PtX (Power-to-X), dall’elettricità ai carburanti sintetici (e-Fuel)

Entro il 2050, la Svizzera dovrebbe raggiungere zero emissioni di CO2. I settori che ancora generano emissioni di CO2 attraverso la combustione di carburanti fossili dovranno compensarle con altre misure. Con una quota del 33%, il traffico stradale è considerato uno dei maggiori produttori di CO2. È quindi necessario un intervenire in modo incisivo per raggiungere questo obiettivo ambientale

Oggi i veicoli elettrici sono l’unica tecnologia che permette di ridurre in maniera decisa le emissioni. Considerando l’intero ciclo d’impatto, tank-to-wheel o well-to-wheel, questo risulta ottimale solo per le propulsioni elettriche, a condizione che l’energia utilizzata venga prodotta a emissioni zero. Questa visione, sostenuta dai politici, è però ben lontana dalla realtà. Finché in Europa si utilizzeranno combustibili fossili per produrre elettricità, anche le BEV risulteranno solo parzialmente rispettose in termine di emissioni. Inoltre, le immatricolazioni di auto nuove  mostrano che le vendite di BEV sono stagnanti. L’apertura tecnologica è quindi essenziale per fare in modo che la transizione ecologica riprenda vigore. La Svizzera è più avanti dell’Europa quando si parla di decarbonizzazione: la legge sulla CO2 presuppone che l’energia elettrica sia a zero emissioni e considera gli e-Fuel come parte della soluzione. Per e-Fuel si intendono i carburanti sintetici nei quali gli idrocarburi (HC) sono costituiti da carbonio (C) estratto dalla CO2 e da idrogeno (H2) ricavato dall’acqua (H2O). Questa trasformazione è nota anche come PtX,  ovvero trasformazione dell’energia elettrica in combustibile (Power-to-Gas o Power-to-Liquid). Se la produzione prevede l’utilizzo di sola elettricità rinnovabile, si parla anche di refuel (combustibile rinnovabile).

La combustione degli e-Fuel produce comunque CO2, ma solo nella quantità che è stata prelevata dall’atmosfera per produrre il carburante stesso. Questo rende neutra la quantità di CO2 prodotto. Un’altra opportunità è l’idrogeno (H2), che può essere convertito in elettricità nelle celle a combustibile o utilizzato come carburante nei motori a combustione.
Lo scorso anno il nostro è stato il primo paese a considerare i carburanti sintetici nella propria legislazione sulle emissioni di CO2. Questo apre la strada a nuovi veicoli con alimentazione alternativa. Purtroppo, però lo sviluppo della produzione di elettricità da fonti rinnovabili è in ritardo. Se tutti i settori (trasporti, riscaldamento, calore industriale) dovessero passare totalmente all’energia elettrica, non ci sarebbe una capacità di produzione sufficiente. L’assenza poi di un accordo sull’elettricità con l’UE renderebbe difficile pianificare le quantità da importare.
Inoltre, l’aumento di capacità produttiva e di sistemi di distribuzione dell’energia è frenato dalle numerose opposizioni ai futuri progetti. La via è quindi quella dello sfruttamento di più fonti energetiche quali fotovoltaico, eolico, idrico, biomassa, solare termico e geotermico. È solo con uno sviluppo coordinato di queste fonti che sarà possibile produrre energia elettrica sostenibile.

Grazie all’abbinamento intelligente e alla conversione in energia immagazzinabile (e-Fuel) la produzione in eccesso da fonte rinnovabile potrà essere immagazzinata in modo sostenibile. In questo modo sarà possibile coprire il fabbisogno energetico previsto per il 2050 (30-60 TWh).
Oltre ai requisiti tecnici standard, anche la compatibilità con i motori attuali e la facilità di immagazzinamento sono fondamentali per gli e-Fuel.

I requisiti legali sono definiti nell’Ordinanza sulla messa in commercio di combustibili e carburanti rinnovabili o a basse emissioni (OCoCr). Questa si basa a sua volta sulla “Direttiva Europea sulle Energie Rinnovabili III” (Direttiva – UE – 2023/2413), la quale si pone i seguenti quattro obiettivi:

  • Sostenibilità: l’elettricità per la produzione deve provenire da fonti rinnovabili.
  • Abbinamento diretto: l’impianto di produzione PtX deve essere direttamente correlato a queste fonti di produzione rinnovabili.
  • Approvvigionamento di CO2: basato solo su fonti biogeniche o dalla cattura diretta dall’aria.
  • Obiettivo di riduzione: le emissioni di CO2 devono essere ridotte di almeno il 70% lungo l’intera catena di produzione.

Realisticamente, oggi non è possibile produrre una quantità sufficiente di elettricità “pulita”. Per produrre il fabbisogno della Svizzera di e-Fuel, sarebbero necessarie aree dell’ordine di 600-1’200 km2 nelle quali installare milioni di pannelli fotovoltaici. L’Empa sta valutando la produzione di carburanti sintetici in Oman, grazie anche alla collaborazione partner esterni (tra i quali anche la Ticinese Synhelion). L’Oman ha destinato 50’000 km2 di deserto alla produzione di idrogeno e di e-Fuel.

Non possiamo comunque aspettarci che intere aree desertiche vengano completamente coperte da impianti fotovoltaici. Il ciclo dell’efficienza è pure fondamentale. In questo senso il vantaggio delle BEV nel confronto well-to-wheel (dal foro di trivellazione alla ruota) rispetto, ad esempio, ai veicoli a idrogeno (H2, Fuel-Cell, FC) e ai veicoli a combustione di e-Fuel, è innegabile.
Grazie alla loro elevata efficienza, nessun’altra propulsione può eguagliare i risultati in termini di rendimento. Per contro, lo stoccaggio problematico e la volatilità della produzione di energia elettrica, possono essere risolti grazie al PtX. Per quanto riguarda gli e-Fuel la Svizzera non ha la capacità di produrre le quantità di carburanti sintetici di cui avrà bisogno in futuro. L’unica opzione praticabile è quella di importarli, ciò che significa dipendere comunque dalle forniture estere.

L’apertura tecnologica e l’abbinamento intelligente delle fonti energetiche permetteranno di raggiungere gli obiettivi e faranno sì che in futuro i veicoli, compresi quelli d’epoca, grazie alla miscelazione dei carburanti fossili con gli e-Fuel produrranno sempre meno emissioni di CO2.

