Proprietà intellettuale e sostenibilità

L’idea di sviluppo sostenibile, per sua natura intrinseca, essendo un concetto estremamente complesso e sfaccettato, ha riflessi anche nell’ambito dei diritti di proprietà intellettuale, spingendo la loro evoluzione verso una sempre maggiore ecocompatibilità delle opere dell’ingegno.

L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, in modo molto ambizioso, ha fissato ben 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (per un maggiore approfondimento in proposito si rimanda qui), annoverando obiettivi solo apparentemente eterogenei, volti a plasmare una maggiore responsabilità e attenzione in termini sociali, ambientali ed economici; tali propositi, nei fatti, sono collegati tra di loro da un fil rouge che li annoda gli uni agli altri a doppio filo, nell’ottica di operare in maniera resiliente con l’ecosistema del pianeta.

In questo grande, grandissimo disegno, tutti gli attori (che potremmo definire anche stakeholder, nel senso più ampio ed inclusivo di portatori, responsabili e consapevoli, di interessi coinvolti nelle più variegate iniziative o progetti), dalle aziende più grandi alle microimprese, consumatori finali inclusi ovviamente – che dispongono di un potere formidabile quando determinati obiettivi vengono compresi e fatti propri – possono non solo fare la loro parte, bensì contribuire in modo determinante diffondendo comportamenti e stili sostenibili.

Ma cosa è, e cosa significa in termini pratici la sostenibilità? E che rapporto ha tale idea con la proprietà intellettuale (l’insieme dei diritti legali volti ad assicurare la tutela delle creazioni delle mente umana in campo scientifico, industriale e artistico), di cui sia privati che aziende possono essere titolari?

In primis, per cercare di dare una risposta più compiuta possibile al primo quesito che ci poniamo, è più corretto declinare il concetto di sostenibilità nei diversi modi in cui essa si può concretare; si può parlare, infatti, di Sostenibilità ambientale (responsabilità di utilizzo delle risorse), di Sostenibilità economica (capacità di generare reddito e lavoro) e di Sostenibilità sociale (sicurezza, salute, giustizia e ricchezza).

L’idea di sostenibilità, ovvero parlare di sviluppo sostenibile, è un concetto che ha una natura complessa, con diverse interpretazioni che dipendono anche dai diversi periodici storici; tuttavia, la definizione universalmente riconosciuta risale al 1987 e si trova nel cosiddetto Rapporto Brundtland (un documento prodotto dalla Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo, istituita da una risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, presieduta dalla politica e medica norvegese Gro Harlem Brundtland) – dal titolo “Our common future” – il quale pone l’attenzione sui principi di equità intergenerazionale e intragenerazionale. Il rapporto identifica per la prima volta la sostenibilità come la condizione di uno sviluppo in grado di “assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”.

Già, riuscire a soddisfare integralmente i propri bisogni economici e sociali, ma senza compromettere le generazioni future o complicare la loro esistenza e, nondimeno, senza sfruttare in modo scriteriato ed irresponsabile l’ecosistema terrestre, anzi, assecondare le ancestrali regole che lo governano da migliaia di anni.

Apparentemente, tutti noi accettiamo una sfida immane, di proporzioni ciclopiche, la quale tuttavia va affrontata scomponendo i vari problemi (prendendo spunto dal metodo scientifico), decostruendoli in maniera da tale da perseguire una demoltiplicazione ed un contenimento, ed al contempo di comprendere meglio i singoli meccanismi e le situazioni all’origine dei cambiamenti, che oggi non è più possibile ignorare o, ancor peggio, minimizzare o negare.

Certamente, una risposta alla seconda domanda che ci si era posti, ovvero che correlazione c’è tra proprietà intellettuale e sostenibilità, è data dal fatto che una protezione adeguata ed aggiornata delle diverse opere dell’ingegno funge da volano per l’innovazione. In questo modo si stimolano gli investimenti virtuosi, volti a migliorare la gestione delle risorse e le condizioni quadro complessive che hanno un diretto impatto sulle attività umane e sull’ambiente; si pongono infatti le premesse per un ciclo di rinnovamento non soltanto efficiente, ma anche sostenibile, sul modello della triplice suddivisione del concetto di sostenibilità descritto in precedenza.

Il recente studio “Green EU trade marks” condotto dall’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), pubblicato nel febbraio 2023 (quale aggiornamento di un precedente lavoro pubblicato nel 2021), ha voluto verificare e valutare se la maggiore attenzione tra il pubblico dei titolari di domande/registrazioni di marchi europei, tra i responsabili delle politiche per i cambiamenti climatici e il degrado ambientale, si rispecchiasse nelle domande/registrazioni di marchio dell’Unione europea.

Tale studio (svolto tramite un algoritmo espressamente sviluppato a tale scopo), finalizzato a tracciare domande/registrazioni di marchio dell’Unione europea che, a livello merceologico, rivendicano prodotti/servizi dotati di caratteristiche di sostenibilità o legati alla protezione dell’ambiente (le macro categorie investigate sono state le seguenti: produzione di energia, trasporti, conservazione dell’energia, riuso/riciclo di prodotti, controllo dell’inquinamento, gestione dei rifiuti, agricoltura, consapevolezza ambientale e cambiamento climatico), ha rilevato come vi sia un interesse cresciuto esponenzialmente negli anni verso prodotti/servizi ad alto contenuto “verde”; basti un solo dato, nel 1996, il primo anno di operatività dell’EUIPO, i marchi europei cosiddetti “green” ammontavano a 1’588 unità, venticinque anni dopo, nel solo anno 2021, il numero degli stessi marchi “green” ha raggiunto la ragguardevole cifra di quasi 19’000 unità.

Il trend di interesse non si è dimostrato da meno anche nel campo dei brevetti d’invenzione; nel 2013 l’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (WIPO), che ha sede a Ginevra, ha lanciato la piattaforma WIPO GREEN, un marketplace globale nato per agevolare lo scambio e la diffusione di tecnologie sostenibili, che mette a disposizione dati, servizi di network ed esempi di progetti concretamente applicati, monitorati, e che si sono evoluti nel tempo; anche per quanto riguarda le tecnologie brevettate, si ritorna a parlare di sostenibilità, in quanto il capito 34 della Agenda 21 (il programma di azione della Nazioni Unite adottato a conclusione della conferenza di Rio de Janeiro nel 1992), definisce come “green technologies” le tecnologie che: “proteggono l’ambiente, sono meno inquinanti, utilizzano tutte le risorse in modo più sostenibile, riciclano una quantità maggiore di rifiuti e prodotti e gestiscono i rifiuti residui in modo più accettabile rispetto alle tecnologie che sostituiscono”.

