Imprese e diritti umani: materiale di supporto per le aziende che devono far fronte a crescenti requisiti legali

Le aziende si trovano ad affrontare requisiti crescenti in termini di rispetto dei diritti umani lungo la loro catena del valore. Negli ultimi anni, le aspettative dei numerosi attori in gioco (Governi, investitori, partner commerciali e clienti, consumatori e dipendenti, società civile e ONG, così come benchmark e rating ESG) sono aumentate. Anche i requisiti legali stanno diventando più severi.

Nazioni come Francia, Germania, Svizzera e l’UE hanno già implementato leggi che obbligano le aziende a condurre due diligence in merito a (alcuni) diritti umani o sono in procinto di adottarle.

Una panoramica sugli ultimi sviluppi normativi può essere trovata sul sito di focusright (tramite questi link 1 e link 2).

Condotta aziendale responsabile: uno studio rileva che le aziende svizzere saranno interessate dalla futura regolamentazione dell’UE

Nell’UE, i requisiti legali relativi ai diritti umani obbligatori e alla due diligence ambientale sono in rapida evoluzione. Nel dicembre 2023 è stato raggiunto un accordo provvisorio sulla Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD). Anche se si è ancora in attesa della pubblicazione del testo finale della Direttiva, è già chiaro che essa introdurrà obblighi per le grandi aziende in merito a effettivi e potenziali impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente. Visti gli stretti legami economici tra la Svizzera e l’UE, sia le grandi aziende che le PMI svizzere saranno interessate da questo regolamento. Uno studio commissionato
dal Dipartimento federale di giustizia e polizia e dal Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca
è giunto alla conclusione preliminare che la direttiva UE avrà:

  • un impatto diretto su diverse centinaia di aziende in Svizzera e
  • uno indiretto su diverse migliaia di aziende svizzere, poiché le aziende direttamente interessate trasferirebbero i requisiti ai propri fornitori.

Sviluppi attesi in Svizzera

Una volta che l’UE avrà adottato definitivamente la CSDDD e dopo un’analisi approfondita delle modalità di attuazione da parte dei suoi Stati membri, il Consiglio Federale deciderà come procedere con i requisiti legali per le aziende elvetiche. Nel frattempo, continuano le richieste della società civile per obblighi di diligenza più severi per le aziende svizzere. La Koalition für Konzernverantwortung ha già annunciato il lancio di un’altra iniziativa popolare, che richiederà che gli obblighi di due diligence per le aziende svizzere siano allineati al CSDDD dell’UE. Poiché l’UE sta attualmente ampliando gli obblighi di Rendiconto sulla gestione sostenibile delle imprese, il Consiglio federale sta preparando una consultazione pubblica sulla base della quale verranno ampliati anche gli obblighi di rendicontazione per le imprese elvetiche, in linea con gli sviluppi UE.

Materiale a disposizione delle aziende

A sostegno delle aziende per l’attuazione della due diligence sui diritti umani e dei relativi obblighi legali e nell’ambito del Piano d’azione nazionale “Imprese e diritti umani” della Svizzera 2020–2023 (PAN), il DFAE e la SECO hanno incaricato la società di consulenza focusright dello sviluppo di diverso materiale. I documenti di supporto sono disponibili sul sito della Confederazione, citiamo di seguito:


Commesse pubbliche – criteri di aggiudicazione CSR

È stata pubblicata la Scheda informativa aggiornata che definisce i 30 criteri di misurazione della CSR (Corporate Social Responsibility – Responsabilità sociale delle imprese) nell’ambito della Legge sulle commesse pubbliche del Canton Ticino. (art. 32 cpv. 1 LCPubb | art. 53 cpv. 2-4 RLCPubb/CIAP)

Secondo l’art 32 cpv. 1 della LCPubb il committente aggiudica la commessa a favore dell’offerta complessivamente più vantaggiosa sulla scorta di diversi criteri, quali il termine, la qualità, il prezzo, la sua attendibilità, l’economicità, i costi di servizio, il servizio clientela, l’adeguatezza della prestazione, l’estetica, la compatibilità ambientale, la responsabilità sociale, la formazione e il perfezionamento degli apprendisti e il valore tecnico. La ponderazione di un singolo criterio non può superare il 50%.

Secondo l’art 53 del Regolamento di applicazione della legge sulle commesse pubbliche e del concordato intercantonale sugli appalti pubblici (RLCPubb/CIAP) sono ammessi come criteri di aggiudicazione, ma non nelle commesse internazionali, i seguenti criteri: a) la formazione degli apprendisti; b) il contributo alla formazione professionale; c) la responsabilità sociale delle imprese.

