Energia: consultazione sulle misure previste in caso di penuria di gas

Nella sua riunione del 31 agosto 2022 il Consiglio federale ha preso visione del piano di gestione da attuare in caso di penuria di gas. Sono previste due ordinanze che introducono limitazioni d’utilizzo e divieti nonché misure di contingentamento per gli impianti a monocombustibile. I progetti di ordinanza saranno oggetto di una consultazione di tre settimane presso i Cantoni, le associazioni e altre cerchie interessate.

Fino al 22 settembre 2022 il Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca (DEFR) terrà una consultazione su due progetti di ordinanza: si tratta dell’ordinanza concernente divieti e limitazioni dell’utilizzo di gas e dell’ordinanza sul contingentamento del gas. Entro la fine di ottobre 2022 il DEFR presenterà al Consiglio federale un rapporto in merito. La consultazione ha lo scopo di informare tempestivamente gli attori coinvolti sui loro compiti e sui loro doveri nel caso in cui si verifichi una penuria di gas e di permettere alle cerchie interessate di presentare le loro richieste.

La procedura non si svolge conformemente alla legge sulla consultazione; infatti, nel caso in cui in inverno si verifichi una penuria, che alla luce della situazione geopolitica attuale non può essere esclusa, le ordinanze verrebbero adattate sulla base degli ultimi sviluppi e poi poste in vigore. Le misure verranno adeguate nella loro portata a seconda della gravità della penuria e in base all’evolversi di quest’ultima sarà possibile attuarle in maniera scaglionata.

Negli scorsi mesi il Consiglio federale si è adoperato in vari modi per rafforzare l’approvvigionamento di gas in vista del prossimo inverno. Il settore del gas costituisce riserve di gas fisiche nei Paesi limitrofi e acquista opzioni per ulteriori forniture di gas non russo. Se ciononostante dovesse verificarsi una penuria, la Svizzera, che non dispone di una propria produzione di gas naturale né di impianti per lo stoccaggio, potrebbe intervenire sulla domanda. Un intervento in questo senso servirebbe a impedire un peggioramento della situazione dell’approvvigionamento e a evitare che si rendano necessarie misure di più ampia portata. Si tratterebbe di misure limitate nel tempo che verrebbero revocate il prima possibile.
L’Approvvigionamento economico del Paese (AEP) può ricorrere ai seguenti strumenti:

  • appelli al risparmio in caso di penuria imminente;
  • commutazione degli impianti bicombustibili al sopraggiungere di una penuria;
  • limitazioni e divieti dell’utilizzo del gas per determinati impieghi;
  • introduzione, tramite ordinanza, di contingenti per i clienti non protetti e inasprimento delle limitazioni e dei divieti.

Perdite a livello di comfort

Le limitazioni dell’utilizzo e i divieti si traducono innanzitutto in perdite a livello di comfort. Beni e servizi d’importanza vitale non devono essere compromessi. In primo piano vi sono diminuzioni della temperatura ambiente e della temperatura dell’acqua, soprattutto nei luoghi di lavoro. Le riduzioni della temperatura potrebbero essere estese anche agli ambienti abitativi. In Svizzera le economie domestiche private consumano più del 40 per cento del gas. Escluderle vorrebbe dire rinunciare a cospicui risparmi sui consumi di gas.

Clienti protetti e cessione di contingenti

Se le suddette misure dovessero rivelarsi insufficienti, è possibile ridurre il consumo di gas assoggettando al contingentamento gli impianti a monocombustibile. Anche in questo caso i provvedimenti verrebbero introdotti tramite ordinanza. Il contingentamento progressivo riguarda tutti i consumatori ad eccezione di quelli protetti, ovvero le economie domestiche private e i servizi sociali di base, cioè gli ospedali, le case per anziani e le case di cura, la polizia e i pompieri, l’approvvigionamento di acqua potabile e di energia, la depurazione delle acque di scarico, lo smaltimento dei rifiuti e la pulizia degli scambi ferroviari per evitare l’accumulo di neve o ghiaccio. Il Consiglio federale stabilisce il tasso di contingentamento al momento dell’emanazione dell’ordinanza, in base alla gravità della penuria. In linea generale il periodo di validità della misura è di un mese.

L’Organizzazione d’intervento in caso di crisi (OIC) è responsabile dell’esecuzione e del controllo del contingentamento e comunica eventuali anomalie al settore specializzato Energia dell’AEP. Le aziende interessate dal contingentamento possono scambiarsi contingenti non utilizzati mediante un pool comune. Sarebbe così possibile contenere i danni economici. L’organizzazione del commercio di contingenti è di competenza dell’economia.

Durante la consultazione verrà visionato anche il testo dell’ordinanza sulla commutazione degli impianti bicombustibili. Vista la situazione attuale, l’Esecutivo ha delegato al DEFR la messa in vigore dell’ordinanza. La commutazione degli impianti bicombustibili ad altri vettori energetici dovrebbe consentire di ridurre in tempi brevi il consumo di gas del 15-20 per cento.

Scarica la Scheda informativa
Link al Comunicato stampa del Consiglio federale

Energia: il Consiglio federale lancia una campagna di risparmio energetico

Il Consiglio federale ha deciso numerose misure volte a rafforzare rapidamente l’approvvigionamento energetico svizzero nel prossimo inverno. La campagna, avviata oggi sotto lo slogan «L’energia è scarsa. Non sprechiamola.» è destinata a integrare tali misure. Alla popolazione e agli ambienti economici viene data una serie di semplici consigli per risparmiare energia. L’obiettivo è la partecipazione volontaria di un numero possibilmente elevato di attori, così da poter evitare una situazione di penuria in Svizzera. 

La campagna è stata messa a punto dalla Confederazione, con la collaborazione di oltre 40 partner del mondo economico, della società civile e del settore pubblico. Nella sua seduta del 31 agosto 2022 il Consiglio federale è stato informato che questi partner daranno vita a un’«Alleanza risparmio energetico», che verrà gradualmente ampliata in vista del prossimo inverno.

Con l’adozione di diverse misure il Consiglio federale intende rafforzare rapidamente l’approvvigionamento energetico in Svizzera nel prossimo inverno. Tra queste misure si annovera ad esempio la costituzione di riserve supplementari nei settori del gas e dell’energia elettrica. La scorsa settimana il Consiglio federale ha inoltre deciso che, per il gas, la Svizzera dovrà perseguire un obiettivo volontario di risparmio pari al 15 per cento nel semestre invernale. In data odierna la Confederazione ha infine lanciato la sua campagna di risparmio.

«L’energia è scarsa. Non sprechiamola.»

È questo il messaggio chiave della campagna nazionale che durerà fino ad aprile 2023. I consigli di risparmio, rivolti alla popolazione e al mondo economico, illustrano come si possa risparmiare in modo molto semplice energia, ossia gas, oli combustibili, elettricità e altri vettori energetici, a casa o al posto di lavoro: abbassando la temperatura dei locali, riducendo il consumo di acqua calda, spegnendo gli apparecchi elettrici o gli impianti di illuminazione non utilizzati, oppure cucinando e utilizzando il forno domestico in modo parsimonioso.

I consigli di risparmio vengono visualizzati con immagini a raggi infrarossi che illustrano quanto rapidamente va persa energia se ci si comporta in modo noncurante. Gran parte delle raccomandazioni dovrebbero già essere note ai consumatori, anche se spesso nel quotidiano vanno dimenticate. L’obiettivo della campagna è dunque attirare nuovamente l’attenzione su di esse, in modo tale che gran parte dei consumatori le seguano e contribuiscano a prevenire una situazione di penuria in Svizzera. 

Le raccomandazioni saranno pubblicate sulla pagina web zero-spreco.ch e figureranno su manifesti, inserzioni e sui canali social media della Confederazione. In aggiunta, le organizzazioni economiche, della società civile e del settore pubblico diffonderanno le raccomandazioni sui propri canali.

Campagna di risparmio energetico comune

La campagna si inserisce nell’iniziativa di risparmio energetico invernale, preparata congiuntamente dal DATEC e dal DEFR. Alla sua elaborazione hanno partecipato un comitato consultivo e un gruppo di accompagnamento composto da oltre 40 associazioni e organizzazioni. Ai lavori hanno collaborato Cantoni, Città e Comuni, associazioni energetiche ed economiche nonché organizzazioni della società civile. Tutti questi partner saranno coinvolti anche nell’ulteriore sviluppo dell’iniziativa che, col tempo, sarà completata con nuove tematiche. Qualora si verifichi una situazione di penuria, i consigli di risparmio potranno essere sostituiti da appelli al risparmio conformemente alla legge federale sull’approvvigionamento economico del Paese.

I contenuti e i temi della campagna saranno diffusi dai partner attraverso i propri canali; i numerosi attori pubblici e privati pubblicheranno quindi le raccomandazioni secondo principi unitari, dando così maggiore visibilità alla campagna.

