Un tempo, le strade erano un “arricchimento del paesaggio”

In autunno, gli Svizzeri voteranno sul piano di ampliamento delle autostrade.
Ma le strade veloci non sono sempre state un ostacolo nel nostro paese.
In passato la loro costruzione è stata addirittura acclamata; anche dai politici di sinistra.

© Staatsarchiv Luzern

L’anno è il 1955. Winston Churchill si dimette da Primo Ministro britannico. La Repubblica Federale della Germania Ovest diventa uno Stato sovrano. L’Unione Sovietica e sette Paesi dell’Europa orientale firmano il Patto di Varsavia. In Svizzera viene inaugurata la prima autostrada, o almeno un tratto di questa. L’inaugurazione ha avuto luogo l’11 giugno a sud di Lucerna, grosso modo dove oggi sorge la birreria Eichhof.
Era lunga circa quattro chilometri e si snodava tra Lucerna ed Ennethorw. In un supplemento speciale del quotidiano cattolico conservatore Vaterland, il titolo dell’epoca recitava: “Questa opera pioneristica segna una pietra miliare nella costruzione delle strade svizzere”. Si leggeva poi che quel giorno veniva inaugurata “l’apertura della prima linea ferroviaria Zurigo-Baden”. Il nuovo tratto autostradale non ha né guardrail né bretelle di accesso e uscita e non ci sono nemmeno limiti di velocità! In compenso, è provvista di passaggi pedonali e mezzi trainati da cavalli o biciclette vi possono circolare liberamente, come scrive Alexander Rechsteiner nel suo blog per il Museo Storico Nazionale. In quel periodo, la Confederazione non era ancora responsabile della costruzione delle strade, ma sostenne il progetto da 8 milioni di franchi nella misura del 60 %.

La “Berner Marsch” viene suonata per Grauholz

In generale, la costruzione di autostrade in Svizzera è iniziata relativamente tardi. Nel 1950 circolavano solo 147’000 automobili. In seguito, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, questo numero è aumentato in modo significativo grazie alla crescente prosperità, moltiplicandosi per tre volte e mezzo nel giro di dieci anni.
Nel Paese si sente quindi un’atmosfera di rinnovamento. Le autostrade sono viste come un motore economico, un segno di progresso e di sviluppo tecnico. Un degrado della natura? Al contrario. Nel 1955, il “Vaterland” si compiaceva del “tracciato armonioso” della nuova superstrada, che aveva “veramente arricchito il paesaggio”. Oggi questo tratto di strada fa parte della rete europea tra Amsterdam e Roma, conosciuta come E35. Qualche anno dopo, si sente dire la stessa cosa. “L’autostrada si inserisce perfettamente nel magnifico paesaggio bernese”, disse allora l’ex consigliere federale Hans Peter Tschudi (†) nel 1962 a proposito della Grauholz bernese. La „Berner Marsch“ viene suonata e poco dopo viene aperta al traffico la Strada Nazionale 1, oggi la A1. Ecco come la NZZ descrisse l’evento. Il socialista H.P. Tschudi è convinto che “le opere dell’uomo non danneggino l’immagine della nostra patria”.

“Kölliken ringrazia per l’autostrada”

Naturalmente, anche all’epoca si levarono voci critiche. Nel complesso, tuttavia, prevaleva uno stato d’animo positivo quando si trattava di costruire strade. Sui ponti si possono ad esempio leggere frasi come “Kölliken ringrazia per l’autostrada”. Gli appartamenti che si affacciavano sulle autostrade poterono persino essere affittati a prezzi particolarmente vantaggiosi: è quanto sostiene di aver scoperto il comico Mike Müller, che nel 2015 ha sviluppato il tema dell‘A1 in un progetto teatrale.
Il governo federale diventa responsabile per la costruzione di autostrade solo dal 1960. Questo cambiamento è stato preceduto nel 1956 da un’iniziativa popolare presentata dall’ACS e dal TCS, il cui scopo era migliorare la rete stradale. L’iniziativa prevedeva tra l’altro che la metà di tutte le entrate derivanti dall’imposta sugli oli minerali e sui carburanti doveva essere utilizzata per costruire strade per la circolazione delle automobili. Nel 1958, una controproposta della Confederazione fu accettata con l’85% dei voti favorevoli.
Negli anni successivi vennero fatti grandi investimenti: si aggiungevano continuamente nuovi tratti e, giusto in tempo per l’esposizione nazionale Expo 64, la Svizzera francese ebbe la sua prima autostrada con il tratto tra Ginevra e Losanna. La maggior parte delle autostrade fu invece costruita tra il 1965 e il 1975. Nel 1980, oltre l’80% della rete autostradale era già a quattro corsie. Le opere fondamentali di questo periodo furono l’apertura del tunnel del San Bernardino alla fine del 1967 e, naturalmente, il tunnel stradale del Gottardo, completato il 5 settembre 1980 dopo dieci anni di lavori.

Limiti di velocità? Neanche per sogno

Con l‘aumento del traffico, aumenta anche il numero di vittime della strada. Nel 1970 si contarono 1’700 vittime della circolazione. La ragione principale fu la mancanza di barriere anticollisione centrali e di limiti di velocità. All’inizio degli anni ‘60, il Consiglio federale non era ancora favorevole all’introduzione di limiti di velocità sulle autostrade. L’attuale limite massimo di velocità di 120 km/h è in vigore solo dal 1985, mentre prima, su alcuni tratti, era possibile viaggiare anche a 130 km/h. Resta il fatto che il numero di vittime della strada è costantemente diminuito dopo il triste primato del 1970. Secondo l’Ufficio federale di statistica, il numero di vittime nel 2023 si attesta a 236. Oggi la rete stradale nazionale si sviluppa su 2’254 chilometri. Negli ultimi anni la stessa ha subito una serie di adeguamenti della capacità a causa di vari colli di bottiglia che hanno causato lunghi ingorghi: i principali sono la terza canna del tunnel di Baregg (2004), l’allargamento a sei corsie del tratto di A1 tra Härkingen e Wiggertal (2015) e l’apertura della terza canna del Gubrist (2023). La tangenziale ovest con il tunnel dell’Uetliberg (2009) è particolarmente importante per la regione di Zurigo.