L’economia per la società

Un impegno costante

Già più volte ci siamo soffermati sul ruolo delle aziende nella società, spesso sottovalutato perché magari un po’ “oscuro” e poco pubblicizzato, ma fondamentale nel contesto della sostenibilità non solo economica ma anche sociale e ambientale, temi sempre più ricorrenti nella discussione pubblica.
È fuori di dubbio che la centralità della funzione di base delle impresa, cioè produrre ricchezza e creare posti di lavoro non è in discussione. Ma le aziende fanno anche molto altro nel contesto di quella che viene definita “Responsabilità sociale delle aziende” o anche CSR secondo la denominazione inglese).

Da tempo i dati certificano inequivocabilmente che nel contesto della CSR gli imprenditori svolgono un ruolo essenziale con comportamenti che favoriscono ad esempio la conciliabilità fra lavoro e famiglia. Senza dimenticare che dal 2019 al 2023 il mondo economico, proprio per questa tema, ha versato nelle casse cantonali 91 (novantuno) milioni di franchi prelevati sulle masse salariali, come previsto dalla cosiddetta riforma fisco-sociale del 2018. Mezzi destinati all’assegno parentale e alle misure sulla conciliabilità lavoro-famiglia e più particolarmente al sostegno alla spesa di collocamento dei figli, ai servizi e alle strutture di accoglienza e la sensibilizzazione delle aziende. Oltre alle misure di sostegno ai familiari curanti.

La concreta responsabilità sociale delle imprese

I dati raccolti in questi anni sul tema sono molto chiari, nel senso che le aziende ticinesi sono, a livello nazionale, posizionate nella media superiore delle misure prese a favore di collaboratrici e collaboratori, dell’ambiente e dell’efficienza economica (quindi a beneficio della società in generale). Le buone pratiche sono correnti e di varia natura, da misure apparentemente “banali” come l’informazione regolare di collaboratrici e collaboratori in merito all’andamento dell’azienda, passando per la priorità data ai fornitori locali e la promozione della formazione per il personale. Indicazioni più dettagliate si trovano nel documento CSRfocus “Responsabilità sociale delle aziende in Ticino”, che abbiamo pubblicato nel 2022. File disponibile sul nostro sito web www.cc-ti.ch.

A volte si tratta di comportamenti considerati assolutamente normali e usuali, magari immediatamente visibili, ma che hanno un risvolto rilevante sul benessere di chi lavora nell’azienda.
Per far emergere questa importante realtà, lo strumento del report online (www.ti-csrreport.ch) che abbiamo sviluppato con il supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE) ha lo scopo di facilitare il lavoro delle aziende nell’evidenziare i vari ambiti nei quali il loro impegno va ben oltre quanto gli scettici considerano, a torto, “greenwashing”.

Lavoro e famiglia, come conciliarli?

Anche le aziende ticinesi sono, nel limite delle loro possibilità, molto sensibili al tema. Purtroppo, un tessuto economico caratterizzato da piccole realtà ha dei limiti fisiologici su questo tema, nel senso che organizzare assenze, congedi, ecc. è tutt’altro che un esercizio semplice. Di questo occorre tenere conto ed è precisamente il motivo per il quale soluzioni forfettarie non esistono e occorre togliersi dalla testa la tentazione di imposizioni generalizzate, perché queste non sono gestibili, pena la paralisi del sistema economico. Sono invece possibili ed auspicate vie concordate fra aziende e dipendenti, all’insegna della collaborazione. Una collaborazione che deve esistere anche con il settore pubblico, al fine di disporre anche misure che non richiedono sforzi finanziari imponenti ma che possono rendere più facile la vota di tutti applicando il buon senso. Pensiamo non a caso a talune regole troppo penalizzanti per la gestione degli asili-nido, agli orari scolastici, ecc..

Reintegrazione professionale di persone in difficoltà

Notoriamente da oltre dieci anni collaboriamo con l’Ufficio dell’Assicurazione Invalidità dell’Istituto delle assicurazioni sociali per sostenere il reintegro nel mondo del lavoro di persone che, per vari motivi, hanno avuto problemi di salute che ne hanno interrotto il percorso professionale. Nel quadro di una manifestazione annuale chiamata “Agiamo Insieme” (il sunto dell’ultima edizione è consultabile all’indirizzo www.cc-ti.ch/agiamo-insieme-2024), vengono celebrate persone e aziende che si sono particolarmente impegnate in questa delicata operazione. Un’occasione di aggregazione importante che deve servire da sprone per molte altre persone in difficoltà e mira a sensibilizzare le aziende sulle varie possibilità che sono messe a disposizione per facilitare il reintegro di lavoratrici e lavoratori che devono riattivare la propria autostima e vita. In questo senso la collaborazione fra pubblico e privato è decisiva. Una collaborazione fra pubblico e privato che dimostra come vi sia una volontà comune di andare ben oltre il solo interesse economico. Una vera sensibilità per le persone e il territorio, che vede aziende di ogni settore, dall’industria ai servizi, determinate a predisporre importanti misure per agevolare collaboratrici e collaboratori con difficoltà. Chi parla di disimpegno dell’economia dalla realtà sociale evidentemente si sbaglia di grosso.
I fatti dimostrano che le aziende, oltre a svolgere i loro compito primario essenziale di creare ricchezza, contribuiscono in maniera sostanziale allo sviluppo sostenibile. Ovviamente vi sono anche motivazioni legate alle esigenze di mercato, perché il posizionamento come entità moderne, innovative e responsabili ha certamente sempre maggiore rilevanza. Me se fosse solo un interesse “mercantile” a muoverle, la cosa emergerebbe molto in fretta e sarebbe addirittura controproducente. Il contributo dell’economia alla società è fattuale e reale, frutto di una convinzione ben radicata.
Le aziende sono fatte di persone e prendersi cura di loro è una relazione win-win.
Sono solo alcuni esempi di una lista non esaustiva del contributo delle aziende alla collettività. Sarebbe bene tenerne conto anche nei dibattiti pubblici.

Anche lo Stato deve fare la sua parte

Il mercato europeo dell’automobile sta soffrendo. Le immatricolazioni di nuove automobili nel 2024 hanno registrato dei numeri negativi su praticamente tutti i mercati nazionali, Svizzera compresa.