Alleanza risparmio energetico

Nel quadro dell’iniziativa di risparmio energetico invernale, la Confederazione e diverse organizzazioni e associazioni economiche hanno fondato l’«Alleanza risparmio energetico». Numerosi attori provenienti dal mondo economico, dalla società civile e dal settore pubblico si riconoscono pertanto in questi sforzi profusi a livello nazionale per risparmiare energia e rafforzare la sicurezza di approvvigionamento. Possono aderire all’«Alleanza risparmio energetico» tutte le organizzazioni, le cerchie interessate di economia, società civile e settore pubblico (iscrizione: www.alliance2022-23.ch). L’evento costitutivo dell’«Alleanza risparmio energetico» si svolgerà ufficialmente il 26.10.2022.

Hotline

Per domande riguardo al risparmio energetico ci si può rivolgere al numero di tel. 0800 005 005, ossia alla infoline ampliata di SvizzeraEnergia (attuazione di consigli di risparmio e domande tecniche). A questo numero troveranno risposta anche tutte le altre domande relative al risparmio energetico formulate da cittadini e attori economici.

I privati e le imprese possono rivolgersi alla hotline anche per e-mail: hotline@bwl.admin.ch.

Link utili
Info e consigli per le imprese
Comunicato del Consiglio Federale

Due diligence dei fornitori: è d’obbligo in Germania

Il 1° gennaio 2023 entrerà in vigore in Germania la legge sulla due diligence dei fornitori. Essa si applicherà inizialmente alle società con almeno 3’000 dipendenti (incluse le filiali di aziende estere) per poi estendersi alle aziende con 1’000 dipendenti a partire da gennaio 2024. La nuova legge sarà di fatto rilevante anche per le PMI fornitrici di tali imprese.

La legge tedesca sulla dovuta diligenza aziendale nelle catene di approvvigionamento (Lieferkettensorgfaltspflichtengesetz, LkSG), che entrerà in vigore il 1° gennaio 2023, è intesa a incoraggiare le aziende tedesche a monitorare il rispetto dei diritti umani e la protezione dell’ambiente lungo le loro catene di fornitura e, nello specifico, a combattere il lavoro minorile, il lavoro forzato, la discriminazione nonché gli standard di sicurezza e ambientali inadeguati da parte dei loro partner contrattuali e di altri fornitori, obbligando le aziende tedesche ad attuare un sistema di gestione del rischio, a nominare un responsabile dello stesso e ad effettuare analisi regolari (annuali). La legge stabilisce anche l’adozione da parte loro di misure preventive e correttive (ivi compresa la cessazione della relazione commerciale con il proprio fornitore), l’introduzione di procedure di reclamo, la documentazione del rispetto degli obblighi di diligenza (da conservare per sette anni) e la redazione e pubblicazione sul proprio sito web di un rapporto annuale sull’adempimento degli obblighi di diligenza.

Con l’adozione della LkSG, la Germania segue l’esempio di altre legislazioni europee come la “Loi de vigilance” francese (legge in materia di vigilanza, 2017) o la “Wet Zorgplicht Kinderarbeid” olandese (legge sul dovere di diligenza in materia di lavoro minorile, 2019), adeguandosi altresì allo standard riconosciuto a livello internazionale sulla responsabilità delle imprese per il rispetto dei diritti umani, ovvero i Principi guida delle Nazioni Unite, richiamati anche dall’OCSE nelle sue linee guida per imprese multinazionali e nella guida sul dovere di diligenza per la condotta d’impresa responsabile.

La legge si applicherà inizialmente alle aziende con almeno 3’000 dipendenti e la cui sede principale, il luogo principale di attività, la sede amministrativa o la sede legale sia in Germania, applicandosi così de facto anche alle aziende estere che hanno una filiale nel Paese. A partire dal 1° gennaio 2024, i nuovi obblighi saranno estesi alle aziende con 1’000 dipendenti. Le imprese che non rispetteranno gli obblighi legali potranno vedersi comminare delle multe fino a 8 milioni di euro (o fino al 2% del fatturato globale annuo per le imprese con un fatturato superiore a 400 milioni di euro). Nel caso di multe superiori a 175’000 euro, le aziende potranno vedersi precludere la partecipazione agli appalti pubblici per un periodo di tre anni.

Il termine “catena di approvvigionamento” è definito in modo ampio nella LkSG e si riferisce a “tutti i prodotti e servizi di un’azienda e comprende tutte le fasi, in patria e all’estero, necessarie alla fabbricazione dei prodotti o alla fornitura dei servizi, a partire dall’estrazione delle materie prime fino alla consegna al cliente finale”, ovvero a tutte le azioni dell’azienda nel proprio settore d’attività, alle attività di un fornitore diretto e alle azioni di un fornitore indiretto. All’entrata in vigore della legge, l’azienda tedesca dovrà pertanto prendere in considerazione anche i metodi di produzione dei suoi fornitori diretti e in caso di violazione – verificata o ritenuta imminente – dei diritti umani e/o degli standard ambientali, intraprendere azioni correttive volte a mitigare, interrompere o prevenire tale violazione, compresa quindi, se necessario, la cessazione del rapporto di collaborazione con il proprio fornitore. Nel caso di indicazioni concrete della possibile violazione di un obbligo in materia di diritti umani o ambientali da parte di fornitori indiretti, l’azienda dovrà intervenire anche in questo ambito.

In base a quanto appena esposto, anche le aziende svizzere che forniscono, direttamente o indirettamente, imprese tedesche toccate dalla nuova legge potrebbero vedersi richiedere informazioni riguardanti i processi di produzione e fabbricazione e il rispetto di requisiti in materia di responsabilità sociale d’impresa (CSR/RSI).

La situazione nel resto dell’Unione europea

In diversi altri Paesi europei vi sono iniziative e campagne di valutazione sulla due diligence in materia di diritti umani. Il 23 febbraio 2022, la Commissione europea ha presentato una proposta di quadro normativo sul dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità.

E in Svizzera?

Per sostenere le imprese svizzere nel rispetto delle norme e degli standard internazionali sulla gestione aziendale responsabile, il 9 dicembre 2016 il Consiglio federale ha adottato un Piano d’azione nazionale (PAN) che attua i Principi guida delle Nazioni Unite. Il PAN è stato riveduto nel 2020 e copre gli anni 2020-2023. Nel suo ambito sono previste attività di sensibilizzazione delle aziende affinché applichino procedure di diligenza in materia di diritti umani nonché supporto/formazione mirati nell’implementazione concreta della loro responsabilità d’impresa.

Dal 1° gennaio 2022 sono entrate in vigore le disposizioni per una migliore tutela dell’essere umano e dell’ambiente.  I nuovi obblighi di diligenza, inseriti nel Codice delle obbligazioni (CO) saranno applicati per la prima volta nell’esercizio 2023 e contengono due importanti novità: da un lato, le grandi imprese svizzere sono tenute per legge, in un’ottica di trasparenza, a presentare un rapporto non solo sui rischi della loro attività rispetto all’ambiente, agli aspetti sociali, alle condizioni dei lavoratori, ai diritti umani e alla lotta contro la corruzione, ma anche sulle misure adottate per contrastare tali rischi; dall’altro, le imprese che presentano rischi connessi ai minerali originari di zone di conflitto oppure al lavoro minorile devono rispettare obblighi di diligenza e di riferire specifici e di ampia portata. Il Consiglio federale ha disciplinato i dettagli di tali obblighi in una pertinente ordinanza. Quali sono le aziende interessate (direttamente o indirettamente!) dalla nuova normativa? Quali sono le possibili sanzioni? Sul suo sito web focusright ltd, agenzia di consulenza con la quale il Consiglio federale sta attualmente collaborando per mettere a punto forme di sostegno e di formazione sul tema per le aziende svizzere, illustra le nuove disposizioni in dettaglio.  

La Segreteria di Stato dell’economia (SECO) e il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) hanno altresì pubblicato un opuscolo per le piccole e medie imprese (PMI) sulle loro responsabilità in materia di diritti umani, che fornisce una panoramica dei passi necessari per l’attuazione della dovuta diligenza in materia.

Cc-Ti: CSR e due diligence in materia di diritti umani

La responsabilità sociale d’impresa è un tema di grande attualità, che si traduce anche in un fattore di competitività per le imprese. La Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino (Cc-Ti), quale associazione-mantello dell’economia ticinese, incoraggia attivamente la CSR con diverse attività: tra queste si distinguono in particolare la promozione e il potenziamento dell’apprendistato grazie alla collaborazione con fill-up, la prima realtà a offrire un servizio di sostegno e accompagnamento alle aziende formatrici, nonché lo sviluppo, col supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE), di un modello online di rapporto di sostenibilità disponibile sul portale ti-csrreport.ch.