Il criterio di aggiudicazione facoltativo inerente alla responsabilità sociale delle imprese, ha un valore di ponderazione definito dall’art. 53 cpv. 2 lett. c RLCPubb/CIAP è stato ripreso dalle Direttive sui criteri di aggiudicazione inerenti alla formazione degli apprendisti, al contributo alla formazione professionale e alla responsabilità sociale delle imprese del 20 dicembre 2023 (pubblicazione sul Foglio ufficiale nr. 245 del 27 dicembre 2023 e nr. 2 del 3 gennaio 2024) ed ha un valore del 4%. La sua valutazione deve essere fatta tenendo conto dell’impegno delle imprese nell’ambito della sostenibilità economica, ambientale e sociale.

Adottare il criterio di CSR nelle commesse pubbliche significa promuovere l’inserimento dei criteri di sostenibilità all’interno dell’operato dell’impresa in ogni sua attività. Questa modalità tende a far sì che le imprese si orientino all’elaborazione di una strategia di sostenibilità che permetta una rendicontazione complessiva dell’impatto dell’impresa, non solo a livello economico ma anche sociale e ambientale. Bisogna tuttavia considerare che i 30 criteri definiti nella Scheda informativa sono criteri che valutano il modo di operare dell’impresa e non la sostenibilità del prodotto o della prestazione offerta oggetto della commessa. Per il prodotto e la prestazione potranno essere inseriti criteri di sostenibilità, aggiuntivi al criterio di CSR, nella fase di idoneità o di aggiudicazione.

Consiglio di utilizzo:

Si consiglia di non utilizzare il criterio CSR nelle commesse in cui la variabile prezzo ha una ponderazione superiore al 50% (forniture standardizzate) o inferiore al 30% (esempio prestazioni intellettuali quali la progettazione).

Inoltre, si consiglia di non utilizzare, inizialmente, il criterio di CSR per commesse pubbliche con un valore economico particolarmente basso (inferiori ai 250’000 franchi) alfine di non penalizzare la possibilità di partecipazione di microimprese. Si consiglia infatti un approccio graduale del criterio con l’obiettivo di sensibilizzare innanzitutto le imprese di più grandi dimensioni.

Non può essere utilizzato il criterio della CSR nell’ambito delle procedure su invito perché il committente determinando la cerchia degli offerenti invitati a presentare un’offerta potrebbe avvantaggiarne uno a discapito di un altro. Il committente ha tuttavia la possibilità di scegliere gli offerenti da invitare valutando preliminarmente questo criterio.

Tabella: Definizione delle soglie per le quali è consigliato utilizzare il criterio CSR:

Durante il 2023 è stata eseguita la necessaria formazione a vari Committenti (Comuni ed enti sussidiati) e agli offerenti di diverse categorie in merito ai 30 indicatori di CSR e all’utilizzo del rapporto di sostenibilità semplificato della Camera di Commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino (https://www.ti-csrreport.ch/). Di conseguenza a partire da gennaio 2024 è possibile utilizzare da parte di tutti i committenti il criterio per le opere delle seguenti categorie:

  • Impresario costruttore
  • Pavimentazioni
  • Elettricisti
  • Metalcostruttori
  • Costruttori in legno
  • Falegnami
  • Pittori
  • Gessatori, intonacatori e plafonatori
  • Posatori di pavimenti
  • Vetrerie
  • Giardinieri
  • Ponteggi

Fonte: Progetto CSR Ticino

Cerimonia consegna diplomi CAS CSR

Si è svolta mercoledì 6 dicembre 2023 la cerimonia di consegna dei diplomi del Certificate of Advanced Studies in Corporate Social Responsibility (CSR)

Il corso si poneva l’obiettivo di formare CSR manager in grado di definire la strategia di sostenibilità della propria organizzazione e di elaborare un rapporto di sostenibilità.

Ci complimentiamo con il nostro collaboratore, Sergio Trabattoni, ora CSR Manager e con tutti i neo-diplomati.

Stefano Rizzi, Direttore della Divisione economia del Dipartimento delle Finanze e dell’Economia ha ribadito il ruolo della sostenibilità nella competitività dei territori e l’impegno che ormai da anni viene profuso per la promozione del tema. Il contributo delle imprese allo sviluppo economico, sociale e ambientale del Cantone è essenziale e questi diplomati potranno essere dei preziosi ambasciatori per la diffusione della responsabilità sociale e della sostenibilità.