A conclusione di questa breve galoppata attraverso un tema, quello della sostenibilità, che è trasversale a tantissimi ambiti, ivi incluso quello della proprietà intellettuale, e che sarà fondamentale per superare le cosiddette sfide globali (basti pensare, fra le diverse tematiche attuali, alla gestione delle risorse idriche o all’agricoltura di precisione, che possono essere validamente coadiuvate dallo studio e dallo sviluppo di tecnologie innovative guidate da modelli meteorologici e climatologici), si nota come il ciclo di sviluppo delle opere dell’ingegno assomigli sempre più ai cicli osservabili nella natura, un processo in continuo divenire, solo apparentemente statico, sempre alla ricerca del perfezionamento meritevole di vincere la sfida del progresso.


Articolo a cura di Hermann Padovani, M. ZARDI & Co. S.A., info@zardi.ch, www.zardi.ch

10 anni LIFT Ticino: festeggiamenti e visioni future

LIFT ha come principale obiettivo quello di creare un ponte tra mondo scolastico e mondo professionale, per facilitare la transizione dei e delle giovani che terminano la scuola media. Dopo aver preso avvio nel 2006 nella Svizzera tedesca, il progetto è giunto dal 2013 anche nel Canton Ticino, dove quest’anno si sono celebrati i primi 10 anni di attività.

Per l’occasione si è tenuta una serata-evento lo scorso 10 maggio presso la scuola media di Agno. Alla serata hanno partecipato una settantina di persone, tra rappresentanti del mondo scolastico, istituzionale e aziendale.
Era presente anche l’On. Marina Carobbio Guscetti, Consgliera di Stato e Direttrice del Dipartimento educazione, cultura e sport, che è intervenuta con un breve discorso nel quale ha spiegato di conoscere bene il progetto LIFT già dalla sua precedente attività politica a Berna e di apprezzarne i contenuti e i benefici che porta ai giovani e alle giovani.

In seguito, il pubblico ha potuto assistere ad una breve presentazione del programma LIFT e del suo sviluppo nel Cantone, e alla proiezione di un filmato, realizzato appositamente per l’occasione grazie alla collaborazione tra LIFT e il CERDD, il centro di risorse didattiche e digitali del Cantone Ticino (è possibile vedere il filmato tramite questo link).

A conclusione dell’evento, si è svolta una tavola rotonda, moderata dalla giornalista Agata Galfetti, sul tema degli sbocchi professionali per gli allievi e le allieve di quarta media. Alla discussione hanno partecipato Oscar Gonzalez (Divisione della formazione professionale), Massimo Genasci-Borgna (Ufficio orientamento scolastico e professionale), Daniela Bührig (AITI), Sara Rossini Monighetti (in rappresentanza della Cc-Ti), Christian Romanenghi (ex allievo LIFT) e Alex Manfredi (LIFT).

È noto che molti ragazzi e ragazze riscontrano delle difficoltà, di vario tipo, nel percorso di transizione tra mondo scolastico e mondo professionale. Oppure la difficoltà non emerge tanto nel trovare un posto di apprendistato, bensì nel riuscire a mantenerlo. I giovani da aiutare sono molti ma fortunatamente essi possono anche contare su una vasta rete di misure. È quindi importante che tutti gli attori presenti sul territorio collaborino strettamente per il bene di ragazzi e ragazze e per il raggiungimento dell’obiettivo comune che è quello di diminuire la disoccupazione giovanile.

Il principale obiettivo di LIFT resta quello di permettere ai giovani di sperimentare concretamente il mondo del lavoro, già durante la terza e la quarta media. Grazie al programma di LIFT, avranno così maggiori possibilità di ottenere un posto di apprendistato (o altra collocazione) ed iniziare il loro percorso professionale nel migliore di modi.

LIFT ha infatti molteplici effetti positivi sui giovani. Ne aumenta l’autostima e la motivazione, arricchisce il loro curriculum vitae e amplia la rete di conoscenze professionali e sociali. Tutti questi elementi permettono loro di trovare più facilmente un posto di apprendistato. Le cifre per il 2022 mostrano che, a livello nazionale, il 63% dei giovani che hanno partecipato a LIFT hanno trovato una soluzione di formazione (AFC o CFP) immediatamente al termine della scuola media.

Il futuro: concretezza per i giovani

Attualmente le sedi di scuola media che offrono LIFT ai loro allievi e alle loro allieve sono undici: dieci scuole pubbliche e una privata. Ci auguriamo che in futuro altre sedi possano seguire l’esempio e lanciarsi nell’avventura LIFT.

I giovani che possono beneficiare del programma e le loro famiglie sono riconoscenti alle scuole che decidono di inserire LIFT nella loro offerta. Citiamo l’esempio di Chiara (nome noto alla redazione), ragazza molto timida che in terza media accetta di partecipare a LIFT. Le viene offerta la possibilità di effettuare uno stage (posto di lavoro di settimanale) nel settore marketing e relazioni pubbliche di una banca. Le prime settimane ha un atteggiamento molto chiuso, esegue i compiti con impegno, ma quasi non parla e si relaziona solo con la persona responsabile dello stage LIFT all’interno della banca. Ma col passare del tempo, Chiara acquista pian piano maggior fiducia, diventa più estroversa e comunica molto più facilmente con gli adulti. Tanto che collabora con profitto all’allestimento di un evento nel foyer della banca, occupandosi anche dell’accoglienza del pubblico. Chiara ha poi concluso la quarta media e trovato un posto di apprendistato, anche se non nel settore bancario.

Queste storie di successo potranno continuare in futuro grazie a LIFT e a tutti i suoi partner (statali e non), che sono fondamentali sotto il profilo finanziario – ricordiamo che LIFT è un’associazione no profit – o nel fornire un aiuto pratico alla crescita del programma.  

