Segui la corrente

Con il motto “Segui la corrente” l’Ufficio federale dell’energia (UFE) ha lanciato nelle scorse settimane una campagna di sensibilizzazione e informazione sulla mobilità individuale elettrica. Attualmente, a livello svizzero, il 16.3% delle auto di nuova immatricolazione sono BEV (Battery Electric Vehicles – veicolo elettrico alimentato a batteria). In Ticino la percentuale è ancora bassa: nel primo trimestre del 2021 è del 10.65%. Secondo un sondaggio svolto dal TCS, oltre la metà degli intervistati ha dichiarato che in futuro, quando avrà la necessità di sostituire la sua automobile, valuterà “con grande probabilità” o “con una certa probabilità” l’acquisto di un’automobile a propulsione elettrica (BEV).

L’impennata dei prezzi dei carburanti fossili che abbiamo registrato nelle scorse settimane ha spinto in maniera decisiva la popolazione a valutare con decisione il passaggio all’energia elettrica come fonte di approvvigionamento per la mobilità e per il riscaldamento delle abitazioni. Benzina e diesel con prezzi alla colonna che superano, in alcuni giorni anche abbondantemente, i CHF 2.00 al litro spaventano gli automobilisti. D’altra parte, con ogni probabilità, dovremo attenderci un incremento del prezzo al kWh della corrente elettrica. Questo però, almeno per quanto riguarda la mobilità elettrica, sarà più difficile da valutare. Se quando facciamo il pieno di carburante della nostra auto a benzina ci rendiamo subito conto che quanto pagato alla cassa o con la tessera è sensibilmente maggiore a quanto pagato fino allo scorso anno. Per la corrente elettrica necessaria a ricaricare l’automobile elettrica, il costo sarà inglobato nella bolletta dell’elettricità domestica o aziendale e quindi più difficile da quantificare e quindi meno impressionante. La domanda che oggi molti di noi si pongono è: cosa succederà nel prossimo futuro con il prezzo dei carburanti fossili?

Oggi è difficile fare delle previsioni affidabili. In queste ultime settimane abbiamo visto come eventi eccezionali e inaspettati possono modificare in brevissimo tempo situazioni che erano piuttosto stabili. In ogni caso è chiaro che a medio e lungo termine il prezzo dei carburanti tradizionali sia destinato a salire piuttosto che scendere, questo principalmente per una chiara diminuzione dei giacimenti di petrolio o comunque per un aumento dei costi causati dalla maggior difficoltà di estrazione.

Un’alternativa a questi carburanti fossili, oltre naturalmente all’energia elettrica, ci viene data dai carburanti sintetici o e-carburanti. Oggi questi ultimi sono ancora in fase sperimentale o hanno dei costi di produzione molto elevati (vedi per esempio la produzione dell’idrogeno). Un giorno però, grazie al progresso tecnologico, alla produzione su larga scala e all’aumento del costo dei carburanti tradizionali, il costo degli e-carburanti sarà sicuramente concorrenziale e permetterà ancora l’utilizzo di automobili con motori a combustione interna (ICEV – Internal Combustion Engine Vehicle – Veicoli con motore a combustione interna). Dal punto di vista ambientale questi nuovi e-carburanti saranno pure assolutamente sostenibili in quanto verranno prodotti grazie ad energia rinnovabile e prelevando ad esempio la CO2 dall’ambiente. Un progetto pilota, sostenuto da Porsche, è attualmente in fase di sviluppo in Cile dove, grazie alle condizioni climatiche, l’energia elettrica necessaria alla produzione verrà prodotta grazie alle turbine eoliche (la Patagonia cilena è una regione molto ventosa).

Ma torniamo a oggi. La mobilità elettrica, sebbene in crescita, è ancora assai limitata se confrontata al parco circolante di autovetture. Siamo ancora ad una percentuale abbondantemente inferiore all’uno percento. I timori degli automobilisti, con questo tipo di propulsione, sono diversi: la scarsa autonomia, il tempo necessario a ricaricare le batterie e la durata nel tempo delle stesse. Con una buona informazione e consulenza ognuno di questi dubbi può essere fugato. Con il progetto “Segui la corrente” l’UFE fornisce una consulenza di base e cerca di rispondere ad alcune domande. Ad esempio la domanda sull’autonomia. A questo proposito sul sito di svizzera energia troviamo la seguente risposta: il tragitto medio percorso giornalmente dagli svizzeri per recarsi dal domicilio al posto di lavoro è di 30/40 chilometri. L’autonomia di un’automobile BEV oggi varia dai 200 ai 600 chilometri. Su questo punto, si può tranquillamente affermare che l’autonomia delle vetture elettriche a batteria è più che sufficiente (addirittura abbondante) per i tragitti quotidiani casa – lavoro. Se poi saltuariamente utilizziamo l’auto per viaggi più lunghi, ci si deve solo organizzare prima del viaggio e pianificare una pausa caffè con ricarica della batteria presso una colonnina pubblica che sicuramente possiamo trovare lungo il percorso.

In Svizzera esistono oltre 5’000 stazioni di ricarica pubbliche. E quanto tempo impieghiamo per caricare la batteria della nostra BEV? Anche in questo caso abbiamo due situazioni ben distinte. La quotidianità per gli spostamenti casa – lavoro e il viaggio più lungo fatto saltuariamente. Per gli spostamenti giornalieri nessun problema, basta che la sera quando rientriamo dal lavoro colleghiamo l’automobile alla colonnina di ricarica privata, tempo impiegato 30 secondi, e al mattino seguente ci ritroviamo la batteria sufficientemente carica per percorrere quei 30/40 chilometri del percorso casa – lavoro. La ricarica infatti avviene in tutta tranquillità durante la notte. Per i viaggi più lunghi, che necessitano una ricarica intermedia, possiamo sfruttare la pausa caffè presso una stazione di servizio e in mezz’ora avere sufficiente energia per continuare il viaggio.
Utilizzare un’automobile a trazione elettrica non è quindi assolutamente un problema, è solo una questione di imparare a capirne il funzionamento.

Info: Segui la corrente – scegliere l’elettromobilità in modo consapevole

Responsabilità sociale delle imprese: un nuovo strumento per le aziende targato Cc-Ti

Giovedì 17 marzo 2022 si è tenuta la conferenza stampa di presentazione della piattaforma per la compilazione di un modello online di rapporto di sostenibilità, sviluppato dalla Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino (Cc-Ti) con il supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE). Il nuovo strumento ha lo scopo di agevolare le imprese, comprese quelle piccole e medie, nel redigere il proprio rapporto di sostenibilità ed è disponibile sul portale TI-CSRREPORT.CH.

Da sin. G. Pagani, CSR manager Cc-Ti; L. Albertoni, Direttore Cc-Ti; C. Vitta, Consigliere di Stato e Direttore DFE; A. Gehri, Presidente Cc-Ti e N. Bagnovini, Direttore SSIC TI

La responsabilità sociale delle imprese è un tema di grande attualità, dibattuto non solo a livello politico ma anche nel contesto delle ricerche di lavoro. Non sono unicamente le Autorità a chiedere sempre più responsabilità sociale alle imprese, anche il mercato ne sta facendo un fattore di competitività rilevante e viene considerato con molta attenzione. Un fattore diventato preferenziale in molti legami commerciali. Di regola, le imprese praticano già diverse buone pratiche sul tema, come confermato dai rilevamenti della Cc-Ti effettuati in questi anni unitamente alle Camere di commercio e dell’industria delle altre regioni svizzere. Tali comportamenti spesso non vengono però comunicati, purtroppo sottovalutati anche dalle aziende stesse, e così si perde, sfortunatamente, traccia di molte buone pratiche del mondo imprenditoriale in campo economico, ambientale e sociale già presenti e in atto sul nostro territorio. La Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino (Cc-Ti), quale associazione-mantello dell’economia ticinese, sta dedicando molte risorse a questo tema e ha sviluppato, col supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE), un modello online di rapporto di sostenibilità, che è disponibile dal 1° marzo 2022 sul portale ti-csrreport.ch.