La rete autostradale è sull’orlo del collasso

Per quanto importanti per il trasporto di merci e persone, le autostrade svizzere sono oggi giorno molto contestate, come dimostra il referendum contro il progetto del loro ampliamento. La situazione è che dal 2010 “il numero di ore passate fermi in colonna sulle strade nazionali è più che raddoppiato, e questo a causa degli ingorghi causati da sovraccarico delle infrastrutture”, come evidenziato dall’Ufficio federale di statistica sul suo sito web. In concreto, nel 2022, gli svizzeri hanno trascorso quasi 40’000 ore bloccati in ingorghi.
Rispetto al 2021, questo rappresenta un aumento del 23 %. Le ragioni sono chiare: negli ultimi anni la Svizzera è diventata ancora più attraente come luogo in cui vivere e lavorare, e la popolazione è quindi in crescita. Alla fine di giugno 2023, in Svizzera vivevano più di nove milioni di persone. Nel 1995 erano ancora solo sette milioni. La rete autostradale oggi non riesce a tenere il passo con questa crescita demografica. A titolo di confronto, dal 1990 è cresciuta solo del 25%, mentre nello stesso periodo il volume di traffico è aumentato del 130%.
Riuscite ad immaginare di poter viaggiare da Berna a Zurigo il lunedì sera senza trovarvi almeno una volta in una colonna di veicoli? È impossibile.
È così che la storia della rete stradale nazionale svizzera ha avuto un inizio entusiasmante, che per lungo tempo ha permesso alla Svizzera di crescere economicamente, ma che nel frattempo è diventato uno dei pomi della discordia per la politica che si esprime sul tema in modo assai emotivo. Una cosa deve essere chiara: la scelta che saremo chiamati fare non riguarda l’ampliamento della rete autostradale. Si tratta semplicemente di salvarla dal collasso.

La scelta dell’auto non basta

Acquistare un’automobile a propulsione elettrica non significa solamente scegliere la marca, il modello, il colore e gli optional. Occorre pure preoccuparsi del sistema da utilizzare per la ricarica elettrica della batteria. Con veicolo a propulsione termica, benzina o diesel che sia, per fare il pieno di carburante ci si reca semplicemente presso una delle numerose stazioni di rifornimento sparse sul territorio e, in pochi minuti, il pieno è fatto. Con l’auto elettrica non funziona così.

O meglio, potrebbe anche funzionare in questa maniera, infatti le colonnine di ricarica pubbliche sono disponibili e ben ripartite sul territorio e quindi a disposizione per la ricarica dell’auto. Ma come sappiamo per ricaricare parzialmente o totalmente la batteria occorre più di qualche minuto e quindi il tempo che il proprietario di un’auto elettrica deve investire per fare il pieno risulterebbe non sopportabile.

Una soluzione naturalmente esiste, è pratica e addirittura impegna meno tempo per il pieno al proprietario dell’auto. È la ricarica a domicilio. Ecco che quindi, acquistando un veicolo elettrico è indispensabile pure acquistare, se non già disponibile, un sistema di ricarica da installare nel proprio box o parcheggio di casa. In questa maniera l’auto elettrica può tranquillamente essere ricaricata nei momenti in cui non viene utilizzata e il proprietario non deve preoccuparsi di investire il proprio tempo libero per fare il pieno. Naturalmente tutto questo richiede un’installazione dell’infrastruttura di ricarica adatta alle proprie esigenze e possibilità.

La situazione abitativa della popolazione svizzera è molto variegata e va dai proprietari di case unifamiliari fino agli inquilini che abitano in condomini gestiti da amministrazioni immobiliari o dai proprietari dello stabile abitativo. Ogni situazione personale richiede una soluzione specifica che non può semplicemente essere ridotta all’acquisto di una wallbox da collegare alla presa elettrica di casa. Anche in questo ambito la tecnologia ha fatto passi da gigante e il mercato offre soluzioni più o meno valide.

Innanzitutto, va specificato che utilizzare un caricatore per batteria da collegare alla normale presa elettrica di casa è assolutamente sconsigliato ed addirittura pericoloso. Le normali prese domestiche non sono progettate per sopportare dei carichi di corrente relativamente elevati e per diverse ore in modo continuato. Il rischio è quello di provocare un incendio per surriscaldamento della presa. Occorre quindi acquistare una stazione di ricarica da collegare in maniera adeguata direttamente all’impianto elettrico o comunque tramite una presa progettata a questo scopo. La scelta poi della stazione di ricarica richiede pure attenzione. Sul mercato ne esistono principalmente di due tipi: le stazioni “non intelligenti” e quelle “intelligenti”. Le prime le possiamo classificare come dei semplici fornitori di energia elettrica che si occupano di fornire sempre il massimo della corrente elettrica richiesta dal veicolo per caricare la batteria di trazione. La seconda invece prevede la possibilità di adeguare l’erogazione di corrente in base alla disponibilità offerta dall’impianto elettrico di casa senza sovraccaricarlo o di fornire maggiore potenza quando ad esempio splende il sole e l’impianto fotovoltaico genera una maggiore quantità di energia elettrica disponibile tra l’altro a costo zero.

Un altro aspetto fondamentale di questa tecnologia, se applicata in modo corretto, è quello di non sovraccaricare la rete pubblica di distribuzione dell’energia elettrica mettendo in crisi l’intero sistema di approvvigionamento. Si, perché un problema che, con il continuo aumento delle vetture con necessità di
ricarica della batteria di trazione, sarà quello del sovraccarico che, in alcuni momenti della giornata, per esempio alla sera quanto buona parte della popolazione rientra dal lavoro e approfitta di caricare la propria auto, si verificherà sempre più spesso.

Le possibili soluzioni per evitare blackout elettrici o limitazione della ricarica delle auto, sono principalmente due:

  • il potenziamento spropositato della rete di distribuzione dell’energia elettrica con investimenti miliardari o
  • una gestione intelligente dell’energia elettrica disponibile grazie alla ripartizione del carico e allo sfruttamento della sovrapproduzione in particolare delle fonti di energia rinnovabile.

