Come si scardina la libertà economica
di Alessio del Grande
Gratta, gratta dietro il populismo trovi l’etno- nazionalismo e il becero protezionismo delle furiose chiusure che finiscono col distruggere quella libertà economica e imprenditoriale che garantisce la crescita e il benessere per tutti.
In Ticino, per fortuna, non si sono ancora costruiti muri al confine con l’Italia, ma nel nome della difesa della manodopera indigena, si è innalzato uno steccato fatto di leggi ad hoc, di ostacoli burocratici e misure restrittive che costituiscono, di fatto, una barriera dissuasiva per i lavoratori d’oltre frontiera, che finirà col soffocare quel mercato del lavoro e quel tessuto produttivo locale che si diceva di voler proteggere.
Il Ticino non è nuovo a queste forme di esasperato regionalismo. Basta ricordare al proposito, le veementi rivendicazioni a Berna, nel 1924 e nel 1938, per la “difesa etnica” del cantone e in anni più recenti, nel 1960, la prima richiesta alla Confederazione di una sorta di statuto speciale per proteggere l’economia locale dalla concorrenza d’oltre Gottardo. Allora le minacce arrivavano dalla Svizzera tedesca e dalla Germania, ora dall’Italia. Ma di veramente nuovo c’è che anni e anni di violente campagne contro i frontalieri e i padroncini, con plateali falsificazioni della realtà diventate però verità, a prescindere, nel senso comune, hanno sedimentato nel corpo sociale una anti italianità che ha segnato una forte regressione culturale. Di inedito c’è un clima di manifesta ostilità verso le imprese colpevoli di assumere i frontalieri che, oltre a generare dumping salariale, intasano anche le strade cantonali.
“Il Ticino non è nuovo a queste forme di esasperato regionalismo.”
Sono gli effetti di un restringimento del pensiero collettivo, stimolato politicamente anche da decine e decine di atti parlamentari, con le più singolari richieste per limitare drasticamente l’arrivo dei lavoratori italiani in Ticino e per scoraggiare le imprese dall’assumerli, su cui si è innestata una deriva istituzionale e legale. Una dinamica perversa con le forze populiste costrette ad alzare sempre di più toni per mantenere la presa emotiva sulla popolazione e gli altri partiti intimiditi e troppo spesso accondiscendenti, che ha finito con lo scardinare sistematicamente l’ordinamento giuridico liberale, cassando diritti individuali e quella libertà economica riconosciuta sin dal 1874 nella Costituzione svizzera. È l’ideologia del “primanostrismo” e delle soluzioni facili che prevale sul sistema legale provocando pericolosi sbandamenti istituzionali. Tassa sui posteggi, albo delle imprese artigiane, certificati penali per i lavoratori d’oltre confine, tanto per ricordare i casi più clamorosi, tutti provvedimenti in funzione anti frontalieri e anti padroncini, ma pubblicamente motivati con nobili intenzioni: la sicurezza pubblica, la tutela del territorio, la difesa delle imprese locali, la cui compatibilità con le leggi federali e gli accordi internazionali si è dimostrata, però, assai labile. Leggi controverse e contestate con numerosi ricorsi, che hanno creato forti tensioni con Berna, l’Italia e, nel caso dell’albo degli artigiani, anche con le associazioni economiche degli altri cantoni, suscitando persino le rimostranze della Commissione federale per la concorrenza. Ottime comunque, secondo la logica della “politica dei segnali”, a vellicare il risentimento popolare, mentre la commissione parlamentare per l’attuazione dell’iniziativa udc “Prima i nostri”, non mancherà certamente di riservare altre sorprese nel mettere dei nuovi paletti alla libertà delle imprese anche nelle assunzioni.