Nel contesto delle sue attività in ambito di CSR, e per sensibilizzare ulteriormente le PMI della svizzera italiana sul tema della dovuta diligenza in materia di diritti umani, il 6 settembre prossimo la Cc-Ti organizza un webinar gratuito con focusright ltd e con la collaborazione di Global Compact Network Switzerland & Liechtenstein (GCNSL), della SECO e del DFAE.

Webinar del 6 settembre 2022 “Due diligence (Dovuta diligenza) in materia di diritti umani – requisiti crescenti e nuovi obblighi per le aziende”: informazioni e iscrizione

Link utili:

BAFA (Ufficio federale tedesco per l’economia e il controllo delle esportazioni): dossier sulla LkSG (in DE)

2035: (e)missione zero

La deadline sulla fine dei motori termici a scoppio, benzina e diesel in Europa è stata tracciata dalla Commissione Europea che con il pacchetto “Fit for 55” ha indicato la data: sarà il 2035 l’anno in cui non saranno più vendute auto a benzina, diesel, metano e pure ibride.

A questa fatidica data mancano ormai meno di 14 anni, ma molte case automobilistiche hanno deciso di anticiparla anche perché con una scadenza così ravvicinata non ha più senso investire nei motori a combustione interna e con le risorse, sempre più esigue a causa della crisi del settore automobilistico, che sono tutte investite nello sviluppo della mobilità elettrica. La notizia è quindi così eclatante? In primo luogo, i ministri dell’ambiente UE si devono ancora chinare sulla decisione e prendere posizione in merito. È possibile che vengano ancora apportate delle modifiche come, per esempio, l’apertura ai combustili sintetici o all’idrogeno come carburante per motori a scoppio. In secondo luogo, nel 2035 quanti modelli con motore a benzina o diesel saranno in listino per le varie marche? La notizia non è quindi assolutamente sconvolgente.

Dal punto di vista dei costruttori…

Per le fabbriche, a detta degli esperti del settore, tutto sommato questa decisione gioca a loro favore. Con un termine di così corto (lo sviluppo di nuove tecnologie richiede anni) e con la spada di Damocle delle prossime norme antinquinamento EURO7 assai più severe per quanto concerne le emissioni dei motori a combustione interna, si concentreranno sullo sviluppo e la produzione di auto a trazione elettrica. Allo stesso tempo ridurranno sicuramente la gamma di modelli proposti per ogni marca e passeranno alla produzione su ordinazione mettendosi alle spalle anni di sovrapproduzioni che hanno portato anche un abbassamento dei prezzi delle auto nuove vendute (vedi per esempio Km0 o promozioni importanti). Con questo cambio di mentalità, unito anche alla commercializzazione diretta online da parte dei costruttori di auto, vedranno i loro margini crescere in maniera importante. Questo non andrà però a favore dei lavoratori e, soprattutto dei subfornitori di componenti per il settore automotive. Quest’ultimo punto toccherà in maniera importante anche la Svizzera dove risiedono diverse aziende produttrici di componenti ad alto contenuto tecnologico. Per i primi si prospettano licenziamenti di massa a causa della riduzione di produzione delle fabbriche, per i secondi, grazie alla minore necessità di componenti delle auto totalmente elettriche, una drastica riduzione del lavoro con inevitabili chiusure e cessazioni di attività. Naturalmente, per esempio, in ambito di sviluppo e fabbricazione delle batterie per l’autotrazione si apriranno nuove opportunità, ma queste non saranno sufficienti per assorbire tutti gli esuberi del settore.

…e da quello dell’automobilista

Una cosa va chiarita: chi nel 2035 sarà ancora in possesso di un’auto a benzina, a diesel o a metano, potrà continuare ad usarla anche oltre questa data. Magari utilizzando carburanti sintetici oggi in fase di sviluppo che promettono una neutralità nelle emissioni di CO2 grazie al recupero della CO2 presente nell’aria. Alcune marche tra le quali Porsche e BMW stanno investendo somme importanti in questo settore. Chi nei prossimi anni dovrà acquistare una nuova automobile più ci si avvicinerà al 2035 avrà meno scelta tra modelli e motorizzazioni. Già diversi costruttori hanno annunciato che toglieranno dai loro listini ben prima del 2035 le auto benzina o diesel. Opel, per esempio, ha dichiarato apertamente che l’intera gamma di modelli sarà completamente elettrica entro il 2028. Un rischio reale sarà poi quello della sparizione quasi totale delle auto utilitarie. Costruire vetture elettriche di bassa gamma sarà poco redditizio in quanto il costo elevato delle batterie le renderebbe troppo costose e quindi invendibili. Ad andarci di mezzo potrebbe quindi essere quella parte di popolazione più debole che oggi può permettersi una vettura perché il prezzo d’acquisto è sostenibile, ma domani con l’aumento dei costi d’acquisto dovrà rinunciare ad avere una vettura in famiglia. Non va poi sottovalutato l’aspetto dell’infrastruttura di ricarica. Per poter essere utilizzata in maniera efficiente e conveniente un’auto elettrica deve poter essere ricaricata presso il proprio domicilio o presso il datore di lavoro. Affidandosi unicamente alla rete pubblica, tra l’altro oggi ancora largamente insufficiente, l’utilizzo dell’auto risulterebbe macchinoso e poco conveniente.

Dal punto di vista delle autorità politiche

La sfida più grande legata alla decisione dell’UE di vietare dal 2035 la vendita di auto a benzina o diesel spetta alle autorità politiche di ogni paese. Cominciando dall’approvvigionamento di energia elettrica. Già oggi non è più un tabù parlare di blackout elettrico, cosa succederà quando gran parte delle auto necessiteranno di una presa per la ricarica? Non meno importante sarà il potenziamento della rete di distribuzione. Anche in questo caso non siamo pronti. Collegare molte auto alla rete di distribuzione elettrica nello stesso momento comporta un picco di potenza richiesta che metterà in crisi la distribuzione di energia elettrica. La messa in funzione poi di un numero adeguato di colonnine di ricarica pubblica nei luoghi strategici come lungo le autostrade o nei parcheggi pubblici è pure un obiettivo che va perseguito iniziando già da oggi.

Il realista aggiusta le vele…

Il pessimista si lamenta del vento, l’ottimista aspetta che il vento cambi…

La pandemia e il terribile conflitto russo-ucraino hanno riproposto con forza, per forza, la nostra dipendenza da paesi non propriamente affidabili, per usare un eufemismo, o molto poco democratici, per essere più diretti. E dove si incontrano la scarsa affidabilità e l’assolutismo, ci si può purtroppo attendere di tutto. Quando sembrava che i motori dell’economia potessero tornare a girare a regime più alto (non ancora massimo) ecco arrivare un “mare di sabbia” a bloccare nuovamente molti ingranaggi. Con difficoltà che toccano trasversalmente tutti i settori economici e questo deve essere motivo di riflessione e preoccupazione. La scarsa reperibilità di materie prime, l’impennata dei loro prezzi, la questione energetica con rincari sostanziali costituiscono un mix di fattori che potrebbe rivelarsi micidiale se questa situazione dovesse protrarsi troppo a lungo.

Le materie prime

Le difficoltà di reperire materie prima erano già iniziate durante la pandemia, a causa delle restrizioni imposte in tutto il mondo. Dapprima problemi di vendita e distribuzione, poi di produzione con la ripresa della congiuntura e forti richieste da parte di Paesi molto grandi. Problemi e ritardi nelle forniture in tutto il pianeta terra sia per le materie prime che i prodotti intermedi che quelli finiti. Senza dimenticare altri problemi legati alla logistica e al trasporto, ad esempio, con tempi di attesa fino a tre settimane per scaricare le navi in attesa davanti ai porti principali. Con conseguente aumento dei costi e, quindi, dei prezzi. Il conflitto russo-ucraino ha ulteriormente acuito questi problemi. Perché? La risposta è ovvia, se pensiamo che, ad esempio l’argilla, essenziale per il mondo delle ceramiche proviene principalmente dal Donbass. Che il palladio (essenziale per i catalizzatori delle auto e nell’orologeria) è importato da Ucraina e Russia e non ne arriva più. Che i due paesi sono leader nella produzione di fertilizzanti, essenziali per l’agricoltura. Oppure che l’industria automobilistica e aerospaziale dipendono dal titanio russo, paese secondo produttore al mondo per ammoniaca, urea e potassio. Senza dimenticare che i già citati palladio e titanio, oltre al neon, sono essenziali per la produzione di microchip. Componente per la quale dipendiamo dall’Asia. Senza dimenticare che l’Ucraina è il granaio d’Europa e, sebbene la Svizzera non sia forse toccata in maniera diretta grazie alla sua politica agricola, rischia di subire contraccolpi indiretti della penuria e dei rincari che colpiscono altri paesi. Nel mentre l’acciaio non è di fatto più reperibile, per cui sia l’industria che le costruzioni sono in difficoltà e a medio termine certi cantieri dell’edilizia potrebbero fermarsi, analogamente a talune realtà produttive. È ovvio che in una situazione del genere i prezzi per l’acquisto delle materie prime siano diventati molto volatili, con mutazioni dalla sera al mattino imposte da chi detiene quel determinato bene. Non sono nemmeno rari i casi di navi bloccate in giro per il mondo, in attesa che venga chiarita se il carico rispetta le sanzioni in vigore contro la Russia. Nell’attesa, tale carico viene acquistato da qualche altro paese che non è vincolato alle sanzioni ed è irrimediabilmente perso. All’instabilità del conflitto, va aggiunto un altro fatto, cioè la forte dipendenza dalla Cina, paese certamente poco incline a fare concessioni e che nell’ambito della produzione mondiale detiene parti importantissime di materie prime e terre rare. Trovandosi quindi nella condizione di dettare molte condizioni e di influenzare pesantemente le condizioni di produzione mondiali.