Tra le due è sicuramente più sensato puntare sulla seconda soluzione. In questo caso ogni singolo automobilista con un piccolo investimento può dare il suo contributo installando una colonnina di ricarica intelligente e connessa e, nel prossimo futuro, con l’installazione di una colonnina bidirezionale che permette di trasformare l’auto con batteria di trazione da semplice mezzo di trasporto a powerbank per lo stoccaggio e la messa a disposizione in caso di necessità dell’energia accumulata nei momenti di sovrapproduzione.

Tornando alla considerazione iniziale e partendo dal principio che per ogni veicolo elettrico in circolazione ci deve essere una stazione di ricarica privata a disposizione, oltre alla scelta della nuova auto occorre scegliere il giusto impianto di ricarica. L’importante è non accontentarsi della prima offerta di una wallbox “stupida”, magari meno costosa, ma richiedere una consulenza tecnica professionale e lungimirante che offra soluzioni durevoli nel tempo e adattabili alle mutate esigenze di una mobilità moderna e sostenibile.


Articolo a cura di Marco Doninelli, Responsabile mobilità Cc-Ti

Sviluppo della rete autostradale: un referendum che danneggia anche il Ticino

Assieme alla rete ferroviaria, quella stradale nazionale è vitale per il buon funzionamento del nostro Paese. La mobilità individuale, quella pubblica, così come quella necessaria alla consegna delle merci, sono possibili unicamente con infrastrutture ferroviarie e stradali moderne ed efficienti.

Entrambe con importanti necessità di manutenzione e sviluppo, la rete stradale nazionale e quella ferroviaria sono oggi in più punti sovraccariche. Quella autostradale, in particolare, pur rappresentando meno del 3% delle strade in Svizzera, assorbe oltre il 40% del traffico privato e il 70% di quello delle merci su strada, garantendo in particolare anche il tragitto tra i grandi centri di smistamento ferroviari e i destinatari.

Nel breve volgere degli ultimi 10 anni, malgrado i chilometri percorsi da tutti i veicoli siano aumentati soltanto del 5,3%, le ore di colonna complessive sono raddoppiate (+ 100%), raggiungendo le 40’000 ore in coda all’anno. E la tendenza, con l’aumento previsto della popolazione e il sempre crescente bisogno di mobilità, tanto su strada, quanto su ferrovia, è di un incremento esponenziale, con quindi l’elevata probabilità che il traffico, in più punti congestionato sulla rete autostradale, alla stessa stregua di quella ferroviaria, si riversi sulle strade cantonali e comunali, all’interno degli agglomerati.
Ora, se i necessari investimenti nella ferrovia (garantiti a livello nazionale dal fondo per il finanziamento e l’ampliamento dell’infrastruttura ferroviaria, FIF, approvato in votazione popolare nel 2014) non vengono attaccati per motivi ideologici, raccogliendo quindi il giusto consenso, quelli per il buon funzionamento delle strade nazionali e la risoluzione dei problemi di traffico negli agglomerati (pure garantiti da un fondo federale, FOSTRA, anch’esso approvato dal popolo nel 2017) devono invece, non di rado, superare lo scoglio di posizioni contrarie per principio.

L’ultimo in ordine di tempo è il referendum lanciato da associazioni ambientaliste capeggiate dall’Associazione traffico e ambiente (ATA) e sostenuto da PS e Verdi contro il programma di sviluppo (la cosiddetta “fase di potenziamento 2023”) della rete stradale nazionale concernente cinque progetti maturi per il decongestionamento di tratte correntemente interessate da ingorghi con il conseguente traffico parassitario che si riversa sulle strade di quartiere degli agglomerati limitrofi e quindi con la conseguenza di maggiori rumori, pericoli e inquinamento, che i progetti in questione si propongono invece di migliorare.

Nello specifico, si tratta della costruzione della terza galleria nel tunnel del Rosenberg a San Gallo, della seconda galleria nel tunnel di Fäsenstaub a Sciaffusa, del tunnel del Reno a Basilea, di una corsia supplementare per senso di marcia sul tratto Wankdorf-Schönbühl-Kirchberg a Berna, così come tra Le Vengeron, Coppet e Nyon, nei Cantoni di Ginevra e Vaud.

Dal canto suo, il referendum in questione costituisce una posizione di principio, contro “nuovi investimenti nelle strade”, che – se accolta – verrà replicata con la medesima motivazione ideologica (“basta investire nelle autostrade”) e determinerà il posticipo di tutta la pipeline dei progetti previsti in futuro sangallesi, sciaffusani, basilesi, bernesi, vodesi e ginevrini non lasceranno ovviamente che altri passino davanti ai loro già maturi adesso), fra cui, in coda, ci sono anche quelli che concernono il Cantone Ticino, collegamento A2-A13 (Bellinzona-Locarno) in testa.
Quest’ultimo è attualmente in fase di affinamento da parte dell’Ufficio federale delle strade (USTRA), che ha ripreso in buona parte quanto era stato elaborato dal Cantone Ticino per accelerare i tempi. Il risultato confluirà nel progetto generale che dovrà essere approvato dal Consiglio federale e poi inserito definitivamente in uno dei prossimi (si confida il prossimo) programma di sviluppo della rete nazionale con un orizzonte realizzativo per ora previsto al 2040.

Sostenere il referendum in questione, per il quale si andrà al voto il prossimo autunno, oltre che impedire il decongestionamento di importanti arterie stradali e la messa in sicurezza delle strade secondarie su cui il traffico intasato sempre più devierebbe, vuol quindi pure dire mettere a repentaglio i nostri interessi cantonali e segnatamente la realizzazione, finalmente, del collegamento autostradale tra Bellinzona e Locarno, così come altri futuri progetti anche a sud delle Alpi.


