Dal 2023 inviano la domanda soltanto i nuovi aspiranti beneficiari, mentre chi già riceveva l’Assegno unico non deve fare nulla a meno che non siano intervenute variazioni che richiedono un’integrazione tempestiva della vecchia domanda sul sito INPS, per consentire di adeguare la prestazione alla nuova situazione reddituale o familiare. I beneficiari attivi a febbraio 2023, da marzo ottengono il rinnovo automatico alle medesime condizioni, rapportate all’eventuale ISEE in corso di validità.
Lo scorso 23 dicembre vi abbiamo informati che l’Accordo amichevole concluso con l’Italia nel giugno 2020 sul telelavoro dei frontalieri non verrà prorogato e che il regime speciale in materia fiscale decadrà quindi il prossimo 1° febbraio 2023. Ieri l’Autorità fiscale italiana ha precisato che i frontalieri italiani che continueranno in modalità di telelavoro perderanno lo statuto fiscale di frontaliere. Il regime dei frontalieri viene riservato ai soggetti che quotidianamente (e non, quindi, in modo saltuario) si recano all’estero per svolgere il proprio lavoro. Per mantenere tale statuto è quindi necessario che la persona non lavori nemmeno un giorno completo dal proprio domicilio. In caso contrario il frontaliere rischia di essere tassato in Italia per l’intero reddito conseguito in Svizzera. Per quanto riguarda le aziende, inoltre, rimane aperta pure la questione relativa all’assoggettamento al fisco italiano, a determinate condizioni, quale stabile organizzazione.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/12/ART22-frontalieri.jpg8531280Monica Fogliahttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngMonica Foglia2023-01-27 16:30:372023-01-30 09:14:04Frontalieri e fiscalità-1° febbraio 2023
Settimana lavorativa ridotta a quattro giorni ma con salario invariato, maggiore produttività e tutti felici e contenti. È davvero così? Il tema lanciato in Ticino in occasione del 1° maggio e ripreso con sempre più insistenza dalla parte sindacale anche nelle ultime settimane non è nuovo e la Cc-Ti se ne è già occupata più volte negli scorsi mesi. In Svizzera la discussione ha avuto origine lo scorso anno dopo la pubblicazione di uno studio islandese che magnificava i risultati dell’esperimento della durata di tre anni svolto all’interno dell’amministrazione pubblica. Ecco le riflessioni sul tema del Presidente Cc-Ti Andrea Gehri.
La proposta di ridurre l’orario lavorativo settimanale mantenendo inalterato lo stipendio dei dipendenti è indiscutibilmente una prospettiva allettante basata su buone intenzioni e nobili principi. Nulla da eccepire!
Ma, come spesso accade in situazioni del genere, le buone idee possono rivelarsi spesso non ottimali e illusorie, come ben dicono i francofoni con l’espressione “une fausse bonne idée”. È evidente che il mondo del lavoro ha conosciuto e sta conoscendo profonde trasformazioni, basti pensare allo sviluppo del telelavoro durante il periodo pandemico. Tuttavia, un’attenta analisi della questione della settimana di quattro giorni a salario invariato mette chiaramente in risalto gli aspetti più ostici e l’effettivo costo dell’eventuale provvedimento.
“Risultati sorprendenti” e “successo travolgente” in termini di salute e rendimento, queste le espressioni usate da alcuni ricercatori in merito all’esperimento islandese che ha coinvolto circa 2’500 lavoratori i cui orari d’impiego sono stati ridotti a parità di retribuzione tra il 2015 e il 2019. Esiti positivi, rivisitazione dei modelli esistenti, ecc..
Partiamo da una riflessione che è un fatto. lo studio ha valutato solo il settore pubblico, le cui peculiarità non sono certamente migliori né peggiori dell’economia privata, ma senza dubbio molto, ma molto differenti. Basti solo pensare che il pubblico non è ovviamente confrontato con la logica di mercato e della concorrenza e pertanto il costo del lavoro non rappresenta un criterio di confronto fortemente rilevante. Quindi poco probante, tanto più, e qui vi è un secondo punto critico, che la struttura economica della repubblica nordica (basata in modo preponderante sulla pesca) difficilmente può fungere da diretto confronto per la Svizzera.
Se è vero che diverse nazioni stanno seguendo la scia di sperimentazioni analoghe, ogni caso va giudicato in maniera individuale. Evitiamo di prendere ad esempio la Francia, che dall’introduzione delle 35 ore settimanali obbligatorie ha dovuto inventarsi artifici legislativi per gestire in modo differente quelle che sono diventate numerose ore supplementari (con costi maggiorati per le aziende e una burocrazia spaventosa). Citiamo la Spagna, che ha adottato il progetto pilota delle 32 ore, ma per incentivare le imprese a parteciparvi lo Stato interviene assumendosi parte dei costi. Non propriamente una idea brillante!