Le motivazioni dietro a questa flessione sono sicuramente diverse. Da un lato la situazione geopolitica del continente con due guerre alle porte dell’Europa, la recessione economica in diversi settori e, non da ultimo, le imposizioni al settore dell’automobile da parte della Commissione Europea. Questi aspetti hanno minato la fiducia dei consumatori già sottoposti ad un marcato calo del loro potere d’acquisto. A questa difficile situazione congiunturale non sfugge nemmeno il mercato dell’automobile elettrica (BEV). Anzi, verrebbe da dire che quest’ultima, dopo la decisione della Commissione Europea di vietare la vendita di nuove automobili con motore a combustione a partire dal 2035, sia stata maggiormente penalizzata. Se da un lato, questa decisione, ha indicato ai fabbricanti di auto una via verso la mobilità elettrica certa, portandoli così ad abbandonare lo sviluppo ulteriore dei motori a combustione per concentrarsi unicamente sulla propulsione elettrica, sembra che essa abbia avuto l’effetto contrario nei consumatori.

È proprio a partire da inizio 2024 che le vendite di auto completamente elettriche hanno subito una brusca frenata mettendo a rischio la transizione verso una mobilità più rispettosa dell’ambiente. Cercando di analizzare il contesto da parte del consumatore questa situazione appare comprensibile. Da un lato tutti noi siamo sicuramente orientati ad una maggiore sostenibilità per l’ambiente per quanto riguarda l’utilizzo di energia e, oggi con la tecnologia a disposizione,  per il trasporto privato l’unica via percorribile è appunto quella della mobilità elettrica.
Dall’altra però le incognite per chi acquista un’automobile elettrica sono ancore molte e alcune senza risposte. Se con alcuni “limiti” delle  auto elettriche, come ad esempio la presuntascarsa autonomia, l’automobilista può imparare a conviverci e a gestirla, l’assenza della possibilità di ricarica della batteria al domicilio o sul posto di lavoro è un problema per alcuni insormontabile. Oggi viaggiare in Svizzera e nelle nazioni confinanti con un’auto a batteria con presa di ricarica (BEV) non è assolutamente un problema visto l’elevato numero di colonnine di ricarica pubbliche ben distribuite lungo i principali assi di transito e nelle località di destinazione.

Per esempio, al momento in Svizzera, si contano oltre 18’600 punti ricarica, un numero più che sufficiente per garantire tranquillità a tutti i possessori di un’auto elettrica. Ma si sa, gli svizzeri sono un popolo di inquilini che vivono nella stragrande maggioranza dei casi in condomini in affitto o in proprietà per piani. Per loro avere una colonnina di ricarica nel proprio posto auto è, ad oggi, praticamente impossibile.
Le amministrazioni o i proprietari degli stabili non son infatti disposti ad investire somme importanti per elettrificare i parcheggi o i garage. E, come è stato menzionato anche in articoli precedenti, guidare un’auto elettrica senza possibilità di ricaricarla quando è ferma, quindi durante la  notte al domicilio o durante il giorno sul posto di lavoro, non è assolutamente conveniente e praticabile.

Ed è proprio su quest’ultimo punto che le Istituzioni avrebbero dovuto puntare per stimolare la transizione verso la mobilità elettrica. Ed invece, con la commissione europea in prima linea, è stato deciso di imporre la transizione verso la mobilità elettrica inasprendo a dismisura le norme contro le emissioni di CO2, sanzionando quindi i fabbricanti che superano i valori obiettivi a causa della ridotta vendita di automobile ad emissioni zero. Le proposte di miglioramento tuttavia non mancano.
Luca Cifferi, Associate Publisher & Editor @ Automotive News Europe, durante un’intervista andata in onda su RSI RETE1 sul tema della crisi dell’auto elettrica in Europa, suggerisce un sanzionamento anche per gli stati che vengono meno alla messa in atto delle misure quadro per uno sviluppo generale delle colonnine di ricarica private. Solo così, secondo il suo punto di vista, sarebbe possibile una transizione ordinata e sostenibile verso la mobilità del futuro più pulita e sostenibile.

L’approvvigionamento energetico con energia verde e rinnovabile è l’altra sfida che le autorità politiche devono affrontare e risolvere. Ancora quasi ovunque vengono proposti incentivi per l’installazione, ad esempio, di impianti fotovoltaici su tetti di case private o di capannoni industriali per poi accorgersi che l’elettricità prodotta da quest’ultimi è difficilmente gestibile se non addirittura problematica per la gestione della rete di distribuzione elettrica. Anche inquesto caso si può ipotizzare una scarsa visione generale da parte di chi detta le regole del gioco che non ha previsto una gestione coordinata di tutte le tecnologie oggi a disposizione per una transizione ecologica. Impianto fotovoltaico sul tetto di casa e auto elettrica in garage, se ben gestiti, sono sicuramente una delle vie da percorrere per rendere più sostenibile la mobilità individuale privata e non solo.

Ma è proprio qui che lo Stato deve intervenire: sostenendo il privato cittadino o l’imprenditore lungimirante nell’implementazione di un sistema globale della gestione energetica. Lo Stato deve fare la sua parte.

Regolamento UE Ecodesign: pubblicate le FAQ

La Commissione europea ha pubblicato una guida completa volta a chiarire il Regolamento sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili.

Il 18 luglio scorso, nell’Unione europea (UE) è entrato in vigore il Regolamento (UE) 2024/1781 sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili (ESPR). Il regolamento Ecodesign, come viene comunemente chiamato, ha l’obiettivo di migliorare la sostenibilità ambientale dei prodotti e a tal proposito introduce criteri di progettazione quali la durevolezza, la riciclabilità, l’impronta ambientale e la riutilizzabilità degli stessi e l’uso del “passaporto digitale” quale strumento di trasparenza e tracciabilità lungo tutta la filiera produttiva.

Il regolamento disciplina praticamente tutti i prodotti immessi sul mercato o messi in servizio nell’UE e non solo i prodotti di consumo. Esistono solo poche esclusioni, quali ad esempio i prodotti alimentari, i mangimi, e i medicinali. La Commissione europea dovrà stabilire i requisiti specifici per i diversi prodotti, dopodiché i produttori e i Paesi dell’UE avranno 18 mesi di tempo per conformarvisi. Tra i primi prodotti a dover essere regolamentati figurano ferro e acciaio, alluminio, prodotti tessili, mobili, pneumatici, detersivi, vernici, lubrificanti, prodotti chimici, prodotti connessi all’energia, prodotti delle TIC e altri dispositivi elettronici (cfr. art. 18 par. 5). Il relativo atto delegato non entrerà in vigore prima del 19 luglio 2025.

Per rispondere ai quesiti più frequenti, a fine settembre la Commissione europea ha pubblicato un documento con 171 FAQ che affrontano un’ampia gamma di argomenti e, nello specifico, chiariscono termini, ambito di applicazione, tempistiche di attuazione, interazione con altri regolamenti (come ad esempio il regolamento sui rifiuti di imballaggio e il REACH) e, non meno importante, le questioni legate al commercio dei prodotti (passaporto digitale, etichettatura, verifica e conformità, implicazioni per gli operatori economici di Paesi terzi,…).