All’evento, tenutosi nella cornice dell’ex-convento delle Agostiniane di Monte Carasso, sono intervenuti Andrea Gehri, Presidente Cc-Ti; Christian Vitta, Consigliere di Stato e Direttore del Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE); Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti e Nicola Bagnovini, Direttore SSIC.
Presenti in sala anche Gianluca Pagani (CSR Manager Cc-Ti); Caterina Carletti (ricercatrice responsabile dello studio- SUPSI); Jenny Assi (ricercatrice responsabile dello studio- SUPSI); Walter Bizzozero (Responsabile del Centro di competenza in materia di commesse pubbliche) e Luca Bordonzotti (Direttore Marketing & Product Management Banca Stato).
Davanti ai media ed ai partecipanti presenti (esponenti delle associazioni di categoria affiliate alla Cc-Ti, riuniti nel Consiglio economico) è stato illustrato questo nuovo supporto, frutto di un’iniziativa completamente auto-finanziata dalla Cc-Ti, intende supportare tutte le aziende ticinesi di ogni settore economico, con un occhio di riguardo per le piccole e medie imprese, che spesso non dispongono di una struttura dedicata per trattare in modo approfondito il tema.

L’obiettivo vuole affiancare, anche in questo ambito, tutte le aziende e agevolarle nell’opportunità di dotarsi di un esaustivo documento che raccolga le buone pratiche, integrando le informazioni economiche con un rendiconto dell’impatto sociale e ambientale delle proprie attività. Uno strumento di analisi e di comunicazione che, in modo semplice ed efficace, permette di approcciare il tema della sostenibilità e della responsabilità sociale. Le imprese hanno così l’opportunità di manifestare il loro impegno ai vari interlocutori del territorio (azionisti, clienti, fornitori, dipendenti, comunità, enti finanziatori, pubblica amministrazione, associazioni del territorio, media, ecc.), evidenziando il loro valore generato non solo a livello economico.
Il rapporto di sostenibilità sarà anche un utile strumento atto a verificare con regolarità le misure prese dalle aziende e quindi i miglioramenti e/o rispettivamente gli ambiti su cui ancora intervenire.
La responsabilità sociale delle imprese è un elemento che dal 2021 rientra anche nei bandi di concorso pubblici, visto che vi è un valore di ponderazione del 4% nei criteri di aggiudicazione.
Il documento della Cc-Ti, anche attraverso un lavoro di consulenza puntuale, aiuterà le aziende a dimostrare la realizzazione di obiettivi economici, ambientali e sociali idonei a ottenere questa percentuale. Grazie al rapporto di sostenibilità e con l’ottenimento di una relativa “Dichiarazione di conformità” (certificata dal servizio CSR della Cc-Ti) si sosterrà sia il lavoro delle aziende, sia quello delle Autorità chiamate a valutare i dossier. L’iniziativa non è ancora una condizione per partecipare agli appalti pubblici, ma alla quale si può aderire su base volontaria ed è sostenuta dal DFE, dal DT e dall’ufficio di vigilanza sulle commesse pubbliche. In presenza dei rappresentanti delle associazioni di categoria associate alla Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino, la conferenza stampa è stata aperta dal Presidente della Cc-Ti, Andrea Gehri, seguito dal Consigliere di Stato e Direttore del Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE) Christian Vitta che ha salutato positivamente l’importante lavoro di squadra tra istituzioni, Cc-Ti e SUPSI per la realizzazione del modello di rapporto di sostenibilità e ha sottolineato quanto questo sia “un ulteriore tassello nel sostegno alla CSR, a dimostrazione dell’importanza del tema per il Cantone e per gli attori del territorio. Consolidando il proprio impegno verso la responsabilità sociale delle imprese, le aziende contribuiscono a realizzare la visione di un Ticino sostenibile, attento non solo agli sviluppi economici, ma anche sociali e ambientali in atto e, di riflesso, con un impatto positivo sul nostro territorio, su chi vi lavora e su chi vi abita”.

È in seguito intervenuto il Direttore della Cc-Ti, Luca Albertoni, con alcuni cenni generali sullo strumento e il ruolo attivo dell’economia sul tema. Egli ha sottolineato come si tratti di un segnale molto importante del mondo imprenditoriale verso il territorio, anche perché finanziato interamente con i fondi della Cc-Ti. Inoltre, significativo è il fatto che lo strumento sia stato concepito sia per sostenere il lavoro delle aziende che per facilitare quello delle Autorità, ulteriore segnale di grande collaborazione a 360°.
A chiudere la conferenza stampa l’intervento del Direttore della Società Svizzera Impresari Costruttori – Sezione Ticino, Nicola Bagnovini a confermare l’importanza e l’utilità della dichiarazione di conformità. Egli ha evidenziato la semplicità d’uso dello strumento per le aziende e come questo approccio molto pragmatico eviterebbe ingenti spese supplementari alle imprese che intendano o necessitano dotarsi di un rapporto di sostenibilità e di un riconoscimento come quelli varati in data odierna. L’agevolazione e il supporto assicurati agli utenti saranno un apprezzato sgravio per le aziende.


SCOPRI
– Il Rapporto di sostenibilità – TI-CSRREPORT.CH
La pagina della Cc-Ti dedicata
– Discorso dell’onorevole Christian Vitta alla presentazione della piattaforma CSR

L’evento nei media

Gioco di squadra per la responsabilità sociale – CdT, 17.3.2022
RESPONSABILTÀ SOCIALE ‘Fattore di competitività’ – LaRegione, 17.3.2022

Servizio al Quotidiano del 17.03.2022 sulla presentazione della piattaforma CRS
Servizio su Radio Fiumeticino del 17.03.2022 sulla presentazione della piattaforma CRS, dal m. 28.05 al m. 34.35

Responsabilità sociale delle imprese: un nuovo strumento per le aziende targato Cc-Ti – etcinforma, 17.3.2022
Sostenibilità e responsabilità sociale, Andrea Gehri presenta il nuovo strumento della Cc-Ti – liberatv, 17.3.2022
Christian Vitta: “Un passo importante per un Ticino sostenibile” – liberatv, 17.3.2022
Al via la nuova piattaforma per la sostenibilità aziendale – bluewin.ch, 17.3.2022
“Non un ostacolo, ma uno strumento di competitività” – RSI online, 17.3.2022
Responsabilità sociale delle imprese: un nuovo strumento per le aziende targato Cc-Ti – ticinolibero, 17.3.2022




Aziende e Responsabilità sociale

La nuova piattaforma TI-CSRREPORT.CH

La Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino (Cc-Ti), quale associazione-mantello dell’economia ticinese, sta dedicando molte risorse a questo tema e ha s sviluppato, col supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE),un modello online di rapporto di sostenibilità, che sarà disponibile dal 1° marzo 2022.
Questo strumento, unico nel suo genere, e che costituisce un progetto-pilota per tutte le Camere di commercio e dell’industria svizzere, va ad aggiungersi al “Questionario di autovalutazione” che la Cc-Ti da più di un anno ha già messo gratuitamente online a disposizione dei suoi associati, consentendo così a tutte le imprese, anche quelle piccole e medie, di disporre di una prima valutazione sulla propria posizione in tema della responsabilità sociale.
Un primo step pensato per censire e conoscere le “buone pratiche” adottate sul territorio e che è stato già utilizzato da oltre 200 aziende del Cantone.

Uno strumento riconosciuto anche dall’Autorità cantonale

L’importanza di mettere a disposizione delle aziende un nuovo strumento è frutto quindi di un’evoluzione già esistente e riveste anche un’innegabile utilità pratica, soprattutto dopo la decisione del Consiglio di Stato di annoverare la CSR tra i criteri di valutazione delle offerte nella nuova Legge sulle commesse pubbliche. La responsabilità sociale delle imprese è infatti un elemento che dal 2021 rientra anche nei bandi di concorso pubblici, con un valore di ponderazione del 4% nei criteri di aggiudicazione. In una prima fase le nuove disposizioni cantonali saranno adottate, e testate, solo per gli appalti della pubblica amministrazione (Divisione delle costruzioni e Sezione della logistica). Successivamente esse saranno estese a gran parte delle commesse.