Articolo a cura di Simone Gianini, Consigliere nazionale, Presidente ACS Sezione Ticino

Identificare i rischi nella catena del valore

Crescono le pressioni sulle aziende da parte di clienti, investitori, governi e altri gruppi di interesse affinché adottino pratiche più trasparenti e in linea con gli standard internazionali di sostenibilità. Per aiutare le imprese che importano, esportano o hanno impianti di produzione all’estero a valutare i rischi sociali, ambientali e di governance nella catena del valore, la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) mette ora a disposizione lo strumento CSR Risk Check.

I rischi della catena di fornitura possono riguardare un’ampia gamma di questioni, come i diritti umani, l’ambiente o, ancora, la corruzione. È quindi importante che le aziende attuino procedure di due diligence che le aiutino ad evitare il più possibile un impatto negativo delle loro attività sulla società e sull’ambiente. Tuttavia, spesso le piccole e medie imprese (PMI) non dispongono delle risorse finanziarie e umane per effettuare un’analisi approfondita dei rischi o per assumere specialisti nella gestione degli stessi. Nell’ambito di un progetto pilota, la SECO mette quindi a loro disposizione uno strumento digitale che, con pochi clic, consente loro di individuare a quali rischi sono esposte le loro attività commerciali internazionali e come gestirli al meglio.

Lo strumento si chiama CSR Risk Check, è stato sviluppato dall’organizzazione MVO Nederland ed è finanziato dal Ministero degli Affari Esteri olandese. La versione in lingua tedesca è stata realizzata in collaborazione con UPJ e con il Business and Human Rights Helpdesk dell’Agenzia tedesca per l’economia e lo sviluppo (AWE) ed è finanziata dal Ministero federale tedesco per la cooperazione economica e lo sviluppo (BMZ) e dalla Segreteria di Stato dell’economia (SECO). Poiché per la SECO si tratta di un progetto pilota, lo strumento è attualmente fruibile solo in inglese e tedesco.

Il CSR Risk Check fornisce in forma anonima e gratuita un elenco immediato di potenziali problemi sotto forma di valutazione del rischio per 250 Paesi e 400 prodotti, suggerisce possibili soluzioni per ridurre al minimo i rischi e fornisce ulteriori fonti di informazione. Esso serve altresì per implementare le Linee guida dell’OCSE per le imprese multinazionali, recentemente aggiornate, e i Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani.

Diritti umani e ambiente: obblighi di diligenza, trasparenza e rendicontazione

Il 1° gennaio 2024 sono entrati in vigore in Svizzera gli obblighi di diligenza e trasparenza in relazione a minerali e metalli originari di zone di conflitto e al lavoro minorile, nonché gli obblighi di rendicontazione non finanziaria. Il 15 marzo 2024, il Consiglio dell’Unione europea ha approvato la direttiva sulla due diligence delle imprese ai fini della sostenibilità (CS3D), che interesserà sia le aziende dell’UE sia le aziende extra-UE con un fatturato significativo nell’Unione europea. In un quadro legislativo sempre più complicato, le imprese devono disporre degli strumenti necessari per soddisfare i requisiti di legge e condurre una due diligence mirata.

Le regolamentazioni svizzere

Dopo la bocciatura nel 2020 dell’iniziativa popolare “Per imprese responsabili – a tutela dell’essere umano e dell’ambiente” (Iniziativa per imprese responsabili), il 1° gennaio 2024 è entrato in vigore il controprogetto indiretto del Consiglio federale svizzero che modifica il Codice delle obbligazioni e prevede obblighi di rendicontazione non finanziaria nonché di diligenza e trasparenza in materia di lavoro minorile e di minerali e metalli provenienti da zone di conflitto.

Obblighi di rendicontazione non finanziaria

Ai sensi dell’Ordinanza concernente la relazione sulle questioni climatiche, a partire dall’anno fiscale 2023, le società pubbliche, le banche e le assicurazioni con almeno 500 dipendenti e una somma di bilancio di almeno 20 milioni di franchi o una cifra d’affari di oltre 40 milioni di franchi sono obbligate a presentare una rendicontazione non finanziaria e a rendere pubblici ragguagli sulle questioni ambientali, gli aspetti sociali e inerenti al personale, il rispetto dei diritti umani e la lotta alla corruzione, ivi compresi i rischi connessi e le misure adottate per farvi fronte (cfr. articoli 964a-964c del Codice delle obbligazioni).

Le società che soddisfano questi requisiti, ma che sono controllate da una società che rientra nel campo di applicazione sopra menzionato o che devono redigere una relazione equivalente in base alla legislazione estera sono esenti dagli obblighi di rendicontazione non finanziaria.

Due diligence e trasparenza in relazione a metalli e minerali originari di zone di conflitto e al lavoro minorile

Le aziende esposte a rischi connessi con il lavoro minorile o con metalli e i minerali provenienti da zone di conflitto devono soddisfare specifici requisiti di due diligence e di rendicontazione se vengono superate le soglie per l’importazione e la lavorazione di minerali e metalli provenienti da tale aree stabilite nell’Allegato I dell’Ordinanza sugli obblighi di diligenza e trasparenza in relazione a minerali e metalli originari di zone di conflitto e al lavoro minorile (ODiT) (vedi articoli 964k-964l del Codice delle obbligazioni).

La categoria dei minerali comprende minerali, oro e concentrati contenenti stagno, tantalio o tungsteno. I metalli sono quelli contenenti o costituiti da stagno, tantalio, tungsteno o oro, anche sotto forma di sottoprodotti.

Gli obblighi di diligenza comprendono la definizione di una strategia relativa alla catena di approvvigionamento e di un sistema di tracciabilità della catena di approvvigionamento e la loro implementazione.

La Due Diligence Guidance for Responsible Supply Chains of Minerals from Conflict-Affected and High-Risk Areas dell’OCSE e il Regolamento (UE) 2017/821 fungono da riferimento.

Il Consiglio federale sta analizzando le possibili implicazioni sulle aziende svizzere della Direttiva europea sulla due diligence delle imprese ai fini della sostenibilità (CS3D) e deciderà i prossimi passi non appena la versione finale di tale direttiva saranno disponibili e saranno noti i meccanismi con cui gli Stati membri dell’UE la implementeranno.