Il documento può essere scaricato qui in formato pdf: Ecodesign for Sustainable Products Regulation (ESPR) – Frequently Asked Questions (1.22 Mb)

Il report di sostenibilità arriva a nuove aziende

La Cc-Ti, nell’ambito dei servizi CSR e della piattaforma www.ti-csrreport.ch, ha concluso un progetto che ha visto gli studenti e aziende collaborare per la realizzazione di nuovi report CSR.

Insieme a SUPSI, nell’ambito del Master of Science in Business Administration con Major in Innovation Management (programma che ha l’obiettivo di preparare giovani professionisti della gestione del cambiamento in azienda dal punto di vista sia teorico, sia pratico, unendo lezioni ad esperienze progettuali concrete), la Cc-Ti ha individuato 10 aziende che si sono rese disponibili a collaborare con gli studenti che hanno frequentato il modulo “Corporate social responsibility Reporting”.

Partecipanti

Sono state coinvolte queste aziende: Borgovecchio SA vini, Caffè Chicco d’Oro, Cattaneo Impianti SA, Cippà Trasporti SA, EnerimpulsE SA, Graniti Maurino SA, Ideal-tek SA, Hockey Club Lugano, NAPP Sagl e Smart Gorla Services SA.

Scopi e metodologia

L’obiettivo era quello di fornire gli strumenti necessari per comprendere, analizzare e redigere il rapporto di sostenibilità semplificato elaborato da dalla Cc-Ti, con il supporto scientifico del-la SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE).

Gli studenti hanno dovuto redigere un rapporto di sostenibilità semplificato per un’azienda del territorio. Il rapporto di sostenibilità è considerato un tool per l’innovazione, in quanto costituisce uno strumento chiave per la pianificazione strategica del cambiamento, volto a raggiungere obiettivi aziendali di sostenibilità.

È stato quindi organizzato un incontro informativo spiegando l’utilizzo della piattaforma e il coinvolgimento fra aziende e studenti.

Il ruolo della Cc-Ti era prettamente di supporto sia per gli studenti che per le aziende. Gli studenti hanno dunque dovuto gestire i contatti con le aziende, le tempistiche e anche gli imprevisti che potevano capitare.

Gli studenti si son dimostrati sin da subito entusiasti di poter mettere in pratica le nozioni precedentemente acquisite sul tema della CSR, le aziende, dal canto loro, hanno mostrato un notevole interesse a collaborare con gli studenti, il risultato finale è stato molto positivo per tutti.

Come Cc-Ti possiamo senza dubbio guardare con favore a questo progetto ed al suo sviluppo, valido per sensibilizzare le aziende del territorio alle tematiche in ambito CSR e avvicinare più attori al report di sostenibilità, che ricordiamo, è utile

  • per comunicare il valore generato dall’impresa non solo a livello economico ma anche sociale e ambientale, dimostrando la propria affidabilità a 360° ai partner,
  • per consolidare l’immagine e la reputazione dell’impresa,
  • per integrare e sviluppare le buone pratiche, verificando e migliorando i propri parametri a livello di sostenibilità e di responsabilità sociale,
  • per partecipare e avvantaggiarsi nei bandi pubblici che riconoscono la premialità alle imprese socialmente responsabili.

Un sì convinto il 24 novembre prossimo

Autostrada: è un tipo di via di comunicazione, progettata per agevolare la circolazione di grandi volumi di traffico veicolare ad alta velocità, in alternativa a una strada della viabilità ordinaria che non garantisce la stessa capacità di transiti e non gestisce gli stessi problemi di sicurezza. (fonte: Wikipedia)

Proprio partendo dalla definizione di autostrada che si legge in Wikipedia, la nota enciclopedia libera online fonte apprezzata di molte informazioni, e riallacciandomi all’articolo della scorsa edizione di Ticino Business dal titolo «Un tempo, le strade erano un “arricchimento del paesaggio» cercherò di fare un’analisi personale della situazione attuale.

Che le autostrade svizzere siano delle vie di comunicazione importanti è fuori dubbio. Con un minimo sfruttamento del territorio che rappresenta oggi solo il 2.7% della superficie stradale complessiva svizzera (che a sua volta rappresenta il 2% dell’intero territorio svizzero) assorbe in compenso il 45% del traffico su stradale. Anche questo secondo punto che troviamo nella definizione di autostrada viene ancora oggi pienamente confermato. Wikipedia ci ha pienamente azzeccato quindi! Non proprio, la definizione continua poi con: ad alta velocità, in alternativa a una strada della viabilità ordinaria … Ecco che qui, come si suol dire casca l’asino. Oggi percorrere le autostrade svizzere significa speso e volentieri restare fermi in colonna e percorrere lunghi tratti a velocità ridotta o in alternativa uscire dall’autostrada e percorrere strade urbane ed extraurbane che attraversano villaggi e città creando disagi ai residenti e intasando pure queste vie di comunicazione.

A questo proposito le cifre fornite da USTRA sono impietose: nel 2023 gli automobilisti svizzeri hanno trascorso 48’807 ore incolonnati in autostrada di cui 86.7% era imputabile direttamente all’intasamento delle strade. Questo corrisponde ad un aumento rispetto all’anno precedente del 22.4% a fronte di un aumento del traffico di solo l’1.5%. La spiegazione di tutto ciò sta nel raggiungimento, e spesso del superamento, della capacità di traffico delle autostrade progettate e costruite nella gran parte dei casi negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. La situazione è quindi sempre più insopportabile e sicuramente come ognuno di noi ha provato sulla propria pelle restando incolonnato per ore, richiede delle soluzioni.

La mobilità della popolazione è oggi uno dei diritti che si ritiene acquisito e che quindi difficilmente saremo disposti a rinunciarvi. Una interessante statistica pubblicata dalla rivista del TCS nella sua edizione di settembre 2024 dimostra che gli spostamenti per il tempo libero rappresentano la maggior parte del traffico seguiti, al mattino presto e alla sera dagli spostamenti per recarsi al lavoro. Viene spontaneo chiedersi come si possa intervenire per limitare i disagi dovuti agli imbottigliamenti senza però limitare la libertà di spostamento della popolazione per piacere o per dovere. Certamente lo sviluppo dei trasporti pubblici (in particolare della rete ferroviaria) è una strada che va percorsa e che la Confederazione sta portando avanti con la garanzia dei necessari investimenti grazie al fondo per il finanziamento e l’ampliamento dell’infrastruttura ferroviaria FIF, ma anche il potenziamento della reta stradale nazionale deve fare la sua parte.