Alla luce di questa fondamentale svolta normativa, la possibilità di disporre, dal 1° marzo 2022, di un modello di “Rapporto di sostenibilità” è essenziale per le imprese, trattandosi di un report con cui l’azienda descrive e certifica il suo impegno nell’ambito della responsabilità sociale, in relazione anche ai 30 indicatori selezionati dal Consiglio di Stato per la ponderazione delle offerte che concorrono agli appalti pubblici.

Grazie al rapporto di sostenibilità e con l’ottenimento di una separata “Dichiarazione di conformità” aggiuntiva (rilasciata dalla Cc-Ti) si faciliterà sia il lavoro delle aziende, sia quello delle autorità chiamate a valutare i dossier. Il documento della Cc-Ti rappresenta una naturale evoluzione dopo la fase di test condotta da oltre un anno con un formulario di autovalutazione e costituisce un unicum a livello svizzero, visto che permette di stilare concretamente un rapporto di sostenibilità che poi vene anche riconosciuto formalmente quale documento, dal Cantone.

Un lavoro di consulenza puntuale aiuterà le aziende a dimostrare la realizzazione degli obiettivi economici, ambientali e sociali idonei pure nell’ottica a ottenere questa percentuale. Questo strumento non rappresenta la condizione per partecipare agli appalti pubblici ma resta su base volontaria ed è sostenuta dal DFE e dall’ufficio di vigilanza sulle commesse pubbliche.

Procedura e contenuti del Rapporto di sostenibilità

Il “Rapporto di sostenibilità” sarà accessibile a tutte le aziende sulla piattaforma online della Cc-Ti. Si è espressamente voluta una formulazione di facile compilazione, che permette di includere, oltre a paragrafi descrittivi, logo, foto e tutte le informazioni puntuali aziendali di rilevanza. Perché, ed è importante sottolinearlo, non si tratta dell’ennesimo ostacolo burocratico a carico delle aziende, bensì di uno strumento pensato per dare loro la giusta e positiva visibilità e aiutarle con un mezzo semplice. Oltre ai principali dati sull’azienda e alla sua storia, la compilazione del documento porta a descrivere le misure adottate per la responsabilità sociale in relazione a: governance, mercato, risorse umane, rapporti con la comunità e tutela dell’ambiente. Per arrivare, poi, agli obiettivi che ci si prefigge a media e lunga scadenza.

Come già descritto in precedenza, il rapporto può essere completato da una scheda supplementare dedicata ai 30 indicatori determinati dal governo ticinese che sono suddivisi
in tre aree tematiche: ambiente, economia, società. Grazie alla compilazione di questa scheda, saranno confermati i requisiti di base per ottenere il punteggio richiesto sul tema CSR negli appalti pubblici.

Per le imprese il Rapporto di sostenibilità rappresenta un ottimo dispositivo per monitorare costantemente il loro approccio alla sostenibilità, per metterne a fuoco limiti, progressi e obiettivi futuri. E scoprire, magari, che delle misure già adottate spontaneamente, ad esempio, per la mobilità aziendale, il risparmio energetico o per meglio conciliare lavoro e impegni familiari, rientrano a pieno titolo nelle “buone pratiche” contemplate dalla CSR.

La Cc-Ti organizzerà una presentazione al pubblico nelle prossime settimane e, assieme ai suoi partner istituzionali, proporrà alle imprese e alle associazioni di categoria, degli eventi formativi e informativi sui temi della CSR.

La visione del futuro vede la crescita delle nostre aziende strettamente collegata ad una prospettiva di sostenibilità economica, sociale e ambientale. Con la ferma convinzione che la forza, la coesione
di una comunità e il suo capitale sociale rappresentino un vantaggio competitivo per tutto il tessuto produttivo.

La responsabilità sociale, “questa sconosciuta”

Da anni la Cc-Ti, oltre a collaborare con istituzioni cantonali, associazioni e fondazioni per una fattiva sensibilizzazione sulla responsabilità sociale, supporta le aziende nell’implementare le “buone pratiche” della CSR attraverso un articolato lavoro di informazione e formazione. È importante rilevare che la CSR non è terreno sconosciuto per le nostre tante aziende del territorio, anzi!
Nel quadro dell’annuale inchiesta congiunturale della Cc-Ti, condotta con le altre Camere di commercio e dell’industria svizzere, un’analisi specifica sul tema ha evidenziato il grande lavoro già in atto da parte delle imprese. Rilevando, ad esempio, oltre 130 “buone pratiche”, suddivise in 32 tipologie d’intervento, applicate nei diversi rami economici. Un impegno che investe, sia nelle grandi che nelle piccole imprese, gli obiettivi qualificanti della responsabilità sociale.

Con scelte imprenditoriali coraggiose, che vanno spesso oltre i canoni ordinari della CSR, per concretizzare un concetto di responsabilità più aderente non solo alla vita dell’azienda, ma anche alla realtà del territorio e della comunità. Va fatta chiarezza e sottolineato che, se da una parte è giusto avere dei parametri di CSR, dall’altra parte non va assolutamente trascurato quanto fatto anche al di fuori dei criteri “ufficiali”. Il peso e il valore dell’impegno sociale di un’impresa difficilmente possono essere misurati solo ed esclusivamente sulla base dei soli parametri citati. Già il fatto del rischio imprenditoriale assunto per avviare un’impresa e creare posti di lavoro è un atto sociale e non solo economico, molto importante. A maggior ragione chi crea e mantiene un’azienda, ad esempio, in una regione periferica o in altri contesti “svantaggiosi”, offrendo dei posti di lavoro laddove non ci sono molte opportunità occupazionali, non è socialmente meno meritevole di chi può fregiarsi di tutti i crismi della CSR. Questo va detto in modo forte e deciso.

Purtroppo, nella discussione politica, è sempre dietro l’angolo la tentazione di usare la responsabilità sociale come discriminante per stilare avventate classifiche sulle aziende più o meno “virtuose”, per dividerle tra “buone” e “cattive”, da premiare o penalizzare. Un termine, “virtuoso”, pesantemente abusato negli ultimi anni, spesso per cercare d’imporre una concezione ideologizzata dei principi della CSR con lo scopo di resettare la libertà economica e ingabbiare lo spirito imprenditoriale. Per colpire alle radici la vocazione naturale di ogni impresa: conseguire un profitto.

Perché soltanto se si realizza un profitto, si avranno le risorse necessarie per investire e innovare, fermo restando il rispetto delle norme legali e i principi etici che regolano la società.
Restare competitivi sul mercato, creando più occupazione e ricchezza di cui beneficia poi, tutta la collettività. Esiste già una responsabilità sociale quotidiana, costante e volontaria, non dettata da prescrizioni calate dall’alto o da pressioni esterne. Le aziende sono pronte ad assumersi ulteriori responsabilità, ma è evidente che lo stesso comportamento deve essere tenuto da tutti gli attori in gioco: istituzioni, politica, partner sociali e società civile, al fine di una responsabilità condivisa per una crescita equilibrata ed armoniosa.

CSR – Il contributo delle imprese per un Ticino sostenibile

“La pandemia ci ha spinti a ripensare il nostro approccio nei confronti dei cambiamenti in atto a livello globale. Ha soprattutto evidenziato – come emerso anche dai lavori del Gruppo strategico per il rilancio del Paese promosso dal Dipartimento delle finanze e dell’economia – la necessità di rafforzare le traiettorie di sviluppo legate all’innovazione, allo sviluppo sostenibile e alla responsabilità sociale delle imprese (CSR)” afferma il Consigliere di Stato e Direttore del Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE), Christian Vitta.

