Energia… tra sapere e conoscere
La trasformazione digitale della nostra società è ormai una realtà consolidata e presenta una quantità di vantaggi innegabile per cittadine, cittadini e per l’economia. È un fenomeno inarrestabile e che va sostenuto perché i vantaggi sono tangibili. Sarebbe però sbagliato sorvolare completamente sugli effetti generali della trasformazione digitale, non per ultimi, quelli ambientali. Non per stigmatizzare tale trasformazione, ma semplicemente per rilevare alcuni lati poco conosciuti, ma che possono e devono essere fondamentali quando la politica è chiamata a prendere talune decisioni, evitando di partire da assunti errati.
Digitale = neutrale?
La smaterializzazione dei componenti potrebbe indurre a pensare che si possano, in questo modo, contenere le conseguenze ambientali. In sostanza lo streaming dei film e i servizi di consumo di musica online (Spotify, ITunes, Tidal per citarne solo alcuni) che hanno soppiantato DVD e CD potrebbero apparire come meno invasivi, avendo eliminato o ridotto i supporti fisici. Analogamente alle mail che spesso sostituiscono le lettere cartacee, il giornale letto su supporto elettronico o azioni banali come i messaggi su Whatsapp o il prelievo di denaro al bancomat, internet stesso, ecc.
Questa “sostituzione” è, in un certo senso, invisibile ma non innocua. Intendiamoci. Non si tratta di stigmatizzare questa tendenza, né di giudicarla sulla base di slanci nostalgici, ma per poter affrontare discorsi seri, proprio anche sul tema ambientale, è necessario veicolare la propria consapevolezza sul fatto che non si tratta di attività ecologicamente “neutrali”, contrariamente a quanto taluni posso credere o affermare.
L’impatto ecologico della trasformazione digitale
Taluni forse esagerano sostenendo che la trasformazione digitale, come in atto oggi, non prevenga lo squilibrio climatico, ma anzi concorra in maniera importante a crearlo e che l’intensità energetica dell’industria digitale non è già più sostenibile.
Si tratta probabilmente di un’esasperazione, anche se va detto che il consumo di energia legato al digitale aumenta di circa il 9% all’anno (dato pre-pandemia) e che la quota di emissione di gas a effetto serra proveniente dall’ambito digitale ha conosciuto un aumento dal 2,5% al 4% del totale delle emissioni mondiali.
Dati che si pongono chiaramente sopra al tanto vituperato traffico aereo. Questo dovrebbe far riflettere prima di colpire disordinatamente i settori economici solo perché è sempre “accattivante” e semplicistico farlo.
La quota delle emissioni legata al digitale potrebbe aumentare nei prossimi anni tanto da raggiungere quella dei veicoli.
Se da una parte lo sviluppo tecnologico spesso aiuta anche a migliorare la sostenibilità dei prodotti, non sempre gli effetti sono quelli desiderati. Secondo una ricerca del Think Tank francese “The Shift Project” (il rapporto Lean ICT- Towards Digital Sobriety), ad esempio la produzione dell’IPhone 6 (ormai parliamo di preistoria) portò a generare 4 volte più gas a effetto serra rispetto alla produzione dell’IPhone 3GS, in ragione della capacità superiore di stoccaggio dei dati.
Anche un gesto apparentemente innocuo come l’invio di una mail ha conseguenze ambientali non trascurabili. Uno studio condotto recentemente in Francia dall’Agenzia dell’ambiente e di controllo dell’energia ha calcolato che ogni impiegato francese riceve in media 58 mail professionali al giorno e ne invia 33. Queste 33 mail, accompagnate da un allegato di 1 Megabyte a due destinatari, a esempio, genera emissioni equivalenti a 180 chilogrammi di CO2, quindi l’equivalente di 1’000 chilometri percorsi in auto (non elettrica, of course).
Secondo questo calcolo, le mail di un’impresa di 100 persone porterebbero quindi all’emissione annuale di 18 tonnellate di gas a effetto serra, quindi l’equivalente di 18 voli andata e ritorno Parigi-New York.
Forse qualcuno ricorderà anche che lo scorso anno Netflix abbassò in maniera considerevole la risoluzione del suo streaming in particolare durante il primo lockdown nella primavera del 2020. Perché? Semplicemente perché lo streaming di video già in condizioni “normali” portava alla produzione di 300 milioni di tonnellate di CO2, quanto prodotto da una nazione come la Spagna, cioè l’1% delle emissioni mondiali. In sostanza, 30 minuti di video in streaming “pesano” dai 28 ai 57 grammi di emissioni di CO2 e corrispondono a una percorrenza di un tragitto in automobile fra 1 e 8 chilometri. L’esplosione dello streaming illimitato quando le persone sono state rinchiuse in casa avrebbe portato, da una parte, all’intasamento delle linee, difficoltà di approvvigionamento energetico e ovviamente, last but not least, a una crescita esponenziale delle emissioni.