Fra le materie importanti figurano ad esempio il 97.7 % di gallio fondamentale per la chimica, l’84.2 % del metallo pesante bismuto (con applicazioni per saldature e nella farmaceutica), il 70 % di magnesio, il 67.9 % di germanio (semimetallo con proprietà di semiconduttore), il 60 % di terre rare, il 57.1 % di titanio, il 57 % di alluminio, il 54 % di acciaio, il 2.9 % di bauxit (roccia, principale fonte per l’alluminio) e il 38.5 % di rame. Facilmente comprensibile, se da una parte è già abbastanza difficile creare delle scorte (vuoi per i costi, vuoi per lo spazio di stoccaggio, oltre alla reperibilità), dall’altra parte è complesso trovare alternative di approvvigionamento in paesi terzi. Per i cereali si era ad esempio ipotizzato di fare maggiormente capo al Canada e agli Stati Uniti, dimenticando tutti i discorsi sugli organismi geneticamente e taluni pesticidi proibiti dall’UE e dalla Svizzera.
Oppure cambiare distributori nell’ambito Medtech comporta ad esempio una serie di autorizzazioni che richiedono anni di lavoro. Insomma, all’apparenza si potrebbe pensare che basti rivolgersi a qualcun altro e la soluzione è trovata. La realtà è purtroppo molto diversa.

Quale trasformazione energetica?

In questo contesto confuso e nervoso, anche la questione dell’approvvigionamento energetico diventa evidentemente centrale. Si parla ormai da tempo di trasformazione energetica. Alle belle parole e agli obiettivi sicuramente condivisi, di virare su energie pulite, fanno da contraltare diversi fatti che non si possono ignorare. Oggi più che mai.
La richiesta di energia elettrica è in costante aumento e la sostituzione delle attuali fonti di energia con energie rinnovabili porta ad una penuria perché senza l’energia nucleare mancherà circa 1/3 della produzione nazionale di energia.
In Svizzera le principali fonti di energia sono quelle idroelettriche e nucleari. Con la volontà di abolire quest’ultime, le prime non saranno in grado di soddisfare il fabbisogno, soprattutto in inverno. La parola “razionamento” ormai non è più un tabù, anche perché i paesi UE da cui tradizionalmente importiamo (in primis Francia, Germania e Italia) sono attanagliati dagli stessi problemi legati all’abbandono del nucleare (salvo la Francia, che però deve fermare molti impianti per necessità di rinnovo) e la decarbonizzazione.
Se pensiamo che questi paesi hanno ora grandi problemi legati alla fornitura di gas russo, che entro entro il 2025 il 70% della produzione elettrica europea dovrà essere destinata agli scambi all’interno dell’UE e che non abbiamo raggiunto un accordo istituzionale con l’UE sul tema energetico, l’allarme è motivato. Gli Stati dell’Ue penseranno, come è legittimo che sia, dapprima ai loro interessi, poi, se resta qualcosa, sarà condivisa qualche fornitura con la Svizzera. Realtà nuda e cruda ma plausibile. Il conflitto russo-ucraino ha portato a un’impennata dei prezzi e le forniture sono incerte, per quanto riguarda soprattutto il gas.

La Svizzera non può influenzare i prezzi di mercato stabiliti in Europa, ma può operare sui costi aggiuntivi e di questo sarebbe bene tenere conto. Come già abbiamo avuto modo di sottolineare più volte, la politica energetica deve assolutamente puntare su più vettori, senza alcun tabù. Compreso il nucleare.
Inutile vendere l’illusione che in quattro e quattr’otto si sarebbe ricoperto il paese di pale eoliche, pannelli solari e altre energie cosiddette pulite, conquistando l’indipendenza energetica e dando un benessere accessibile e pulito a tutti. Applausi da ogni dove, osanna quasi unanime per questa soluzione semplice semplice, in teoria poco costosa e altamente redditizia. La realtà è purtroppo un’altra.

Non che le energie alternative non vadano promosse, anzi. Ma, come sempre, ci vuole equilibrio e questo è totalmente mancato nella discussione pubblica degli ultimi anni. Ma perché la transizione energetica è più difficile di quanto si pensasse e come mai vi è un parallelo importante, proprio dal punto di vista climatico, con la trasformazione digitale? Andiamo con ordine. Già nel 2017 la Banca mondiale, ovviamente ignorata, aveva attirato l’attenzione sul fatto che la transizione energetica richiedesse l’utilizzo di molti metalli, fra cui parecchi metalli rari (e torniamo in parte al discorso delle materie prime precedente). In un interessante saggio del 2018, “La guerre des métaux rares”, un giornalista francese, Guillaume Pitron, aveva pure attirato l’attenzione su questo rischio. In effetti, l’abbandono del carbone e comunque delle energie fossili richiede un numero elevato di minerali e di metalli per costruire impianti eolici, pannelli solari, batterie di stoccaggio per l’energia, ecc. Prevedibile quindi attendersi un aumento della domanda di acciaio, alluminio, argento, rame, piombo, litio, manganese, nickel e zinco, così come di terre rare dai nomi esotici ma dall’importanza fondamentale come l’indio (importante per gli schermi LED, i collettori solari, i termometri, i transistor ad esempio, il molibdeno (usato come lega del ferro e negli impianti elettrici) e il neodimio (usato ad esempio per la produzione di auricolari e i magneti di ogni tipo). Sono solo alcuni esempi. Abbiamo visto in precedenza che uno dei problemi è il fatto che molti di questi elementi sono in mano cinese, con tutti i rischi del caso. Ma, ancora peggio, l’estrazione di molte di queste materie è tutt’altro che pulita ed ecologica. Anzi, ha un effetto devastante sull’ambiente, creando quindi il paradosso che le tanto decantata energia pulita in realtà poggia su basi tutt’altro che pulite ecologicamente parlando.

Un altro paradosso è che queste nuove tecnologie contengono, nei processi di fabbricazione, più risorse naturali rispetto alle centrali a energia fossile tradizionali. Quindi per produrre la stessa quantità di elettricità d’origine rinnovabile necessitiamo, paradossalmente, di molti più metalli. Ma torniamo al legame fra trasformazione energetica e digitale. La risposta è abbastanza facile e già qualche mese fa l’avevamo trattata. Un sistema completamente rinnovato di produzione e gestione dell’energia non può prescindere da sofisticati sistemi legati alla trasformazione digitale. Strumenti digitali però che non sono neutri dal punto di vista delle emissioni di CO2 (v. il nostro approfondimento di qualche mese fa, www.cc-ti.ch/energia-tra-sapere-e-conoscere).
Se a questo aggiungiamo una certa schizofrenia di chi vuole energia pulita, salvo poi opporvisi quando gli piantano una pala eolica davanti casa, ecco che tutto diventa difficile. Un caso emblematico si è prodotto qualche mese fa nel Giura bernese, quando un raro esemplare di aquila reale è stato decapitato da una pala eolica. Lo sfortunato pennuto, imprudentemente sceso a quota troppo bassa, è stato subito eretto a paladino della malvagità e ingordigia umana. Surreale è però il fatto che chi si era battuto per le pale eoliche contro il cattivo nucleare, è intervenuto dopo l’incidente per chiedere di togliere le pale eoliche e metterle altrove. Come se fossero pezzi di Lego modificabili a piacimento. Follia amara. Anche se temo che della povera aquila reale non importerebbe più nulla se d’un tratto pigiando l’interruttore della luce non vi fosse alcun effetto. Dietro le belle parole dei paladini dell’oltranzismo ideologico alla “Greta Thunberg ”, vi è sempre un’altra correlata realtà che non si può e non si deve sottovalutare. Oggi più che mai è richiesto pragmatismo e apertura mentale, non rigidi approcci ideologici. Pena il rischio di farsi molto male non solo a livello di costi ma anche nella vita pratica di tutti i giorni. Dubito che molti gongoleranno quando non vi sarà più abbastanza energia per ricaricare il proprio prezioso telefonino…

Riflettiamoci ora che siamo “solo” in ritardo, prima che sia troppo tardi e lasciamo perdere i “tuttologi ” che profetizzano la fine del mondo entro tre anni, ma non per colpa loro.