In alcuni Paesi, fra cui anche la Svizzera, la settimana di quattro giorni è stata introdotta da singole aziende o determinate categorie di professioni. Qui sta il punto. Chi può adottare nuovi modelli di lavoro creativi lo fa senza esitare. È il caso di un ufficio di progettazione di software svizzero, sempre citato quale esempio, ma che per la natura della sua attività e del suo prodotto può permettersi una settimana di quattro giorni senza riduzione di salario. Anche perché i margini di guadagno e il valore aggiunto generato lo permettono, aspetti questi non scontati per altri settori economici.
Ipotizzare quindi un obbligo generalizzato è semplicemente fuori dalla realtà economica. Ognuno deve avere la facoltà di decidere, tenendo conto della realtà in cui opera. Le molte considerazioni su benessere, produttività e competizione con datori di lavoro più attrattivi ecc., vanno lasciate alle singole imprese o eventualmente alle categorie. Un diktat statale non avrebbe alcun senso e illuderebbe i lavoratori a pensare che lavorando meno si guadagna di più. Tutt’altro, lavorando meno si spenderebbe di più, senza peraltro averne le necessarie risorse o maggiorate.
Questo non significa assolutamente sminuire l’importanza del fattore salute e benessere sul posto di lavoro. Anzi! È sempre più un fattore di competitività e pragmatismo.
Ma la questione è ben più complessa e delicata di quanto alcuni abbiano interesse a dipingerla e il rovescio della medaglia poco positivo. In sostanza, misure generalizzate non sono applicabili a tutte le realtà professionali e il rischio poi che si vada incontro ad una riduzione dei giorni lavorativi ma non delle ore settimanali complessive è altrettanto elevato. Il già citato esempio francese è illuminante, visto che il cospicuo numero di straordinari rendono di fatto le 35 ore d’impiego una mera clausola formale, senza peraltro aver generato il benessere auspicato. Inoltre, la maggiore flessibilità cercata oggi da molte persone non è necessariamente legata ad uno schema fisso come quello offerto dalla settimana lavorativa ristretta. Senza dimenticare che il mantenimento intatto della rimunerazione a fronte di un tempo d’impiego ridotto porta inevitabilmente all’insorgere di un problema di costo del lavoro e al bisogno di assumere personale aggiuntivo, fattore non banale data l’attuale e ormai cronica carenza di manodopera qualificata.
Non dobbiamo poi dimenticare le origini del benessere costruito in Svizzera nel corso dei decenni, bene che tutti ci riconoscono e che molti Stati prendono come esempio. Il successo del modello svizzero è senza dubbio costituito da principi sacrosanti quali, passione nel lavoro, attitudine al sacrificio, serietà e dedizione. Vogliamo veramente metter in dubbio principi che hanno favorito il benessere generale di cui la nostra società beneficia?
Grazie alla proverbiale attitudine positiva al lavoro e alla capacità di creare valore aggiunto della sua economia, la Svizzera non teme confronti al mondo e assicura una ridistribuzione della ricchezza equilibrata e capillare a sostegno delle fasce della popolazione meno fortunate.
È quindi fondamentale lasciare ad ogni azienda la libertà di scelta in base alle proprie esigenze e disponibilità piuttosto che imporre indistintamente un rigido piano che non tiene conto minimamente delle situazioni individuali e per il quale pagheremmo tutti conseguenze importanti, al momento non quantificabili.
L’illusione della settimana lavorativa di 4 giorni con il miraggio di una maggiore produttività, migliore qualità di vita e benessere psicologico si scontra inevitabilmente con la realtà dei fatti.
Il costo del lavoro aumenterebbe sostanzialmente attraverso l’assunzione di maggior personale (ammesso che lo si trovi) e l’azienda si troverebbe inevitabilmente confrontata con costi di produzione che, in un mercato come il nostro, rischierebbe di penalizzarla fatalmente.
Se le aziende non integrassero nuovo personale, perché non ne hanno le risorse, il rischio consisterebbe nella riduzione delle attività e servizi offerti, che applicando un nuovo ritmo di lavoro si tradurrebbe in un maggiore carico di lavoro per i dipendenti, favorendo l’insorgere di ansia, stress e rischio di burnout. L’esatto contrario di quanto atteso.