Tra le differenti attività sostenute o svolte direttamente dalla Cc-Ti ve ne sono alcune, forse meno conosciute, che rientrano nella sfera degli esercizi della “Corporate Social Responsibility – CSR” o “RSI – Responsabilità sociale delle imprese”. Si tratta dello sviluppo di progetti a carattere sociale, formativo o ambientale, disegnati per interagire tra i diversi settori.
La Cc-Ti, quale associazione-mantello dell’economia ticinese, ha sviluppato – con il supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE) – un modello online di rapporto di sostenibilità, accessibile tramite questo link: www.ti-csrreport.ch (TUTORIAL).

La responsabilità sociale delle imprese è un elemento che, dal 2021, rientra anche nei bandi di concorso pubblici, con un valore di ponderazione del 4% nei criteri di aggiudicazione.
L’ottenimento di una separata “Dichiarazione di conformità” (rilasciata dalla Cc-Ti) faciliterà sia il lavoro delle aziende, sia quello delle autorità chiamate a valutare i dossier.
Questo strumento non rappresenta la condizione per partecipare agli appalti pubblici ma resta su base volontaria ed è sostenuta dal DFE e dall’ufficio di vigilanza sulle commesse pubbliche.


Riciclaggio delle batterie: chiudere il cerchio

di Marco Doninelli, Responsabile mobilità Cc-Ti

L’Empa (uno dei 4 Istituti di ricerca dei Politecnici Federali – Laboratorio federale di prova dei materiali e di ricerca) e Kyburz Switzerland AG sono alla ricerca di modi per riciclare le batterie agli ioni di litio esauste in modo efficiente e rispettoso delle risorse. Un impianto pilota appositamente sviluppato scompone le vecchie batterie nei loro componenti, in modo che i materiali possano essere recuperati nel modo più puro possibile.

Tutti conoscono il fenomeno del telefono cellulare o del computer portatile: con il passare del tempo, la capacità della batteria diminuisce, per cui è necessario prendere il cavo di ricarica sempre più spesso. Lo stesso vale per le batterie molto più grandi dei veicoli elettrici: sebbene i produttori di veicoli possano oggi garantire una durata di otto-dieci anni per le batterie agli ioni di litio dei veicoli elettrici, anch’esse dovranno essere riciclate prima o poi.

Nell’ambito di un progetto sostenuto dall’Ufficio federale dell’energia (UFE), il produttore svizzero di veicoli elettrici Kyburz Switzerland AG e l’Empa si sono posti l’obiettivo di riciclare le batterie dismesse dei veicoli elettrici. A tal fine, Kyburz, con il supporto dell’Empa, ha sviluppato un impianto di riciclaggio che scompone le vecchie batterie nei loro componenti.

Prima che una batteria finisca nell’impianto di riciclaggio, può avere una seconda, a volte addirittura una terza vita. Dopo il primo utilizzo negli scooter elettrici gialli a tre ruote che Kyburz produce per Swiss Post AG, può essere ancora utilizzata in veicoli di “seconda vita” alimentati da batterie già utilizzate. Se la capacità della batteria continua a diminuire, non è detto che questa sia la fine. Le batterie con capacità ridotta potrebbero, ad esempio, essere installate in applicazioni stazionarie per l’accumulo di energia solare. Questo concetto di “vita multipla” dovrebbe ridurre significativamente la domanda di materie prime primarie in futuro.

Separare con cura

Se la capacità della batteria non è più sufficiente per questo ulteriore utilizzo, viene infine inviata all’impianto di riciclaggio. “In questo tipo di batteria, il catodo, il separatore e l’anodo sono inseriti in un involucro di plastica in diversi strati”, spiega Andrin Büchel, ricercatore dell’Empa del Dipartimento “Tecnologia e società”. Srotolando abilmente il separatore, i catodi e gli anodi – lamine metalliche rivestite di particelle per immagazzinare ioni di litio – vengono smistati in due contenitori separati.

Il passo successivo è il recupero dei materiali dell’elettrodo. Il catodo, un foglio di alluminio rivestito con particelle di fosfato di ferro e litio, viene posto in un bagno d’acqua dove le particelle si staccano dal foglio e vengono recuperate sotto forma di polvere dopo essere state decantate e asciugate. Lo stesso procedimento viene seguito per l’anodo, che consiste in un foglio di rame rivestito di particelle di grafite. In questo caso, tuttavia, si produce una sospensione omogenea, rendendo necessario un ulteriore passaggio in una centrifuga per separare le particelle.

