Il libero mercato è un processo in divenire
Parliamo ancora di opportunità offerte dal libero commercio, tema fondamentale per la prosperità svizzera e, di conseguenza, delle aziende del nostro territorio. Leggete anche i diversi approfondimenti di un dossier dedicato al tema, già pubblicato su Ticino Business di aprile 2017.
Che il libero mercato sia un elemento imprescindibile per garantire il nostro benessere è stato chiarito a più riprese dalle colonne di Ticino Business. Da ultimo ricordiamo l’intervento sul numero di marzo 2017 intitolato “Il protezionismo è una minaccia per la nostra economia”. È pertanto innegabile che quella che sembra ormai una diffusa tendenza globale alla chiusura preoccupa non poco, soprattutto per una nazione a forte vocazione di esportazione come la Svizzera. Quando si parla di protezionismo la Svizzera, come tutte le altre nazioni al mondo, lo applica in taluni campi sensibili, forse anche a ragione. Si cerca di tutelare le competenze presenti sul nostro territorio e anche la nostra qualità, come appunto fanno tutti, in varie misure. È evidente che la linea fra difesa degli interessi nazionali e politica protezionistica è assai sottile e può prestarsi a molte interpretazioni, più o meno legittime. E non si rimette nemmeno in discussione che l’apertura, rivelatasi sempre benefica nel corso della storia, debba spesso essere gestita per mettere qualche paletto correttivo.
La chiusura comporta delle conseguenze
È però importante rilevare che gli impeti di chiusura non sono neutrali dal punto di vista delle conseguenze. A partire dalla difficoltà di coniugare le visioni diverse fra chi, nel contesto di un tessuto economico forte perché differenziato, si dedica in buona parte all’export e deve combattere quotidianamente nell’arena globale e chi invece è prevalentemente orientato al mercato interno. Le aziende del primo gruppo necessitano di mercati senza grosse barriere, le seconde invece spesso premono per metterne a loro tutela. Nel breve periodo una protezione può essere vantaggiosa, sia per l’azienda che per il consumatore, ma alla lunga la mancanza di concorrenza potrebbe portare a meno innovazione, a minori spinte di cambiamento e quindi lentamente ad erogare un servizio o creare un prodotto meno performante, a svantaggio dei consumatori. A svantaggio quindi di tutti noi. Non fraintendiamo, la nicchia ben sfruttata o magari anche un privilegio quasi unico concesso ad una o poche aziende non è per forza negativo e ci sono molti esempi di aziende che, anche operando in queste condizioni, rimangono competitive, a vantaggio di molti, se non tutti. Ma in generale l’apertura (con i necessari correttivi) ha sempre dato risultati migliori della chiusura, anche e soprattutto in termini di benessere generale, malgrado a volte la percezione sia di segno contrario. Per questo è fondamentale che la politica svolga il suo lavoro varando o abrogando leggi, vigilandone sul rispetto, ecc., ma sempre mantenendo come obiettivo quello di un mercato il più aperto possibile.
La Cc-Ti continuerà a battersi per il libero mercato, che non significa anarchia, ma poche regole certe che danno sicurezza.
L’importanza dell’accordo per l’eliminazione degli ostacoli tecnici al commercio
In questo contesto basti pensare ai tanto deprecati Accordi bilaterali fra Svizzera e Unione europea, caratterizzati quasi solo dalla discussione sulla libera circolazione delle persone. Fondamentale è l’accordo che riguarda l’eliminazione degli ostacoli tecnici al commercio, meno famoso e scottante rispetto alla libera circolazione delle persone, ma importantissimo per le aziende perché facilita in maniera considerevole le procedure, permettendo di risparmiare molti costi e aumentandone la competitività nel contesto del fondamentale mercato europeo. La riduzione delle differenze fra le norme di omologazione e quindi una maggiore omogeneità nella valutazione di conformità dei prodotti è un tassello che facilita enormemente il lavoro delle aziende e prima di norme che possono ostacolare il commercio. Prima del 2002, senza gli accordi bilaterali, occorreva tenere conto anche di questa complessità nel fare affari con i paesi europei: senza questa difficoltà, le aziende svizzere hanno risparmiato e risparmiano centinaia di milioni, reinvestiti nei loro fattori competitivi. Chiaramente si faceva business anche senza gli accordi bilaterali ed era possibile, ma ogni norma che favorisce la semplificazione degli scambi commerciali aiuta ovviamente in maniera decisiva le nostre aziende. Senza dimenticare che in generale la politica svizzera degli Accordi di libero scambio è una carta vincente per il nostro benessere, tanto che regolarmente il nostro paese conclude tali accordi molto prima di quanto non facciano entità economiche più pesanti della nostra.
L’esempio del “Cassis de Djion”
Polemiche aveva scatenato qualche tempo fa anche l’introduzione del principio del “Cassis de Djion”. Ricordiamo che secondo tale principio i prodotti fabbricati e venduti legalmente nell’UE possono essere venduti anche in Svizzera senza particolari controlli. È prevista una regolamentazione speciale per le derrate alimentari, dato che si tratta di prodotti particolarmente sensibili. Siamo oramai ad alcuni anni di distanza dall’introduzione di questa regola e si può quindi dare uno sguardo al passato, analizzando le paure e le obiezioni espresse al riguardo prima della messa in opera di questo accordo, contestualizzandolo con quello che poi effettivamente è successo. Ed è successo poco, per la verità. In ogni caso nulla di grave, perché dopo i timori concernenti l’idraulico polacco, tale principio aveva scatenato i timori dell’invasione di yoghurt bulgari. Gli effetti sull’ “Isola dei prezzi alti” non sono forse stati così forti come auspicava il Consiglio Federale a suo tempo, ma non vi sono nemmeno stati effetti nefasti come quelli ipotizzati dai contrari, perché non si è vista un’invasione massiccia di beni europei a bassa qualità come si temeva. Insomma, questo esempio concreto mostra che, quando si parla del libero mercato, ansie e timori possono giocare brutti scherzi ma poi, a conti fatti, essi rimangono spettri quasi intangibili. Rimane il fatto che leggi e regolamenti sullo stile del “Cassis de Dijon”, con gli opportuni correttivi quando si parla di determinati elementi qualitativi, sono una buona strada da percorrere per mantenere il nostro mercato competitivo.
