CRASH TEST
Quale epoca industriale?
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Parlare di crisi dell’automobile europea è probabilmente riduttivo, nel senso che si tratta di un ramo industriale di importanza sistemica per il nostro continente. E non solo per la Germania, al momento la più colpita, ma anche per la Svizzera che conta molte aziende e molti posti di lavoro legati alle forniture proprio per questo settore. E gli effetti della crisi tedesca li stiamo già subendo da qualche tempo, con prospettive decisamente negative per il futuro prossimo. Il tema è pertanto stato approfondito nel contesto di un’edizione dell’evento “CEO Experience” tenutosi qualche settimana fa e riservato a titolari e dirigenti d’azienda. Evento che la Cc-Ti organizza regolarmente con i partner BancaStato, economiesuisse e Sunrise e che per l’occasione è stato ospitato da Sports Cars Sales & Services SA di Grancia, concessionario ufficiale Bentley e Lamborghini e quindi attore in prima linea sul delicato tema del mercato automobilistico. Ospite della serata è stato il Direttore della prestigiosa rivista specializzata italiana Quattroruote, Gian Luca Pellegrini, intervistato dal noto giornalista e docente universitario Marcello Foa. Qui di seguito i contenuti essenziali dell’incontro.
Penuria di semiconduttori e caro energia prima, la concorrenza cinese poi, ma soprattutto la transizione verde, decisa dall’Unione Europea (UE), con la messa a bando dal 2035 dei veicoli a benzina e diesel, hanno fatto sprofondare l’industria automobilistica europea in una crisi senza precedenti. Crollano le vendite, i grandi marchi fermano la produzione in molti stabilimenti e annunciano chiusure e drastici tagli del personale.
Mentre il presidente Trump negli USA annuncia lo stop al Green Deal e agli incentivi per le auto elettriche, Bruxelles, sotto la pressione di molti governi, ha avviato un “Dialogo strategico” con il mondo dell’automotive da cui dovrebbe scaturire un “Piano di azione globale”, che sarà presentato ufficialmente il prossimo 5 marzo, al fine di affrontare tutte le criticità emerse sinora e cercare di garantire un futuro al settore dell’auto.
Una crisi che l’Europa ha provocato in gran parte da sola vietando tassativamente i motori endotermici e imponendo d’ufficio quelli elettrici.
“Senza tener conto delle implicazioni di un simile divieto e senza una visione strategica per supportare adeguatamente il delicato passaggio all’elettrificazione della mobilità”, ha appunto sottolineato Gian Luca Pellegrini che ha messo a fuoco le contraddizioni tra la ragionevole aspirazione alla sostenibilità ambientale e una transizione a marce forzate che ha già prodotto conseguenze devastanti per il comparto dell’auto e il suo indotto.
Numeri da brivido
Nell’agosto scorso nell’UE si è toccato il fondo con il 18,3% in meno di immatricolazioni di nuove auto, rispetto allo stesso mese del 2023, con perdite sino al 28% in Germania e del 24% in Francia. Il crollo è stato particolarmente brusco per i veicoli elettrici, considerati la punta di diamante della nuova mobilità ecologica imposta da Bruxelles. Sempre nell’agosto 2024 il comparto EV (Electric Vehicle) ha subito un calo del 43,9 % delle vendite al confronto del 2023, con flessioni allarmanti in Germania (-69%), Francia (-31%) e Italia (-41%). La quota di mercato dell’elettrico è scesa dal 21% di due anni fa al 14,4% del 2024. Dopo tre anni di crescita, spinta dai sussidi pubblici, l’elettrico si è bloccato. Costo eccessivo, scarsa autonomia, stazioni di ricarica insufficienti e deprezzamento dell’usato ne scoraggiano l’acquisto. Tant’è che molti gruppi hanno deciso di ridurne la produzione.
Gli EV frenano anche in Svizzera con una quota di mercato scesa sotto il 20% nel 2024 (in Ticino 11,2%), nonostante il nostro Paese offra il vantaggio di una delle più fitte reti pubbliche di ricarica del Continente, che dovrebbe rappresentare un incentivo per la scelta di un e-car.