“Alla fine del processo di riciclaggio, recuperiamo l’involucro, il separatore, le lamine di alluminio e di rame e gli elettrodi suddivisi per tipo”, spiega Büchel. Questo tipo di processo di riciclaggio è chiamato riciclaggio diretto. “Nel riciclaggio diretto, la batteria viene smontata solo nella misura necessaria a preservare le proprietà funzionali dei materiali. Questo ci permette di ridurre al minimo il numero di passaggi necessari, anche per l’ulteriore lavorazione”, afferma Büchel.

Analizzare con precisione

Ma il lavoro non è ancora finito con il recupero dei materiali. Devono essere rigenerati prima di poter essere riutilizzati in una nuova batteria.
È proprio su questo che Büchel sta attualmente lavorando in diversi dipartimenti insieme al suo collega dell’Empa Edouard Quérel. Nel laboratorio di batterie del dipartimento “Materiali per la conversione energetica”, hanno già scoperto il meccanismo che sta alla base dell’invecchiamento del materiale catodico. “Il litio ferro fosfato ha una struttura cristallina che rilascia e riassorbe gli ioni di litio durante ogni ciclo di carica e scarica”, spiega Büchel. “Questa struttura rimane, ma la quantità di ioni di litio attivi diminuisce nel tempo”. Attualmente i ricercatori stanno lavorando per “rinfrescare” nuovamente il materiale del catodo aggiungendo selettivamente il litio.

L’obiettivo finale è costruire nuove batterie il più efficienti possibile a partire dal materiale riciclato e chiudere il ciclo.

Nei processi di riciclaggio convenzionali, le batterie vengono triturate e i materiali riciclabili vengono separati con processi termici e chimici a umido. Il riciclaggio diretto dovrebbe essere più efficiente dal punto di vista delle risorse, in quanto consuma meno energia e non utilizza sostanze chimiche. Tuttavia, il processo sviluppato da Kyburz e dall’Empa è attualmente adatto solo per la costruzione specifica e la chimica delle celle delle batterie utilizzate, tra l’altro, nei veicoli Kyburz. “Attualmente stiamo studiando se e come questo processo possa essere trasferito ad altri tipi di celle nell’ambito del progetto Innosuisse ‘Circu-BAT’, al quale partecipano, oltre a Kyburz, altre 23 aziende partner”, spiega Büchel.

Fonte: Empa – Dübendorf


Guida alle certificazioni per la sostenibilità

La guida è stata elaborata da SQS, in collaborazione con SUPSI e con il supporto della Divisione dell’economia del Dipartimento delle finanze e dell’economia

La guida si propone di fare chiarezza sul tema e di fornire spunti pratici alle imprese che intraprendono un percorso di certificazione a sostegno delle buone pratiche di CSR come per la redazione del rapporto di sostenibilità semplificato e l’ottenimento della dichiarazione di conformità rilasciata dalla Cc-Ti.

È oramai assodato che la responsabilità sociale d’impresa (CSR) rappresenti un contributo delle aziende allo sviluppo sostenibile. Ne consegue un progressivo e crescente sviluppo di standard certificabili e non certificabili, la cui scelta di adozione richiede un minimo di cultura sul tema. Per orientarsi in questa “giungla” è necessario, in primo luogo, fare i conti con i propri bisogni, con la visione strategica a medio e lungo termine in relazione alle tendenze di mercato, ma anche con lo status quo dell’azienda dal punto di vista organizzativo e culturale. Accade che un’azienda vuole disporre di una o più certificazioni per cogliere pienamente i vantaggi che esse possono portare quale valore aggiunto a livello di competitività e immagine. 

L’adozione di standard ISO e loro certificazione è una scelta strategica. Se la loro implementazione avviene con convinzione e consapevolezza, può innescare una virtuosa trasformazione organizzativa e culturale delle organizzazioni e della loro catena di fornitura. È pertanto importante che i vertici aziendali guidino questa scelta con senso di responsabilità e consapevolezza.

SCARICA LA GUIDA

Fonte: Progetto CSR Ticino

Anche la Cc-Ti ha partecipato al Salone della CSR a Milano

Gianluca Pagani, CSR Manager Cc-Ti, è stato relatore ad un evento presso l’Università Bocconi.

Verso la transizione ecologica: il ruolo delle Camere di Commercio” è questo il titolo della conferenza a cui ha presenziato anche la Cc-Ti lo scorso 4 ottobre 2023 a Milano, presso l’Università Bocconi, in occasione dell’11esima edizione del Salone della CSR e dell’innovazione sociale.