La CS3D europea

Dopo due tentativi falliti di ottenerne l’approvazione, il 15 marzo 2024 il Consiglio dell’UE ha adottato una versione alquanto annacquata della Direttiva europea sulla due diligence delle imprese ai fini della sostenibilità (CS3D), che richiede alle imprese con sede nell’UE e alle imprese extra-UE con attività nel mercato comunitario di gestire con attenzione gli impatti sociali e ambientali lungo l’intera catena di approvvigionamento. La prossima tappa sarà l’approvazione da parte del Parlamento europeo di questo “testo di compromesso” (verosimilmente nel corso del mese di aprile 20024). Se approvata, la direttiva CS3D si applicherà alle aziende con almeno 1’000 dipendenti e un fatturato superiore a 450 milioni di euro, anziché 500 dipendenti e un fatturato di almeno 150 milioni di euro, come proposto in precedenza dalla Commissione. Sono state eliminate le soglie più basse per le imprese ad alto impatto, come quelle attive nella produzione tessile, la produzione alimentare, l’estrazione di minerali e l’edilizia.

Le legislazioni di alcuni Stati membri, come la Germania (Legge sulla due diligence della catena di approvvigionamento o “Lieferkettengesetz”), la Francia (Legge sull’obbligo di diligenza o “Loi sur le devoir de vigilance”) o ancora i Paesi Bassi (Legge sulla due diligence per il lavoro minorile o “Wet Zorgplicht Kinderarbeid”, e il progetto di legge sulla catena di fornitura), dovranno essere adattate a CS3D.

Le imprese dovranno essere molto più attente quando si tratta di fornitori.

Ciò che è certo è nei prossimi anni il panorama legislativo relativo a questi argomenti sarà sempre più complesso e avrà un impatto significativo su molte aziende, che saranno quindi chiamate a dotarsi degli strumenti necessari per soddisfare i requisiti di legge e condurre una due diligence mirata.


La Lugano Commodity Trading Association ne parlerà in dettaglio il 17 aprile prossimo in un workshop organizzato in stretta collaborazione con Intertek e focusright e aperto anche ai soci Cc-Ti (per l’accesso privilegiato contattare Monica Zurfluh, responsabile Commercio internazionale Cc-Ti): April 17, 2024 – How to meet EU & Swiss Human Rights & Environmental Legislation Requirements – LCTA

Fonte: articolo Human rights and environment: due diligence, transparency and reporting obligations – LCTA pubblicato dalla Lugano Commodity Trading Association (LCTA) il 14 marzo e aggiornato il 19 marzo.

Calcolatore emissioni CO2 per le aziende in Ticino

Il settore di ricerca CSR e rendicontazione della sostenibilità, con il sostegno della Divisione dell’economia, mette a disposizione delle imprese e degli enti con sede nel Cantone Ticino un Calcolatore semplificato che permette di stimare e inventariare le emissioni annuali di gas a effetto serra (GHG).

Questo Calcolatore di emissioni CO2 per le aziende in Ticino è concepito come uno strumento semplificato per stimare e inventariare le emissioni annuali di gas a effetto serra (GHG) per le aziende con sede nel Canton Ticino. Il calcolatore consente di stimare le emissioni di gas serra da fonti di Scopo 1 (dirette), Scopo 2 (indirette) e di alcune fonti di Scopo 3 (altre indirette). Per quanto riguarda lo Scopo 3, il calcolatore non permette di calcolare le emissioni dovute all’acquisto di materiali. Lo sviluppo del Calcolatore è basato sul modello “Simplified GHG Emissions Calculator” dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente degli Stati Uniti (disponibile al seguente link: https://www.epa.gov/climateleadership/simplified-ghg-emissions-calculator).

Tool aggiornato nel gennaio 2024.

Download Calcolatore CO2


Fonte: Progetto CSR Ticino

Swisstainable e rapporto di sostenibilità semplificato: un accordo per il label

Svizzera Turismo nell’ambito del programma Swisstainable, conferisce  ai fornitori di servizi sostenibili un marchio che consentirà loro di fungere da esempio.

Il marchio Swisstainable rende visibile a colpo d’occhio l’impegno per la sostenibilità nel settore. Il marchio è facile da integrare nella comunicazione di tutti i fornitori di servizi. In base al livello di sostenibilità adottato dai partner, Svizzera Turismo riconosce tre livelli di adesione al programma: livello 1 committed, livello 2 engaged, livello 3 leading. Per le imprese del settore turistico alberghiero del Cantone Ticino che dispongono del rapporto di sostenibilità con certificato di conformità della Camera di Commercio, Svizzera Turismo riconosce il livello Swisstainable 2. Per il Dipartimento delle Finanze e dell’economia che ha sostenuto il modello di rapporto semplificato realizzato da SUPSI e promosso dalla Camera di Commercio si tratta di un riconoscimento prestigioso che conferma la qualità dello strumento messo a disposizione delle imprese ticinesi.


Fonte: Progetto CSR Ticino

La mobilità elettrica funziona!

di Marco Doninelli, Responsabile mobilità Cc-Ti

Su queste pagine ho scritto spesso a favore delle automobili a propulsione totalmente elettrica. Che questa sia la mobilità del futuro sono certo che non ci siano dubbi. Ma oggi come vanno le cose per i possessori di auto a batteria? Dallo scorso aprile utilizzo una vettura completamente elettrica per i miei spostamenti giornalieri per recarmi al lavoro, ma anche per quelli saltuari su medie e lunghe distanze. Ho quindi deciso di condividere l’esperienza di dieci mesi di viaggi in modalità elettrica.