In buona sostanza sembra che il mito dell’auto elettrica si vada indebolendo. Consumatori e mercato hanno di fatto sconfessato la politica dell’UE che ha voluto determinare la scelta dell’auto, senza tener conto della complessità delle dinamiche industriali, delle preferenze dei consumatori e delle loro possibilità economiche.
Al danno si aggiunge la beffa: chi sceglie l’elettrico molto probabilmente ora si orienterà su un’auto cinese, molto più economica e con un software molto più performante rispetto ai prodotti europei, tanto da aver già acquisito una posizione leader a livello mondiale. Anche grazie al fatto che Pechino ha il pieno controllo della disponibilità di terre rare e altre materie prime necessarie per la produzione degli EV. La Corte dei conti europea aveva a suo tempo avvertito Bruxelles: puntare esclusivamente sulle auto elettriche significava perdere sovranità economica, in altre parole consegnarsi alla Cina. Un avvertimento rimasto, purtroppo, inascoltato.
Perdita di competenze
Con l’obbligo del full electric si sono annullati la supremazia tecnologica e quel know-how che da oltre un secolo erano il vanto della nostra industria dell’auto e che avevano già portato allo sviluppo di motori endotermici con emissioni prossime allo zero. Ora la grande sfida per i produttori europei è di ricostruire una catena di valore in grado di competere con la Cina che nell’elettrico è avanti di almeno trent’anni e ne controlla tutta la filiera, rappresentando ormai una concorrenza temibile anche nella produzione di auto tradizionali, al punto da mettere in difficoltà alcuni famosi marchi giapponesi.
Una volta si diceva che l’America innova, la Cina produce e l’Europa regola. Oggi si può dire che gli USA continuano ad innovare, i cinesi, oltre a produrre innovano anche, mentre l’UE ha solo accentuato la sua furia regolamentatrice.
Per sostenere la vendita di veicoli elettrici sono stati concessi, e si chiedono ancora, sussidi pubblici. Allo stesso tempo però Bruxelles impone dei dazi sino al 35-40% sulle auto elettriche cinesi, accusando la Cina di distorcere il mercato con prezzi bassi grazie ai massicci aiuti statali alla sua industria automobilistica. Una politica schizofrenica che non può portare lontano, se non a frenare ulteriormente il mercato degli EV.
Come si distrugge un’industria
I numeri sono da brivido. In Europa le vendite annuali di automobili sono complessivamente sotto di tre milioni di unità rispetto ai volumi antecedenti la pandemia. Volkswagen, Mercedes, Stellantis adottano piani urgenti per ridurre costi e personale. In Germania sono già scomparsi 46mila posti di lavoro, altri 140mila sono a rischio nei prossimi dieci anni. In Italia Stellantis tiene in cassa integrazione migliaia di lavoratori, in Francia i sindacati denunciano la perdita di 70mila impieghi dal 2012 ad oggi. Nel solo indotto nel biennio 2024-25 si sono persi nell’area UE più di 45mila posti di lavoro, mentre importanti aziende della componentistica hanno preannunciato la soppressione ulteriore di migliaia impieghi. Un intero ecosistema industriale annaspa nell’incertezza. A rischio c’è il futuro di un settore che ha scritto la storia dello sviluppo industriale e della crescita economica del Vecchio Continente, che con 13 milioni di occupati, senza calcolare l’indotto, contribuisce con circa 1000 miliardi di euro al prodotto interno lordo dell’UE, ossia il 7% del PIL.
Il colpo di grazia è arrivato con il Green Deal approvato dal parlamento europeo nel 2021 con l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 e raggiungere la neutralità climatica per il 2050. La legge sul clima ha introdotto 160 nuove normative, regole spesso difficili da attuare, che hanno creato grosse difficoltà a tutta l’economia e colpito, in particolare, l’automotive vietando i veicoli con motore a scoppio. Senza chiedersi se l’industria automobilistica e il mercato fossero pronti per una svolta così radicale. Senza piani coordinati di sovvenzioni, per l’approvvigionamento delle materie prime e per realizzare infrastrutture di ricarica sufficienti ed efficienti.