Il 25 novembre prossimo il popolo svizzero sarà chiamato ad esprimersi sul referendum contro il Programma di sviluppo strategico (PROSTRA) delle strade nazionali che prevede un investimento di 11.6 miliardi di franchi entro il 2030 per portare a termine 5 progetti volti ad eliminare quelli che sono oggi i punti più soggetti ad imbottigliamenti dovuti al traffico veicolare.

In particolare, si tratta di adeguare le strutture del tunnel del Reno a Basilea, del tratto autostradale Wankdorf – Schönbhül – Kirberg, di quello tra Le Vengeron – Coppet -Nyon, della seconda canna del tunnel di Fäsenstaub e della terza canna del tunnel Rosenberg. In caso di bocciatura da parte del popolo di questi cinque progetti, è scontato che la situazione della viabilità non potrà che peggiorare a scapito anche delle zone circostanti che si vedranno sempre più messe sotto pressione dal traffico di aggiramento che invece che transitare sull’autostrada si sposterà sempre più sulle strade cantonali e comunali.

Un altro grosso pericolo in caso di voto contrario al referendum è che tutti i futuri progetti di completamento e adeguamento della rete di strade nazionali vengano rimandati se non addirittura cancellati con ripercussioni negative anche per il nostro cantone. Il collegamento diretto tra Locarno e Bellinzona, o altri progetti a sud delle Alpi volti a migliorare la viabilità di tutti noi, difficilmente vedrebbero la luce.

Un sì convinto è certamente la scelta giusta che i cittadini svizzeri dovranno esprimere con il voto del prossimo 25 novembre nella consapevolezza che un potenziamento della rete stradale nazionale è oggi indispensabile per garantire un futuro di prosperità e sicurezza a tutti cittadini sia automobilisti che utenti dei mezzi di trasporto pubblici.


Articolo a cura di Marco Doninelli, Responsabile mobilità Cc-Ti

Strada e ferrovia, accostamento vincente

Le strade… crocevia di disquisizioni infinite del mondo moderno, sono ormai costantemente oggetto di diatribe, non solo a causa dei quotidiani bollettini sul traffico, ma anche e soprattutto quando si tratta di decidere interventi infrastrutturali per adeguamenti di capacità.

© Staatsarchiv Luzern

Purtroppo, nella discussione politica molti sono ancora ostaggi di una contrapposizione ideologica fra trasporto privato e pubblico, come se si trattasse di due entità nettamente separate e non parte dello stesso sistema. L’economia ha sempre sottolineato la necessità di considerare i vari vettori di trasporto come complementari (strada, ferrovia e pure aereo). Unitamente alla rete ferroviaria, quella stradale nazionale è essenziale per il buon funzionamento del nostro Paese. La mobilità individuale e collettiva, così come quella logistica della consegna delle merci, è possibile solo con infrastrutture ferroviarie e stradali dinamiche ed efficienti.

Un territorio che vuole essere forte economicamente deve poter contare su mezzi di trasporto diversificati e integrati. Non ci sono alternative e le scelte unilaterali hanno poco senso.
Pensiamo allo scenario auspicato da taluni “esperti” durante la campagna di votazione per la realizzazione del secondo tubo autostradale del San Gottardo: chiusura del traffico stradale e tutto il peso sulla ferrovia, persone e merci. Questo non tenendo conto dell’ovvia limitata disponibilità di tracce ferroviarie, considerata come un dettaglio, facilmente risolvibile. L’incidente che ha bloccato la galleria di base per oltre un anno dall’agosto 2023 al prossimo mese di settembre è la risposta più eloquente a questi tipi di approcci settari.

Il prossimo 24 novembre 2024 sarà un ulteriore banco di prova per un approccio “integrato” (strada e ferrovia), visto che saremo chiamati alle urne per votare sulla Fase di potenziamento delle strade nazionali 2023, oggetto di referendum. La proposta comprende sei progetti in diverse regioni della Svizzera (non in Ticino), volti a eliminare e/o ridurre i “colli di bottiglia”, migliorando il flusso del traffico sulle nostre strade nazionali. Un potenziamento più che necessario, considerata la crescita economica, l’aumento della popolazione e il conseguente incremento dei veicoli stradali a motore in Svizzera che nel 2023 erano quasi 6,5 milioni (di cui ¾ automobili, ca. 4,8 milioni di immatricolazioni), a fronte dei circa 5,7 milioni del 2013 (nel 1950 erano 147’000…).
Centrale resta una visione complessiva e integrata della mobilità per rendere più scorrevole il traffico sia per i mezzi pubblici che per il trasporto privato, facilitando notevolmente gli spostamenti sul nostro territorio ed evitando di sostare ore fermi nel traffico congestionato. Le soluzioni alternative proposte fino a oggi, come gli impianti di limitazione dinamica della velocità o le corsie dinamiche, non sono più sufficienti in molti tratti autostradali per gestire il traffico attuale e per affrontare la crescita di quello futuro. Anche se la crescita dovesse rallentare, ipotesi poco plausibile, si può legittimamente ritenere che non vi saranno diminuzioni significative rispetto allo stato attuale delle cose. I potenziamenti mirati proposti per risolvere le criticità più gravi sono pertanto assolutamente sensati e necessari.
Questa tendenza all’aumento del traffico privato si verifica malgrado l’inalterata e, anzi, crescente passione della popolazione svizzera per il trasporto pubblico, con cifre record per il numero di chilometri percorsi dalle persone, come attestato dall’Associazione svizzera per il trasporto pubblico (www.voev.ch). Certo, il trasferimento delle merci su rotaia ha ancora un potenziale di crescita, ma è illusorio pensare di risolvere tutti i problemi del traffico puntando solo su questo elemento. Per quanto riguarda il Ticino, ci sono comunque buone notizie per il trasporto pubblico: i dati confermano che i passeggeri continuano ad aumentare. Il potenziamento dell’offerta di tre anni fa sta dando i suoi frutti, con un 2023 da record e anche il 2024 si preannuncia in crescita. In ottica dei finanziamenti futuri a livello cantonale, a fine maggio è stata presentata la richiesta di stanziamento di un credito quadro per il finanziamento delle prestazioni di trasporto pubblico per il quadriennio 2025-2028, pari a 462,1 milioni di franchi, di cui 358,3 milioni a carico del Cantone e 103,8 milioni a carico dei Comuni.