Il ruolo della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi è per LIFT molto importante perché permette a LIFT di farsi conoscere nel mondo economico e aziendale. Sappiamo che potremo contare anche in futuro sul sostegno della Cc-Ti e ci impegneremo a ripagare la fiducia continuando a puntare su risultati concreti, per il bene dei e delle giovani che cercano di trovare e di percorrere la loro strada nel mondo professionale.


Filmato su Youtube


Articolo a cura di Alex Manfredi, Coordinatore regionale Ticino del progetto LIFT

Apertura tecnologica

di Marco Doninelli, Responsabile mobilità Cc-Ti

2035: l’anno della definitiva svolta energetica in ambito del trasporto privato. Anche l’ultima istanza politica europea, che doveva decidere sulla messa al bando dei carburanti di origine fossile e di conseguenza puntare tutto sulla mobilità elettrica, si è espressa a favore di questa drastica misura. C’è però stata una svolta che ha cambiato le carte in tavola. Dietro pressione della Germania, gli europarlamentari hanno inserito tra i vettori energetici per le autovetture anche la possibilità di vendere, dopo il 2035, veicoli con motore a combustione interna se alimentati con carburanti sintetici o e-carburanti. Questa decisione è molto positiva per tutti. Da un lato sarebbe stato piuttosto pericoloso affidarsi ad un unico vettore energetico, l’elettricità, per mettere in movimento l’intero parco circolante europeo. Dall’altra, se si vuole veramente risolvere il problema delle
emissioni di CO2, bisogna lasciare il campo aperto a tutte le tecnologie.
Solo così il mondo scientifico e lo sviluppo tecnologico possono valutare ogni via percorribile e proporre le soluzioni migliori. Chiudendo invece a priori lo sviluppo degli e-carburanti, gli investimenti nella ricerca e sviluppo di questa innovativa tecnologia sarebbero sati cancellati o per lo meno spostati al difuori dell’Europa dove le altre nazioni non hanno posto vincoli ai vettori energetici per il settore dei trasporti. Altre fonti energetiche invece, non sono state perse in considerazione.
Per esempio, i bio-carburanti, come chiesto a gran voce dall’Italia che in quest’ultima tecnologia ha investito moltissimo negli scorsi anni. La decisione presa dai parlamentari europei, una volta tanto, ha una ragione d’essere. Vediamo perché.

Gli e-carburanti

Questi carburanti, definiti carburanti sintetici, e-carburanti o carburanti elettrici, sono dei prodotti che non si trovano in natura, ma si ottengono grazie alla sintesi di idrogeno o, in rari casi, anche di bio-carburanti e CO2. Per questo processo di sintesi, ma anche per la produzione di idrogeno verde, serve molta energia elettrica. Da qui il nome di e-carburanti. Alla base c’è dunque l’idrogeno, un elemento molto abbondante sulla Terra, ma solo in combinazione con altri elementi come, ad esempio, l’ossigeno formando in pratica l’acqua. Per ottenere l’idrogeno occorre quindi scomporre i due elementi, ossigeno e idrogeno, grazie all’elettrolisi. Questo processo può funzionare soltanto utilizzando grandi quantità di elettricità, motivo per il quale quest’ultima, se si vuole ottenere un processo realmente sostenibile da punto di vista ambientale, deve essere prodotta da fonti rinnovabili come fotovoltaico, eolico o idroelettrico. Oltre all’idrogeno serve la CO2. Quest’ultima, per far sì che il processo sia neutro dal punto di vista delle emissioni, deve essere prelevata dall’aria ambiente.
Combinando poi i due elementi, idrogeno e CO2, si ottiene un carburante che può essere utilizzato in un motore a combustione interna come quelli che oggi utilizziamo su gran parte delle vetture circolanti. Ecco, quindi, un altro vantaggio: la tecnologia e le vetture già oggi in circolazione non sarebbero da buttare, ma, anzi, diventerebbero anche queste a emissioni a zero di CO2. A dire il vero, questo tipo di automobili emetterebbe comunque della CO2, la differenza rispetto alle emissioni attuali è che in questo caso si tratterebbe della stessa quantità di anidride carbonica prelevata dall’aria ambiente utile per la reazione chimica necessaria.
Una domanda però sorge spontanea: per quale motivo si dovrebbe utilizzare la corrente elettrica per produrre un carburante sintetico da bruciare in un motore a combustione interna? Non converrebbe utilizzare direttamente la corrente elettrica per alimentare una vettura a batteria? Uno dei problemi dell’elettricità
è il suo immagazzinamento. Sappiamo che quest’ultimo non è semplice e, con la tecnologia attuale, l’unica possibilità è accumularla all’interno di una batteria. Per quantità relativamente ridotte questo è fattibile senza problemi, mentre per grandi quantità ad oggi non esiste una soluzione. Un altro problema dell’energia elettrica è il suo “trasporto” su lunghe distanze. Oggi per portare l’energia elettrica da un punto di produzione al punto di utilizzo si fa capo alla rete di distribuzione ad alta tensione. Questo è fattibile su distanze di qualche migliaio di chilometri, ma non oltre. È impossibile immaginare di produrre energia elettrica in America del Sud grazie all’eolico per poi utilizzarla in Europa quale vettore energetico per il trasporto privato. È invece possibile produrre e-carburanti in Argentina, dove oggi esiste un impianto pilota gestito da Porsche, e in seguito, come avviene già con la benzina e il diesel, trasportarlo in tutta sicurezza in Europa per essere poi venduto presso la rete di stazioni di rifornimento già esistenti.

E i bio-carburanti

I bio-carburanti sono prodotti a partire da bio-masse o da vegetali coltivati a questo scopo. Anche in questo caso si possono ritenere dei carburanti con bilancio di emissioni di CO2 neutro. Infatti, la CO2 che viene emessa quando il bio-carburante brucia all’interno del motore è la stessa che le piante coltivate per la sua produzione hanno assorbito dall’aria durante la loro fase di crescita. Allora perché non sono stati presi in considerazione al pari degli e-carburanti?
Uno dei principali problemi è proprio la necessità di coltivare molti terreni a questo scopo sottraendoli alla produzione di vegetali a scopo alimentare.
La decisione dell’Unione Europea va quindi nella giusta direzione offrendo la possibilità di una migliore gestione dell’energia che è possibile produrre da fonti rinnovabili consentendo un immagazzinamento più semplice e una distribuzione più capillare, indipendentemente dal luogo di produzione. Pensando poi anche al difuori del mondo delle automobili, come ad esempio il trasporto aereo o marittimo, la disponibilità di carburanti liquidi o gassosi di facile immagazzinaggio renderanno più ecologici anche gli spostamenti a lungo raggio.

