L’equilibrio è essenziale
Dalla semplificazione del sostegno per i casi rigore alle proposte della Cc-Ti per salvaguardare il tessuto imprenditoriale ticinese
Se da un lato, l’allentamento delle regole sui casi di rigore per gli aiuti alle attività economiche più colpite dalle restrizioni rappresentano un importante intento, dall’altro è inutile nascondere che talune disposizioni imposte da Berna, pur considerando la complessità della situazione, appaiono difficilmente comprensibili.
In primo luogo, la definizione di “beni di prima necessità” pone problemi di determinazione non indifferenti. In tedesco si parla di “Systemrelevant”, ma la sostanza è la stessa. Tutti gli attori economici sono attori essenziali, per loro stessi e per il sistema. A meno di arrischiare affermando che ci si limita ai farmaci e all’alimentare, che sembrerebbe alquanto riduttivo non solo dal punto di vista economico ma anche da quello sociale.
Mal si capisce perché le calze sono più indispensabili delle scarpe. Un pericolo di simili misure è che non vi sia solo uno scollamento tra politica, economia e popolazione, ma anche un imprudente conflitto tra i settori economici messi in concorrenza fra di loro per accedere a sostegni.
Alla politica la decisione su chi è meritevole e chi no?
Uno dei propositi importanti della Cc-Ti è quello, a livello cantonale e nazionale, di mantenere l’economia unita e con una chiara unità di intenti, evitando di scatenare quelle che potrebbero rivelarsi tristi “guerre fra poveri”.
L’obiettivo deve essere chiaro: rigoroso rispetto delle norme di sicurezza, ormai risapute e applicate, per poter lavorare. Il posto di lavoro non è il luogo dove avvengono principalmente i contagi, anzi. Per questa ragione, laddove si rispettano le regole di sicurezza, si deve poter continuare a lavorare.
Purtroppo, oggi fra negazionisti e fautori di chiusure totali è sempre più difficile trovare uno spazio di ragionevolezza entro il quale fare riflessioni senza polemica alcuna. Difficile per molte attività, facciamo l’esempio di quelle sportive professionistiche, sentirsi dire “bravi, avete preso tutte le misure di sicurezza che NOI vi abbiamo indicato (anche molto costose), ma in realtà non servono a nulla e ora giocate senza pubblico”. Qualcosa non torna.
Tutto sommato in Svizzera possiamo ritenerci fortunati e abbiamo mezzi a disposizione quali aiuto notevole in un momento di grave difficoltà come quello attuale.
Benvenuto il riconoscimento automatico dei casi di rigore di tutte quelle attività che, a partire dal 1° novembre 2020, hanno dovuto chiudere per almeno 40 giorni su ordine dell’autorità, così come l’aumento dei contributi a fondo perduto. Alle imprese non servono solo sovvenzioni, quello che chiedono a gran voce è la certezza di poter riprendere a lavorare al più presto.
Inoltre, è importante sottolineare che non stiamo parlando di regali alle aziende. I prestiti vanno rimborsati e anche le estensioni delle prestazioni nel lavoro ridotto e nelle indennità IPG non sono che l’uso dei contributi già pagati da aziende e lavoratori. Lo Stato non sta regalando nulla.
Sostenere le aziende è fondamentale nell’ottica della ripresa futura
Il termine corretto, ora, è indennizzo
Il caso in cui è lo Stato a chiudere le attività è simile a un esproprio. Fondamentale è che gli indennizzi, perché d’indennizzo dobbiamo parlare e non di aiuti “tout court”, siano erogati nel più breve tempo possibile, senza intoppi o lungaggini burocratiche.
Non c’è tempo da perdere. Dalla rapidità nello stanziamento dei contributi, dipenderà l’efficacia dell’intervento di sostegno per i settori, perché non va dimenticato che le attività sono interconnesse e nessuna è esclusa dalle difficoltà. Pensiamo, per esempio, all’industria. Fortunatamente può continuare a lavorare, ma è confrontata ad una situazione internazionale che definire incerta è un eufemismo. A taluni settori si è prestata troppo poca attenzione, perché non direttamente toccati dalle chiusure. Ma si tratta degli stessi distretti che, fornendo prodotti e servizi alle imprese costrette a chiudere, hanno visto drasticamente ridursi anche il loro giro d’affari. Tutti gli attori delle filiere hanno bisogno di essere sostenuti prima di essere travolti da costi e spese a cui non riescono più a far fronte.
La prolungata chiusura di bar e ristoranti, ad esempio, sta mettendo alle corde tutta la filiera agroalimentare ticinese: contadini, allevatori, macellai, panettieri, alpigiani, viticoltori. E questi sono solo alcuni dei settori concatenati alla categoria citata. Non da ultimo, come sollecitato da più parti, sarebbe stato opportuno ridurre al 25-30% la soglia minima di perdita del fatturato per beneficiare del programma di sostegno, che è invece rimasta al 40%. Una percentuale che in molti casi equivale purtroppo già a un fallimento.
In Ticino, per il finanziamento dei casi di rigore, sono stati stanziati per ora a 75,6 milioni di franchi (quasi 52 milioni dalla Confederazione e oltre 24 a carico del Cantone), ai quali le aziende potranno attingere attraverso contributi a fondo perso oppure tramite fideiussione. Il piano d’intervento è regolato da un decreto legislativo, proposto con la clausola d’urgenza, per cui l’accesso ai sostegni finanziari, una volta ottenuto il via libera dal parlamento, dovrebbe essere immediatamente operativo (prima che in altri cantoni). Si pensa già a febbraio 2021.