Produzione responsabile: un must

Produrre in modo responsabile e sostenibile significa far fronte a diverse sfide della realtà economica ambientale, compreso il cambiamento climatico generato dal modello dell’economia lineare, e agire su diverse aree quali l’eco-concezione del prodotto, l’utilizzo laddove possibile di energie rinnovabili e la minimizzazione degli scarti di produzione. Tutti obiettivi che coinvolgono concretamente l’azienda e i suoi stakeholder.

Secondo diversi sondaggi internazionali, clienti e dipendenti favoriscono le aziende che agiscono in modo responsabile dal punto di vista ambientale e sociale e sempre più investitori vogliono investire in aziende considerate sostenibili. Aderendo a pratiche commerciali sostenibili, le aziende non solo si impegnano verso i propri stakeholder, ottenendo una reputazione positiva ai loro occhi, ma possono anche aumentare la loro fedeltà al brand. La sostenibilità sta infatti incidendo maggiormente sulle decisioni di acquisto in tutto il mondo e si configura sempre di più sia come opportunità sia come driver per l’innovazione.

La CSR quale fattore di competitività

L’impegno a favore della sostenibilità si inserisce nella responsabilità sociale di un’impresa (corporate social responsibility, CSR), che è a sua volta un fattore di competitività rilevante, preferenziale e talvolta persino indispensabile, per molte aziende. La Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino sta dedicando molte risorse a questo tema, tanto da aver sviluppato, con il supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE), un modello online di rapporto di sostenibilità, che – tra l’altro – garantisce alle PMI anche un vantaggio nella partecipazione ad appalti pubblici.

Più in generale, il rapporto di sostenibilità è un documento sempre più utile e diffuso, che raccoglie le buone pratiche messe in atto da un’azienda, permettendole di integrare le informazioni economiche con un rendiconto dell’impatto sociale e ambientale della sua attività.

Si scrive CSR, si legge economia circolare

L’economia circolare è un concetto che implica che è possibile produrre in modo diverso e soprattutto sostenibile. Ciò richiede tuttavia una trasformazione culturale e strutturale e necessità di risorse e impegno nell’innovazione in quanto presuppone un cambiamento di modello di business nonché un sistema produttivo e tecnologie di produzione in grado di rigenerare prodotti e servizi, minimizzare l’impatto sull’ambiente e massimizzare il beneficio sociale.

Immagine: rappresentazione schematica dell’economia circolare tratta da UFAM

Questo è più facile da dirsi che da farsi. In Svizzera, infatti, sono ancora diversi gli ostacoli che frenano lo sviluppo dell’economia circolare e impediscono un uso efficiente delle risorse. È quanto emerge da un rapporto sul tema adottato lo scorso 11 marzo 2022 dall’Amministrazione federale, che rileva anche che gli ostacoli sono raramente riconducibili a singole disposizioni o norme, bensì derivano spesso da un insieme complesso di direttive e disposizioni normative che si influenzano a vicenda. Il potenziale di miglioramento in questo senso è particolarmente elevato nei settori delle costruzioni e dell’agroalimentare. Nel settore delle costruzioni, ad esempio, diverse norme e schede esplicative non corrispondono più allo stato attuale della tecnica e non permettono di utilizzare in modo efficiente le risorse, ad esempio facendo uso di materiali rinnovabili o riciclabili. A volte però gli ostacoli derivano da decisioni prese in una situazione di emergenza: è il caso nel settore dell’alimentazione animale, sottoposto a una regolamentazione severa a seguito della crisi della mucca pazza. Le misure adottate hanno consentito di superare la crisi e di rafforzare la sicurezza alimentare, ma nel contempo limitano l’uso di determinati sottoprodotti animali. In generale poi, troppo cibo viene ancora sprecato. Anche la distribuzione di alimenti invenduti o destinati all’eliminazione a organizzazioni o persone certificate è soggetta a regole che non favoriscono la riduzione dello spreco alimentare. Nell’intento di rettificare questa situazione, il 6 aprile scorso il Consiglio federale ha adottato un piano d’azione contro lo spreco alimentare.

L’Unione europea, dal canto suo, ha iniziato già da tempo la sua battaglia a favore dell’economia circolare, sfociata poi, il 30 marzo scorso, in un pacchetto di proposte presentato dalla Commissione europea volte a rendere quasi tutti i prodotti immessi sul mercato UE più rispettosi dell’ambiente, circolari ed efficienti dal punto di vista energetico durante l’intero ciclo di vita, dalla fase di progettazione fino all’uso quotidiano e il fine vita. Nella fattispecie, la Commissione ha presentato una proposta di regolamento per rendere i prodotti sostenibili la norma nell’UE: tale proposta riguarda la progettazione, che genera fino all’80 % dell’impatto ambientale di un prodotto durante il suo ciclo di vita, e si applicherà praticamente a tutti i settori, eccezion fatta per i medicinali, i prodotti alimentari e i mangimi. La proposta stabilisce nuovi requisiti per rendere i prodotti più durevoli, affidabili, riutilizzabili, aggiornabili, riparabili, più facili da mantenere, rinnovare e riciclare nonché efficienti sotto il profilo energetico e delle risorse. Inoltre, i requisiti di informazione specifici del prodotto consentiranno ai consumatori di conoscere l’impatto ambientale dei loro acquisti: i prodotti regolamentati saranno infatti corredati da un cosiddetto passaporto digitale, che ne faciliterà la riparazione o il riciclaggio e agevolerà la tracciabilità delle sostanze lungo la catena di approvvigionamento. La proposta prevede anche misure volte ad arrestare la distruzione dei beni di consumo invenduti, accrescere il potenziale degli appalti pubblici verdi e incentivare i prodotti sostenibili.

Sempre il 30 marzo 2022, la Commissione ha presentato anche due nuove strategie settoriali: la prima per rendere, entro il 2030, i prodotti tessili più durevoli, riparabili, riutilizzabili e riciclabili nonché per contrastare la moda veloce (“fast fashion”), i rifiuti tessili e la distruzione dei tessili invenduti e garantire la disponibilità di servizi di riutilizzo e riparazione economicamente redditizi; la seconda per promuovere il mercato interno dei prodotti da costruzione, garantire che tali prodotti siano progettati e fabbricati in base allo stato dell’arte per essere più durevoli, riparabili, riciclabili e più facili da rifabbricare e, da ultimo ma non meno importante, che gli ambienti edificati realizzino gli obiettivi di sostenibilità e clima.

Le proposte della Commissione dovranno ora essere discusse dal Consiglio e dal Parlamento europeo.

Caso vuole che, proprio qualche giorno prima, in occasione di un evento tenutosi giovedì 24 marzo 2022, il direttore della Cc-Ti Luca Albertoni e la responsabile del servizio Commercio internazionale Monica Zurfluh, abbiano avuto l’opportunità di sentire di prima mano come l’azienda Geomagworld SA pensi e lavori in un’ottica di economia circolare e collabori con gli attori esistenti nel nostro Cantone in questo campo, come la SUPSI, per innovare e sviluppare nuovi prodotti che possano rispondere sempre di più agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’agenda 2030 dell’ONU (Sustainable Development Goals SDGs). Sul nostro territorio vi sono ovviamente altri esempi virtuosi di aziende che stanno adottando pratiche circolari. La crisi climatica e la crisi della supply chain, iniziata con la pandemia e proseguita con la guerra in Ucraina e le sanzioni internazionali contro la Russia, dimostrano però che è necessario agire ora: gli sprechi vanno ridotti e l’utilizzo di materie prime e risorse vanno ottimizzati. Le aziende del nostro Paese che non l’hanno ancora fatto sono chiamate a trasformare al più presto il loro modello di business virando con decisione e consapevolezza verso una produzione responsabile. In relazione poi a quanto sta avvenendo nell’Unione europea con le nuove proposte della Commissione europea, la produzione responsabile è decisamente un must per quelle aziende che operano nel mercato unico se non vogliono precludersene l’entrata.

 

Link utile: Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Prodotti sostenibili: dall’eccezione alla regola

Segui la corrente

Con il motto “Segui la corrente” l’Ufficio federale dell’energia (UFE) ha lanciato nelle scorse settimane una campagna di sensibilizzazione e informazione sulla mobilità individuale elettrica. Attualmente, a livello svizzero, il 16.3% delle auto di nuova immatricolazione sono BEV (Battery Electric Vehicles – veicolo elettrico alimentato a batteria). In Ticino la percentuale è ancora bassa: nel primo trimestre del 2021 è del 10.65%. Secondo un sondaggio svolto dal TCS, oltre la metà degli intervistati ha dichiarato che in futuro, quando avrà la necessità di sostituire la sua automobile, valuterà “con grande probabilità” o “con una certa probabilità” l’acquisto di un’automobile a propulsione elettrica (BEV).