“Quest’ultima si sta delineando come un tema sempre più centrale per favorire una crescita sostenibile e orientata al futuro del nostro tessuto imprenditoriale, della nostra economia e del nostro territorio” prosegue il Consigliere di Stato Christian Vitta.


“La responsabilità sociale delle imprese è un importante strumento di competitività delle aziende e, di conseguenza, di attrattiva territoriale. Le aziende, assumendo le loro responsabilità sociali e ambientali, possono infatti ottenere molteplici vantaggi, sia per i propri collaboratori che, più in generale, per la società. In questo modo diventano più competitive e, di riflesso, contribuiscono a rendere il territorio più attrattivo. Favorire e accelerare questo processo, offrendo le migliori condizioni affinché questo possa avvenire, è uno degli obiettivi del Cantone. La responsabilità sociale delle imprese rientra infatti tra gli obiettivi di legislatura 2019-2023 del Consiglio di Stato.

Christian Vitta, Consigliere di Stato e Direttore del Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE)

In questo senso, il Dipartimento delle finanze e dell’economia pone un’attenzione particolare a questo tema e mette in campo una serie di misure per incentivarla, anche attraverso una costante e proficua messa in rete con la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino, la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana, l’Associazione industrie ticinesi e l’Associazione Bancaria Ticinese. Con questi importanti partner nel 2016 è stato creato il Gruppo di lavoro CSR Ticino con l’obiettivo di promuovere la responsabilità sociale delle imprese attraverso la realizzazione di studi, la formazione e l’organizzazione di eventi. Per rafforzare ulteriormente questo ambito, ricordo che nel 2021 il Consiglio di Stato ha deciso di mettere a disposizione un credito di 450’000 franchi per l’implementazione di nuove misure. Tra queste rientra il contributo diretto alle imprese che investono nella formazione di un proprio responsabile in CSR, una misura volta a sostenerle nel dotarsi internamente delle competenze necessarie per la messa in atto di buone pratiche. Il Dipartimento che dirigo ha inoltre collaborato con la Camera di commercio e la SUPSI per la realizzazione di un modello semplificato di rapporto di sostenibilità che faciliterà anche le piccole e medie imprese ad allestire un rendiconto sull’impatto sociale e ambientale della loro attività. Il DFE si è inoltre adoperato affinché il rapporto di sostenibilità possa essere utilizzato anche nelle procedure di pubblici concorsi – ricordo che lo scorso ottobre il criterio della CSR è stato incluso nella Legge sulle commesse pubbliche (LCPubb) – riducendo in questo modo il carico amministrativo per le aziende.


In questo quadro, il Cantone e il DFE continueranno a garantire al tema della responsabilità sociale delle imprese il loro sostegno, certi della grande rilevanza che quest’ultima riveste per l’economia cantonale. Consolidando il proprio impegno verso la responsabilità sociale delle imprese, le aziende contribuiscono a realizzare la visione di un Ticino sostenibile, attento agli sviluppi economici, ambientali e sociali con un impatto positivo sul nostro territorio, su chi vi lavora e su chi vi abita” conclude il Direttore del Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE), Christian Vitta.

Svolta climatica impossibile senza i garagisti

I garagisti svizzeri rivestono un ruolo chiave per la mobilità di domani, cioè quella di consulenti.

La Consigliera federale e Capo del Dipartimento dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni Datec, Simonetta Sommaruga, ha iniziato il suo discorso alla giornata dei garagisti svizzeri che si è tenuta martedì 18 gennaio 2022 al Kursaal di Berna, sottolineando l’importanza del ruolo di questi ultimi. «Senza l’impegno quotidiano dei quasi 40’000 meccanici, meccatronici, garagisti e consulenti per la mobilità il passaggio a una mobilità più sostenibile per il clima sarebbe impossibile». Continuando nel suo discorso, ha rivelato poi come la politica sta attualmente preparando il terreno: «Con la nuova Legge sul CO2, il Consiglio federale vuole promuovere la diffusione delle stazioni di ricarica per i veicoli elettrici. E vuole farlo là dove mancano, ad esempio nelle abitazioni e sui luoghi di lavoro.» La Consigliera federale ha anche rivelato ai 600 rappresentanti del ramo che, con la revisione parziale della Legge sulla circolazione stradale, la Svizzera vuole definire le condizioni quadro per la guida autonoma: «Vogliamo che la Svizzera sia uno dei primi paesi al mondo a consentirla.»

Secondo Thomas Hurter, Presidente centrale dell’UPSA, gli ossequi del Governo sono un segnale chiaro: «La partecipazione della Consigliera federale Sommaruga dimostra quanto prenda sul serio il nostro ramo e la nostra causa e che ha lo stesso nostro interesse a dialogare.» Secondo Hurter, il ramo dei professionisti dell’auto è uno dei pilastri della riduzione continua del CO2 nel traffico su strada. Negli anni pre-pandemia, il trasporto privato di persone ha superato i 100 milioni di chilometri-persona. Il traffico motorizzato privato, quindi, assorbe l’80% di quelli percorsi, contro il 20% del trasporto pubblico.

Dall’intervento della Consigliera federale Simonetta Sommaruga possiamo dedurre che il Governo abbia finalmente capito quali sono gli ostacoli alla diffusione su larga scala della mobilità elettrica. Non la mancanza di modelli di vetture, che comunque continuerà a crescere nei prossimi anni, ma la mancanza di stazioni di ricarica, in particolar modo al domicilio dei cittadini o sul posto di lavoro: luoghi questi dove le auto restano ferme per la maggior parte del tempo quando non utilizzate. Installando un maggior numero di colonnine di ricarica per auto elettriche si contribuisce ad eliminare quello che oggi sembra essere il punto più critico per chi intende acquistare un veicolo totalmente elettrico: la scarsa autonomia e il tempo di ricarica della batteria.

Non disponendo di una stazione di ricarica al domicilio o sul posto di lavoro il proprietario di una vettura elettrica dovrebbe recarsi presso una stazione di ricarica pubblica, collegare la vettura e attendere che la batteria sia completamente carica. A dipendenza della capienza della batteria e della potenza della colonnina potrebbero volerci anche alcune ore. Questo è chiaramente inefficiente per un uso quotidiano. Per contro disponendo di una colonnina al domicilio la situazione risulterebbe assai diversa e per certi versi, addirittura più comoda che per le attuali vetture benzina o diesel per le quali bisogna forzatamente recarsi presso una stazione di rifornimento per fare il pieno. Con la colonnina a domicilio per fare il pieno, il proprietario del veicolo deve semplicemente ricordarsi di collegare la presa della corrente quando rientra a casa (senza quindi dover allungare il suo tragitto per andare alla stazione di servizio) impiegando non più di 30 secondi del suo tempo. Il mattino seguente ecco che la vettura è pronta con le batterie completamente cariche per percorrere altri 300 e oltre km. Lo stesso ragionamento può essere applicato, con un altro vantaggio che vedremo in seguito, disponendo di una colonnina di ricarica sul posto di lavoro. In questo caso arrivando al lavoro al mattino si può collegare la vettura alla colonnina, lasciarla collegata tutto il giorno così da avere il massimo della carica anche con un impianto non estremamente potente e ritrovarsi l’auto elettrica pronta per tornare a casa. Se poi l’elettricità che alimenta la colonnina del parcheggio al lavoro è prodotta da pannelli solari installati sul tetto della ditta, in questo caso il gioco è perfetto. Ma dicevamo di un ulteriore vantaggio per quest’ultima soluzione: caricando completamente la batteria della vettura durante il giorno, tornando a casa alla sera e collegandola ad una apposita colonnina bidirezionale, ecco che si potrebbe utilizzare la corrente immagazzinata dall’auto per alimentare le luci di casa (naturalmente mantenendo una carica sufficiente per recarsi al lavoro il giorno seguente). Tutto ciò, che oggi può sembrare utopia in effetti sarebbe perfettamente attuabile se, come dichiarato dalla Consigliera federale Simonetta Sommaruga, la rete di colonnine private venisse adeguatamente sviluppata.