Dulcis in fundo …. Il mondo d’oggi, non solo per le aziende che affrontano un mercato globale, richiede, flessibilità disponibilità e reperibilità continua, indipendentemente dall’orario. L’aspettativa del cliente si scontra innegabilmente con una settimana lavorativa ridotta, soprattutto quando viene richiesta l’interazione con un unico referente. Lavorare meno e guadagnare di più è quindi una pia illusione!
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/08/ART22-sett-4-gg-lavorativi.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2022-09-13 07:00:002022-09-12 10:04:03Illusione o prospettiva?
Chi fa domande conduce, questo è indiscutibile. Ma ciò che i dipendenti raccontano dei loro superiori durante le sessioni di formazione e coaching spesso sembra a mille miglia da questa verità.
Il Signor H. parla del suo capo, che fa costantemente domande, ma spesso H. ha l’impressione che non vengano strutturate in modo propositivo e quindi non portino a nessun esito costruttivo, per nessuno dei due. Allora, forse, porre le “giuste” domande può rivelarsi più difficoltoso di come si possa pensare. Facciamo un passo indietro e vediamo come si pongono i giornalisti, questi professionisti che vivono dell’arte di porre domande. Durante la loro formazione, imparano prima a porre domande e a far “aprire” le persone. Sanno che devono assolutamente trovare le informazioni chiave e che le troveranno nelle risposte degli interlocutori. Possiamo trarne ispirazione.
Essere preparati
Non basta, però, imparare a memoria un elenco di domande. Prima di lanciarsi, i giornalisti si preparano accuratamente sull’argomento che tratteranno e sullo scopo finale del loro colloquio. Sanno anticipatamente quali domande porre per mettere il loro interlocutore a suo agio, mostrano interesse per lui: l’intervistato si trova in un approccio corretto e rispettoso e collabora volentieri.
I giornalisti sanno anche come giocare sui punti interrogativi per mettere all’angolo qualcuno quando presumono, ad esempio, che ci sia uno “scheletro nell’armadio” (cioè informazioni importanti) e vogliono saperne di più (per i loro lettori). Bisogna affinare questo sesto senso, mostrare tatto, altrimenti l’interlocutore sfugge e si chiude.
Domande poste in modo scoordinato o non serio, senza empatia e con poca preparazione posso addirittura effettuare l’effetto contrario. Il nostro interlocutore mente, inventa, o porta il tema nella direzione a lui più affine, rendendo vano tutto il colloquio. Peccato!
Raccogliere informazioni? Sostenere? Controllare?
In qualità di dirigente e collaboratore all’interno dell’azienda, si combinano più funzioni e spesso vengono esercitate contemporaneamente. Le informazioni corrette sono alla base di una strategia vincente… tante occasioni per porre domande in modo mirato.
In qualità di responsabile gerarchico, porre domande aiuta ad assicurarsi che le informazioni circolino. La gestione di professionisti che spesso sono molto più preparati di voi nei propri campi di competenza, e che, attraverso le vostre domande, forniranno informazioni importanti, aggiornamenti sullo stato di avanzamento di un progetto, informazioni sul “polso di soddisfazione / critica” dei collaboratori, vi aiutano a verificare che gli obiettivi raggiunti siano in linea con quelli pianificati…
In qualità di specialista, potete, ponendo domande, verificare che la qualità di un prodotto soddisfi le aspettative e garantire l’efficienza del processo.
In qualità di mediatore, potete dimostrare il vostro interesse ponendo domande e quindi sottolineare l’identificazione e l’investimento riversato o percepito dai membri del team; le domande sono anche un valido strumento di gestione dei conflitti.
In qualità di coach, fare domande porterà a supportare lo sviluppo individuale dei collaboratori o colleghi. Chiedere informazioni sulle reciproche risorse personali e poi dare i giusti consigli, il giusto feedback, condividere una riflessione tempestiva.
In qualità di imprenditore, il quadro generale dell’organizzazione risulta più delineato. Un occhio più attento sul mercato e quindi più rappresentativo per la vostra azienda all’esterno. Le domande permettono di guadagnare la fiducia degli altri, sia internamente che esternamente, di rilevare aspetti fino ad allora sconosciuti all’interno dell’azienda e di stimolare il senso di responsabilità dei dipendenti.
In qualità di dipendente, fare domande consente, ad esempio, di assicurarsi che i passi siano in linea con gli obiettivi dell’azienda e di conoscere il margine di manovra rispetto ai processi innovativi e all’evoluzione della propria posizione.