Un salto nel buio
Con una misura dirigista, dalla forte impronta ideologica, frutto di un estremismo ambientalista che non ha tenuto in nessuna considerazione la sostenibilità sociale ed economica di un bisogno oggettivo di transizione energetica. Una pericolosa distorsione della politica industriale dell’Unione che invece di predisporre le condizioni quadro affinché l’economia possa prosperare, decide cosa, come e quando.
Inoltre, nel 2025 dovrebbero scattare le multe per le case che non rispettano i limiti sulle emissioni di CO2, elemento che tocca fortemente anche la realtà svizzera, tanto che l’Amministrazione federale ha pericolosamente messo in consultazione un progetto di ordinanza con uno “Swiss Finish” addirittura più severo di quanto previsto dalle norme europee. Ossia multe pesantissime. Progetto insostenibile, che dovrebbe fortunatamente essere rivisto perché considerato chiaramente fuori misura.
Le penalità, stimate in oltre 15 miliardi di euro a livello europeo, potrebbero decretare la fine di molti marchi e che di certo sottrarranno importanti risorse da investire nell’innovazione tecnologica. E qui s’innesca quello che Pellegrini nell’incontro di Grancia ha definito “il cortocircuito tra la quantità di auto elettriche che non si riesce a far aumentare e quella di veicoli col motore a scoppio dei quali invece si riduce la produzione per cercare di rientrare nei parametri delle emissioni stabiliti dall’UE e non incorrere in pesanti sanzioni. Un cortocircuito che brucerà altre decine di migliaia di posti di lavoro.”
Cosa riserva il futuro
In questo disastro annunciato anche i gruppi automobilistici hanno la loro parte di responsabilità: hanno, infatti, sopravvalutato la loro capacità di adattarsi velocemente al passaggio verso l’elettrico, sottovalutato la concorrenza cinese e non sono stati in grado d’implementare una strategia comune per affrontare uniti un cambio di paradigma produttivo e di modello di business assai complicato.
Oggi è assai difficile fare retromarcia. “Rinunciare all’elettrico è come voler rimettere il dentifricio nel tubetto” ha affermato il CEO di un’importante industria. Le case automobilistiche hanno investito ingenti capitali in questa riconversione e rinunciarvi del tutto significherebbe anche restare ancora più indietro nella rincorsa tecnologica. Inoltre, l’elettrico rappresenta indubbiamente il futuro per una mobilità sostenibile, drammaticamente sbagliati sono stati i tempi e i modi con cui è stato imposto.
Recentemente il Partito popolare europeo ha presentato una proposta di rilancio del settore, chiedendo di rivedere il divieto per i motori a combustione interna, l’adozione di un approccio alla transizione ecologica tecnologicamente neutrale e di annullare le multe per il superamento dei limiti delle emissioni. Palazzo Berlaymont tace in attesa di presentare il suo “Piano di azione globale” per sostenere l’automotive.
Possibili allentamenti delle regole
Dalle indiscrezioni filtrate sinora pare che l’UE stia rivalutando la possibilità di aprire il mercato, anche dopo il 2035, alle auto ibride plug-in e alle elettriche dotate di range extender (ossia equipaggiate con un piccolo motore ausiliario alimentato a benzina per ricaricare la batteria senza dare trazione alle ruote), che erano state anche vietate. Ci sarebbe pure un allentamento dell’obiettivo di neutralità climatica legittimando gli e-fuel, i carburanti sintetici. Poco si sa invece delle multe sulle emissioni che rappresentano un pericolo immediato per i gruppi automobilistici. Resta da vedere se basteranno queste “concessioni” per scongiurare il declino definitivo dell’industria europea dell’auto e le inevitabili e pesanti ricadute anche sulla realtà economica elvetica.