La tutela del libero mercato
Per fare business è ovvio che bisogna però essere almeno in due. È importante che noi ci impegniamo a tutelare il libero mercato e gli strumenti tecnici e giuridici che lo consentono (ad esempio gli accordi bilaterali o strumenti affini), ma è altresì importante avere dei partner che agiscano nella stessa maniera. Una debolezza svizzera è forse quella di voler essere quasi sempre i primi della classe, applicando pedissequamente ogni genere di accordo, mentre a volte i partner non sono così precisi. È un elemento che andrebbe riconosciuto maggiormente, non per mettere in dubbio la politica svizzera in generale, ma per evitare strumentalizzazioni politiche che, alla fine, inficiano i principi di base del libero mercato. Niente è perfetto, nessun accordo può esserlo, ma la politica di apertura economica deve continuare, indipendentemente dagli strumenti giuridici utilizzati. Un mondo aperto agli scambi è un mondo in cui il benessere può prosperare. Questo, come già detto, non significa evitare i necessari correttivi, che si chiamino misure d’accompagnamento come nel caso degli accordi bilaterali con l’UE o altro. Perché una politica di apertura economica non è inconciliabile con la difesa degli interessi nazionali o cantonali. Ma affossare qualcosa che funziona è pericoloso. Sostenere sempre che tutto va male e che dobbiamo cambiare sistema, senza peraltro indicare vie praticabili di come si vuole cambiare le cose, non è un modo di procedere costruttivo e porta a una chiusura che ottiene esattamente il contrario dello scopo che in teoria essa persegue. Illudendosi di garantire una protezione onnipresente, si chiudono sbocchi essenziali perché il paese possa prosperare. Da questo punto di vista manca probabilmente una visione di sistema che possa andare oltre le questioni individuali, certo spesso difficili e comunque da risolvere, ma che non possono essere il solo parametro per definire il funzionamento di base del paese. Purtroppo questa è una tendenza di un contesto storico e politico mondiale ostile alla globalizzazione. Alcune ragioni sono più che comprensibili perché gli indicatori mondiali di segno positivo sulla globalizzazione non interessano alle persone toccate nella loro esistenza ad esempio da una concorrenza estera a minor prezzo che ha cancellato certi posti di lavoro. La reazione umana è quella di pensare a limitare gli scambi commerciali con barriere di varia natura, ma non sempre è la decisione giusta. Correttivi sì, soppressione del libero mercato no. Purtroppo oggi è più popolare la tesi che la difesa degli interessi nazionali passa per la chiusura economica.
Nel breve periodo una protezione può essere vantaggiosa, sia per l’azienda che per il consumatore, ma alla lunga la mancanza di concorrenza potrebbe portare a meno innovazione e a minori spinte di cambiamento… A svantaggio quindi di tutti noi.
La Cc-Ti in difesa della libertà economica
La Cc-Ti continua a difendere la libertà economica e imprenditoriale e le libertà in generale, che sono tutt’altro che acquisite. Come già detto a più riprese, ciò non significa essere stoltamente bloccati su posizioni ideologiche e il nostro comportamento in questi anni lo sta a dimostrare. Mai ci siamo opposti a sanzioni per chi ignora le regole, né abbiamo combattuto i correttivi introdotti in maniera equilibrata. L’economia, malgrado quello che possono pensare taluni, non è interessata a creare tensioni sociali, perché il quadro in cui essa opera è molto più vantaggioso se caratterizzato da una situazione tranquilla (in Svizzera si chiama anche pace sociale). Opporsi a soluzioni apparentemente facili, dal grande effetto mediatico ma povere di contenuti concretizzabili non significa ignorare i problemi. Ma la difesa dei principi generali che caratterizzano il sistema liberale e la tutela degli imprenditori è essenziale per il funzionamento della nostra struttura e un’economia funzionante, sana e rispettosa del quadro legislativo e istituzionale come quella che difendiamo è la migliore tutela per il benessere di tutti i cittadini. Regole certe, migliorabili ma senza colpi di testa dettati dalle emozioni, restano essenziali per salvaguardare il principio di legalità, uno degli elementi fondanti della stabilità svizzera. Anche tale principio è assai sotto pressione alle nostre latitudini e questo non va assolutamente bene. Le leggi possono e devono essere modificate, questo è ovvio. Ma ignorare che ci sono per dare spazio a cose astruse, scientemente incompatibili con le basi legali esistenti, tanto per vedere l’effetto che fa è assurdo. Continueremo quindi a batterci per il libero mercato, che non significa anarchia, ma poche regole certe che danno sicurezza. Convinti che questo sia un modo intelligente per continuare ad avere il miglior contesto possibile in cui le aziende possano operare e prosperare, con risvolti positivi per tutti.