Il primo impatto a bordo della nuova auto elettrica è senz’altro positivo. Basta premere il pulsante start, inserire la modalità drive e, in completo silenzio, la vettura si mette in marcia. L’assenza del rumore del motore (che ad alcuni amanti delle auto sportive potrebbe mancare) e del cambio (le auto elettriche non hanno bisogno di un cambio di velocità) offrono a conducente e passeggeri un confort di marcia superiore. Anche la guida risulta tendenzialmente più dolce e tranquilla malgrado l’elevata potenza e coppia di cui generalmente dispongono questo genere di vetture. Per il resto l’auto si guida come un’aut a propulsione tradizionale se non per una percepibile differenza in fase di decelerazione. In particolare, selezionando la modalità recupero energia togliendo il piede dall’acceleratore, la decelerazione del veicolo è abbastanza brusca tanto che sembra di aver azionato i freni. Questo effetto, inizialmente anche un po’ fastidioso in quanto non si è abituati, è dovuto al motore elettrico che si trasforma in generatore, trasformando l’energia di movimento in energia elettrica che viene immagazzinata nelle batterie. Oltre che recuperare energia gratuitamente, questo sistema permette di risparmiare in maniera decisa l’utilizzo dei freni con un evidente risparmio anche a livello di costi di manutenzione. Fino ad oggi ho percorso oltre sedicimila chilometri, una percorrenza quindi superiore alla media che si attesta a circa quindicimila chilometri all’anno, con un consumo medio di 17,5 Kwh che corrisponde a poco più di 2’800 Kwh di energia elettrica.
Ipotizzando un costo medio dell’elettricità di 27 centesimi al Kwh per la carica al domicilio e di 55 centesimi per le ricariche pubbliche (colonnine di ricarica con potenza massima 22 Kw) ho speso grosso modo 1’150.00 CHF per ricaricare la batteria del veicolo. Questo corrisponde a circa 7.20 CHF per cento chilometri con un risparmio rispetto ad un veicolo a benzina di oltre il quarantacinque percento. Non male. E questo non considerando che buona parte dell’energia che ho utilizzato a domicilio per caricare la vettura è stata prodotta con un impianto fotovoltaico e quindi a costo quasi zero.

Ma veniamo all’esperienza di utilizzo quotidiana. Per recarmi al lavoro percorro ogni giorno circa ottanta chilometri. Con un’autonomia della batteria dichiarata di circa trecento chilometri (in realtà l’autonomia sarebbe di quattrocento chilometri, ma, come consigliato dal fabbricante dell’auto, carico la batteria generalmente solo all’ottanta percento della sua capacità così da preservarne l’efficienza anche sull’arco di molti anni) posso viaggiare almeno tre giorni senza bisogno di collegare la vettura alla wallbox di casa.
Abitando in collina e percorrendo quindi i primi cinque chilometri di strada casa-lavoro in discesa recuperando energia, ho avuto la gradevole sorpresa di riuscire ad arrivare sul posto di lavoro quasi completamente a gratis spendendo solo pochi centesimi di elettricità. Un bel risultato anche se in inverno la situazione è un po’ meno esaltante a causa dell’importante limitazione dell’autonomia. Preriscaldando però la batteria e l’abitacolo del veicolo è possibile limitare questa sgradita situazione. Nell’uso di tutti i giorni quindi, potendo caricare la vettura al domicilio, l’esperienza della mobilità elettrica è più che positiva e i maggiori costi dovuti al prezzo del veicolo ancora più elevato rispetto ad un veicolo con propulsione tradizionale e al costo della wallbox installata a casa, presto sarà ammortizzato.

E per i viaggi più lunghi? In questi mesi mi è capitato spesso di fare diversi viaggi giornalieri di quasi 200 chilometri e alcuni di oltre 300/400.
Per i primi il comportamento da tenere non cambia molto rispetto ai tragitti casa-lavoro se non quello, comunque da tenere in considerazione, di organizzarsi la sera verificando di avere un’autonomia della batteria sufficiente e, se necessario, di provvedere alla carica durante la notte. Per i viaggi più lunghi le cose cambiano
e questa è forse la situazione che crea ancora scetticismo verso la mobilità elettrica. In questo caso bisogna veramente reimparare a pianificare gli spostamenti.

Reimparare perché ormai, in particolare con l’avvento dei sistemi di navigazione, siamo abituati a non più preparare i viaggi ma semplicemente a salire in macchina, impostare la destinazione sul navigatore e partire senza nemmeno conoscere la strada da percorrere. Tanto ci guida la signora del navigatore. Con una vettura elettrica questo non funziona più o almeno è perlomeno rischioso.

Sì, perché sicuramente partendo per un viaggio più lungo di quanto permetta l’autonomia della batteria della nostra auto, dobbiamo prevedere una o più soste per fare rifornimento di energia elettrica. Pena il rischio di rimanere in mezzo alla strada con la batteria completamente scarica. Per questa pianificazione, almeno nelle auto di categoria medio/superiore, ci viene in aiuto il navigatore dell’auto o l’applicazione per smartphone che viene messa a disposizione dal fabbricante dell’auto.

Per ora la mia esperienza in questo genere di viaggi è assolutamente positiva e non ho mai avuto problemi nel trovare una stazione di ricarica quando serviva. Sulle autostrade svizzere le stazioni di ricarica sono numerose, funzionano senza troppe difficoltà, permettono di fare rifornimento in pochi minuti (il tempo di bere un caffè) e garantiscono così di poter viaggiare in tutta tranquillità. Una sola volta mi è capitato di arrivare ad una stazione di rifornimento e trovare tutte le colonnine occupate. Questa è una situazione che deve far riflettere i gestori di questi impianti che dovranno ancora investire in nuove strutture per garantirne un numero adeguato al crescente numero di veicoli elettrici in circolazione.
Ma poter caricare in autostrada non è sufficiente, per chi fa viaggi lunghi con una sosta di diverse ore durante il giorno, per esempio per partecipare ad una riunione, o si ferma per una o più notti in un albergo, è indispensabile poter contare su una stazione di ricarica disponibile alla destinazione. E questo purtroppo non è sempre il caso.

La mobilità elettrica oggi è realtà e funziona (almeno in Svizzera), ma c’è ancora molto da fare.
Autosili, parcheggi pubblici nelle vicinanze di luoghi d’aggregazione, alberghi e strutture pubbliche devono essere equipaggiate con un numero adeguato di stazioni di ricarica così da garantire il rifornimento di tutte le auto elettriche che in questi anni verranno messe in circolazione.
Un autosilo di oltre 300 parcheggi, in una struttura per manifestazioni che possono accogliere anche migliaia di persone, che dispone di solo 6 posti auto con possibilità di ricarica elettrica, è assolutamente inadeguato. E questo purtroppo è una situazione ancora troppo presente anche in Svizzera.