L’impennata dei prezzi dei carburanti fossili che abbiamo registrato nelle scorse settimane ha spinto in maniera decisiva la popolazione a valutare con decisione il passaggio all’energia elettrica come fonte di approvvigionamento per la mobilità e per il riscaldamento delle abitazioni. Benzina e diesel con prezzi alla colonna che superano, in alcuni giorni anche abbondantemente, i CHF 2.00 al litro spaventano gli automobilisti. D’altra parte, con ogni probabilità, dovremo attenderci un incremento del prezzo al kWh della corrente elettrica. Questo però, almeno per quanto riguarda la mobilità elettrica, sarà più difficile da valutare. Se quando facciamo il pieno di carburante della nostra auto a benzina ci rendiamo subito conto che quanto pagato alla cassa o con la tessera è sensibilmente maggiore a quanto pagato fino allo scorso anno. Per la corrente elettrica necessaria a ricaricare l’automobile elettrica, il costo sarà inglobato nella bolletta dell’elettricità domestica o aziendale e quindi più difficile da quantificare e quindi meno impressionante. La domanda che oggi molti di noi si pongono è: cosa succederà nel prossimo futuro con il prezzo dei carburanti fossili?

Oggi è difficile fare delle previsioni affidabili. In queste ultime settimane abbiamo visto come eventi eccezionali e inaspettati possono modificare in brevissimo tempo situazioni che erano piuttosto stabili. In ogni caso è chiaro che a medio e lungo termine il prezzo dei carburanti tradizionali sia destinato a salire piuttosto che scendere, questo principalmente per una chiara diminuzione dei giacimenti di petrolio o comunque per un aumento dei costi causati dalla maggior difficoltà di estrazione.

Un’alternativa a questi carburanti fossili, oltre naturalmente all’energia elettrica, ci viene data dai carburanti sintetici o e-carburanti. Oggi questi ultimi sono ancora in fase sperimentale o hanno dei costi di produzione molto elevati (vedi per esempio la produzione dell’idrogeno). Un giorno però, grazie al progresso tecnologico, alla produzione su larga scala e all’aumento del costo dei carburanti tradizionali, il costo degli e-carburanti sarà sicuramente concorrenziale e permetterà ancora l’utilizzo di automobili con motori a combustione interna (ICEV – Internal Combustion Engine Vehicle – Veicoli con motore a combustione interna). Dal punto di vista ambientale questi nuovi e-carburanti saranno pure assolutamente sostenibili in quanto verranno prodotti grazie ad energia rinnovabile e prelevando ad esempio la CO2 dall’ambiente. Un progetto pilota, sostenuto da Porsche, è attualmente in fase di sviluppo in Cile dove, grazie alle condizioni climatiche, l’energia elettrica necessaria alla produzione verrà prodotta grazie alle turbine eoliche (la Patagonia cilena è una regione molto ventosa).

Ma torniamo a oggi. La mobilità elettrica, sebbene in crescita, è ancora assai limitata se confrontata al parco circolante di autovetture. Siamo ancora ad una percentuale abbondantemente inferiore all’uno percento. I timori degli automobilisti, con questo tipo di propulsione, sono diversi: la scarsa autonomia, il tempo necessario a ricaricare le batterie e la durata nel tempo delle stesse. Con una buona informazione e consulenza ognuno di questi dubbi può essere fugato. Con il progetto “Segui la corrente” l’UFE fornisce una consulenza di base e cerca di rispondere ad alcune domande. Ad esempio la domanda sull’autonomia. A questo proposito sul sito di svizzera energia troviamo la seguente risposta: il tragitto medio percorso giornalmente dagli svizzeri per recarsi dal domicilio al posto di lavoro è di 30/40 chilometri. L’autonomia di un’automobile BEV oggi varia dai 200 ai 600 chilometri. Su questo punto, si può tranquillamente affermare che l’autonomia delle vetture elettriche a batteria è più che sufficiente (addirittura abbondante) per i tragitti quotidiani casa – lavoro. Se poi saltuariamente utilizziamo l’auto per viaggi più lunghi, ci si deve solo organizzare prima del viaggio e pianificare una pausa caffè con ricarica della batteria presso una colonnina pubblica che sicuramente possiamo trovare lungo il percorso.

In Svizzera esistono oltre 5’000 stazioni di ricarica pubbliche. E quanto tempo impieghiamo per caricare la batteria della nostra BEV? Anche in questo caso abbiamo due situazioni ben distinte. La quotidianità per gli spostamenti casa – lavoro e il viaggio più lungo fatto saltuariamente. Per gli spostamenti giornalieri nessun problema, basta che la sera quando rientriamo dal lavoro colleghiamo l’automobile alla colonnina di ricarica privata, tempo impiegato 30 secondi, e al mattino seguente ci ritroviamo la batteria sufficientemente carica per percorrere quei 30/40 chilometri del percorso casa – lavoro. La ricarica infatti avviene in tutta tranquillità durante la notte. Per i viaggi più lunghi, che necessitano una ricarica intermedia, possiamo sfruttare la pausa caffè presso una stazione di servizio e in mezz’ora avere sufficiente energia per continuare il viaggio.
Utilizzare un’automobile a trazione elettrica non è quindi assolutamente un problema, è solo una questione di imparare a capirne il funzionamento.

Info: Segui la corrente – scegliere l’elettromobilità in modo consapevole

Responsabilità sociale delle imprese: un nuovo strumento per le aziende targato Cc-Ti

Giovedì 17 marzo 2022 si è tenuta la conferenza stampa di presentazione della piattaforma per la compilazione di un modello online di rapporto di sostenibilità, sviluppato dalla Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino (Cc-Ti) con il supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE). Il nuovo strumento ha lo scopo di agevolare le imprese, comprese quelle piccole e medie, nel redigere il proprio rapporto di sostenibilità ed è disponibile sul portale TI-CSRREPORT.CH.

Da sin. G. Pagani, CSR manager Cc-Ti; L. Albertoni, Direttore Cc-Ti; C. Vitta, Consigliere di Stato e Direttore DFE; A. Gehri, Presidente Cc-Ti e N. Bagnovini, Direttore SSIC TI

La responsabilità sociale delle imprese è un tema di grande attualità, dibattuto non solo a livello politico ma anche nel contesto delle ricerche di lavoro. Non sono unicamente le Autorità a chiedere sempre più responsabilità sociale alle imprese, anche il mercato ne sta facendo un fattore di competitività rilevante e viene considerato con molta attenzione. Un fattore diventato preferenziale in molti legami commerciali. Di regola, le imprese praticano già diverse buone pratiche sul tema, come confermato dai rilevamenti della Cc-Ti effettuati in questi anni unitamente alle Camere di commercio e dell’industria delle altre regioni svizzere. Tali comportamenti spesso non vengono però comunicati, purtroppo sottovalutati anche dalle aziende stesse, e così si perde, sfortunatamente, traccia di molte buone pratiche del mondo imprenditoriale in campo economico, ambientale e sociale già presenti e in atto sul nostro territorio. La Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino (Cc-Ti), quale associazione-mantello dell’economia ticinese, sta dedicando molte risorse a questo tema e ha sviluppato, col supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE), un modello online di rapporto di sostenibilità, che è disponibile dal 1° marzo 2022 sul portale ti-csrreport.ch.

All’evento, tenutosi nella cornice dell’ex-convento delle Agostiniane di Monte Carasso, sono intervenuti Andrea Gehri, Presidente Cc-Ti; Christian Vitta, Consigliere di Stato e Direttore del Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE); Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti e Nicola Bagnovini, Direttore SSIC.
Presenti in sala anche Gianluca Pagani (CSR Manager Cc-Ti); Caterina Carletti (ricercatrice responsabile dello studio- SUPSI); Jenny Assi (ricercatrice responsabile dello studio- SUPSI); Walter Bizzozero (Responsabile del Centro di competenza in materia di commesse pubbliche) e Luca Bordonzotti (Direttore Marketing & Product Management Banca Stato).
Davanti ai media ed ai partecipanti presenti (esponenti delle associazioni di categoria affiliate alla Cc-Ti, riuniti nel Consiglio economico) è stato illustrato questo nuovo supporto, frutto di un’iniziativa completamente auto-finanziata dalla Cc-Ti, intende supportare tutte le aziende ticinesi di ogni settore economico, con un occhio di riguardo per le piccole e medie imprese, che spesso non dispongono di una struttura dedicata per trattare in modo approfondito il tema.