Come migliorare l’efficienza nell’utilizzo delle risorse

Evento in collaborazione con TicinoEnergia

Lo scorso giovedì 23 marzo, presso la Pagani Pens SA di Lamone, si è tenuto l’evento “Come migliorare l’efficienza nell’utilizzo delle risorse” in collaborazione con TicinoEnergia.

Visto i molteplici fattori che influenzano in modo negativo ed imprevedibile l’andamento del mercato e i sempre più importanti costi supplementari causati dall’inefficienza nell’utilizzo delle risorse a cui le aziende devono far fronte, l’evento è servito per illustrare alle numerose aziende presenti il programma Reffnet. Programma che ha come obiettivo di supportare le aziende Svizzere nella riduzione del loro impatto ambientale e della loro dipendenza delle materie prime. Ciò richiede competenze in molti ambiti, ragione per cui diverse organizzazioni hanno aderito alla rete svizzera per l’efficienza delle risorse.

Dopo il saluto di benvenuto da parte della Cc-Ti e della Signora Rossanna Porotti di Pagani Pens, la parola è passata alla Signora Caterina Carletti (SUPSI) che ha illustrato il ruolo della sostenibilità in ambito aziendale. Successivamente Luca Pampuri ha illustrato il programma Reffnet.ch e altri programmi offerti da TicinoEnergia.

Per concludere la presentazione, Alessandro Sgotto di Pagani Pens, ha descritto il loro caso sviluppato e seguito dagli esperti di Reffnet. Prima di concludere con un aperitivo, per i presenti è stato possibile visitare gli stabilimenti di Pagani Pens, al fine di poter mostrare i processi produttivi necessari per la creazione delle loro penne.


Oltre il green label

Coerenza, sviluppo sostenibile, sfide sociali, competitività. Sono questi, alcuni tra gli aspetti fondamentali che costituiscono un buon operato in relazione alla CSR (dall’inglese Corporate Social Responsibility), e che rendono un’impresa “green”. Sentiamo spesso parlare di “green”, “sostenibilità” o di “scelte sostenibili”. Ma a cosa ci si riferisce esattamente? Da un lato si intende l’operato di un’impresa nel rispetto dell’ambiente, dall’altro si tratta anche delle pratiche e delle attività in favore della tutela della società.

L’utilizzo di energia da fonti rinnovabili è uno dei suggerimenti per diventare più “green”.

Lo sviluppo sostenibile è un obiettivo che si attua con coerenza e su un lungo termine

Capita spesso che le aziende si impegnino per implementare delle nuove pratiche con il solo fine di ottenere un “green label” come riconoscimento per aggiungerlo alla lista dei successi aziendali, credendo erroneamente, che questo sia abbastanza per guadagnare punti bonus sulla propria reputazione, un buon positioning, un vantaggio competitivo e un incremento di valore nel loro mercato.
Queste dimensioni dell’immagine aziendale subiscono indubbiamente l’impatto delle pratiche di responsabilità sociale messe in atto, ma non in modo casuale o automatico. Dal punto di vista ambientale, ogni giorno si scoprono possibilità e tendenze per evitare gli sprechi di risorse, la tutela dell’ambiente o il risparmio energetico. Nonostante alcuni tra questi piccoli accorgimenti possano effettivamente rivelarsi utili per l’ambiente, hanno solitamente poco impatto invece sulla parte sostenibile legata alla società.

Va da sé che, focalizzarsi solo su una fetta della sostenibilità, anziché tradursi in un buon “positioning” sul mercato, potrebbe invece dare un’immagine negativa dell’azienda, dipingendola come interessata solo al “ripulire” la propria immagine senza però fare la differenza.

Un esempio concreto? Negli ultimi anni, molte aziende hanno aderito ad alcune iniziative con lo scopo di compensare eventuali conseguenze generate dalla sull’impatto ambientale. Tra le ultime trovate più in voga esistono organizzazioni for e non-profit che si occupano di promuovere la forestazione, come i progetti “plant a tree”, ovvero “pianta un albero”. Si tratta indubbiamente di un obiettivo interessante e a favore dell’ambiente, ciononostante non sarà un albero piantato a rendere un’azienda sostenibile. La maggior parte di queste iniziative non rilasciano dei certificati, e se forniscono delle certificazioni queste non sono effettivamente riconosciute. Non si può dunque “rimediare” all’impatto sull’ambiente o sulla società cercando di aderire a questi progetti senza la consapevolezza che il rischio è di cadere invece nelle trappole del greenwashing.

La gestione responsabile dell’impresa, infatti, deve essere curata passo dopo passo attraverso l’implementazione di una strategia ben bilanciata tra ambiente e società, perseguita con impegno costante e alti livelli di coerenza nel proprio operato. In altre parole, non serve piantare un albero o limitare l’uso della plastica per favorire l’ambiente, se le pratiche aziendali hanno un impatto negativo o inaccettabile sulla società, come ad esempio la manodopera minorile in Paesi in
via di sviluppo.

Solo attraverso la coerenza e delle strategie mirate si può diventare un’impresa “sostenibile” a 360 gradi. Per raggiungere lo scopo si rende necessario, da un lato mantenere alta la soddisfazione degli stakeholders interni ed esterni. D’altra parte, restando sempre al passo con i tempi, rispettando le normative ambientali e sociali e anticipando e rispondendo i trend emergenti e adottando alcune innovazioni si può contribuire allo sviluppo sostenibile a livello nazionale e globale a favore di un basso impatto ambientale e agire in favore della responsabilità sulla società.