ESG come fattore di innovazione e vantaggio competitivo nella strategia aziendale PMI?

Le piccole e medie imprese (PMI) possono sfruttare le pratiche ambientali, sociali e di governance (ESG) come potente stimolo all’innovazione e come elemento chiave della loro strategia aziendale.

L’integrazione delle considerazioni ESG nelle operazioni aziendali non solo si allinea alle pratiche commerciali responsabili, ma migliora anche la competitività e la sostenibilità a lungo termine. Alcuni di questi temi sono stati anche affrontati in un evento organizzato dalla Cc-Ti in collaborazione con ESG Center of Excellence e Ticino Blockchain Technologies Association (TBTA) lo scorso 20.11.2023, intitolato “ESG come opportunità di business per le PMI ticinesi – Come la tecnologia Blockchain può aiutare”.

Ecco una tabella di marcia per le PMI per sviluppare l’ESG come fattore di innovazione e ottenere un vantaggio competitivo.

Comprendere i principi ESG:

  1. Familiarizzare con i principi fondamentali dell’ESG ambientale (E), sociale (S) e di governance (G). Questi principi guidano una condotta aziendale responsabile e uno sviluppo sostenibile.
  2. Condurre una valutazione di materialità
    Identificate i fattori ESG più rilevanti per la vostra attività conducendo una valutazione di materialità. Considerate l’impatto di ciascun fattore sugli stakeholder e sulle operazioni aziendali.
  3. Inserire l’ESG nella cultura aziendale
    Integrare le considerazioni ESG nella cultura e nei valori aziendali. Assicuratevi che i dipendenti comprendano e facciano propria l’importanza della sostenibilità e delle pratiche commerciali responsabili.
  4. Sviluppare politiche e metriche ESG
    Stabilire politiche ESG chiare e metriche misurabili. Definire obiettivi e indicatori chiave di performance (KPI) per monitorare i progressi e dimostrare l’impegno verso gli obiettivi ESG.
  5. Coinvolgere gli stakeholder
    Coinvolgete gli stakeholder, compresi clienti, dipendenti, fornitori e comunità locali, nelle vostre iniziative ESG. Il loro contributo può fornire spunti preziosi e rafforzare le relazioni.
  6. Innovare prodotti/servizi sostenibili
    Sfruttate l’ESG come motore di innovazione sviluppando prodotti o servizi sostenibili. Considerate l’impatto ambientale, l’approvvigionamento etico e la responsabilità sociale nello sviluppo dei vostri prodotti/servizi.
  7. Gestione efficiente delle risorse
    Implementate pratiche di efficienza delle risorse per ridurre i rifiuti, il consumo energetico e l’impronta di carbonio. Questo non solo è in linea con gli obiettivi ambientali, ma può anche portare a risparmi sui costi.
  8. Sostenibilità della catena di fornitura
    Assicuratevi che la vostra catena di fornitura aderisca a pratiche etiche e sostenibili. Questo migliora la responsabilità sociale dell’azienda e riduce il rischio di impatti negativi associati ai fornitori.
  9. Migliorare la diversità e l’inclusione
    Favorire un ambiente di lavoro diversificato e inclusivo, promuovendo l’uguaglianza e l’equità di trattamento. I team eterogenei spesso portano a una maggiore creatività e innovazione, contribuendo al successo aziendale.
  10. Pratiche di governance trasparenti
    Rafforzare le strutture di governance migliorando la trasparenza e la responsabilità. Comunicare chiaramente l’impegno dell’azienda verso una condotta aziendale etica e un processo decisionale responsabile.
  11. Gestione del rischio e integrazione ESG
    Integrare i fattori ESG nei processi di gestione del rischio. La comprensione e la mitigazione dei rischi ESG possono aumentare la resilienza e proteggere la reputazione dell’azienda.
  12. Reporting e comunicazione con gli stakeholder
    Comunicate regolarmente i vostri sforzi ESG attraverso i rapporti di sostenibilità e altri canali di comunicazione. Un reporting trasparente crea fiducia e credibilità con gli stakeholder.
  13. Cercare certificazioni esterne
    Cercate di ottenere certificazioni o standard pertinenti (ad esempio, ISO 14001 per la gestione ambientale) per convalidare il vostro impegno nelle pratiche ESG.
  14. Miglioramento continuo
    L’ESG è un processo continuo. Rivedete e aggiornate regolarmente le vostre strategie in base ai cambiamenti delle circostanze, alle aspettative degli stakeholder e alle best practice emergenti.

Conclusione
Incorporando strategicamente i principi ESG nelle loro attività, le PMI possono non solo contribuire allo sviluppo sostenibile, ma anche posizionarsi come entità innovative, responsabili e competitive sul mercato. Questo approccio olistico si allinea alle preferenze dei consumatori e alle tendenze normative in evoluzione, favorendo il successo a lungo termine.


Articolo a cura di Marco Casanova, Direttore Centro di eccellenza ESG, Lugano, www.esgcenter.ch

Gestione sostenibile delle imprese: ripercussioni dei futuri doveri di diligenza europei sulle imprese svizzere

Il 23 febbraio 2022, la Commissione europea ha presentato una bozza di nuova direttiva sulla due diligence di sostenibilità delle imprese (Corporate Sustainability Due Diligence Directive, CSDDD). La bozza è ancora in fase di negoziazione. Tuttavia, si ritiene relativamente certo che l’UE adotterà la CSDDD.

In Svizzera, il controprogetto indiretto all’iniziativa popolare “Per aziende responsabili – per proteggere le persone e l’ambiente” ha incluso gli obblighi di due diligence e di reporting nei settori dei minerali dei conflitti e del lavoro minorile negli articoli e 964j-l del Codice delle obbligazioni (CO). Queste disposizioni sono entrate in vigore nel gennaio 2022.