Anche molte aziende si sono da tempo attivate con misure puntuali messe in campo per cercare di contenere il traffico nell’ottica di una mobilità sostenibile, attraverso iniziative come il car pooling, il car sharing, sconti per collaboratori per l’abbonamento arcobaleno o navette aziendali.

L’automobile si conferma comunque ancora il mezzo preferito dagli svizzeri per gli spostamenti quotidiani. La complementarità menzionata in precedenza permette di ponderare quale sia il mezzo di trasporto più idoneo per una determinata tratta e, spesso, l’automobile gioca ancora un ruolo cruciale. Fare in modo che il traffico scorra senza intoppi sulle autostrade significa quindi anche alleggerire le città e i comuni, verso i quali spesso si riversano i flussi rallentati sulla rete nazionale. Le code interminabili si ripercuotono infatti direttamente sulla viabilità delle strade cantonali, mettendo in difficoltà regioni intere.
I dati pubblicati a metà giugno da USTRA sono chiari: con un aumento del 22,4% rispetto all’anno precedente, gli incolonnamenti in Svizzera hanno raggiunto un valore record nel 2023, totalizzando 48’807 ore, di cui l’86,7% imputabile a problemi di congestione della rete. Numeri che confermano la necessità di un aumento della capacità della rete autostradale.

Il Ticino non è direttamente toccato dalla votazione del 24 novembre 2024, ma è importante comunque sostenere progetti infrastrutturali che ci concernono anche solo in maniera indiretta, perché è un atto di solidarietà con le altre regioni svizzere e di coerenza nell’ambito della politica dei trasporti auspicata.
Del resto, l’importanza per i ticinesi del trasporto privato è dimostrata non solo dall’elevato numero di veicoli immatricolati (324’508 nel 2022), ma anche dall’età media delle automobili, che in Ticino è di 8,9 anni a fronte dei 10 anni della media nazionale. Un parco veicoli meno “vecchio” di quello degli altri cantoni, non male per una regione considerata povera…

Per maggiori informazioni, continuare ad approfondire il tema con l’articolo «Un tempo, le strade erano un “arricchimento del paesaggio”»

«Non solo business…»

L’economia per la società

La nostra società sta vivendo una fase di cambiamenti epocali. L’innovazione tecnologica avanza a un ritmo vertiginoso, trasformando il panorama lavorativo: vecchi mestieri scompaiono, mentre nuove competenze emergono. Questo progresso tecnologico non solo rivoluziona l’economia, ma ridisegna profondamente il tessuto sociale, creando opportunità inedite ma anche nuove sfide.

Di fronte a queste trasformazioni, diventa ad esempio imprescindibile ripensare il nostro sistema formativo e colmare la mancanza di manodopera qualificata in molti settori, specialmente in vista dell’imminente pensionamento della generazione dei baby boomer. La necessità di formazione continua e aggiornamento diventa essenziale per restare al passo con i tempi, mantenere la competitività in un contesto internazionale sempre più agguerrito e severo e quindi poter garantire che si possano creare posti di lavoro a beneficio di tutta la collettività.

Il ruolo delle aziende

Ma oggi il ruolo atavico delle aziende, cioè, detto in maniera diretta, ottenere profitto per poter investire e creare posti di lavoro in un’ottica “win-win” per tutti non è più considerato sufficiente.

Dalle aziende si esige un ruolo differenziato, più ampio, che favorisca anche fattori ambientali e sociali, oltre che economici. Elementi richiesti dal mercato, dalle filiere stesse, da chi valuta la propria collocazione lavorativa e dalla politica.

Connotazioni all’apparenza più complesse, ma che in realtà spesso le aziende possiedono e perseguono già, anche inconsapevolmente, nel proprio percorso etico sotto il capitolo della “Responsabilità sociale delle aziende” (o anche CSR secondo la denominazione inglese), concetto tutt’altro che nuovo o vacuo per gli imprenditori.

Nel contesto della CSR, che qualcuno a torto considera come mera operazione di marketing emergono, in realtà da tempo, molteplici comportamenti “virtuosi” (termine abusato e che non utilizziamo con piacere, ma che rende l’idea…), che dimostrano inequivocabilmente il già fattivo impegno dell’economia per la società, ben più ampio di quello tradizionale citato all’inizio del capitolo. Un’evoluzione sostanziale, purtroppo ancora troppo poco percepita nel sentire comune, come ha dimostrato la recente votazione cantonale sulla riforma fiscale. Occasione per gli oppositori alla riforma, dati i carenti argomenti, di rispolverare un noto slogan, secondo cui le aziende “rubano”. Senza distinzioni, verità assoluta tipica del pensiero unico di stampo totalitario.

Frutto d’ignoranza (nel senso etimologico del termine, cioè di mancanza di conoscenza della realtà) e/o di malafede. La campagna di votazione spiega molto ma non può giustificare tutto e le menzogne, gli attacchi personali e gli insulti si sono qualificati da soli. È di fondamentale importanza ribadire alcuni temi concreti, magari meno noti, che vedono le imprese in prima fila e spesso anche promotrici di tematiche e pratiche non direttamente legate alla loro attività di base, ma rilevanti per tutta la società, senza dimenticare comunque che il risvolto economico non può e non deve essere considerato un peccato. Del resto, anche chi continua a voler soppesare con diffidenza il mondo imprenditoriale, converrà che è meglio contare su aziende sane che prosperano e possono contribuire al benessere comune, piuttosto che su società fallimentari e a carico della collettività. A meno di credere ciecamente nel potere taumaturgico dello Stato di sostituirsi all’economia, ma questa è un’altra questione.

La responsabilità sociale delle imprese

Come detto in precedenza, questo concetto può declinarsi in molte maniere e concretizzarsi con differenti modalità. Comportamenti quotidiani, magari non immediatamente visibili, ma che hanno un risvolto rilevante sul benessere di chi lavora nell’azienda. Per far emergere questa realtà, abbiamo sviluppato, con il supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE) un modello online di rapporto di sostenibilità, accessibile tramite il link: www.ti-csrreport.ch.

Proprio per dare modo alle aziende di evidenziare, in maniera semplice e diretta, i vari ambiti nei quali il loro impegno va ben oltre quella che gli scettici chiamano pura realizzazione del profitto (che per molti resta comunque ancora e sempre “lo sterco del diavolo”). I dati sono inequivocabili: le aziende ticinesi si collocano a un livello superiore nella media nazionale e manifestano attenzione verso il tema, sulla base proprio dei valori e delle convinzioni della dirigenza stessa. Le misure concrete vanno dalla mobilità aziendale alle buone pratiche.