Dall’informazione alle imprese sulla transizione ecologica agli interventi per promuovere la creazione di filiere responsabili: il ruolo delle Camere di Commercio diventa sempre più strategico per la diffusione di comportamenti sostenibili e per lo sviluppo dell’economia dei territori. Una sfida importante che mette in gioco la capacità di tutti gli attori sociali di collaborare e di coniugare innovazione con inclusione sociale, risultati economici e sostenibilità ambientale.

Sono anche intervenuti: Walter Sancassiani, Focus Lab; Carlo De Luca, Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili; Marco Galimberti, Camera di Commercio Como-Lecco ed Elena Fammartino, Unioncamere Piemonte.

RIVEDI L’EVENTO

Gli svizzeri non sono ancora pronti per la mobilità elettrica

Il gruppo assicurativo AXA ha commissionato alla società di ricerca Sotomo uno studio sulla mobilità in Svizzera con particolare attenzione alla mobilità elettrica.

I risultati emersi dall’indagine dimostrano che i cittadini svizzeri non vogliono rinunciare all’utilizzo dell’automobile quale mezzo di trasporto individuale. Per il 71% degli intervistati è importante possederne una.

Una differenza però salta subito all’occhio se si guarda all’orientamento politico delle persone: chi sta a sinistra o è vicino ai verdi è più disposto a rinunciare all’uso dell’automobile privata a favore dei mezzi di trasporto pubblico.

Anche chi abita nelle grandi città tendenzialmente è disposto a rinunciare a questo veicolo. In quest’ultimo caso sicuramente entrano in gioco gli assillanti problemi di traffico negli agglomerati urbani e la buona disponibilità di mezzi di trasporto pubblici.

Se si osserva la mobilità elettrica si nota che oggi i possessori di un’auto completamente elettrica sono generalmente persone con un elevato reddito famigliare netto di circa 9’400.00 Fr. al mese. In questo caso possono permettersi anche una seconda automobile che generalmente è con propulsione tradizionale benzina o diesel. Questa constatazione, in aggiunta al fatto che per il 29% della popolazione l’acquisto di un BEV (Battery Electric Vehicle) non è attualmente un’opzione, dimostra che gli svizzeri sono ancora molto scettici rispetto questo tipo di propulsione a emissioni zero. I timori verso questo genere di propulsione sono sostanzialmente i seguenti: scarsa autonomia garantita dalle batterie e il loro impatto in fase di produzione 54%), lunghi tempi necessari per la ricarica, costo d’acquisto elevato di un veicolo elettrico (53%) e scarsa disponibilità di stazioni di ricarica pubblica o nei condomini.

Anche il riciclaggio delle batterie, che contengono diversi materiali rari e di difficile smaltimento, insinua qualche dubbio (52%). Nonostante ciò, le auto elettriche sono comunque considerate più ecologiche delle auto tradizionali.

La conclusione che possiamo trarre da questo studio è che gli automobilisti non sono ancora pronti ad affidarsi completamente all’energia elettrica per i loro spostamenti privati. La non conoscenza della tecnologia che sta alla base delle BEV, la scarsa informazione da parte degli operatori professionisti del settore e, non da ultimo, i costi ancora elevati per l’acquisto di una nuova auto a zero emissioni, rendono la transizione ecologica della mobilità privata più lenta.

Grafico 1: Propensione della popolazione svizzera all’acquisto di un’auto a propulsione elettrica (Fonte: AXA/Sotomo)

La conferma di questo risultato la troviamo anche nelle cifre di vendita di auto nuove totalmente elettriche che, dopo qualche anno di crescita esponenziale, in questi ultimi mesi si è letteralmente assestata su percentuali costanti del 16% circa in Svizzera e addirittura del 10% in Ticino. Sicuramente questa è una situazione che andrà modificata con uno sforzo da parte di tutti perché, se la mobilità elettrica non è la panacea di tutti i mali, almeno è una parte importante della soluzione.

È possibile scaricare il rapporto completo di Axa/Sotomo da: sotomo.ch/site/projekte/axa-mobilitaetstacho-2023/

Grafico 2: Quattro diversi tipi di mobilità evidenziati dalla ricerca (Fonte: AXA/Sotomo)

Testo a cura di Marco Doninelli, Responsabile mobilità Cc-Ti

Il futuro dell’approvvigionamento energetico, fra flessibilità e sicurezza

L’obiettivo della Confederazione in ambito climatico è chiaro: la neutralità carbonica, ossia il saldo zero tra emissioni e assorbimento di gas serra, entro il 2050. Per raggiungerlo si prevede di trasformare radicalmente il sistema di approvvigionamento energetico del Paese, chiamando in causa tutti gli attori coinvolti: produttori, distributori e consumatori.