Ognuno è chiamato a rivestire tanti ruoli in diversi contesti, funzioni e responsabilità: per ognuno di essi può essere molto utile porre la domanda giusta al momento giusto. È quindi essenziale prendersi il tempo necessario e adottare un atteggiamento aperto per ottenere risultati a volte anche inattesi.
Anche nella nostra pratica professionale dobbiamo esercitarci a porre le domande (anche a sé stessi) che ci permetteranno di raggiungere i nostri obiettivi nel rispetto dei nostri differenti interlocutori.
L’altro
Chi di noi potrebbe negare che non tendiamo a pensare di conoscere i dettagli delle cose prima ancora di porre le nostre domande? Sicuramente interroghiamo i nostri interlocutori, ma crediamo di conoscere già le risposte. Ascoltiamo prima noi stessi e poi gli altri… forse, e non con attenzione.
Tuttavia, in un mondo sempre più specializzato, non potremmo mai essere dei “tuttologi. Un collaboratore, un dipendente del servizio esterno, un conoscente persino, può rivelarsi la giusta persona di riferimento. In breve: scoprite cosa ha da dire ogni persona sul vostro cammino.
Apprezzare le risposte
Vedendo i giornalisti al lavoro sul piccolo schermo, possiamo chiederci se sarebbe possibile per noi fare lo stesso nella nostra pratica professionale. Alcuni giornalisti sono freddi e distanti. Il nostro sangue si congela nelle vene solo a vederli. Altri mostrano più calore umano e sembrano sinceramente interessati alla persona che stanno intervistando. Dobbiamo aggiungere che ogni intervista ha le sue funzioni (vedi sopra). Sta a ognuno di noi definire l’obiettivo della conversazione. In generale, bisogna trovare un equilibrio tra prova di interesse e distanza professionale, tra cordialità e missione. Se avete imparato a porre davvero domande e domande reali, otterrete risposte più o meno utili. Considerate le risposte che vengono date come doni. Considerateli come una prova di fiducia da parte del vostro interlocutore. Non reagire alle risposte con delle critiche o rifiutandole (anche se a prima vista sembrano spiacevoli o diverse da quelle che vi attendevate).
Quando il tempo sta per scadere
Con l’aiuto di esercizio e autocritica, le persone sono in grado di destreggiarsi poi, tra le domande. La preparazione è la chiave per raggiungere questo obiettivo. Ma a volte dobbiamo condurre un’intervista sul posto, senza essere davvero in grado di rifletterci sopra e scandire una dinamica precisa. Oppure nuove informazioni cambiano il gioco proprio durante l’intervista. In questi casi, ci saranno molto utili alcune domande basilari e generali, purché ci limitiamo ad esse.
Un esempio:
Chiedi informazioni sull’obiettivo
Chiedi un aggiornamento
Chiedi (e ascolta) il parere del tuo interlocutore
Lo scopo di queste tre domande è quello di permettervi di avere successo anche in un territorio sconosciuto e poter comunque usufruire al meglio della situazione. In questo caso, ancora più che in altri contesti, è fondamentale ascoltare con attenzione.
Già gli antichi cinesi…
Già gli antichi cinesi dicevano che chi fa una domanda è stupido per cinque minuti, mentre chi non chiede rimane stupido per il resto della sua vita.
Fonte: WEKA, Equipe de rédaction, 13.6.22, adattamento Cc-Ti
Lo spirito critico, dal greco κριτικός (“che discerne”), è un atteggiamento riflessivo proprio di chi non accetta nessuna affermazione senza interrogarsi sulla sua validità e che considera una proposizione come vera solo quando è stata verificata, dove possibile, o quantomeno attentamente considerata. Quando pensiamo a una “critica”, però, spesso, questa parola assume con una connotazione negativa non considerando le sue diverse valenze: la critica può essere anche costruttiva (anzi lo dovrebbe essere) e volgere al miglioramento.
Cominciamo con un esempio: il vostro capo si avvicina chiedendo di preparare una presentazione per un incontro con un cliente. La consegnate. Poco dopo vi viene fornito un feedback, in cui si dice che non avete affrontato un punto che era considerato importante.
La critica
Se la mancanza sollevata nel feedback non è chiara o non la condividete, diventa costruttivo per entrambe le parti, cercare di comprendere con domande puntuali e condivisione di pensiero le reali priorità che dovevano venire espresse nel compito che era stato affidato. Attuare poi quanto appreso renderà il lavoro più confacente alle esigenze aziendali. Allo stesso tempo, il dirigente è tenuto ad esprimersi con modalità proattive chiare. Solo un reciproco rispetto e obiettivo comune potranno dare il risultato sperato.