Quando si parla di impatto sociale si finisce per pensare erroneamente su scala globale, dimenticandosi che molte possibilità sono attuabili in modo semplice sul territorio locale e tra le mura della propria azienda. Concretamente, tra le varie opzioni, ogni azienda può adottare le pratiche più affini alle proprie attività operative e missione aziendale. Non tutte le aziende possono ad esempio reperire le proprie materie prime a chilometro zero, o scegliere i fornitori locali. Questo potrebbe non essere attuabile, o portare dei grandi cambiamenti sull’approvvigionamento di materiali e sui costi di un’impresa. Laddove, dunque, un impatto sulla società “fuori” dall’impresa si rende più complesso, la gestione responsabile potrebbe spostare il focus verso l’interno dell’azienda ed integrare alcune pratiche a favore dei collaboratori, optando per un piano welfare aziendale. Si tratta, di varie possibilità, come ad esempio la concessione di alcuni “benefit”. Tra questi, delle convenzioni con partner come palestre, ristoranti, oppure contributi alla mobilità sostenibile o contribuiti in caso di matrimonio o per la nascita di figli, la possibilità di lavorare da remoto ove possibile. Questo, oltre che favorire il benessere del collaboratore, può rendere la gestione aziendale più sostenibile.

Oltre l’etichetta

Ad oggi, le aspettative legate alle implicazioni sociali dell’operato di un’azienda sono ormai fortemente radicate nella società e talvolta superano persino le direttive, i regolamenti e gli obblighi giuridici dell’impresa. Per questo motivo, non è il riconoscimento “green” ad assicurare un rafforzamento della reputazione, bensì la vera messa in atto di processi e pratiche in accordo con il rispetto per l’ambiente e con la tutela degli aspetti legati all’area sociale. L’immagine e la reputazione di un’azienda crescono e si rafforzano azione dopo azione, costruendo un clima di fiducia. Come in una qualsiasi relazione, tra l’impresa e il consumatore, si creano delle speranze e delle aspettative sotto un clima guidato dal “do ut des”. La lealtà del consumatore viene mantenuta, fintanto che l’azienda si dimostri attenta e operi in buona fede, senza venir meno agli obblighi, agli accordi, alle promesse e né tantomeno alle aspettative di sostenibilità.

In questo modo, l’azienda potrà riposizionare in positivo la propria immagine agli occhi dei propri dipendenti, del consumatore, degli azionisti delle istituzioni e persino dei media, che potranno elogiare e promuovere il prestigio e la serietà del marchio. Grazie a questo tipo di impegno, serio e costante, si potrà riscontrare un grande effetto sulla competitività dell’azienda. Ne consegue che per dimostrare di gestire un’impresa in modo responsabile si può iniziare ad instaurare un rapporto di fiducia, iniziando ad esempio a illustrare in modo chiaro e puntuale gli obiettivi raggiunti e quelli che si vogliono perseguire per il futuro.

L’ importanza del rapporto di sostenibilità

La prima cosa da fare è sicuramente comunicare in modo trasparente agli stakeholders la messa in atto di una gestione responsabile dell’impresa, redigendo un documento specifico; un report di sostenibilità. Seguendo la logica dei report finanziari, che presentano tutte le informazioni economiche, il report di sostenibilità tiene traccia delle pratiche messe in atto dall’azienda dal punto di vista dell’impatto sociale e ambientale della sua attività.

In questo modo tutti gli attori coinvolti, esterni ed interni all’impresa, vengono informati sulle pratiche dettagliate sull’impatto sociale e ambientale, sia riguardo alle attività esistenti, sia sui progetti all’insegna della sostenibilità che verranno implementati in futuro. Inoltre, la redazione di un report di sostenibilità è il primo passo verso l’ottenimento di una separata “Dichiarazione di conformità” (rilasciata dalla Cc-Ti), che tra i suoi vantaggi porta con sé anche quello di essere un titolo preferenziale e apprezzato durante l’iter di selezione per i bandi di concorso pubblici. Per una redazione semplificata di questo documento, la Cc-Ti ha sviluppato – con il supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE) – un modello online di rapporto di sostenibilità, accessibile tramite questo link: www.ti-csrreport.ch.

Alcuni consigli per diventare più green

Per essere valutato come “green” o “sostenibile” vi possono essere grandi e piccoli accorgimenti proposti. Ne abbiamo scelti alcuni:

• Elaborare un rapporto di sostenibilità
• Utilizzare materie prime o prodotti da fonti certificate
• Dare priorità, quando è possibile, ai fornitori locali per gli acquisti dell’azienda
• Adottare lo Smart working laddove sia possibile
• Creare un piano welfare aziendale a supporto dei collaboratori
• Considerare i fattori sociali e ambientali nella scelta dei vostri fornitori
• Effettuare sponsorizzazioni ad associazioni o enti del territorio
• Sostenere progetti di collaborazione con enti o associazioni del territorio
• Utilizzare energia da fonti rinnovabili
• Utilizzare mezzi di trasporto aziendali sostenibili o allestire un piano di mobilità


Il Report di sostenibilità – www.ti-csrreport.ch
È possibile avere dettagli in merito sul tema e consulenze dirette, contattando Gianluca Pagani, CSR Manager Cc-Ti o Sergio Trabattoni, Collaboratore CSR.

Le buone pratiche distinguono

Una pubblicazione sull’analisi dei questionari di autovalutazione: le riflessioni del Direttore Cc-Ti Luca Albertoni

Da molti anni la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino si occupa del tema della responsabilità sociale delle aziende.

Si tratta di un coefficiente ormai sempre più importante non solo nella discussione pubblica, ma anche e soprattutto nelle relazioni commerciali e nel mercato del lavoro. Sono infatti sempre più frequenti i casi in cui viene richiesta una dimostrazione dell’applicazione delle cosiddette “buone pratiche”. È il caso degli appalti pubblici, quindi nel rapporto fra Stato e aziende, ma anche fra le stesse imprese, visto che sempre più spesso chi implementa convintamente i propri comportamenti in linea con una sostenibilità diventata imprescindibile, richiede che la stessa attitudine venga riprodotta nella propria filiera.

Anche coloro che valutano nuovi impieghi declinano un’accresciuta sensibilità verso questo tema, che spesso diventa proprio una delle più importanti discriminanti per scegliere un datore di lavoro piuttosto che un altro.