La chiave di questo piano risiede nella decarbonizzazione, ovvero la sostituzione delle fonti di energia di origine fossile, che emettono CO2 nell’atmosfera, con fonti rinnovabili a emissioni zero. Benzina, olio combustibile e gas, che oggi assicurano circa il 60% del consumo energetico svizzero, saranno sostituiti da energia proveniente da fonti rinnovabili, prevalentemente elettrica. Le termopompe sostituiranno gran parte dei sistemi di riscaldamento ad olio combustibile e i veicoli elettrici prenderanno il posto di quelli a combustione interna.

Decarbonizzare significa quindi elettrificare, che significa a sua volta accrescere il fabbisogno di energia elettrica. La maggiore efficienza dei motori e dei moderni sistemi di riscaldamento elettrici rispetto a quelli a combustione porterà ad un calo dei consumi globali di energia, ma la produzione di elettricità non potrà che aumentare in maniera importante e dovrà essere accompagnata, per quanto possibile, da misure di efficienza che ne ottimizzino l’impiego.

I piani elaborati dalla Confederazione prevedono che l’incremento del fabbisogno dielettricità venga coperto in primo luogo da una massiccia crescita della produzione fotovoltaica. Gli scenari per il 2050 prospettano un sistema di approvvigionamento basato su due pilastri, idroelettrico e fotovoltaico, dove il primo sarà chiamato a compensare l’assenza di produzione del secondo durante le ore senza sole (circa 6’750 delle 8’760 ore annue), in particolar modo nei mesi invernali. Lo sviluppo del solare dovrà quindi essere affiancato da un incremento della produzione idroelettrica invernale, ottenibile attraverso l’aumento della capacità dei bacini di accumulazione e la creazione di nuovi impianti di pompaggio-turbinaggio.

Gli obiettivi di produzione fissati dalla Confederazione sono molto ambiziosi e per il loro raggiungimento le Camere federali hanno recentemente approvato lo stanziamento di fondi miliardari. I primi importanti progetti, tra i quali spicca in Ticino l’innalzamento della diga del Sambuco, stanno vedendo la luce, ma il ritmo degli investimenti nel prossimo decennio dovrà crescere in maniera esponenziale, e non solo a parole.

Il tempo ci dirà se quanto previsto dalla Confederazione permetterà di centrare gli obiettivi climatici, riuscendo contemporaneamente a soddisfare il fabbisogno di energia del Paese in modo sicuro e continuativo. I piani per la transizione energetica sono diffusi in tutto il continente europeo, non solo in Svizzera, e se immaginiamo come influenzeranno le dinamiche degli scambi di energia elettrica tra i singoli Stati, le incognite si moltiplicano.

Ciò che sappiamo già oggi è che non sarà soltanto il fronte della produzione a dover agire. L’aumento della capacità di stoccaggio dei bacini permetterà di spostare una parte della produzione idroelettrica dall’estate all’inverno, compensando il naturale calo di produttività del fotovoltaico in questa stagione, ma le continue e crescenti oscillazioni delle nuove produzioni rinnovabili all’interno delle giornate e delle settimane richiederanno l’adozione di sistemi supplementari per la gestione dei carichi. I consumatori finali, imprese ed economie domestiche, diventeranno sempre più parte attiva del sistema energetico e saranno incentivati a investire in impianti di produzione, di accumulazione e di gestione della flessibilità.

Una quota crescente dei loro consumi sarà coperta dalla produzione di impianti fotovoltaici di proprietà, i veicoli elettrici potranno essere impiegati come sistemi di regolazione, capaci non solo di accumulare ma anche di cedere energia, e l’uso di impianti domestici – quali ad esempio le termopompe – potrà essere modulato in funzione dei carichi di rete. Questa evoluzione permetterà di flessibilizzare il consumo e la produzione dell’energia elettrica, ma richiederà importanti investimenti supplementari da parte delle aziende del settore per adeguare le reti di distribuzione. Parte della produzione di energia sarà ripartita tra migliaia di piccoli impianti e i punti di allacciamento alla rete dovranno gestire un’enormità di microflussi in entrata e in uscita.

Per regolare una tale complessità di transiti e la mole dei dati ad essi collegati, la rete dovrà essere potenziata in tutte le sue componenti. Un recente studio pubblicato dall’Ufficio federale dell’energia stima che l’adeguamento della rete di distribuzione richiederà investimenti superiori ai 40 miliardi di franchi entro il 2050.

Investimenti che, sommati a quelli paventati per lo sviluppo delle nuove produzioni rinnovabili e le ulteriori misure per la neutralità carbonica, faranno lievitare il costo globale della svolta energetica Svizzera ad oltre 100 miliardi di franchi.