Una “cattiva” gestione della critica può portare rapidamente alla nascita di un conflitto. Accettare le critiche è difficile per la maggior parte delle persone, sia professionalmente, sia socialmente. Occorre focalizzare la critica in un’ottica positiva. Spesso, permette di imparare e crescere. François de La Rochefoucauld (scrittore e filosofo francese, 1613 – 1680) affermò: “pochi sono tanto saggi da preferire un benefico biasimo a una lode traditrice”.
Oltre a presentare il problema in modo propositivo, la critica costruttiva dovrebbe essere formulata quale spunto di miglioramento alla persona alla quale è rivolta. Accade di frequente che le persone si sentano attaccate, anche se la critica voleva essere costruttiva, e considerano ogni osservazione come un attacco personale. Un ottimale scambio di opinioni tiene conto di tutte queste, appunto, criticità.
Come accettare la critica costruttiva?
La persona e l’azione: la critica non è diretta contro di voi, ma riguarda un fatto o una situazione specifica. Quindi si consiglia di cambiare prospettiva e guardare il problema in modo obiettivo.
Ascoltare attentamente ciò che viene detto dal vostro interlocutore prima di reagire.
Essere riconoscenti: ringraziate l’interlocutore per i suoi suggerimenti e considerate quanto esposto come un supporto alla risoluzione di un problema comune.
Chiedere precisazioni: porre domande. Verificare di aver compreso correttamente la critica. Spesso i problemi sorgono solo a causa di incomprensioni.
Non difendersi: non giustificare il vostro punto di vista, ma spiegare con calma perché si è agito in un determinato modo.
La buona notizia: si può imparare
Quando si ricevono delle critiche, è consigliabile assicurarsi che “il linguaggio del corpo” non manifesti un rifiuto a priori. Evitate di incrociare le braccia sul petto e di alzare le ciglia, ancora prima di porvi in ascolto. Se le argomentazioni del vostro interlocutore saranno comprensibili e convincenti, si potranno accettare con più facilità le critiche enunciate e attuare la proposta di miglioramento, qualora si presenti l’opportunità. Il confronto tra i metodi di gestione del problema/compito consentirà di trovare la soluzione ottimale per entrambi le parti.
Come formulare la critica costruttiva?
Non lasciarsi trasportare dalle emozioni: anche se qualcosa vi infastidisce, prendere tempo prima di criticare.
Restare obiettivi: rivolgere sempre le critiche alla situazione e non all’interlocutore.
Evitare i tormentoni: quando si esprime una valutazione, evitare parole come: sempre, spesso, ogni volta.
Mostrare comprensione: nella critica, occorrerebbe tener conto dell’altra persona, esprimendosi in modo appropriato (dicendo, ad esempio, “capisco il tuo punto di vista/argomento/approccio)”.
Presentare la critica in modo positivo: invece di affermare “non mi piace la tua idea“, si potrebbe cambiare prospettiva affermando: “grazie per averci esposto la tua idea. Non abbiamo ancora approfondito questo aspetto e quanto detto ci permette di abbracciare altri punti di vista”.
Relativizzare e difendersi dalle critiche ingiustificate
Può accadere che le critiche siano ingiustificate, quindi prive di fondamento. È possibile che la persona criticata accetti comunque la critica, come pure che affronti attivamente e, se necessario, vi si opponga. Ad esempio, se una persona è criticata ma non è la causa del problema, la critica è ingiustificata e questa forma di critica non è produttiva. Chi accetta tacitamente tali situazioni rischia di diventare il “capro espiatorio” per tutte le problematiche future che possono occorrere.
Accettare una critica significa chiarire i punti erroneamente messi in discussione. È importante restare sempre al livello dei fatti e frenare le proprie emozioni. Difendersi o difendere la propria posizione, però, non significa “contrattaccare” nello stesso verso di chi ha mosso la critica. Alcuni punti di cui tener conto:
Respirare: non reagire immediatamente ed emotivamente alle critiche, ma cercare di calmarsi per un momento.
Cercare un interlocutore: si può risolvere la discussione con chi ha mosso la critica o è meglio rivolgersi a una terza persona? Essa potrebbe fungere da mediatore.
Giustificare la decisione: spiegare in dettaglio e oggettivamente perché la critica è giunta al destinatario sbagliato.
Non essere ostinati: se si è arrabbiati a seguito di una critica, non è opportuno bloccare tutto ciò che l’interlocutore ha da dire sulla sua giustificazione.
