Dobbiamo decidere in che Paese vogliamo vivere
Anche lo studio dell’istituto Bak Basel ha confermato una sorprendente crescita dell’economia ticinese, pur evidenziando problemi che non vanno certamente sottovalutati e su cui come Cc-Ti siamo molto attenti da tempo. Un risultato lusinghiero già sottolineato, peraltro, dell’ultima inchiesta congiunturale della Cc-Ti e dal rapporto speciale che Avenir Suisse ha dedicato qualche mese fa al nostro Cantone. Davanti a questo quadro positivo del nostro sistema produttivo, che smentisce nei fatti le ricorrenti campagne che dipingono un “mercato del lavoro allo sbando” e “un’economia da far west”, si ha spesso l’impressione di vivere in due Paesi diversi.
Da una parte c’è il Ticino che lavora, crea e produce ricchezza per tutti, guardando avanti. Che difende la libertà d’impresa e l’economia di mercato, consapevole che solo con l’apertura al mondo e alla competizione internazionale ci possono essere innovazione tecnologica, sviluppo economico, progresso scientifico e sociale. Dall’altra c’è un Ticino ripiegato su sé stesso, chiuso nella difesa identitaria e territoriale, convinto che isolazionismo e protezionismo siano il più sicuro salvagente contro le ondate della globalizzazione. Che cerca di condizionare in mille modi l’attività imprenditoriale nel nome di una presunta difesa della manodopera indigena, violando a volte anche il diritto superiore. Senza rendersi conto che ingessando il mercato del lavoro e imbrigliando l’economia non si creeranno nuove opportunità d’impiego, né per i residenti né per i lavoratori stranieri.
Il primo è il Ticino che si sforza, e con successo, di restare dentro i flussi mondiali degli scambi, della ricerca e delle nuove competenze; il secondo è il Ticino che, stretto nella morsa dei populismi di destra e di sinistra, crede di bastare a sé stesso, rifiutando persino dei leggeri sgravi delle imposte (in cambio di misure sociali finanziate anche dalle aziende), per rilanciare la concorrenzialità fiscale del Cantone. Eppure, il caso della DuPont Pioneer che, per motivi fiscali, ha deciso di lasciare Manno per Ginevra, dovrebbe insegnare qualcosa.
Oggi dobbiamo domandarci in quale di questi due Paesi vogliamo vivere. La crescita economica, il reddito dei cittadini e la competitività delle aziende dipendono dall’attività imprenditoriale e dall’aumento della produttività, ora più che mai legata all’innovazione tecnologica. Da questa crescita dipendono anche le risorse finanziarie dello Stato per sostenere le fasce meno fortunate della popolazione.
Di fronte alle nuove e importanti sfide dell’economia digitale, come Cc-Ti siamo convinti che l’iniziativa pubblica e quella privata devono interagire in modo virtuoso per permettere alle nostre aziende d’innovare e mantenersi sempre competitive sui mercati mondiali. Se restiamo succubi dei pregiudizi ideologici e delle contrapposizioni politiche per meri interessi elettorali, non faremo molta strada. Dobbiamo, invece, essere capaci di allungare, tutti assieme, lo sguardo sul futuro.