Ne sono state rilevate ben 138 in 32 diversi ambiti. I dati sono riferiti al periodo pre-pandemico e risultano dalla nostra inchiesta congiunturale del 2020 (link: https://www.cc-ti.ch/risultati-inchiesta-cong-2019-2020/).

Data l’accelerazione di nuove forme lavorative, come lo Smart Working, proprio da quanto vissuto durante la pandemia, i dati oggi sono senz’altro ancora superiori.

Conciliabilità tra lavoro e famiglia

Tema importante nel contesto della CSR e non si può certo dire che le aziende ticinesi non contribuiscano a questa causa. Al di là delle applicazioni pratiche nelle singole imprese, che variano ovviamente a seconda delle dimensioni aziendali e della possibilità di flessibilità organizzativa, è giusto rilevare che l’economia cantonale ha versato, negli anni fra il 2019 e il 2023, qualcosa come 91 (novantuno) milioni di franchi nell’apposito fondo cantonale creato con la riforma fisco-sociale entrata in vigore nel 2018. Mezzi destinati all’assegno parentale e alle misure sulla conciliabilità lavoro-famiglia e più particolarmente al sostegno alla spesa di collocamento dei figli, ai servizi e alle strutture di accoglienza e la sensibilizzazione delle aziende. Oltre alle misure di sostegno ai familiari curanti.

Un impegno sostanziale, fatto anche di sacrificio e consapevolezza, e quando si utilizza la parola “ladri” riferendosi alle aziende magari sarebbe opportuno ridimensionare pregiudizi e “slogan” populisti in virtù di una lettura fattuale e includente della realtà. Questo non per assolvere sempre e comunque il mondo imprenditoriale in toto, che deve assumersi determinate responsabilità. Del resto, sono gli imprenditori stessi a chiedere un certo rigore quando si tratta di dimostrare il fare impresa correttamente.

Reintegrazione professionale

Dal 2012 collaboriamo con l’Ufficio dell’Assicurazione Invalidità dell’Istituto delle assicurazioni sociali nell’ambito della manifestazione “Agiamo Insieme” (www.cc-ti.ch/agiamo-insieme-2024), momento dedicato alla reintegrazione professionale di persone con problemi di salute. Persone che hanno ricostruito con successo la propria carriera lavorativa unendo la propria resilienza e il supporto di aziende del territorio.

Questo gratificante binomio tra azienda e collaboratore viene raccontato attraverso testimonianze e video-reportage, dimostrando quanto l’impegno congiunto (persona, famiglia, azienda, economia e Istituzioni) possa essere premiante per tutti.

Una collaborazione fra pubblico e privato che dimostra come vi sia una volontà comune di andare ben oltre il solo interesse economico, ma una vera sensibilità per le persone e il territorio. Vero che la collaborazione con lo Stato in questo contesto è fondamentale, ma vedere aziende di ogni settore, dall’industria ai servizi, determinate a predisporre importanti misure non solo organizzative ma anche sostanziali, modificando gli spazi di lavoro, per agevolare i collaboratori con difficoltà a poter svolgere la propria attività lavorativa, è solo uno degli esempi che contraddice il presunto disimpegno dell’economia dalla realtà sociale.

Sentenziare è una cattiva abitudine non solo ticinese, ma sul nostro territorio siamo particolarmente abili, purtroppo, a disprezzare o sminuire quanto di buono viene fatto e ignorare scientemente iniziative di questo tipo dimostra quanto sia ancora impervio il cammino verso un confronto basato sui fatti e non sul puro confronto ideologico.

Le imprese non solo contribuiscono allo sviluppo sostenibile, ma hanno tutte le qualità e l’interesse a posizionarsi come entità innovative, responsabili e competitive sul mercato. Questo approccio olistico si allinea alle preferenze dei consumatori e alle tendenze normative in evoluzione, favorendo il successo a lungo termine. Il rispetto è molto spesso un’utopia, ma non va dimenticato che l’economia siamo tutti noi, persone e aziende costituiscono un tutt’uno. La differenza tra parlarne e sparlarne è alla base di chi siamo e vogliamo essere. Potrebbero bastare anche solo cinque minuti senza preconcetti per ricostruire un dibattito sensato, basato su cose concrete e non su basse insinuazioni.

Sostenibilità: la CSDDD europea in breve

La direttiva sulla dovuta diligenza in materia di sostenibilità delle imprese (CSDDD/CS3D), entra in vigore il 25 luglio 2024 e richiederà alle imprese con sede nell’Unione europea (UE) e alle imprese extra-UE con attività nel mercato comunitario di gestire con attenzione gli impatti sociali e ambientali lungo l’intera catena di approvvigionamento.

Dopo un lungo iter negoziale, terminato con l’approvazione finale del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 giugno 2024, la Direttiva (UE) 2024/1760 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 giugno 2024, relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità – più comunemente nota come CSDDD o CS3D – è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’UE il 5 luglio 2024 ed entra in vigore il 25 luglio 2024. Per essere pienamente applicabile, entro due anni dovrà essere recepita nel diritto nazionale degli Stati membri.

Oggetto e ambito di applicazione

La CSDDD richiederà alle imprese di adottare misure per prevenire, mitigare o ridurre al minimo gli impatti sui diritti umani e sull’ambiente che potrebbero derivare dalle attività che svolgono e dalle catene del valore a cui partecipano. Trattasi in particolare di attività a monte quali la progettazione, l’estrazione, l’approvvigionamento, la fabbricazione, il trasporto, l’immagazzinamento e la fornitura di materie prime, prodotti o parti dei prodotti e lo sviluppo del prodotto o del servizio, nonché di attività dei partner commerciali a valle, tra cui la distribuzione, il trasporto e l’immagazzinamento del prodotto, laddove i partner commerciali svolgano tali attività per l’azienda o a nome dell’azienda.

Il processo di attuazione del dovere di diligenza (due diligence) dovrà seguire le seguenti fasi:

  • integrazione della due diligence nelle politiche e nei sistemi di gestione;
  • individuazione e valutazione degli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente;
  • prevenzione e attenuazione degli impatti negativi potenziali e arresto degli impatti negativi effettivi e minimizzazione della relativa entità;
  • riparazione degli impatti negativi effettivi;
  • istituzione e mantenimento di un meccanismo di notifica e di una procedura di reclamo;
  • monitoraggio dell’efficacia della propria politica e delle misure di due diligence ogni 12 mesi; 
  • comunicazione delle proprie attività di due diligence pubblicando sul sito web una dichiarazione annuale.

Entro il 31 marzo 2027, la Commissione adotterà gli opportuni atti delegati relativi al contenuto e ai criteri per la rendicontazione.

