito di adattamento il mondo imprenditoriale ticinese ha affrontato la grave crisi del 2008, il successivo sconvolgimento del cambio franco-dollaro-euro, le radicali trasformazioni tecnologiche del sistema produttivo, i repentini alti e bassi dei mercati internazionali che hanno imposto veloci cambiamenti dei modelli di business, la pandemia, la crisi delle materie prime, i problemi di approvvigionamento, le conseguenze della guerra in Ucraina e gli abnormi rincari dei costi dell’energia. Nonostante questa lunga catena di avversità gli imprenditori non hanno rinunciato a investire, a innovare per salvaguardare e migliorare la competitività delle loro aziende. Hanno creato migliaia di nuovi posti di lavoro, rafforzando la base economica e occupazionale del Cantone.
Nonostante tutto si investe
Anche in un contesto così instabile e imprevedibile, imprese e imprenditori si sono confermati come una componente vitale della società: se le aziende funzionano l’economia gira, se l’economia funziona si generano ricchezza e benessere per tutta la collettività. È questa l’essenza di quella autentica funzione sociale dell’impresa che purtroppo non è riconosciuta per come meriterebbe. Ma affinché un’azienda funzioni, l’imprenditore sa che non può stare fermo, che deve anticipare i tempi, investire e innovare per restare concorrenziale. Un compito a cui l’imprenditoria ticinese non si è di certo sottratta, dimostrando come l’innovazione non sia un concetto astratto, ma che può e deve essere parte dell’attività quotidiana, pena l’esclusione dal mercato. Anche questo un elemento spesso negletto da chi considera l’innovazione limitata alle navette spaziali sparate su Marte.
Le sole società anonime che fanno capo alle imprese di famiglia in Ticino, settore che da noi rappresenta oltre il 60% delle aziende, nel triennio 2019-21 hanno investito in beni tangibili circa 6,5 miliardi di franchi, con investimenti medi per azienda poco al di sotto del milione di franchi. Grazie anche a questi investimenti le aziende a conduzione familiare hanno visto aumentare l’occupazione, superando largamente gli 83mila impieghi. Nel comparto chimico-farmaceutico, una delle punte di diamante della nostra economia, le aziende dal 2018 al 2022 hanno investito da sole un miliardo in Ricerca e Sviluppo, nuovi laboratori e siti di produzione, creando oltre 500 nuovi posti di lavoro.
Pur tra i contraccolpi della pandemia sulle supply chain, l’aumento dei costi dell’energia, il rincaro e la difficoltà di reperire materie prime, il trend positivo degli investimenti è stato confermato dall’ Inchiesta congiunturale della Cc-Ti del 2022: nel settore industriale ha investito il 67% delle aziende, percentuale che sale al 77% per le imprese con oltre 100 dipendenti. L’indagine ha pure rilevato per l’anno in corso un 44% di aziende che ha già investito o che intende farlo.
Sulla base dei dati dello Swiss Innovation Survey, lo studio nazionale del Kof sull’innovazione, l’Ufficio cantonale di statistica (Ustat) ha evidenziato che le imprese ticinesi, che fanno innovazione e investono in R&S sono in proporzione di più rispetto alla media svizzera. Un chiaro segnale del fatto che i nostri imprenditori credono nel territorio in cui operano, che sanno valorizzare i saperi e le competenze dei loro collaboratori perché da essi dipende lo sviluppo competitivo dell’azienda.
Il profitto non è un furto
Se l’investimento nell’innovazione abbraccia molti aspetti, dal miglioramento dei processi produttivi a quello dei prodotti, non va dimenticato che esso innesca anche delle trasformazioni positive che si riflettono direttamente su tutta la società: nuovi prodotti che soddisfano nuovi bisogni, più sviluppo produttivo, crescita del know-how del sistema Paese, più lavoro qualificato, più redditi e ricchezza per tutti. In poche parole, una generale evoluzione non solo economica ma anche sociale. E al centro di questo progresso c’è l’imprenditore con la sua voglia di fare, con le sue visioni per far crescere l’azienda.