L’obiettivo vuole affiancare, anche in questo ambito, tutte le aziende e agevolarle nell’opportunità di dotarsi di un esaustivo documento che raccolga le buone pratiche, integrando le informazioni economiche con un rendiconto dell’impatto sociale e ambientale delle proprie attività. Uno strumento di analisi e di comunicazione che, in modo semplice ed efficace, permette di approcciare il tema della sostenibilità e della responsabilità sociale. Le imprese hanno così l’opportunità di manifestare il loro impegno ai vari interlocutori del territorio (azionisti, clienti, fornitori, dipendenti, comunità, enti finanziatori, pubblica amministrazione, associazioni del territorio, media, ecc.), evidenziando il loro valore generato non solo a livello economico.
Il rapporto di sostenibilità sarà anche un utile strumento atto a verificare con regolarità le misure prese dalle aziende e quindi i miglioramenti e/o rispettivamente gli ambiti su cui ancora intervenire.
La responsabilità sociale delle imprese è un elemento che dal 2021 rientra anche nei bandi di concorso pubblici, visto che vi è un valore di ponderazione del 4% nei criteri di aggiudicazione.
Il documento della Cc-Ti, anche attraverso un lavoro di consulenza puntuale, aiuterà le aziende a dimostrare la realizzazione di obiettivi economici, ambientali e sociali idonei a ottenere questa percentuale. Grazie al rapporto di sostenibilità e con l’ottenimento di una relativa “Dichiarazione di conformità” (certificata dal servizio CSR della Cc-Ti) si sosterrà sia il lavoro delle aziende, sia quello delle Autorità chiamate a valutare i dossier. L’iniziativa non è ancora una condizione per partecipare agli appalti pubblici, ma alla quale si può aderire su base volontaria ed è sostenuta dal DFE, dal DT e dall’ufficio di vigilanza sulle commesse pubbliche. In presenza dei rappresentanti delle associazioni di categoria associate alla Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino, la conferenza stampa è stata aperta dal Presidente della Cc-Ti, Andrea Gehri, seguito dal Consigliere di Stato e Direttore del Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE) Christian Vitta che ha salutato positivamente l’importante lavoro di squadra tra istituzioni, Cc-Ti e SUPSI per la realizzazione del modello di rapporto di sostenibilità e ha sottolineato quanto questo sia “un ulteriore tassello nel sostegno alla CSR, a dimostrazione dell’importanza del tema per il Cantone e per gli attori del territorio. Consolidando il proprio impegno verso la responsabilità sociale delle imprese, le aziende contribuiscono a realizzare la visione di un Ticino sostenibile, attento non solo agli sviluppi economici, ma anche sociali e ambientali in atto e, di riflesso, con un impatto positivo sul nostro territorio, su chi vi lavora e su chi vi abita”.

È in seguito intervenuto il Direttore della Cc-Ti, Luca Albertoni, con alcuni cenni generali sullo strumento e il ruolo attivo dell’economia sul tema. Egli ha sottolineato come si tratti di un segnale molto importante del mondo imprenditoriale verso il territorio, anche perché finanziato interamente con i fondi della Cc-Ti. Inoltre, significativo è il fatto che lo strumento sia stato concepito sia per sostenere il lavoro delle aziende che per facilitare quello delle Autorità, ulteriore segnale di grande collaborazione a 360°.
A chiudere la conferenza stampa l’intervento del Direttore della Società Svizzera Impresari Costruttori – Sezione Ticino, Nicola Bagnovini a confermare l’importanza e l’utilità della dichiarazione di conformità. Egli ha evidenziato la semplicità d’uso dello strumento per le aziende e come questo approccio molto pragmatico eviterebbe ingenti spese supplementari alle imprese che intendano o necessitano dotarsi di un rapporto di sostenibilità e di un riconoscimento come quelli varati in data odierna. L’agevolazione e il supporto assicurati agli utenti saranno un apprezzato sgravio per le aziende.


SCOPRI
– Il Rapporto di sostenibilità – TI-CSRREPORT.CH
La pagina della Cc-Ti dedicata
– Discorso dell’onorevole Christian Vitta alla presentazione della piattaforma CSR

L’evento nei media

Gioco di squadra per la responsabilità sociale – CdT, 17.3.2022
RESPONSABILTÀ SOCIALE ‘Fattore di competitività’ – LaRegione, 17.3.2022

Servizio al Quotidiano del 17.03.2022 sulla presentazione della piattaforma CRS
Servizio su Radio Fiumeticino del 17.03.2022 sulla presentazione della piattaforma CRS, dal m. 28.05 al m. 34.35

Responsabilità sociale delle imprese: un nuovo strumento per le aziende targato Cc-Ti – etcinforma, 17.3.2022
Sostenibilità e responsabilità sociale, Andrea Gehri presenta il nuovo strumento della Cc-Ti – liberatv, 17.3.2022
Christian Vitta: “Un passo importante per un Ticino sostenibile” – liberatv, 17.3.2022
Al via la nuova piattaforma per la sostenibilità aziendale – bluewin.ch, 17.3.2022
“Non un ostacolo, ma uno strumento di competitività” – RSI online, 17.3.2022
Responsabilità sociale delle imprese: un nuovo strumento per le aziende targato Cc-Ti – ticinolibero, 17.3.2022




Aziende e Responsabilità sociale

La nuova piattaforma TI-CSRREPORT.CH

La Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino (Cc-Ti), quale associazione-mantello dell’economia ticinese, sta dedicando molte risorse a questo tema e ha s sviluppato, col supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE),un modello online di rapporto di sostenibilità, che sarà disponibile dal 1° marzo 2022.
Questo strumento, unico nel suo genere, e che costituisce un progetto-pilota per tutte le Camere di commercio e dell’industria svizzere, va ad aggiungersi al “Questionario di autovalutazione” che la Cc-Ti da più di un anno ha già messo gratuitamente online a disposizione dei suoi associati, consentendo così a tutte le imprese, anche quelle piccole e medie, di disporre di una prima valutazione sulla propria posizione in tema della responsabilità sociale.
Un primo step pensato per censire e conoscere le “buone pratiche” adottate sul territorio e che è stato già utilizzato da oltre 200 aziende del Cantone.

Uno strumento riconosciuto anche dall’Autorità cantonale

L’importanza di mettere a disposizione delle aziende un nuovo strumento è frutto quindi di un’evoluzione già esistente e riveste anche un’innegabile utilità pratica, soprattutto dopo la decisione del Consiglio di Stato di annoverare la CSR tra i criteri di valutazione delle offerte nella nuova Legge sulle commesse pubbliche. La responsabilità sociale delle imprese è infatti un elemento che dal 2021 rientra anche nei bandi di concorso pubblici, con un valore di ponderazione del 4% nei criteri di aggiudicazione. In una prima fase le nuove disposizioni cantonali saranno adottate, e testate, solo per gli appalti della pubblica amministrazione (Divisione delle costruzioni e Sezione della logistica). Successivamente esse saranno estese a gran parte delle commesse.

Alla luce di questa fondamentale svolta normativa, la possibilità di disporre, dal 1° marzo 2022, di un modello di “Rapporto di sostenibilità” è essenziale per le imprese, trattandosi di un report con cui l’azienda descrive e certifica il suo impegno nell’ambito della responsabilità sociale, in relazione anche ai 30 indicatori selezionati dal Consiglio di Stato per la ponderazione delle offerte che concorrono agli appalti pubblici.

Grazie al rapporto di sostenibilità e con l’ottenimento di una separata “Dichiarazione di conformità” aggiuntiva (rilasciata dalla Cc-Ti) si faciliterà sia il lavoro delle aziende, sia quello delle autorità chiamate a valutare i dossier. Il documento della Cc-Ti rappresenta una naturale evoluzione dopo la fase di test condotta da oltre un anno con un formulario di autovalutazione e costituisce un unicum a livello svizzero, visto che permette di stilare concretamente un rapporto di sostenibilità che poi vene anche riconosciuto formalmente quale documento, dal Cantone.

Un lavoro di consulenza puntuale aiuterà le aziende a dimostrare la realizzazione degli obiettivi economici, ambientali e sociali idonei pure nell’ottica a ottenere questa percentuale. Questo strumento non rappresenta la condizione per partecipare agli appalti pubblici ma resta su base volontaria ed è sostenuta dal DFE e dall’ufficio di vigilanza sulle commesse pubbliche.