Due punti restano però ancora in sospeso: l’espansione della rete di ricarica delle colonnine pubbliche, in particolare sulle autostrade, e la produzione e fornitura di energia elettrica. Se il primo è risolvibile con l’installazione di stazioni di ricarica sufficientemente potenti e in numero adeguato la produzione e fornitura di elettricità sarà la vera sfida che le istituzioni politiche dovranno affrontare e risolvere.

Per raggiungere questo traguardo di un TMP (Trasporto Motorizzato Privato) completamente a emissioni locali zero ci vorrà ancora del tempo. Ma già oggi possiamo e dobbiamo agire. Una buona soluzione, per chi ne può trarre vantaggio, sono le vetture ibride e ibride plug-in. In particolare, le ibride plug-in (vetture con un motore termico e un motore elettrico alimentato da batterie che si possono ricaricare tramite una presa di corrente) possono servire da soluzione transitoria che permettono di “fare esperienza” con le propulsioni alternative da parte della popolazione e allo stesso tempo permettere di completare la rete di colonnine di ricarica. Una vettura ibrida plug-in non necessita per forza di una colonnina di ricarica dedicata, ma può essere caricata attraverso una normale presa elettrica. Richiede però rigore nel suo utilizzo ricordandosi per esempio di caricare tutti i giorni la batteria così da poter sfruttare la massima autonomia in modalità elettrica. Il giorno poi che si passerà all’automobile completamente elettrica questa procedura ci sembrerà una cosa normale.

Oggi quindi tocca alle istituzioni mantenere le promesse, alla popolazione valutare bene le sue scelte in ambito di TMP, e ai garagisti saper consigliare in modo corretto i clienti proponendo la giusta versione di propulsione.


APPROFONDISCI IL TEMA CON UN WEBINAR DEDICATO!
Il prossimo 17 marzo 2022 si svolgerà il webinar “Mobilità strategica” che approfondisce alcuni aspetti legati a quest’argomento. Le iscrizioni sono aperte!

Reshoring, nearshoring, backshoring

…e se la supply chain puntasse invece sulla circolarità?

La ripresa in contemporanea delle attività manifatturiere dopo i vari lockdown, la forte crescita della domanda di prodotti inaccessibili durante le chiusure, i ritardi nelle consegne, il rincaro dei trasporti (leggi: aumento dei costi di noli) così come l’aumento dei prezzi delle materie prime continuano ad esacerbare lo stato di salute delle catene di approvvigionamento. Molte fonti lo affermano: i colli di bottiglia e l’esplosione dei costi dovrebbero perdurare fino a fine 2022. Allo stesso tempo, notizie di reshoring, nearshoring e persino backshoring, in particolare delle attività attualmente basate in Cina, sono all’ordine del giorno. Non tutte però sono strettamente collegate con la pandemia… anche perché le catene di fornitura non possono essere cambiate rapidamente o facilmente: qualificare nuovi fornitori richiede analisi di qualità, accordi sui diritti di proprietà intellettuale, nuove certificazioni e molte altre valutazioni.

Un sondaggio effettuato a febbraio/marzo 2020 dalla società di consulenza strategica e di ricerca Gartner, Inc. su 260 leader della catena di approvvigionamento globale ubicati nei quattro angoli del mondo, ha ad esempio evidenziato che già all’epoca il 33% degli intervistati aveva trasferito la propria attività fuori dal Regno di Mezzo o prevedeva di farlo entro il 2023.
Tali decisioni erano pertanto state prese ben prima pandemia. Un dato confermato anche da Resilinc, che si occupa di supply chain analytics e secondo la quale il 2019 aveva registrato il più alto tasso di interruzioni delle catene di approvvigionamento degli ultimi anni.
Le cause? Chiusura di fabbriche sì, ma anche cambiamenti di proprietà dovuti a fusioni e acquisizioni, eventi meteorologici estremi e disastri naturali (inondazioni, terremoti), cambiamenti normativi e, non meno importante, i conflitti geopolitici. Negli ultimi anni pre-pandemia, quindi, sempre più aziende si sono trovate a far fronte a grossi rischi e interferenze per la propria filiera.

Una ricetta miracolosa per rafforzare le proprie catene di approvvigionamento non esiste. È vero però che gli enti regolatori chiedono però sempre più spesso alle aziende di stabilire catene del valore trasparenti e di effettuare una due diligence sulla condotta sociale e ambientale dei loro fornitori – non che questo influisca sulla capacità di questi ultimi di fornire nei tempi voluti i prodotti o materiali richiesti. Allo stesso tempo, da parte dei consumatori cresce la domanda di prodotti sempre più sostenibili. In generale si constata quindi un aumento delle pressioni su sostenibilità e trasparenza. Ciò crea per le aziende nuove opportunità di mercato e potenziali benefici in materia di reputazione.
Ne conseguono però per loro anche nuovi compiti, quali ripensare in modo strategico a come affrontano, valorizzano, costruiscono e ottimizzano le catene del valore.

La pressione sulla filiera dovuta alla pandemia da un lato, le esigenze degli enti regolatori e le tendenze di consumo dall’altro… perché non prendere due piccioni con una fava e rivoluzionare quindi i propri paradigmi e il proprio modo di intendere e di fare business? E quale paradigma economico integra sostenibilità ambientale (e sociale), all’interno di una nuova strategia aziendale meglio dell’economia circolare?

L’economia circolare è un modello economico che si basa sul riutilizzo, la riparazione, il riciclaggio di prodotti e materiali: allungando il ciclo di vita dei prodotti, essa riduce il volume, la velocità e il chilometraggio dei flussi di materiali, offrendo una soluzione contro il moltiplicarsi dei colli di bottiglia nella catena d’approvvigionamento, risparmi sui costi di approvvigionamento delle risorse e una minore esposizione al rischio legato alla volatilità dei prezzi delle materie prime. In sostanza l’economia circolare risponderebbe quindi a tematiche chiave quali la continuità del business e la gestione dei rischi (ambientali e di fornitura), contribuendo altresì a rafforzare la resilienza della filiera.

Come del caso del reshoring, nearshoring o backshoring, anche l’introduzione della circolarità non è però esente da sfide e sicuramente non è un processo a breve termine, in primis perché si tratta di una trasformazione che non può essere compiuta in modo isolato: riconfigurare le supply chain significa sperimentare nuove forme di collaborazione con tutti gli attori coinvolti – ovunque essi siano ubicati ed attuare meccanismi di reverse logistics (logistica inversa o logistica di ritorno) in grado di recuperare i prodotti a fine vita. Sì, perché i prodotti vanno riprogettati, adottando materiali green e biocompatibili così come logiche di durabilità, pensando quindi fin da subito al loro reimpiego e pertanto con caratteristiche tali da permetterne lo smontaggio o la ristrutturazione.

Il reparto acquisti deve lavorare con la squadra di progettazione per identificare i partner delle materie prime per le innovazioni e le tecnologie più adatte. L’approvvigionamento di materiali e tecnologie per prodotti circolari cambia quindi il processo di selezione dei fornitori influenzandone i criteri di valutazione e il modo in cui ci si relaziona con loro. Gestire e mantenere tali collaborazioni richiede tempo e risorse. La logistica inversa che ha l’impatto più diretto sulle catene di approvvigionamento è invece il ritorno dei prodotti dal consumatore finale al produttore: affinché questo modello possa funzionare, le aziende devono poter aver accesso ai loro prodotti a fine vita.
In alcuni settori la gestione della logistica di ritorno dei prodotti è già una realtà per le aziende, grazie a leggi specifiche. È il caso dei prodotti elettronici di consumo, che nell’Unione europea sono regolati dalla direttiva sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (WEEE), la quale obbliga i fabbricanti ad occuparsene a fine vita. Molte aziende di altri settori hanno invece “risolto” il problema promuovendo modelli alternativi di utilizzo, come lo sharing o il pay-peruse, che consentono loro di rientrare in possesso dei prodotti ad utilizzo terminato.