Tuttavia, la CSDDD richiede l’attuazione di obblighi di diligenza molto più ampi rispetto alle disposizioni del CO. Anche l’ambito di applicazione della CSDDD è più ampio. Mentre le disposizioni svizzere in materia di due diligence si concentrano su settori, Paesi o prodotti a rischio, la CSDDD si applica a tutte le società che superano determinate soglie dimensionali. La CSDDD prevede anche la responsabilità civile e la vigilanza regolamentare. Nel CO non esistono meccanismi di applicazione di questo tipo. Sono previste multe fino a 100’000 euro. Tuttavia, è improbabile che queste abbiano un effetto deterrente.

Se l’UE adottasse la CSDDD, vi sarebbero notevoli differenze tra le leggi vigenti in Svizzera e nell’UE.

In sostanza, gli obblighi di diligenza previsti dalla CSDDD sono “obblighi di forzo”. Ciò significa che le aziende non sono obbligate a mettere in atto azioni definite o a raggiungere obiettivi predefiniti (sarebbe un “obbligo di successo”). Inoltre, le aziende non saranno ritenute responsabili di abusi in Paesi terzi sui quali non hanno alcun controllo. Le aziende devono invece stabilire procedure di gestione del rischio e adottare precauzioni organizzative per identificare i rischi. Se vengono identificati dei problemi, le aziende devono adottare misure per porvi rimedio. Se ciò non è possibile, devono cercare di ridurre al minimo il problema. Le misure adottate dipendono da loro. Il CSDDD lascia quindi alle aziende una grande libertà e si affida alla loro responsabilità. Tuttavia, questi obblighi di impegno sono affiancati da obblighi di azione verificabili: le imprese devono, ad esempio, istituire meccanismi di reclamo e riferire in merito alle ispezioni di due diligence.

Complessivamente, il numero di società direttamente interessate dalla CSDDD è ridotto. Tuttavia, si tratta di grandi aziende con un fatturato elevato, che quindi contribuiscono in modo significativo alla creazione di valore in Svizzera. Va considerato che la CSDDD potrebbe sostituire le attuali disposizioni delle RU sul lavoro minorile, ma non le disposizioni delle RU sui minerali dei conflitti. Questo perché anche il regolamento UE sui minerali dei conflitti non verrebbe sostituito dalla CSDDD. La CSDDD non riguarda solo le aziende che rientrano direttamente nel suo campo di applicazione. Le aziende direttamente interessate trasmetteranno i loro obblighi nella catena di approvvigionamento ai loro fornitori.

Già oggi le disposizioni applicabili in materia di CO e le leggi straniere, ad esempio, la legge sulla due diligence della catena di fornitura in Germania, la legge sulla due diligence in Francia, i regolamenti dell’UE sui minerali di conflitto sulle catene di fornitura prive di deforestazione, ecc..
Queste ultime sono quindi “indirettamente” interessate e devono controllare anche le loro catene di approvvigionamento per i rischi reali e potenziali.

Per le imprese interessate, l’introduzione della direttiva CSDDD comporterebbe costi, alcuni dei quali considerevoli: esse dovrebbero adattare i processi aziendali esistenti (ad esempio, in materia di appalti e contabilità) agli obblighi di diligenza e creare nuove strutture e processi (ad esempio, meccanismi di reclamo o processi e sistemi per la raccolta dei dati e l’analisi dei rischi). Se le aziende individuano dei rischi, devono adottare delle misure. Inoltre, le aziende interessate dovranno presentare relazioni sulle loro attività di due diligence. Oltre ai costi diretti dell’implementazione della due diligence, le aziende dovrebbero affrontare rischi di responsabilità e incertezze legali.
Tuttavia, i costi sostenuti sarebbero ridotti dal fatto che le aziende devono comunque adottare alcune delle misure sopra descritte. Molte aziende si trovano già ad affrontare gli obblighi di due diligence. A causa delle disposizioni del CO, della legge tedesca o francese sulla catena di approvvigionamento e dei regolamenti UE sui minerali di conflitto e sulle catene di approvvigionamento prive di deforestazione, nonché di altre normative. Grazie alle disposizioni del CO (art. 964 e segg.) sul bilancio di sostenibilità e alla nuova direttiva UE sul bilancio di sostenibilità delle imprese (CSRD), molte aziende stanno già istituendo processi per raccogliere dati e pubblicare rapporti sull’impatto delle loro attività sui diritti umani e sull’ambiente.
Tuttavia, le aziende direttamente interessate sono grandi imprese che potrebbero sostenere i costi. Per le PMI, sarebbe in parte una sfida implementare i requisiti. Con l’introduzione del CSDD, il numero e il volume delle richieste aumenteranno ulteriormente. A medio termine, molte aziende indirettamente interessate non potranno fare a meno di istituire sistemi propri per la raccolta e la valutazione dei dati. Infine, dovrebbero documentare chiaramente come adempiono ai loro obblighi di due diligence per tutelarsi da potenziali richieste di responsabilità.

Prevediamo che i costi di implementazione per le aziende indirettamente interessate saranno significativamente inferiori a quelli per le aziende direttamente interessate. Oltre ai costi diretti di implementazione, le aziende indirettamente interessate, la maggior parte delle quali sono PMI, devono affrontare anche rischi considerevoli. Se non si preparano adeguatamente per l’attuazione della due diligence, rischiano di perdere ordini e clienti e di
uscire dalla catena del valore. Molte PMI non sembrano ancora sufficientemente sensibilizzate a questo rischio.

Tuttavia, le aziende non dovrebbero sostenere solo dei costi. il beneficio derivante dall’implementazione della due diligence risiede principalmente nel valore aggiunto derivante dalla raccolta dei dati necessari.

Le aziende conoscono meglio le loro catene di fornitura, il che comporta numerosi vantaggi per le aziende. Ad esempio, possono valutare meglio il rischio di strozzature nelle forniture o identificare più facilmente il potenziale di innovazione.


Fonte: comunicato stampa del Consiglio federale del 22.12.2023 – “Gestione sostenibile delle imprese: ripercussioni dei futuri doveri di diligenza europei sulle imprese svizzere”; adattamento Cc-Ti