Non c’è contrapposizione tra economia e salute
La seconda ondata pandemica, nonostante il susseguirsi di parziali lockdown, ha ridato prepotentemente fiato alla pericolosa, quanto fasulla, contrapposizione tra economia e salute.
C’è chi nel nome della difesa della salute pubblica ha riproposto, senza mezzi termini, un lockdown generale o quanto meno la chiusura di tutte le attività definite “non essenziali”. Come già ribadito resta da vedere sulla base di quali fantasiose distinzioni si possa qualificare essenziale o meno un esercizio economico. Ogni attività è indubbiamente indispensabile per chi la svolge, poiché assicura lavoro e reddito, ma soprattutto contribuisce ad incrementare quella ricchezza generale di cui beneficia tutta la società. Un’attività interrotta presuppone una filiera di attività a essa correlate in grave difficoltà, anche se non coinvolte direttamente dai divieti.
L’economia non può essere strutturata in compartimenti stagni. È un flusso continuo di lavoro, idee, scambi e innovazione, che si alimenta nel libero gioco della domanda e dell’offerta, per cui la rottura anche di un solo anello si ripercuote alla fine sui risultati di tutto il sistema.
La salute è il bene primario da tutelare, non si discute
Le nostre imprese hanno dimostrato con i fatti un grande senso di responsabilità, adeguandosi subito alle indicazioni della Autorità sanitarie e investendo anche parecchio per prevenire i contagi e tutelare i dipendenti. Non si tratta, infatti, di decidere se mettere al primo posto la salute pubblica o l’economia, questa è un’alternativa fuorviante, perché entrambe sono le facce di una stessa medaglia: il benessere della società.
C’è una forte interdipendenza tra economia e salute: in un Paese economicamente stabile, si vive molto meglio, la sanità e la rete di protezione sociale sono efficienti. Se non c’è questo equilibrio, che assicura un solido gettito fiscale, ci saranno meno soldi da investire per mantenere, ad esempio, l’eccellenza sanitaria e garantire cure e assistenza adeguate per tutti. A ben guardare anche la gestione di questa pandemia è riconducibile, per certi versi, a un problema di scelte economiche: decidere dove e come utilizzare le risorse per contenere la propagazione del contagio, quali apparati sanitari e dispositivi di prevenzione sono da potenziare, in che modo e con quali sostegni ridurre i danni economici e sociali.
Il termine corretto, ora, è indennizzo
Le proposte della Cc-Ti
Le preoccupazioni sull’andamento futuro della nostra economia permangono e rimarranno a lungo. Sostenere le aziende ed evitare che si indebitino è un esercizio fondamentale nell’ottica della ripresa futura. Ci vogliono coraggio e tempestività, forzando anche un po’ il rigore finanziario, certo essenziale, ma non un dogma imprescindibile quando si tratta di salvare un intero sistema economico. Un’economia eccessivamente indebitata non avrà la capacità di risollevarsi e sarà esposta maggiormente al rischio di fallimento, mentre il settore pubblico potrà riassorbire l’indebitamento con maggiori prospettive. La Cc-Ti ha indicato al Consiglio di Stato una serie di misure mirate da affiancare a quelle già predisposte dalla Confederazione e dal Cantone. Su alcune di esse – ammortamenti accelerati in ambito fiscale, maggiori possibilità di accantonamenti e alleggerimento di talune procedure per le commesse pubbliche – il Governo si è detto pronto ad un approfondimento.
Su altre richieste per noi essenziali, che ricordiamo qui di seguito, la discussione è ancora aperta.
Accantonamenti COVID-19. Si tratta di una misura già adottata da alcuni Cantoni. Considerata l’eccezionalità e la gravità dell’attuale fase, siamo convinti che è possibile trovare una soluzione compatibile sia con la tempistica delle dichiarazioni fiscali che con le reali esigenze delle aziende.
Telelavoro e digitalizzazione. Auspichiamo che tutti gli uffici statali siano operativi e raggiungibili dall’utenza con modalità digitali, al fine di ottimizzare i loro servizi alla collettività.
Indipendenti e titolari di aziende. Riteniamo che queste figure, che rappresentano un tessuto imprenditoriale di fondamentale importanza, vadano aiutate oltre le semplici prestazioni assistenziali, come si è fatto in altri Cantoni.
L’intervento, ad esempio, del Canton Vaud per sostenere spettacoli e rappresentazioni culturali, non limitato alla sola esenzione di alcuni balzelli, potrebbe essere un modello.
Promozione del territorio. Nel corso della prima ondata, la Svizzera si è distinta sulla scena internazionale per l’efficacia e la rapidità dei suoi interventi. Potenziali investitori esteri hanno potuto constatare la tempestività dei provvedimenti adottati per sostenere l’economia, accrescendo ai loro occhi l’immagine di affidabilità del nostro Paese.
Un capitale reputazionale che comprende anche il nostro Ticino. A tal fine andrebbero coordinati maggiormente i servizi cantonali preposti, per offrire un’adeguata accoglienza a chi vorrebbe trasferirsi nel nostro Paese. È difficile, però, promuovere il territorio senza una strategia concertata e, ancora peggio, in presenza di barriere che vanificano i fattori di attrattività della Svizzera e del Ticino.