Un ciclo di investimenti come non se ne vedevano dai tempi della realizzazione dei grandi impianti di produzione che hanno assicurato l’approvvigionamento del paese nel secondo dopoguerra, quasi 80 anni fa, i cui costi ricadranno su tutti gli attori coinvolti: dalle aziende del settore energetico ai consumatori, passando per il mondo delle imprese.

Ciò che verrà realizzato da qui al 2050 dovrebbe (ed uso il condizionale) garantire il fabbisogno di energia del Paese per i prossimi 80 anni, ma le incognite, a fianco delle opportunità, non mancano. Personalmente non posso non rimarcare come la sicurezza dell’approvvigionamento verrà esposta a grandi rischi e quanto i costi per il consumatore finale siano destinati ad aumentare.


Articolo a cura di Giovanni Leonardi, Presidente del CdA AET

Il rapporto di sostenibilità: un video-tutorial per la compilazione

TI-CSRREPORT.CH

La RSI responsabilità sociale delle imprese (o CSR, dall’inglese Corporate Social Responsibility), nel gergo economico e finanziario, è l’ambito riguardante le implicazioni di natura etica all’interno della visione strategica d’impresa: è una manifestazione della volontà delle grandi, piccole e medie imprese di gestire efficacemente le problematiche d’impatto sociale, etico e ambientale al loro interno e nelle zone in cui si svolgono le attività imprenditoriali. L’attuazione coerente della RSI (CSR) è un contributo essenziale allo sviluppo sostenibile e al superamento delle sfide sociali e può influire positivamente sulla competitività stessa delle aziende.

La Cc-Ti, quale associazione-mantello dell’economia ticinese, ha sviluppato – con il supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE) – un modello online di rapporto di sostenibilità, lanciato nella primavera del 2022, ed accessibile tramite questo link: www.ti-csrreport.ch.

Il valore del rapporto di sostenibilità

  • Per comunicare il valore generato dall’impresa non solo a livello economico ma anche sociale e ambientale, dimostrando la propria affidabilità a 360° ai partner
  • Per consolidare l’immagine e la reputazione dell’impresa
  • Per integrare e sviluppare le buone pratiche, verificando e migliorando i propri parametri a livello di sostenibilità e di responsabilità sociale
  • Per partecipare e avvantaggiarsi nei bandi pubblici che riconoscono la premialità alle imprese socialmente responsabili

Il rapporto di sostenibilità è un documento sempre più utile e diffuso, che raccoglie le buone pratiche messe in atto da un’azienda, permettendole di integrare le informazioni economiche con un rendiconto dell’impatto sociale e ambientale della sua attività.

Le imprese hanno l’opportunità e l’esigenza di analizzare e comunicare l’esito del loro impegno ai propri interlocutori (azionisti, clienti, fornitori, dipendenti, comunità, enti finanziatori, pubblica amministrazione, associazioni del territorio, media, ecc.).

La responsabilità sociale delle imprese è un elemento che, dal 2021, rientra anche nei bandi di concorso pubblici, con un valore di ponderazione del 4% nei criteri di aggiudicazione.

Il video-tutorial

Tramite questo link è possibile vedere un video esplicativo sul report di sostenibilità Cc-Ti e seguire passo passo le indicazioni per la sua compilazione.


È possibile avere dettagli in merito sul tema e consulenze dirette, contattando Gianluca Pagani, CSR Manager Cc-Ti o Sergio Trabattoni, Collaboratore CSR.

Un sì per il clima: quali le conseguenze?

Lo scorso 18 giugno 2023 il popolo svizzero ha detto sì alla nuova legge sul clima e sull’innovazione. È stato grosso modo un quarto degli aventi diritto di voto a pronunciarsi a favore della nuova legge; infatti, come spesso succede, solo il 40% della popolazione si è recato alle urne e di questo il 60% ha detto sì.

La democrazia svizzera funziona così, quindi la maggioranza non votante della popolazione deve accettare quanto deciso da una minoranza di votanti.

Come ben sappiamo la nuova legge sul clima e l’innovazione, controprogetto moderato all’iniziativa sui ghiacciai, non pone di principio divieti o nuove tasse, ma incentiva iniziative per una transizione ecologica ad emissione zero di CO2 entro il 2050. Per cercare di raggiungere questo ambizioso traguardo è indispensabile che tutti i settori che concorrono alle emissioni di gas a effetto serra facciano la loro parte: i trasporti motorizzati in primo luogo.