10 ore di film in alta definizione contengono tanti dati come oltre due milioni di articoli in inglese di Wikipedia. I video pornografici rappresentano circa il 30% del traffico di video mondiale e nel 2018 hanno generato più di 80 milioni di tonnellate di CO2.
Le emissioni di gas a effetto serra dei servizi di streaming video (Netflix, Amazon prime, ecc.) equivalgono alle emissioni di gas effetto serra del Cile. Un’ora di streaming alla settimana, in un anno, consuma circa come due frigoriferi nello stesso arco di tempo.
Va detto che alcuni studi relativizzano questo impatto, riconducendolo non tanto alla produzione e alla diffusione dei video, quanto all’utilizzo di terminali magari non utilizzati nella maniera più performante oppure con una tecnologia inadatta. Detto altrimenti, i dati cambiano se si guardano video su uno schermo a 65 pollici oppure sul telefono cellulare. In effetti, il consumo dei prodotti digitali, come tutte le attività umane, va valutato tenendo conto di tutti gli elementi della “catena”. Resta il fatto che le attività digitali hanno un impatto.
Per una telefonata di un minuto o l’invio di un sms si calcola che vi sia un’emissione di CO2 di 0.014 grammi, mentre un Tweet “pesa” 0,2 grammi. Più pesanti sono gli invii di messaggi via chat, che possono variare da 3 a 50 grammi, così come una mail che, a dipendenza della dimensione degli allegati, può portare a emissioni di CO2 dai 4 ai 50 grammi. Per un utente di Facebook si calcola che in media vi sia un’emissione di 299 grammi sull’arco di un anno. Sembra poco rispetto ai circa 95-120 grammi di CO2 al chilometro prodotti in media da un’automobile, ma sommando tutti i consumi di queste attività digitali, i valori sono rilevanti.
In un contesto del genere, è abbastanza facilmente comprensibile che il telelavoro, ad esempio, toglie molti spostamenti ma al contempo apre nuovi fronti su cui riflettere e non può essere certo considerato come soluzione ideale sotto tutti gli aspetti. Basti pensare che una videoconferenza di un’ora può generare fra i 150 e i 1000 grammi di CO2.
Come si spiega il fenomeno?
Di per sé la spiegazione è abbastanza banale. Per scambiare queste enormi quantità di dati, che siano video, musica, messaggi, ecc., attraverso computer, telefonini e altro, utilizzando il cavo, la fibra ottica, le antenne di telefonia mobile è necessaria una grande quantità di elettricità, che per essere prodotta richiede un forte consumo di risorse che porta a una considerevole emissione di CO2.
Oltre al consumo va tenuto conto che lo stoccaggio dei dati è molto complesso e inevitabilmente energivoro, anche e soprattutto per le necessità di raffreddamento delle strutture. I circa 4’000 centri di appoggio presenti nel mondo necessitano di circa 30 miliardi di Watt per funzionare, ciò che rappresenta circa il 4% del consumo energetico mondiale e relative emissioni di CO2.
In generale, le cifre riguardanti l’impatto ambientale del digitale sono spesso basate su stime ed è abbastanza difficile avere dati molto precisi. Ma tutti gli studi sembrano convergere sostanzialmente nella stessa direzione, grammo di CO2 in più o in meno.
Come rimediare?
Come detto in precedenza, non si tratta di stigmatizzare la trasformazione digitale, anzi. È ormai un elemento essenziale e imprescindibile della nostra vita quotidiana e professionale. È piuttosto importante sviluppare una consapevolezza per prendere le decisioni giuste anche in ambito energetico o ambientale, senza false credenze. Prima di rinunciare a fonti di approvvigionamento apparentemente poco ecologiche è giusto sapere di cosa si parla e quali siano le reali necessità energetiche del sistema odierno. In questo senso, il ricorso a energie rinnovabili sembra insufficiente per coprire un bisogno sempre maggiore di energia in tempi molto brevi. La produzione di energia non è uno scherzo e, purtroppo, difficilmente qualche pala eolica basterà per ricaricare miliardi di telefoni cellulari (a oggi circa 6 miliardi).
L’evoluzione tecnologica in questo senso potrà aiutare, anche se abbiamo visto che talvolta non è priva di altri problemi. Soluzioni innovative come il raffreddamento dei centri di raccolta dei dati con l’acqua di un lago, come già conosciamo in Ticino, aiutano certamente. Ma è ovvio che si tratta di un problema complesso che coinvolge in primis i comportamenti individuali, il sistema economico, quello politico, ecc. e che richiede un sano pragmatismo. Come al solito non si risolve nulla forzando le situazioni con presunte soluzioni facili, divieti o tasse supplementari.
Una certa “dieta digitale” può dare una mano, con piccoli accorgimenti. Ad esempio, la rinuncia alla massima risoluzione dei video guardando una partita di calcio potrebbe portare a non distinguere esattamente tutti i fili dell’erba, ma rimarrebbe sufficiente per godersi lo spettacolo. È solo un piccolo esempio banale di un problema tutt’altro che banale. La consapevolezza di tutti eviterebbe inutili e dannose crociate soprattutto, come sempre, contro i settori dell’economia.