Reagire in tempo: un chiarimento rapido può prevenire ulteriori critiche ingiustificate. In una situazione del genere, la gestione della critica è messa a dura prova, soprattutto se la capacità critica del proprio interlocutore non è particolarmente sviluppata.
Non portare rancore: la capacità di critica è caratterizzata anche dal fatto che si continui a lavorare con qualcuno, anche se si sono ricevute critiche in maniera ingiustificata.
Ma allora… è una questione di comunicazione?
La maggior parte delle persone si considera un buon ascoltatore. In realtà, gran parte delle persone non sanno ascoltare. L’entusiasmo per le proprie idee e la voglia di comunicarle non permette un vero ascolto e, quindi, non migliora la conversazione. Osservate se, in una conversazione, mostrate più entusiasmo per ciò che sentite o per i vostri pensieri. La maggior parte delle volte la voglia di parlare impedisce un ascolto attento. Seguire attivamente una conversazione è faticoso, richiede concentrazione e non porta una soddisfazione così immediata rispetto alla reazione immediata delle parole dette a fiume su di un argomento che ci sta a cuore.
Per diventare buoni ascoltatori, occorre sapere come porsi e come prestare attenzione. Uno dei metodi che si possono mettere in atto consiste nel non reagire immediatamente a ciò che viene detto, ma creare uno spazio di riflessione. Ciò impedirà ai pregiudizi o ad altre abitudini di pensiero di determinare una reazione impulsiva, che magari potrà rivelarsi errata per l’occasione. Allo stesso modo, una breve pausa può offrire l’opportunità di estrapolare dal discorso informazioni preziose, che altrimenti potrebbero andare perse. Superare le abitudini che si fossilizzano nella comunicazione interpersonale richiede degli sforzi. Quindi provate ad ascoltare attentamente il vostro interlocutore.
È utile porsi domande: sto davvero ascoltando per imparare qualcosa di nuovo o sto solo cercando una conferma della mia opinione? Un buon indizio è la volontà di conoscere posizioni opposte. Se non si mostra una predisposizione all’ascolto attivo, almeno in linea di principio, la nostra comunicazione risulterà imparziale e chiusa. Anche in azienda valgono gli stessi principi, per migliorare la comunicazione interna con i dipendenti occorre sviluppare ed “allenare” l’ascolto attivo.
Manifestare partecipazione per la vita dei collaboratori, valorizzare i loro interessi, renderli partecipi: 3 azioni di ascolto e coinvolgimento che incrementano la motivazione e la soddisfazione del team.
Fortunatamente si può affermare l’arte dell’ascolto può essere appresa. Un primo passo è chiedersi, durante una conversazione, se si è attenti all’interlocutore dinnanzi a noi. Se ci stiamo pensando… la risposta è: non abbastanza! È utile iniziare dal contesto privato ed “osservarsi” quanto si ascolta durante un pasto con amici. Stabilire un primo obiettivo, come, ad esempio, cercare di ascoltare per almeno l’80% del tempo. In questo modo ci si esercita prestando attenzione all’impulso di intervenire interrompendo l’altra persona, restando in ascolto, appunto. Anche se si affrontano temi seri (problemi personali, ecc.) è importante restare concentrati sull’altro: si tende, spesso, a imporre le proprie esperienze su quelle degli altri e poi a dare consigli frettolosamente. Tre termini fondamentali sono compassione e comprensione, ma anche moderazione: ciò si traduce nel mettersi sullo stesso piano dell’interlocutore, porre domande se qualcosa non è chiaro, mantenere il contatto visivo, non prendere sul personale le critiche, osservare le emozioni.
Attenzione al multitasking!
Il multitasking (ossia lo svolgere più attività più o meno contemporaneamente) non solo può rendere meno efficienti, ma danneggia anche il ruolo di uditore. Per restare concentrati sul soggetto, si comincia in modo progressivo, come ad esempio non rispondendo insieme a un’e-mail mentre si parla al telefono. Si dovrebbe prestare sempre attenzione al proprio interlocutore, per valorizzarlo, per mostrare empatia, per comprendere a fondo il suo messaggio.
Panoramica delle critiche positive e negative
Fonte: WEKA 3-4.2022, adattamento Cc-Ti
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/07/ART22-CRITICHE.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2022-07-08 10:44:182022-07-08 10:44:19L’arte della critica costruttiva e della “buona” comunicazione
Con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, molte aree sono in continua evoluzione. Il settore medico, e di conseguenza i certificati medici, non fanno eccezione. È diventato possibile richiedere un certificato medico online compilando un modulo sulla piattaforma, tramite applicazioni di videoconferenza, o anche semplicemente telefonando.