Il nostro supporto ha anche lo scopo di far emergere proprio le moltissime “buone pratiche” già presenti nelle nostre aziende, ma spesso troppo poco individuate e pubblicizzate. In molti casi sono le stesse imprese a non rendersi conto che stanno attuando misure decisamente catalogabili nella responsabilità sociale delle imprese.

Sulla base dei dati presentati in questo sunto, abbiamo creato strumenti volti a facilitare la vita delle aziende nell’operazione di evidenziare le varie iniziative che predispongono a favore del territorio, dei dipendenti e della società in generale.

In questo modo intendiamo anche non sollecitare un’ulteriore crescita della burocrazia o di interventi legislativi che appesantirebbero inutilmente il già importante carico amministrativo delle imprenditrici e degli imprenditori del nostro territorio.

Scaricare la pubblicazione “Responsabilità sociale delle aziende in Ticino“.

Consumi energetici – incentivi in ambito aziendale

Commerci, aziende e industrie sono spesso confrontati con elevati consumi energetici. Per sintetizzare e raggruppare i principali incentivi e programmi di consulenza attualmente disponibili a livello aziendale, l’Associazione TicinoEnergia ha sviluppato un utile documento riassuntivo, che come Cc-Ti, vi proponiamo.

Per ulteriori domande, l’Associazione TicinoEnergia offre una prima consulenza orientativa gratuita, telefonica o via e-mail, a 360° sul tema dell’energia.

Il servizio è attivo il martedì e il giovedì dalle 9.00 alle 12.00 e dalle 13.30 alle 17.00.
Mail: info@ticinoenergia.ch – Telefono: +41 91 290 88 13.


Scaricare il documento

CAS in  Responsabilità sociale delle imprese (CSR)

Se fino a poco tempo fa si parlava di responsabilità sociale delle imprese (CSR) e di sostenibilità come argomenti di moda, ora è sempre più chiaro che queste tematiche rappresentano il cambio di paradigma della nostra economia. Un’informativa sul percorso formativo di SUPSI.

Il limite delle risorse disponibili sul nostro pianeta, a fronte di un aumento costante della popolazione, impone una visione di sviluppo economico rispettosa sia delle esigenze sociali che della tutela ambientale. I recenti avvenimenti dalla pandemia alla crisi climatica fino alla carenza di materie prime e all’improvviso incremento dei costi energetici hanno accelerato il processo in corso. Cosa comporta questo scenario per le imprese? La necessità di orientare alla CSR e alla sostenibilità la loro attività, misurando e comunicando non solo l’impatto economico del loro operato ma anche l’impatto sociale e ambientale e valorizzando le buone pratiche realizzate. In termini pratici significa riconsiderare gli aspetti di governance dell’impresa, includere la sostenibilità nella produzione e nella distribuzione di prodotti e servizi, offrire ai propri collaboratori programmi di welfare aziendale, partecipare a progetti con la comunità, misurare e ridurre i consumi energetici e l’impatto dei trasporti. La responsabilità sociale delle imprese abbraccia quindi una pluralità di aspetti e, per questa ragione, richiede una competenza adeguata in grado di affrontare il tema con una visione a 360°. In questo contesto diventa inoltre necessario dotarsi di strumenti di comunicazione efficaci, quali ad esempio, i rapporti di sostenibilità che hanno lo scopo di raccontare e rendicontare il valore generato dall’impresa e, nello specifico, quale contributo concreto essa offre al territorio e alla comunità in cui opera. Per permettere alle imprese di acquisire le competenze necessarie ad affrontare queste nuove sfide, il Dipartimento di economia aziendale, sanità e sociale della SUPSI promuove un corso di formazione sul tema della responsabilità sociale delle imprese con l’obiettivo di formare manager in grado di definire la strategia e di allestire un rapporto di sostenibilità secondo le modalità più consone alle esigenze della propria impresa. Negli ultimi quattro anni, più di 100 partecipanti hanno frequentato il corso CAS in CSR organizzato dalla SUPSI, oltre 60 imprese hanno presentato i loro cases studies aziendali e le lezioni sono state tenute da 40 docenti universitari ed esperti del settore.

Il prossimo 3 febbraio prenderà il via la quinta edizione del corso che propone 120 ore di formazione dedicate ai principali temi della CSR. Oltre al corso completo, è possibile iscriversi anche a singoli moduli alle condizioni indicate sul programma.

Il corso transfrontaliero si rivolge a imprenditori, quadri e dirigenti di aziende, e responsabili o funzionari di associazioni ed enti pubblici e privati. Il corso è indirizzato alle imprese del Cantone Ticino e delle province di Como e Lecco con apertura ad altri Cantoni e Province in caso di disponibilità. Il numero di posti è limitato e le iscrizioni si chiuderanno il 31 gennaio.

Il percorso formativo è svolto in collaborazione con il gruppo CSR Ticino ed è supportato finanziariamente dalla Divisione dell’economia del Dipartimento delle finanze e dell’economia del Cantone Ticino e dalla Camera di commercio di Como-Lecco. Il contributo economico di enti e istituzioni sottolinea l’importanza del tema per la competitività del territorio e la necessità della costruzione di una cultura comune e condivisa.

“Il tema negli ultimi anni ha subito un’accelerazione incredibile – ha dichiarato Jenny Assi, docente ricercatrice SUPSI e responsabile scientifica del corso”.
“Le imprese ogni giorno ricevono sempre più richieste di informazioni da parte di clienti, fornitori, istituti di credito, media e, in qualche caso anche dai collaboratori, sulla loro strategia di sostenibilità. Non vanno inoltre sottovalutati gli aspetti normativi che hanno coinvolto inizialmente le grandi imprese ma che ora riguardano, sempre più da vicino, anche quelle di medie dimensioni. E’ una sfida molto importante per la competitività delle imprese ma anche dei territori”.