Nel corso degli ultimi decenni, grazie alle varie norme di legge introdotte a livello mondiale e allo sviluppo tecnologico dei motori a combustione interna, le emissioni di gas inquinanti prodotte dal traffico stradale, aereo e marittimo (quest’ultimo in maniera meno marcata rispetto agli altri due) sono drasticamente diminuite. Purtroppo, questa diminuzione è stata in parte attenuata a causa dell’aumento del traffico.

Tornando ora agli obiettivi imposti dalla nuova legge sul clima cosa dobbiamo aspettarci per quanto riguarda la mobilità individuale e per il trasporto merci su strada? La domanda è lecita e la risposta, tenendo conto delle tecnologie attualmente disponibili è la seguente: la mobilità elettrica.

Sia chiaro, la mobilità elettrica non è l’unica tecnologia che permetterà raggiungere l’obiettivo, o almeno di avvicinarsi, di zero emissioni di CO2, ma è quella che sarà dominante nella mobilità individuale privata. Altre tecnologie sono in fase di sviluppo e comprendono l’idrogeno, i carburanti sintetici e, almeno in parte, i bio-combustibili. Produrre oggi e nei prossimi anni questi carburanti alternativi richiede investimenti importanti e strutture adeguate che al momento non sono ancora disponibili se non a livello sperimentale. Nel futuro a breve e medio termine, visto quindi la scarsa disponibilità, questi carburanti verranno utilizzati quasi esclusivamente dai trasporti aerei o dal trasporto merci su strada a lunga percorrenza.

Nei prossimi anni gli automobilisti svizzeri, ma anche quelli europei visto che l’Europa ha decretato lo stop alla commercializzazione di veicoli a benzina e diesel entro il 2035, dovranno accettare di spostarsi con automobili a propulsione elettrica e questo malgrado un’indagine appena svolta abbia evidenziato come il 70% degli intervistati non abbia intenzione di acquistare un’auto elettrica. Questo dato sembrerebbe collimare con il risultato della votazione del 18 giugno.

La tecnologia di propulsione elettrica è senza ombra di dubbio un’ottima soluzione per ridurre le emissioni di CO2 a livello locale visto che un motore elettrico non ne produce affatto e inoltre offre anche molti vantaggi a livello di consumo energetico essendo di principio più efficiente. Tuttavia, una delle principali sfide che dovrà essere affrontata sarà la disponibilità di energia elettrica per la ricarica delle batterie. Già oggi assistiamo ad una penuria di elettricità che, in alcune occasioni, ha addirittura minacciato di tradursi in blackout parziali o totali con conseguenze catastrofiche per tutti. La risposta è probabilmente nella produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili come fotovoltaico, eolico e idroelettrico. Questa sfida spetta al mondo politico.

Ammettendo di trovare le soluzioni adeguate all’approvvigionamento sufficiente di energia elettrica, rimane ancora da risolvere il problema della distribuzione della rete di colonnine di ricarica indispensabili per alimentare l’intero parco veicoli in circolazione. La sfida non è meno titanica della precedente. Anzitutto la rete di distribuzione dell’elettricità potrebbe non sopportare le importanti potenze di carica richieste per le ricariche rapide delle batterie e nemmeno per assorbire i picchi di consumo che si genereranno quando un numero sempre maggiore di automobilisti si collegheranno alla colonnina per fare il pieno della propria auto. Sicuramente andranno trovate delle soluzioni.

L’ultimo anello del sistema di ricarica delle batterie per automobili è la colonnina di ricarica domestica o pubblica. Ancora una volta, se vogliamo raggiungere gli obiettivi imposti dalla legge sul clima, non abbiamo tempo da perdere. Oggi il numero di stazioni di ricarica è ancora abbondantemente al disotto delle necessità e le difficoltà di installazione, in particolare nei condomini, sono ancora importanti. La Confederazione, in collaborazione con diversi enti del settore, ha redatto una roadmap che prevede l’installazione di due milioni di colonnine di ricarica private entro il 2035. Anche se questo obiettivo sarà raggiunto, rimarrà comunque oltre un milione di automobilisti che non potrà ricaricare la propria auto elettrica a domicilio. Per questi ultimi sarà indispensabile affidarsi alle stazioni di ricarica pubbliche il cui sviluppo dipenderà anche dall’imprenditoria privata: se questo diventerà un business redditizio gli investimenti necessari non mancheranno.

Le incognite della transizione ecologica sono molte e le soluzioni per nulla scontate. Ognuno di noi dovrà fare la sua parte adattando a volte anche il proprio modo di affrontare la vita quotidiana.


Testo a cura di Marco Doninelli, Responsabile mobilità Cc-Ti