Procedura e contenuti del Rapporto di sostenibilità

Il “Rapporto di sostenibilità” sarà accessibile a tutte le aziende sulla piattaforma online della Cc-Ti. Si è espressamente voluta una formulazione di facile compilazione, che permette di includere, oltre a paragrafi descrittivi, logo, foto e tutte le informazioni puntuali aziendali di rilevanza. Perché, ed è importante sottolinearlo, non si tratta dell’ennesimo ostacolo burocratico a carico delle aziende, bensì di uno strumento pensato per dare loro la giusta e positiva visibilità e aiutarle con un mezzo semplice. Oltre ai principali dati sull’azienda e alla sua storia, la compilazione del documento porta a descrivere le misure adottate per la responsabilità sociale in relazione a: governance, mercato, risorse umane, rapporti con la comunità e tutela dell’ambiente. Per arrivare, poi, agli obiettivi che ci si prefigge a media e lunga scadenza.

Come già descritto in precedenza, il rapporto può essere completato da una scheda supplementare dedicata ai 30 indicatori determinati dal governo ticinese che sono suddivisi
in tre aree tematiche: ambiente, economia, società. Grazie alla compilazione di questa scheda, saranno confermati i requisiti di base per ottenere il punteggio richiesto sul tema CSR negli appalti pubblici.

Per le imprese il Rapporto di sostenibilità rappresenta un ottimo dispositivo per monitorare costantemente il loro approccio alla sostenibilità, per metterne a fuoco limiti, progressi e obiettivi futuri. E scoprire, magari, che delle misure già adottate spontaneamente, ad esempio, per la mobilità aziendale, il risparmio energetico o per meglio conciliare lavoro e impegni familiari, rientrano a pieno titolo nelle “buone pratiche” contemplate dalla CSR.

La Cc-Ti organizzerà una presentazione al pubblico nelle prossime settimane e, assieme ai suoi partner istituzionali, proporrà alle imprese e alle associazioni di categoria, degli eventi formativi e informativi sui temi della CSR.

La visione del futuro vede la crescita delle nostre aziende strettamente collegata ad una prospettiva di sostenibilità economica, sociale e ambientale. Con la ferma convinzione che la forza, la coesione
di una comunità e il suo capitale sociale rappresentino un vantaggio competitivo per tutto il tessuto produttivo.

La responsabilità sociale, “questa sconosciuta”

Da anni la Cc-Ti, oltre a collaborare con istituzioni cantonali, associazioni e fondazioni per una fattiva sensibilizzazione sulla responsabilità sociale, supporta le aziende nell’implementare le “buone pratiche” della CSR attraverso un articolato lavoro di informazione e formazione. È importante rilevare che la CSR non è terreno sconosciuto per le nostre tante aziende del territorio, anzi!
Nel quadro dell’annuale inchiesta congiunturale della Cc-Ti, condotta con le altre Camere di commercio e dell’industria svizzere, un’analisi specifica sul tema ha evidenziato il grande lavoro già in atto da parte delle imprese. Rilevando, ad esempio, oltre 130 “buone pratiche”, suddivise in 32 tipologie d’intervento, applicate nei diversi rami economici. Un impegno che investe, sia nelle grandi che nelle piccole imprese, gli obiettivi qualificanti della responsabilità sociale.

Con scelte imprenditoriali coraggiose, che vanno spesso oltre i canoni ordinari della CSR, per concretizzare un concetto di responsabilità più aderente non solo alla vita dell’azienda, ma anche alla realtà del territorio e della comunità. Va fatta chiarezza e sottolineato che, se da una parte è giusto avere dei parametri di CSR, dall’altra parte non va assolutamente trascurato quanto fatto anche al di fuori dei criteri “ufficiali”. Il peso e il valore dell’impegno sociale di un’impresa difficilmente possono essere misurati solo ed esclusivamente sulla base dei soli parametri citati. Già il fatto del rischio imprenditoriale assunto per avviare un’impresa e creare posti di lavoro è un atto sociale e non solo economico, molto importante. A maggior ragione chi crea e mantiene un’azienda, ad esempio, in una regione periferica o in altri contesti “svantaggiosi”, offrendo dei posti di lavoro laddove non ci sono molte opportunità occupazionali, non è socialmente meno meritevole di chi può fregiarsi di tutti i crismi della CSR. Questo va detto in modo forte e deciso.

Purtroppo, nella discussione politica, è sempre dietro l’angolo la tentazione di usare la responsabilità sociale come discriminante per stilare avventate classifiche sulle aziende più o meno “virtuose”, per dividerle tra “buone” e “cattive”, da premiare o penalizzare. Un termine, “virtuoso”, pesantemente abusato negli ultimi anni, spesso per cercare d’imporre una concezione ideologizzata dei principi della CSR con lo scopo di resettare la libertà economica e ingabbiare lo spirito imprenditoriale. Per colpire alle radici la vocazione naturale di ogni impresa: conseguire un profitto.

Perché soltanto se si realizza un profitto, si avranno le risorse necessarie per investire e innovare, fermo restando il rispetto delle norme legali e i principi etici che regolano la società.
Restare competitivi sul mercato, creando più occupazione e ricchezza di cui beneficia poi, tutta la collettività. Esiste già una responsabilità sociale quotidiana, costante e volontaria, non dettata da prescrizioni calate dall’alto o da pressioni esterne. Le aziende sono pronte ad assumersi ulteriori responsabilità, ma è evidente che lo stesso comportamento deve essere tenuto da tutti gli attori in gioco: istituzioni, politica, partner sociali e società civile, al fine di una responsabilità condivisa per una crescita equilibrata ed armoniosa.

CSR – Il contributo delle imprese per un Ticino sostenibile

“La pandemia ci ha spinti a ripensare il nostro approccio nei confronti dei cambiamenti in atto a livello globale. Ha soprattutto evidenziato – come emerso anche dai lavori del Gruppo strategico per il rilancio del Paese promosso dal Dipartimento delle finanze e dell’economia – la necessità di rafforzare le traiettorie di sviluppo legate all’innovazione, allo sviluppo sostenibile e alla responsabilità sociale delle imprese (CSR)” afferma il Consigliere di Stato e Direttore del Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE), Christian Vitta.

“Quest’ultima si sta delineando come un tema sempre più centrale per favorire una crescita sostenibile e orientata al futuro del nostro tessuto imprenditoriale, della nostra economia e del nostro territorio” prosegue il Consigliere di Stato Christian Vitta.


“La responsabilità sociale delle imprese è un importante strumento di competitività delle aziende e, di conseguenza, di attrattiva territoriale. Le aziende, assumendo le loro responsabilità sociali e ambientali, possono infatti ottenere molteplici vantaggi, sia per i propri collaboratori che, più in generale, per la società. In questo modo diventano più competitive e, di riflesso, contribuiscono a rendere il territorio più attrattivo. Favorire e accelerare questo processo, offrendo le migliori condizioni affinché questo possa avvenire, è uno degli obiettivi del Cantone. La responsabilità sociale delle imprese rientra infatti tra gli obiettivi di legislatura 2019-2023 del Consiglio di Stato.

Christian Vitta, Consigliere di Stato e Direttore del Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE)

In questo senso, il Dipartimento delle finanze e dell’economia pone un’attenzione particolare a questo tema e mette in campo una serie di misure per incentivarla, anche attraverso una costante e proficua messa in rete con la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino, la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana, l’Associazione industrie ticinesi e l’Associazione Bancaria Ticinese. Con questi importanti partner nel 2016 è stato creato il Gruppo di lavoro CSR Ticino con l’obiettivo di promuovere la responsabilità sociale delle imprese attraverso la realizzazione di studi, la formazione e l’organizzazione di eventi. Per rafforzare ulteriormente questo ambito, ricordo che nel 2021 il Consiglio di Stato ha deciso di mettere a disposizione un credito di 450’000 franchi per l’implementazione di nuove misure. Tra queste rientra il contributo diretto alle imprese che investono nella formazione di un proprio responsabile in CSR, una misura volta a sostenerle nel dotarsi internamente delle competenze necessarie per la messa in atto di buone pratiche. Il Dipartimento che dirigo ha inoltre collaborato con la Camera di commercio e la SUPSI per la realizzazione di un modello semplificato di rapporto di sostenibilità che faciliterà anche le piccole e medie imprese ad allestire un rendiconto sull’impatto sociale e ambientale della loro attività. Il DFE si è inoltre adoperato affinché il rapporto di sostenibilità possa essere utilizzato anche nelle procedure di pubblici concorsi – ricordo che lo scorso ottobre il criterio della CSR è stato incluso nella Legge sulle commesse pubbliche (LCPubb) – riducendo in questo modo il carico amministrativo per le aziende.


In questo quadro, il Cantone e il DFE continueranno a garantire al tema della responsabilità sociale delle imprese il loro sostegno, certi della grande rilevanza che quest’ultima riveste per l’economia cantonale. Consolidando il proprio impegno verso la responsabilità sociale delle imprese, le aziende contribuiscono a realizzare la visione di un Ticino sostenibile, attento agli sviluppi economici, ambientali e sociali con un impatto positivo sul nostro territorio, su chi vi lavora e su chi vi abita” conclude il Direttore del Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE), Christian Vitta.