Perché partecipare

– per avere una visione a 360° del tema

– per sviluppare le competenze interne

– per essere pronti a adottare le nuove normative

– per rispondere alle richieste degli enti finanziatori

– per soddisfare le richieste dei clienti e delle catene di fornitura

– per imparare a realizzare un rapporto di sostenibilità

– per coinvolgere e motivare i collaboratori

– per confrontarsi con altre imprese che hanno già affrontato il tema

– per entrare a far parte di un network di CSR manager


Il gruppo di studenti nel CAS CSR che hanno recentemente ricevuto il diploma (novembre 2022)

La quinta edizione del Certificate of Advanced Studies in Responsabilità Sociale delle Imprese

• Un percorso formativo completo per il ruolo di CSR manager

• Percorsi brevi su temi specifici

• Teoria e strumenti pratici

• Testimonianza delle imprese

• 120 ore di lezione

• 24 ore di laboratorio

• Il corso è rivolto alle imprese del Cantone Ticino e delle province di Como e Lecco, possono partecipare imprese di altri Cantoni e Province fino a esaurimento posti.

• Il corpo docente è formato da professionisti e docenti universitari con esperienza nazionale e internazionale e da responsabili di imprese e organizzazioni con comprovate esperienze sul tema.


Alcune testimonianze dei partecipanti

“Oltre a una formazione teorica riguardo i principali strumenti normativi che fanno da guida nell’implementazione della Responsabilità d’impresa nelle aziende, il corso ha soprattutto saputo trasmettere il “valore” della sostenibilità e l’importanza di un comportamento socialmente responsabile nelle aziende e anche nella vita quotidiana”

“La peculiarità di questo CAS è la ricchezza dei relatori: infatti le numerose testimonianze e gli interventi di diversi consulenti o esperti di settore, non solo hanno saputo fornire esempi pratici di CSR ,ma mi hanno permesso di creare una nuova rete di contatti con cui poter interagire e collaborare. Infine, il confronto con i miei colleghi studenti provenienti dai più diversi ambiti lavorativi e quello con tutti gli insegnanti è stata occasione di crescita personale oltre che professionale”

“Partecipare al Cas in CSR è stata un’esperienza formativa molto importante per il mio percorso professionale. Ho avuto modo di incontrare realtà leader nel campo della sostenibilità e ricevere una formazione di alto livello sui temi cruciali che oggi ogni professionista del mio settore deve conoscere”

“Considero un privilegio aver partecipato al corso. Ho redatto il primo bilancio di sostenibilità semplificato. Ho acquisito molte competenze ma il valore aggiunto di questa esperienza non è solo formativo. Ho capito che ognuno di noi deve contribuire sia a livello personale che professionale. Il confronto con tante realtà diverse tutte impegnate a creare valore e ridurre gli impatti negativi rappresentano per me una guida rispetto a ciò che potremo fare in azienda”

“Il CAS in CSR di SUPSI costituisce un’ottima base di partenza per chi deve approcciare il tema in modo strutturato. Grazie alle testimonianze di importanti aziende insubriche, il valore aggiunto per chi vi partecipa è percepibile già dal primo modulo.”


Informazioni dettagliate sul percorso sono disponibili attraverso questo link.

I collaboratori della Cc-Ti pronti ad intervenire in caso di arresto cardiocircolatorio

Un personale correttamente formato permette di intervenire rapidamente ed in maniera efficace in attesa dell’arrivo dei soccorsi professionali contenendo i danni fisici subiti in caso di malore o infortunio. Dei semplici gesti che possono salvare una vita. Per tale motivo, alcuni collaboratori della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino (Cc-Ti) hanno avuto la possibilità di partecipare al corso di primo soccorso “BLS-DAE SRC 4h” presso Croce Verde Lugano.

Già nel gennaio 2018 alcuni dipendenti della Cc-Ti avevano aderito a questa proposta formativa, certificandosi.

I partecipanti hanno acquisito le nozioni di base e le capacità necessarie a soccorrere la persona colta da arresto cardiocircolatorio (ACR) e di sostenere le funzioni vitali per mezzo della rianimazione cardiopolmonare e l’uso del defibrillatore (DAE). Questa formazione ha inoltre permesso al team Cc-Ti di aggiornare alcune conoscenze e tecniche di base per riconoscere e far fronte a situazioni che potrebbero sfociare in un ACR.

I corsi di formazione erogati da Croce Verde Lugano sono organizzati secondo le raccomandazioni dello Swiss Resuscitation Council (SRC) e le linee guida 2020 della International Liason Committee on Resuscitation (ILCOR). Al termine della formazione BLS viene rilasciata una certificazione di abilitazione alla rianimazione e defibrillazione, riconosciuta a livello europeo con una validità di 2 anni. Successivamente sarà possibile effettuare il corso BLS Refresh.

La formazione BLS permette inoltre di aderire alla rete dei “First Responder”, modello organizzativo innovativo ideato dalla Fondazione Ticino Cuore e dalla Federazione Cantonale Ticinese Servizi Ambulanze (FCTSA) nell’ambito del “piano cantonale di intervento in caso di arresto cardiaco e rianimazione precoce”.

La rete “First Responder” è costituita infatti da un insieme di persone ed istituzioni che, su base volontaria, hanno dato la propria disponibilità ad essere allarmati da Ticino Soccorso 144 per situazioni di arresto cardiaco.

Nel nostro Cantone si contano annualmente tra i 250 e 300 arresti cardiaci improvvisi con una sopravvivenza globale del 14%, che aumenta fino al 55% in caso di fibrillazione ventricolare. Ad ogni minuto di ritardo nella defibrillazione la probabilità di successo per una rianimazione efficace si riduce del 7-10%.

Il sistema di emergenza territoriale ticinese generalmente giunge sul paziente colpito da ACR improvviso mediamente in 9 minuti. I tempi di arrivo sul luogo sono influenzati da diversi fattori quali la distribuzione della popolazione, il tipo di territorio, le caratteristiche dell’organizzazione dei servizi di soccorso sanitario ed altre variabili.

La scelta della Cc-Ti di partecipare nuovamente alle iniziative proposte da Croce Verde Lugano è stata dettata dalla volontà di fornire ai propri dipendenti un’importante ed utile formazione di malore o infortunio.

Inoltre, con questa partecipazione, la Cc-Ti tiene a sensibilizzare le aziende sull’importanza di avvicinarsi alle tecniche di primo soccorso, con lo scopo di incrementare la rete di persone abilitate ad intervenire in caso di arresto cardiocircolatorio e di conseguenza aumentare le possibilità di sopravvivenza dei pazienti.


Per un’informazione mirata sull’offerta formativa di Croce Verde Lugano è possibile contattare la Coordinatrice, Signora Remina Sorrentino: corsi@croceverde.ch – T. +41 79 762 66 22.