Tempistiche di applicazione

Gli Stati membri dell’UE dovranno recepire la CSDDD nel rispettivo diritto nazionale entro il 26 luglio 2026.

Le disposizioni della direttiva saranno in seguito applicate secondo le seguenti tempistiche:

  • dal 26 luglio 2027 la CSDDD si applicherà alle aziende europee con oltre 5’000 dipendenti e un fatturato netto a livello mondiale superiore a 1,5 miliardi di euro così come ad aziende estere con un fatturato netto di oltre 1,5 miliardi di euro generato nell’UE o a società madri di un gruppo che, su base consolidata, ha raggiunto tale soglia;
  • dal 26 luglio 2028 si applicherà alle aziende europee con oltre 3’000 dipendenti e un fatturato netto a livello mondiale superiore a 900 milioni di euro così come ad aziende estere con un fatturato netto di oltre 900 milioni di euro generato nell’UE o a società madri di un gruppo che, su base consolidata, ha raggiunto tale soglia;
  • dal 26 luglio 2029 si applicherà a tutte le società europee con oltre 1’000 dipendenti e un fatturato netto a livello mondiale superiore a 450 milioni di euro, alle aziende estere con un fatturato netto di oltre 450 milioni euro generato nell’UE o a società madri di un gruppo che, su base consolidata, ha raggiunto tale soglia così come ad aziende che hanno stipulato o sono società madri di un gruppo che ha stipulato accordi di franchising o di licenza nell’UE in cambio di diritti di licenza (royalties) con società terze indipendenti, qualora tali diritti ammontino a oltre 22,5 milioni di euro nell’UE e il fatturato netto generato risulti essere superiore a 80 milioni di euro.

Le soglie indicate dovranno essere raggiunte dall’azienda per due esercizi finanziari consecutivi.

Autorità di vigilanza e sanzioni

Ogni Stato membro dell’UE istituirà un’autorità di vigilanza per verificare che le imprese rispettino gli obblighi previsti dalla Direttiva. Esse potranno avviare indagini, condurre ispezioni e imporre sanzioni, anche pecuniarie, alle aziende inadempienti. Le sanzioni pecuniarie potranno arrivare fino al 5% del fatturato netto mondiale della società in questione. Le autorità nazionali saranno coordinate a livello comunitario dalla cosiddetta “Rete europea delle autorità di vigilanza”.

Verde a metà…

quando la realtà è un’altra

Il greenwashing – neologismo inglese che generalmente viene tradotto come ecologismo di facciata o ambientalismo di facciata – è una pratica ingannevole adottata da alcune aziende, organizzazioni o individui che si presentano come ambientalmente responsabili o impegnati nella sostenibilità senza però attuare effettivamente cambiamenti significativi nelle loro operazioni o nei loro prodotti. Le tattiche di greenwashing possono includere l’uso di etichette fuorvianti, affermazioni vaghe o esagerate sui benefici ambientali, la messa in evidenza iniziative eco-friendly minori mentre si minimizzano pratiche più dannose per l’ambiente, e la distrazione dalle questioni ambientali attraverso campagne di marketing o PR. L’obiettivo del greenwashing è spesso quello di attirare i consumatori ambientalmente consapevoli e migliorare l’immagine pubblica di un’azienda senza compiere sforzi sostanziali verso una sostenibilità autentica.
Questa pratica può minare la fiducia nelle iniziative ambientali e rendere più difficile per i consumatori fare scelte informate sui prodotti e servizi che acquistano. Inoltre, le aziende che adottano questa pratica rischiano di compromettere la loro reputazione nel lungo termine.

Le tecniche di greenwashing possono variare e possono essere sottili o evidenti. Ecco alcune delle più comuni:

  • etichette ingannevoli: le etichette che suggeriscono che un prodotto sia “naturale” o “ecologico” senza fornire dettagli specifici sulle pratiche effettive possono essere fuorvianti.
  • affermazioni generiche: dichiarazioni vaghe come “rispettoso dell’ambiente” o “verde” senza fornire prove concrete o dettagli sulle pratiche sostenibili utilizzate.
  • spot pubblicitari suggestivi: campagne pubblicitarie che utilizzano immagini di natura o animali senza correlarle direttamente al prodotto o al servizio promosso.
  • sponsorizzazioni ambientali: finanziare eventi o organizzazioni ambientaliste per creare l’illusione di supporto alla sostenibilità, anche se l’azienda non sta effettivamente adottando pratiche eco-friendly.
  • imballaggi “verdi”: utilizzare imballaggi con colori o immagini evocative della natura senza necessariamente riflettere un impegno reale per la sostenibilità.
  • compensazione delle emissioni di carbonio: affermare di compensare le emissioni di carbonio senza ridurle effettivamente o senza trasparenza sulle pratiche utilizzate per compensare.
  • falsi marchi di certificazione: utilizzare marchi di certificazione che possono sembrare legittimi ma che non sono verificati da enti credibili o che non corrispondono effettivamente alle pratiche sostenibili.
  • ’highlighting’ di iniziative minori: mettere in evidenza piccole iniziative sostenibili, come l’utilizzo di materiali riciclati per una piccola parte di un prodotto, mentre si trascurano gli impatti ambientali più significativi.

Queste sono solo alcune delle tecniche – purtroppo – più conosciute ed utilizzate, che vengono classificate come “greenwashing”.
È importante però, per le aziende, adottare pratiche trasparenti e responsabili per evitare di incorrere in queste “insidie”, promuovendo invece un autentico impegno verso la sostenibilità.

In conclusione, alcuni spunti di riflessione:

  • Incoraggiare una comunicazione aperta e chiara delle pratiche aziendali fornendo informazioni dettagliate sulle iniziative sostenibili adottate dall’azienda e garantire la trasparenza sulle azioni ambientali, sociali ed economiche.
  • Ottenere certificazioni credibili, cercando riconoscimenti tangibili da enti terzi affidabili che confermino le pratiche sostenibili dell’azienda, dimostrando impegno e conformità agli standard ambientali. La vostra Cc-Ti, grazie alla piattaforma ti-csrreport.ch, può sostenervi in questo ambito.
  • Sostenere le affermazioni con dati concreti, evitando asserzioni troppo generiche o esagerate e fornire prove tangibili che supportino le dichiarazioni di sostenibilità dell’azienda.

Non sarà il riconoscimento “green” ad assicurare un rafforzamento della reputazione, bensì la vera messa in atto di processi e pratiche in accordo con il rispetto per l’ambiente e con la tutela degli aspetti in ambito sostenibile.