In conclusione, le attuali problematiche della supply chain rappresentano sì una sfida non indifferente per le aziende, ma anche un’opportunità per ripensare il proprio business e rendere la propria filiera più resiliente ma soprattutto più inclusiva.

Quante materie consuma la Svizzera?

Ogni cittadino svizzero consuma 10 tonnellate di materiale all’anno. Se l’acciaio è quasi interamente riciclato, questa percentuale è inferiore al 10% per la plastica. Cosa possiamo fare individualmente per ridurre i nostri consumi?

Costruzioni, strade, combustibili, carburante: la Svizzera industriale utilizza enormi quantità di materie prime. Uno studio commissionato dall’Ufficio federale dell’ambiente (OFEV) stima questo consumo intorno alle dieci tonnellate pro capite all’anno, per un totale di 87 milioni di tonnellate l’equivalente di 8’700 Torri Eiffel. Quarantotto milioni di tonnellate vengono importati ogni anno e 56 milioni provengono dalla Svizzera. Quindici milioni di tonnellate provengono anche dal riciclaggio. Globalmente e provenienti da tutto il mondo arrivano in Svizzera 119 milioni di tonnellate di materie ogni anno, di cui 52 milioni rimangono in Svizzera sotto forma di infrastrutture e merci (scorte di merce).

In Svizzera, i 40 milioni di tonnellate di calcestruzzo utilizzate rappresentano circa la metà del consumo annuo di materie. Seguono gli agenti energetici (17%) sotto forma di combustibili e carburanti, così come l’elettricità (convertita in equivalente petrolio).
L’alimentazione umana è al terzo posto (10 %). Se questo alto consumo può a prima vista sorprendere, dimostra in modo impressionante ciò che la popolazione svizzera “metabolizza” ogni anno.
La ghiaia e anche la sabbia costituiscono una parte importante del consumo di materie prime (8%).

I 15 milioni di tonnellate che rientrano ogni anno nell’economia grazie al riciclaggio consistono principalmente in cemento, asfalto, sabbia, ghiaia e acciaio. Il tasso di riciclaggio dell’acciaio raggiunge il 96% e quello del calcestruzzo l’85%, contro il 40% per legno e carta e meno del 10% per la plastica.

L’economia circolare obbedisce ai principi economici. Il riciclaggio diminuisce dove mancano gli incentivi e l’azione pubblica o economica non colma questa lacuna. Metalli tecnici rari come indio, neodimio o tantalio sono quindi oggi in gran parte persi, perché riciclarli non è redditizio. Il riciclaggio di PET, batterie o gli apparecchi di illuminazione, per i quali esistono normative ufficiali, invece, funzionano relativamente bene.

Benzina e olio combustibile

Il quadro a volte è molto diverso se confrontiamo i flussi di materiale con il loro impatto ambientale. Alla luce delle emissioni di CO2, carburanti e combustibili vengono prima di tutto: costituiscono circa la metà delle emissioni della Svizzera, seguite dal cibo umano (18%). Il cemento è nettamente dietro (3%), non lontano dall’acciaio (5%). Il tessile (4,5%), i prodotti chimici di base (4,5%), l’elettronica e anche le batterie (3,3%) hanno una quota relativamente alta di emissioni di CO2 Se consideriamo tutte le esigenze di energia non rinnovabile, le fonti energetiche (elettricità, carburanti e combustibili) generano quasi i due terzi di emissioni totali. Materie plastiche, prodotti chimici di base e l’alimentazione umana contribuiscono dal 5 al 7%.

La quota a carico dell’alimentazione emerge ancora più chiaramente se prendiamo come base la totalità del carico ambientale: passa allora al29 % e si attesta praticamente allo stesso livello di carburanti, combustibili ed elettricità (che raggiungono in totale il 31%).
I metalli, l’elettronica e la chimica di base restano molto più indietro. Il confronto tra le emissioni dirette di CO2 e l’energia “grigia” contenuta nei materiali sono interessanti. Mentre che le prime provengono dal consumo di energia, le “emissioni grigie” risultano dalla produzione dei beni in cui sono praticamente incorporate. Sembra che la produzione delle merci utilizzate in Svizzera generi tante emissioni di gas serra quanto quelle del nostro consumo energetico. Quando rappresentiamo emissioni dirette ed emissioni grigie specifiche di determinate categorie di consumo, risulta che il settore alimentare costituisce la principale fonte di emissioni (18,6 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti). A ciò fa seguito il traffico di autovetture (15,6 milioni di tonnellate) e l’industria (13,4 milioni di tonnellate).


Cosa si può fare?


Come consumatori, possiamo influenzare il consumo di materie prime fino a certo punto. Tutti hanno la possibilità di modulare i consumi in modo più consapevole e ridurne l’uso. Ci sono, tuttavia, limiti evidenti: se ognuno può, in larga misura, decidere personalmente sul proprio consumo in termini di mobilità, alloggio, cibo o abbigliamento, il campo di azione è molto più circoscritto nel caso i progetti statali o del settore privato. Abbiamo quindi un’influenza limitata sugli investimenti pubblici nella costruzione di strade, nel settore sanitario o nella fornitura di energia. Difficilmente possiamo anche condizionare la modalità e il volume di produzione nel settore privato. Pertanto, anche uno stile di vita molto rispettoso dell’ambiente e molto sostenibile non permetterà mai di ridurre le emissioni di CO2 a zero, poiché tutti gli abitanti dipendono da infrastrutture comuni come strade, scuole e ospedali.
Dove situare quindi i limiti dell’influenza di un singolo abitante?

Per trovare le risposte a questa domanda, uno studio effettuato in Svizzera nel marzo 2021 da MDPI – un editore accademico indipendente situato a Basilea – intitolato “The Influence of Consumer Behavior on Climate Change: The Case of Switzerland”, ha distinto cinque gruppi di consumatori tipici che vanno da individui molto rispettosi dell’ambiente a coloro che ne sono totalmente insensibili. L’intensità dell’impatto diretto e indiretto sull’uso delle materie è stata determinata per ciascuna area di consumo. L’impatto è diretto quando è possibile decidere personalmente quello che consumiamo. È indiretto, invece, quando si può esercitare un’influenza solo attraverso il proprio comportamento durante i processi decisionali della politica. Sembra che
anche se tutte le persone residenti in Svizzera si comportassero come il gruppo più sensibile all’ambiente, le emissioni totali di CO2 diminuirebbero solo del 16%. Al contrario, aumenterebbero del 17% se tutti adottassero le abitudini del gruppo indagato dallo studio citato poc’anzi come meno rispettoso dell’ambiente. Lo studio conclude quindi che, senza una gestione da parte di una politica ambientale attiva, le emissioni di CO2 della Svizzera non possono essere ridotte abbastanza da poter garantire il rispetto degli impegni internazionali del Paese ed evitare la crisi climatica. Il mondo politico è invitato a raddoppiare gli sforzi per sviluppare l’economia circolare.


Fonte: La Vie économique 11.2021; adattamento Cc-Ti

Le smart-car, automobili intelligenti e connesse

Da telefono (phone) a smartphone. Da automobile (car) a smart-car. È possibile paragonare lo sviluppo dei telefonini a quello delle automobili?

Come vedremo di seguito sicuramente sì. Fino a qualche decennio fa con i telefoni si poteva unicamente comunicare a voce con l’interlocutore dall’altra parte del cavo (o dell’etere nel caso dei cellulari). Fino a qualche anno fa con le automobili ci si poteva spostare da un luogo all’altro. Con gli smartphone di oggi si può fare molto di più che semplicemente interagire verbalmente. Grazie a dei telefoni ricchi di sensori e sistemi di comunicazione, le diverse app che possiamo installare ci permettono di sfruttare una serie di funzioni che spaziano dalla navigazione satellitare all’accendere o spegnere la luce di casa e perfino a gestire la salute personale. Nel campo dell’automobile, ma anche in quello dei veicoli utilitari, sta avvenendo la stessa evoluzione.