Dovuta diligenza in materia di diritti umani: una guida per le aziende

Dopo aver dedicato un webinar a questo importate tema lo scorso settembre, segnaliamo la pubblicazione di una guida aggiornata edita dalla Confederazione, nel quadro del Piano d’azione nazionale “Imprese e diritti umani” della Svizzera 2020–2023 (PAN).

Aspettative crescenti sulla condotta aziendale responsabile

Le imprese, in particolare quelle attive a livello globale, sono valutate sempre più spesso in base all’impatto delle loro attività sui diritti umani e sull’ambiente. Allo stesso tempo, le aspettative dei Governi, della società, dei clienti privati e commerciali e degli investitori che le aziende rispettino i diritti umani stanno aumentando.

Di fronte alle richieste di maggiore responsabilità da parte delle aziende, le Nazioni Unite hanno adottato nel 2011 i Principi Guida delle Nazioni Unite su Imprese e Diritti Umani che descrivono la responsabilità fondamentale delle imprese di garantire il rispetto dei diritti umani e di non incidere negativamente su tali diritti attraverso le loro attività o le loro relazioni commerciali lungo l’intera catena di fornitura. Inoltre, gli stessi principi sono contenuti nelle Linee Guida dell’OCSE destinate alle Imprese Multinazionali, che comprendono un catalogo più ampio di tematiche relative al comportamento responsabile dell’impresa (RBC). Nel quadro del Piano d’azione nazionale “Imprese e diritti umani” della Svizzera 2020–2023 (PAN), anche la Confederazione promuove il comportamento responsabile delle imprese. Il Consiglio federale richiede alle imprese che si assumano la loro responsabilità in materia di diritti umani. La condotta aziendale responsabile è un importante motore per lo sviluppo sostenibile ed assume un’importanza strategica per le aziende. Secondo gli standard internazionali l’attuazione della dovuta diligenza in materia di diritti umani si articola in sei fasi (v. grafico esplicativo).

Nuovi requisiti legali in Svizzera

Sono sempre più numerosi gli obblighi legali sulla dovuta diligenza e trasparenza per le aziende. In Svizzera, ad esempio, sulla base del controprogetto indiretto all’iniziativa popolare “Per imprese responsabili – a tutela dell’essere umano e dell’ambiente”, si introducono nuovi obblighi per le aziende in tre aree tematiche:

  • la rendicontazione non-finanziaria,

e obblighi di dovuta diligenza e trasparenza nell’ambito

  • dei minerali dei conflitti e
  • del lavoro minorile.

Le disposizioni sono entrate in vigore il 1° gennaio 2022, e si applicheranno per la prima volta nell’anno fiscale 2023.

Iniziare a cimentarsi nell’implementazione della dovuta diligenza

La maggior parte delle aziende si è già dotata di varie misure e processi relativi alla dovuta diligenza in materia di diritti umani, per esempio nell’area della salute e sicurezza sul lavoro, della non discriminazione o del lavoro minorile. Spesso, tuttavia, questi processi non sono stati istituiti nel contesto della dovuta diligenza sui diritti umani e, quindi, non sono immediatamente riconducibili ad essa. Un buon punto di partenza per implementare efficacemente la dovuta diligenza è quindi condurre un’analisi delle misure esistenti per valutare in che misura l’azienda già soddisfa i sei elementi fondamentali della dovuta diligenza e quali sono, eventualmente, le lacune da colmare. L’obiettivo è di partire da quello che già esiste e funziona. Sulla base di quest’analisi, si identificano misure utili per l’ulteriore sviluppo dei processi di dovuta diligenza e si può elaborare un primo rapporto sull’argomento.

Peculiarità per le PMI

La responsabilità di rispettare i diritti umani si applica a tutte le aziende, indipendentemente dalle loro dimensioni. Tuttavia, l’implementazione concreta della dovuta diligenza varia a seconda delle dimensioni e del profilo di rischio dell’azienda, che deve sempre essere vincolato alle circostanze specifiche e al contesto operativo dell’azienda. Le peculiarità per le PMI derivano, per esempio

  • dalla capacità e il grado di formalizzazione dei processi aziendali e della struttura di gestione associati alla dovuta diligenza;
  • dalla natura delle relazioni con i fornitori e la complessità della catena di approvvigionamento. Infatti, le PMI mantengono relazioni più strette con i fornitori e presentano catene di fornitura che permettono di semplificare notevolmente i processi di dovuta diligenza.

Ciononostante, le misure specifiche adottate devono sempre tenere conto della gravità degli impatti sui diritti umani. Gli impatti gravi richiedono misure appropriate indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda. Una PMI con un alto profilo di rischio dovrebbe quindi implementare processi di dovuta diligenza più stringenti di una PMI caratterizzata da rischi meno elevati. Pertanto, il contesto e l’attività di un’azienda sono il primo elemento da considerare nel progettare la dovuta diligenza, mentre la dimensione dell’azienda rimane un aspetto secondario.

Nuova pubblicazione sul tema

Una guida pratica per le aziende è stata realizzata da focusright nell’ambito del Piano d’azione nazionale per le imprese e i diritti umani (PAN), su incarico della Segreteria di Stato dell’economia SECO e del Dipartimento federale degli affari esteri DFAE. La guida aiuta sia le PMI che le grandi aziende a sviluppare e implementare processi pragmatici ed efficaci per integrare la dovuta diligenza in materia di diritti umani in linea con i Principi Guida delle Nazioni Unite e le Linee Guida dell’OCSE. Inoltre, indica i primi passi che possono risultare utili alle aziende per impostare la dovuta diligenza. Questa pubblicazione è disponibile attraverso questo link.


Articolo a cura di Regula Meng, Senior Consultant, focusright GmbH

DOCUMENTI UTILI
– pubblicazione “Linee guida pratiche sull’attuazione della diligenza in materia di diritti umani
sito focusright
sito ufficio di coordinazione del Piano nazionale per le imprese e i diritti umani e collegato alla SECO e alla Divisione Pace e diritti umani del DFAE

Rivedere il webinar “Due diligence (Dovuta diligenza) in materia di diritti umani” del 6 settembre 2022