Sebbene sia confrontato con non poche difficoltà, chi fa impresa crede nel futuro altrimenti non potrebbe, non saprebbe affrontare le sfide del presente, vive la passione di chi ragiona sul lungo termine da cui nasce il coraggio di pensare e ideare cose che ancora non esistono.
Ma un’azienda non può investire, non può innovare se non ha risorse sufficienti, ossia se non consegue dei profitti. Il profitto, che in Ticino è condannato a prescindere come un’appropriazione indebita dei “padroni”, quando viene conseguito nel rispetto delle leggi e delle consuetudini economiche locali, dimostra innanzitutto che l’impresa funziona, che chi la guida fa un uso efficiente dei fattori produttivi. I veri imprenditori, come diceva qualcuno, non servono la società con annunci e dichiarazioni roboanti sulle loro buone intenzioni. Svolgono invece la loro funzione fondamentale perseguendo quel profitto che garantisce i mezzi adeguati per investire, mantenere competitiva l’impresa, continuare a produrre quei beni e servizi che i consumatori richiedono, per conservare i posti di lavoro e offrirne di nuovi. È così che si consolidano pure i legami col territorio e la comunità locale, si accresce la fiducia dei clienti, dei fornitori e degli stessi dipendenti che si sentono rassicurati dal buon andamento aziendale. Preoccupante e sbagliato credere che l’imprenditore miri solo al suo profitto personale, non è così! L’imprenditore investe nel suo lavoro, nella propria azienda e, che lo si accetti o meno, rappresenta l’unica fonte per creare e ridistribuire ricchezza alla comunità.
Chi crea il lavoro
Del resto, in Ticino l’occupazione continua a crescere. Secondo gli ultimi dati dell’Ustat, anche nel secondo trimestre del 2023 è aumentato il numero degli occupati attivi sul mercato del lavoro: più 5600 unità, rispetto allo stesso trimestre dell’anno scorso, con un incremento del 2,4% che ha portato il numero totale degli occupati oltre quota 242.650. Una crescita che riguarda anche i residenti (+4,6%), in misura maggiore rispetto ai frontalieri (+3,5). In rapporto al 2022 si contano 1’500 disoccupati in meno. Dunque, l’economia continua a creare lavoro: il tasso di crescita degli impieghi offerti dalle nuove imprese ticinesi tra il 2013 e il 2020 è addirittura superiore alla media nazionale.
Il fatto che negli ultimi cinque anni lo sviluppo dell’occupazione sia stato trainato principalmente dai lavoratori d’oltre confine dimostra il dinamismo del nostro sistema produttivo che, al di là delle ricorrenti critiche sull’effetto sostitutivo del frontalierato, ha fame di manodopera. Oggi uno dei principali problemi degli imprenditori è, infatti, la mancanza di personale qualificato e a volte persino di lavoratori poco formati.
Certo, nel Cantone esistono anche aziende, prevalentemente piccole, che sopravvivono grazie al basso costo della manodopera, perché il contesto internazionale molto concorrenziale non lascia altra scelta. Attenzione però nel criminalizzare queste imprese, come si fa abitualmente nel dibattito pubblico, perché esse offrono comunque spesso impieghi anche a persone meno qualificate che altrimenti resterebbero senza un posto e senza un salario. Semmai queste realtà andrebbero aiutate, con interventi mirati, a consolidarsi e a crescere, quando ci sono i presupposti per un possibile miglioramento.
Il lavoro non si crea per legge, lo creano le imprese se sono messe nelle condizioni di farlo. I nostri imprenditori, che già operano in una situazione difficile, contrassegnata da profondi e rapidissimi cambiamenti strutturali, da un risorgente nazionalismo economico e da tensioni geopolitiche che destabilizzano di continuo i mercati, chiedono solo che la loro attività non sia resa ancora più complicata. Vorrebbero che, quando si discute di politica economica si ragionasse sulla base di dati e fatti concreti e non di preconcetti ideologici.