Nel futuro prossimo, ma in alcuni casi è già realtà, le automobili nuove messe in commercio disporranno di tutta una serie di sensori e accessori già installati di fabbrica, ma che, in alcuni casi, non saranno attivi. Per poterne sfruttare tutte le potenzialità, il proprietario del veicolo potrà acquistare le rispettive app dal fabbricante che, durante la notte quando il veicolo non viene utilizzato, le installerà da remoto e, come per magia, il giorno seguente saranno perfettamente funzionanti e attivate. Le app per automobili attivabili con questa tecnologia possono spaziare da svariati servizi che riguardano la vettura stessa, come ad esempio il sistema di navigazione satellitare, le sospensioni adattive, il cruise-control adattivo o i sedili riscaldabili, ma anche a servizi a sostegno del conducente e dei passeggeri come l’assistenza in caso di panne o incidente, la funzione di concierge che permette di ricercare e riservare ristoranti e Hotel o ancora la gestione della flotta di veicoli aziendali per le aziende di grandi dimensioni.

Come è stato per i telefonini, anche per le automobili, questo cambiamento epocale nel modo di pensare e quindi progettare gli oggetti porterà indubbi vantaggi per i consumatori. Da semplici mezzi di trasporto le automobili diventeranno delle estensioni delle nostre abitazioni o dei nostri uffici. Se un tempo, prima di partire per un viaggio eravamo obbligati a pianificare il percorso consultando una cartina a casa, oggi semplicemente saliamo in auto e, grazie ai comandi vocali, dettiamo l’indirizzo di destinazione alla nostra auto e in pochi secondi il percorso migliore viene calcolato e memorizzato. Se poi lo vogliamo, l’automobile stessa ci propone dei luoghi d’interesse da vistare che si trovano sulla via per la destinazione finale.
Grazie ai servizi di concierge non dovremo nemmeno preoccuparci di cercare e riservare l’Hotel, basterà chiamare il nostro assistente personale attraverso il collegamento internet della vettura e lui provvederà per noi. Se per esempio la destinazione del viaggio sarà verso l’estremo nord dell’Europa, dove le temperature sono molto basse, nessun problema, tramite l’accesso personale al portale internet collegato al nostro veicolo, possiamo acquistare per un solo mese l’opzione dei sedili e del volante riscaldati.
Il gioco è fatto: non patiremo il freddo per tutta la durata del viaggio.

Per giungere a questi traguardi il mondo dell’automobile sta attraversando una vera e propria rivoluzione come mai è avvenuto nel passato. Se un tempo lo sviluppo delle auto era prettamente legato al petrolio e all’acciaio (non che in questo momento lo sviluppo tecnico delle auto si sia fermato!) e l’informatica era al servizio della meccanica, oggi sono i programmatori di software che fanno la parte del leone nei reparti di sviluppo delle grandi fabbriche. Prova ne è la notizia apparsa sulla stampa a livello mondiale: un importante costruttore di auto giapponese ha assunto in questi ultimi mesi oltre mille ingegneri programmatori di software. Dietro a questi cambiamenti se ne nascondo altri che scopriremo nei prossimi anni. Il primo e più importante sarà la commercializzazione delle automobili nuove solo attraverso la vendita online scavalcando così i concessionari locali come li conosciamo ora. Tutto questo sarà possibile grazie appunto ad automobili costruite in maniera standardizzata dove solo colore esterno e pochi altri accessori potranno essere scelti del cliente al momento dell’ordinazione in fabbrica. Il resto, come abbiamo visto prima, potrà essere acquistato o noleggiato per un breve periodo anche in seguito come avviene con le app dello smartphone.

Il ruolo dei concessionari sarà comunque fondamentale, da venditori di automobili si trasformeranno in consulenti per l’acquisto dell’automobile corrispondente alle esigenze del cliente e in agenzie di consegna della vettura, nonché gestori di tutti i servizi ad essa connessi. L’utilizzo futuro dell’automobile non sarà quindi più limitato a solo mezzo di trasporto per andare da un luogo a all’altro, ma diventerà uno strumento polifunzionale di mobilità individuale.

Commesse pubbliche, conterà anche la responsabilità sociale

Anche la responsabilità sociale delle imprese entrerà in conto fra i criteri utilizzati per stilare la classifica dei migliori offerenti nell’ambito della Legge sulle commesse pubbliche. Il Consiglio di Stato, infatti, ha approvato le modalità di applicazione della premialità relativa al criterio della responsabilità sociale delle imprese (CSR) nella Legge sulle commesse pubbliche (LCPubb).

La Responsabilità Sociale di Impresa “RSI” si sta infatti sempre più configurando anche come un fattore di competitività delle aziende e di attrattività del territorio e l’Amministrazione cantonale intende supportare le imprese in questo percorso. La Cc-Ti che fa parte del Gruppo CSR Ticino e condivide questo obiettivo. Si impegna anche nella sensibilizzazione verso i propri associati attraverso l’offerta di diversi strumenti operativi a supporto delle aziende.

Da oltre un anno la Cc-Ti ha messo online, a disposizione dei suoi associati, il “Formulario di autovalutazione”, strumento che permette alle PMI di valutare la propria attitudine per rapporto ai temi della sostenibilità. Oltre 200 imprese del nostro territorio hanno utilizzato questo strumento, ottenendo un primo riscontro rispetto al grado di sostenibilità della loro impresa. Il formulario è gratuito e disponibile per le aziende affiliate nell’area soci sul nostro sito (accesso diretto tramite questo link: www.cc-ti.ch/areasoci).

Da gennaio 2022, inoltre, la Cc-Ti metterà online uno strumento attraverso il quale le aziende potranno redigere, data un’impostazione grafica e tematica, il proprio “Rapporto di sostenibilità” in modo semplificato ed integrarlo con i 30 indicatori scelti dal Consiglio di Stato, pronto da stampare.

Nel “Rapporto di sostenibilità” le aziende potranno descrivere le loro “buone pratiche” in tema di
• Governance,
• Mercato,
• Risorse umane,
• Rapporti con la comunità
• e Tutela dell’ambiente.


Il punteggio massimo ottenuto nei criteri di aggiudicazione della CSR peserà per un 4% rispetto alla ponderazione degli altri fattori presi in esame per l’aggiudicazione.

Si procederà da gennaio 2022 con una fase di test pilota interna all’Amministrazione cantonale, che coinvolgerà la Divisione delle costruzioni del Dipartimento del territorio e la Sezione della logistica del DFE e le relative commesse, a partire da quelle concernenti le opere da impresario costruttore. Successivamente avverrà l’estensione graduale a tutte le tipologie di commesse. La Cc-Ti organizzerà quindi degli eventi formativi e informativi dedicati alle associazioni di categoria e alle aziende per spiegare i principi e i metodi di compilazione del “Rapporto di sostenibilità” e della scheda riassuntiva degli indicatori.

L’inserimento della CSR nella legislazione sulle commesse pubbliche è un esempio concreto di applicazione dello sviluppo sostenibile in ambito pubblico, che si pone come obiettivo la sensibilizzazione delle imprese nei confronti della responsabilità economica, sociale e ambientale del loro operato.

Nel prossimo numero di Ticino Business presenteremo lo strumento di compilazione del “Report di sostenibilità facilitato” e tutte le relative istruzioni per compilarlo.

Il CAS in CSR SUPSI

Per le imprese che fossero interessate ad approfondire il tema, nel mese di febbraio prenderà il via la quarta edizione del Certificate of Advanced Studies in Responsabilità sociale delle imprese (CSR) promosso dalla SUPSI. Il corso transfrontaliero è riservato a 30 imprese e si pone l’obiettivo di formare manager nell’ambito della sostenibilità in grado di promuovere una strategia all’interno delle loro imprese, valorizzando le buone pratiche e redigendo il rapporto di sostenibilità. Il corso ha una durata di 120 ore, con lezioni sia in presenza che a distanza. Alcuni dei temi trattati, all’interno dei moduli, riguarderanno: l’evoluzione del concetto di responsabilità sociale d’impresa; la mappatura degli stakeholder, il codice etico, compliance, risk management, la catena della fornitura e diritti umani, la gestione delle materie prime, i nuovi sistemi di produzione, eco design, l’economia circolare, le certificazioni, il welfare aziendale, la work life balance, il diversity management, le relazioni con la comunità, i progetti con associazioni, il volontariato d’impresa, la gestione dell’energia, dei rifiuti e dei trasporti, la mobilità aziendale, la strategia e gli strumenti di comunicazione, il rapporto di sostenibilità.