La particolarità della telemedicina è che il medico non incontra fisicamente il suo paziente, il che può porre un certo numero di problemi, sia etici che legali.
Telemedicina e certificato medico online
La telemedicina gode di un ampio sostegno da parte degli assicuratori nella misura in cui può ridurre il costo di una consulenza fino a tre volte. Se questa pratica ha i suoi vantaggi, presenta anche svantaggi, a cominciare dal fatto che il medico non può esaminare il paziente personalmente, condizione importante, anzi indispensabile per stabilire una diagnosi. Pertanto, il problema più grande con tali certificati è la loro affidabilità.
Per analogia con le norme applicabili alle consultazioni telefoniche, alcuni datori di lavoro considerano ammissibile un certificato medico online solo:
se è rilasciato dal medico curante del collaboratore;
se il paziente ha ripetutamente bisogno della stessa cura.
Il certificato medico è invece molto più difficile da accettare se è rilasciato da un medico che non conosce il paziente (come in linea di principio è il caso dei certificati online) o che il paziente non consulta da molto tempo.
La dottrina ritiene che tali certificati medici, rilasciati anche per un breve periodo, debbano ritenersi nulli e quindi privi di valore.
Sulla piattaforma soignez-moi.ch, ad esempio, il paziente risponde a un questionario online, poi viene richiamato da un medico che determina con lui la diagnosi e gli rilascia una ricetta per un importo di CHF 59.-. Attualmente, questo tipo di piattaforma viene utilizzata principalmente per ottenere una prescrizione. Il rilascio di un certificato medico di congedo per malattia rimane l’eccezione ed è ancora molto restrittivo.
Un certificato medico è accessibile su Soignez-moi.ch solo tramite la piattaforma. Il paziente deve autenticarsi ed eseguire una doppia autenticazione oltre ad un login con password per potervi accedere (identica all’e-banking). Secondo le nostre informazioni, questa piattaforma è attualmente l’unica in Svizzera ad essere certificata OCPD (rispettando quindi l’ordinanza sulla protezione dei dati) nonché GoodPriv@cy, che garantisce una certa sicurezza per quanto riguarda i documenti emessi. Soignez-moi.ch non comunica deliberatamente in modo proattivo la possibilità di sospendere la propria occupazione professionale. Non ci sono nemmeno domande sull’attività professionale. Al fine di limitare gli abusi, Soignez-moi.ch afferma, da un lato, di essere restrittivo per quanto riguarda il rilascio di certificati medici e dall’altro di rilasciarne in linea di principio solo uno all’anno e solo per interruzioni del lavoro brevi (fino a tre o eccezionalmente cinque giorni); si consiglia ai pazienti che ritengono di necessitare di una pausa più lunga di consultare il proprio medico. Soignez-moi.ch prevede che ogni documento trasmesso sulla piattaforma venga firmato elettronicamente utilizzando un’identità SwissSign e che il documento venga crittografato. Queste funzionalità dovrebbero impedire la modifica digitale di tale documento e consentire ai datori di lavoro di confermare la veridicità del certificato.
Il datore di lavoro ha la possibilità di chiedere a soignez-moi@hin.ch se un documento è autentico. L’indirizzo e-mail è sicuro e crittografato. Gli ospedali della Svizzera romanda utilizzano già Soignez-moi.ch per le loro semplici emergenze.
Certificato d’inabilità lavorativa dopo una teleconsultazione Estratto delle linee guida di Medgate
• Il medico di Medgate può certificare solo fatti che ha valutato in maniera scrupolosa e competente e che reputa veri.
• Si certifica un’inabilità lavorativa del 100%. Un’inabilità lavorativa parziale non è valutabile al telefono o via video.
• Medgate rilascia un certificato semplice d’inabilità lavorativa, usando il formulario edito dalla Comunità d’interessi svizzera medicina assicurativa (Swiss Insurance Medicine).
• Se il paziente sottostà ad un rapporto di lavoro impiegatizio, tale rapporto di lavoro deve essere non disdetto.
Certificato medico online nell’ambito dei rapporti di lavoro
Certo, la telemedicina è una buona alternativa al tradizionale consulto con il medico curante, che risulterebbe più costoso. Tuttavia, nell’ambito dei rapporti di lavoro, un certificato medico rilasciato al lavoratore tramite telemedicina presenta un rischio concreto di essere impugnato dal datore di lavoro, il quale a sua volta chiederà una visita medica da parte del suo medico di fiducia, che potrà, alla fine, essere controproducente e portare conflitti. Si segnala che durante l’emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus, la FMH ha ritenuto eccezionalmente accettabile il rilascio di un certificato medico previo consulto telefonico purché espressamente menzionato nel suddetto certificato. Ciò aveva lo scopo di evitare che i pazienti si recassero personalmente dal medico solo per ottenere un certificato medico, in un contesto in cui i medici erano particolarmente sollecitati e i contagi da tenere sotto strettissimo controllo.
