Economia digitale e rinnovamento culturale
L’opinione del Direttore Cc-Ti, Luca Albertoni
La digitalizzazione nelle fabbriche, uffici e servizi è in corso da anni e nonostante le rovinose previsioni dei “tecno-pessimisti”, non ha avuto sinora il previsto impatto devastante sul mercato del lavoro. La perdita d’impieghi dovuta, in particolare, all’automazione, ai processi di ristrutturazione aziendale è stata largamente compensata dalla creazione di nuove tipologie di occupazioni. Innegabilmente il fenomeno va osservato con attenzione, non sottovalutando gli eventuali risvolti negativi, ma non dimenticando che la digitalizzazione permette il ritorno in Svizzera di molte fasi produttive, oggi all’estero. Anche per questo, vi sono fondati motivi di ritenere che il saldo generale dell’occupazione resterà positivo.
Dal 2000 ad oggi in Svizzera si è registrato, infatti, un aumento del 23% dei posti di lavoro.
Significativo l’ultimo report dell’Adecco Swiss job market index, secondo cui in questo trimestre invernale gli annunci dei posti vacanti delle aziende sono aumentati del 75% per il ramo delle tecnologie informatiche. Anche il proliferare del lavoro “atipico”, è rimasto un fenomeno marginale, se si pensa che nel 2016 il 91% dei rapporti di impiego nel nostro Paese era a tempo indeterminato. Ugualmente, nel nostro Cantone, come dimostrato dalla nostra recente inchiesta congiunturale, le forme di lavoro considerate più precarie restano una percentuale ridotta e perfettamente in linea con i dati svizzeri. Certo oggi stiamo vivendo una fase di transizione, per la quale è difficile fare previsioni precise su quanto avverrà nei prossimi anni.
Economia, Sindacati e Stato devono lavorare insieme, al fine di trovare le soluzioni che permettano alla Svizzera e al Ticino di rimanere competitivi nell’interesse generale.
Siamo agli inizi di una rivoluzione epocale che durerà per molto tempo. Le tendenze attuali indicano chiaramente una modifica profonda dei modelli di business e quindi, inevitabilmente, di molte forme di lavoro. Questo non significa solo valenze negative o precarizzazione generalizzata. La rivoluzione digitale e le profonde trasformazioni del sistema economico vanno però affrontate non solo dal punto di vista dell’evoluzione tecnologica. Se si vuole che tutti ne beneficino, è necessaria una corrispondente innovazione di carattere istituzionale, politico e culturale.
Serve, insomma, una visione di sistema orientata verso un futuro che comprenda molti risvolti che oggi sono ancora visti in maniera separata. Ad esempio la legislazione sul lavoro non può più essere scissa dalle considerazioni sulle assicurazioni sociali, visto che oggi molti lavoratori giovani prediligono avere più impieghi diversi, con evidenti conseguenze sulle questioni previdenziali. Del resto uno dei fenomeni che tutti constatiamo è l’assottigliamento del confine tra la vita lavorativa e quella privata, che dimostra la necessità di ripensare non solo il ruolo delle aziende ma anche quello di tutte le persone coinvolte nella vita sociale. Anche la distinzione tra dipendente e indipendente non sarà più così netta e dovrà essere rimessa in discussione
Questa metamorfosi del mondo del lavoro sta già mettendo a dura prova gli attuali schemi normativi. Sarebbe un errore capitale negare questa realtà arroccandosi su posizioni eccessivamente conservatrici. Ciò non significa, ovviamente, avallare l’illegalità o tagliare brutalmente i diritti ormai acquisti, ma è assolutamente indispensabile dare seguito alle nuove realtà e non subirle. Alla luce di tutto ciò, sono dell’avviso che Economia, Sindacati e Stato debbano lavorare insieme, al fine di trovare le soluzioni che permettano alla Svizzera e al Ticino di rimanere competitivi nell’interesse generale.