Le lezioni saranno articolate in una parte frontale e in un laboratorio con lo svolgimento di esercitazioni, con testimonianze da parte di imprese, associazioni ed esperti del settore. Le iscrizioni sono aperte fino alla fine del mese di dicembre. Per informazioni: cliccare qui.

Sostegno alla formazione

Tra le misure previste dal Consiglio di Stato, per il periodo 2021-2023, al fine di promuovere ulteriormente l’ambito della responsabilità sociale delle imprese rientra anche l’introduzione di un sostegno diretto alle imprese che intendono investire nella formazione di un responsabile aziendale CSR. Possono accedere al contributo tutte le aziende con sede nel Cantone Ticino che intendono formare un proprio responsabile in CSR. Il sostegno finanziario può essere concesso per la frequentazione di percorsi formativi in CSR quali CAS (Certificate of Advanced Studies), DAS (Diploma of Advanced Studies), MAS (Master of Advanced Studies) e/o formazioni certificate equivalenti. Nella “Direttiva per il sussidiamento della formazione di responsabile aziendale CSR” edita dal DFE viene spiegata la procedura da seguire per effettuare la richiesta di contributo finanziario.

Gianluca Pagani, CSR Manager della Cc-Ti, è a disposizione di tutte le aziende interessate per consulenze o informazioni (pagani@cc-ti.ch).
analitic

Aziende, LIFT ha bisogno di voi!

Anche durante la pandemia il progetto LIFT – che la Cc-Ti sostiene sin dalla sua introduzione in Ticino nel 2013 – ha continuato ad accompagnare i giovani che rischiano di incontrare delle difficoltà nella transizione dalla scuola verso il mondo professionale.

© Stefan Kaiser – Progetto LIFT

Ricordiamo che LIFT è un progetto di prevenzione dei rischi di non inserimento professionale alla fine della scolarità obbligatoria. Si rivolge agli allievi di terza e quarta media che non hanno delle buone condizioni di partenza per riuscire ad integrarsi nel mondo del lavoro. L’elemento principale che facilita questo futuro inserimento è l’avvicinamento al mondo professionale tramite posti di lavoro settimanali. I giovani che partecipano a LIFT si recano in un’azienda della loro regione, qualche ora a settimana (massimo tre ore al giorno), al di fuori dell’orario scolastico. Ogni esperienza LIFT in azienda dura complessivamente 12 settimane, ciò che permette ai ragazzi e alle ragazze di approfondire sul lungo periodo la conoscenza del mondo professionale. Parallelamente, gli allievi LIFT seguono a scuola dei moduli di accompagnamento, al fine di ottimizzare questa sensibilizzazione al mondo professionale.

In Ticino LIFT ha preso avvio nel 2013 e si sta sempre più consolidando grazie anche al sostegno accordato al progetto per il triennio 2020-2022 dalla Divisione della formazione professionale del DECS. LIFT fa parte delle misure previste dal progetto “Obiettivo 95%” promosso dal DECS a sostegno dei giovani ed approvato dal Gran Consiglio poco più di un anno fa. L’obiettivo principale è di permettere, attraverso l’obbligo formativo esteso fino ai 18 anni di età, ad una maggiore percentuale di giovani di conseguire un diploma del secondario II.

Tornando a LIFT, le scuole medie ticinesi che finora hanno attuato il programma sono nove e si tratta delle sedi di Balerna, Morbio Inferiore, Riva S. Vitale, Viganello, Pregassona, Caslano, Agno, Gravesano e Castione. Questo significa che ogni sede si impegna a trovare uno o due (a volte tre) insegnanti che, oltre alla loro materia, si dedichino ai-alle giovani LIFT.

Ed è anche grazie al lavoro e alla passione dei docenti che si occupano dei ragazzi e delle ragazze che seguono il programma, che LIFT è apprezzato e ben accolto dagli allievi e allievi, dalle loro famiglie e dalle aziende coinvolte. I-le giovani si impegnano a loro volta a seguire il programma LIFT durante due anni scolastici e ne traggono diversi benefici: uno sviluppo delle competenze sociali e professionali, una maggiore autostima, una ritrovata motivazione scolastica. E soprattutto avranno maggiori possibilità di trovare un posto di apprendistato o un’altra soluzione di formazione subito al termine della scuola dell’obbligo.

Tutto ciò non sarebbe possibile senza la disponibilità delle aziende e degli enti che accolgono i-le giovani offrendo loro posti di lavoro settimanali. Il Ticino può già contare su un buon numero di aziende, grandi, medie e piccole, che hanno accettato di essere partner delle scuole LIFT, permettendo ai-alle giovani di sperimentare concretamente il mondo del lavoro, conoscere la professione, vivere la realtà lavorativa e confrontarsi con gli adulti al di fuori del contesto famigliare. Le esperienze in azienda sono fondamentali nel percorso LIFT dei-delle giovani e i risultati sono sempre positivi in termini di crescita personale.

L’anno scolastico 2020/2021 è stato però un anno particolare a causa del coronavirus. La seconda ondata della pandemia, con la conseguente chiusura di molte attività, il passaggio all’home working e le restrizioni messe in atto, ha gioco forza frenato le esperienze in azienda dei-delle giovani LIFT. Tuttavia, molte ditte, tra quelle che hanno potuto continuare normalmente la propria attività, sono rimaste a disposizione degli allievi e delle allieve e non hanno smesso di offrire posti di lavoro settimanali. È quindi doveroso un sentito ringraziamento a queste aziende. Inoltre, LIFT non si è mai fermato: i ragazzi e le ragazze hanno continuato a beneficiare a scuola dei moduli di accompagnamento e del sostegno dei docenti LIFT nel cercare un posto di apprendistato, una scuola professionale a tempo pieno o un’altra soluzione di formazione.

Perché mettersi a disposizione offrendo un posto di stage?

Il mondo economico trae senz’altro vantaggio da una società che può vantare un tasso di disoccupazione basso. Per questo è importante sostenere quei progetti o programmi che, come LIFT, intervengono precocemente per favorire una transizione di successo dalla scuola al mondo professionale.

Ora che la situazione sanitaria sembra essersi un po’ normalizzata, invitiamo tutte le aziende che desiderano mettersi a disposizione, per il futuro dei giovani e di tutta la società, ad annunciarsi scrivendo a karole.manfredi@progetto-lift.ch.


Quali sono i vantaggi di diventare un’azienda partner di LIFT?

  • Concretizzare il proprio impegno sociale ed etico
  • Assicurare il ricambio generazionale
  • Far scoprire una professione
  • Creare relazioni positive e di fiducia con i-le giovani
  • Creare relazioni privilegiate con le scuole
  • Essere identificata come azienda partner di LIFT

Concretizzate il vostro impegno proponendo un posto di lavoro settimanale!

L’efficacia di LIFT: le cifre di un successo duraturo
Dal 2006 LIFT fa incontrare giovani, scuola ed economia, con vantaggi per tutti: 310 sedi LIFT in tutta la Svizzera – 39 nuove scuole hanno aderito nel 2020 – 21 Cantoni coinvolti, in Ticino circa 80 giovani ogni anno sono seguiti da LIFT e le scuole possono contare su almeno  un centinaio di aziende partner – L’obiettivo per i prossimi anni è di arrivare progressivamente a 150 giovani e 300 aziende partner (cifre al 31.12.2020).

Articolo a cura di Karole Manfredi, Coordinatrice regionale Ticino, Progetto LIFT