Tuttavia, questa dichiarazione della FMH non vincola i datori di lavoro, che rimangono liberi di rifiutare tali certificati.
Consigli per i datori di lavoro
A causa dell’aumentato rischio di abuso, allo stato attuale si consiglia al datore di lavoro di inserire nel contratto di lavoro una clausola secondo la quale il certificato medico rilasciato da un medico che non ha visitato il paziente faccia a faccia non viene ritenuto valido. Ciò può essere specificato, ad esempio, per:
certificati medici rilasciati a seguito di una telefonata;
certificati medici rilasciati sulla base di informazioni trasmesse per corrispondenza;
certificati medici rilasciati dopo una semplice consultazione on-line.
Il concetto di “congedo sabbatico” è sempre più diffuso in Svizzera. Il datore di lavoro beneficia del ritorno al lavoro di dipendenti riposati e motivati. Di norma, il rapporto di lavoro è sospeso durante il periodo sabbatico, il che significa che il reddito e l’obbligo di contribuzione agli istituti assicurativi e pensionistici vengono meno.
Ciò influisce sulla copertura assicurativa e sulla pensione del dipendente. Mentre gli anni sabbatici pagati non sono quasi un problema, gli anni sabbatici non pagati pongono sempre problemi legali per il datore di lavoro. Questo articolo si occupa quindi degli obblighi del datore di lavoro in termini di congedo sabbatico non retribuito, con particolare attenzione agli enti previdenziali competenti. È possibile che durante il periodo di congedo sabbatico il datore di lavoro accetti di versare lo stipendio per intero o in parte. Ma non è affatto tenuto a pagare, né a concedere l’aspettativa che il dipendente richiede. Spetta sempre al datore di lavoro decidere, in base alla policy aziendale. Non si maturano ulteriori ferie e non sia ha neanche diritto a una parte della tredicesima.
Situazione iniziale
Accordo Il congedo sabbatico ha lo scopo semplicemente di “sospendere” e non di interrompere i rapporti di lavoro. Il datore di lavoro dovrebbe annotare i dettagli in un contratto con il dipendente come le date, la durata e le conseguenze in termini di assicurazione sociale per motivi probatori.
Il periodo di congedo non retribuito è un periodo protetto? Art. 335c172 La cessazione del rapporto di lavoro può essere pronunciata durante il congedo non retribuito. I principali obblighi contrattuali di entrambe le parti (es. pagamento della retribuzione contro prestazione di lavoro) sono sospesi durante il periodo sabbatico, ma resta il contratto di lavoro per gli altri diritti e doveri. Di conseguenza, il licenziamento può essere pronunciato anche durante il congedo non retribuito.
Attenzione: Ma occorre invece verificare se è stato consegnato in conformità con le norme di legge e qual è l’inizio del periodo di risoluzione in tal caso. A seconda della data di notifica, ci si deve interrogare sull’inizio del periodo di preavviso. Deve dare alla persona licenziata il tempo di cercare un nuovo lavoro. La lettera di licenziamento è stata inviata dal datore di lavoro con la consapevolezza dell’assenza, per esempio dalla propria abitazione o dal Paese. Potrebbe, il collaboratore, solo venirne a conoscenza al suo ritorno e non avere tempo ragionevole per cercare un nuovo lavoro prima di quella data. Poiché il datore di lavoro ne è a conoscenza, il termine di preavviso dovrebbe decorrere solo dalla fine del congedo non retribuito. Il rapporto di lavoro prosegue quindi durante il periodo di preavviso per i mesi di disdetta e il datore di lavoro è tenuto a corrispondere la retribuzione per il lavoro svolto in tale periodo.
Pronunciando un licenziamento durante il congedo sabbatico di un dipendente, il datore di lavoro eviterebbe di pagare lo stipendio durante il periodo di preavviso e la certezza data di ritrovare il proprio posto di lavoro al termine, sono motivi di litigio molto spesso riconosciuti e il licenziamento può essere ritenuto abusivo.
Obbligo di informazione
In tema di copertura assicurativa, il flusso di informazioni si svolge in due fasi: nella prima fase, l’assicurato è tenuto ad informare il datore di lavoro; in secondo luogo, il datore di lavoro è tenuto a informare il lavoratore dei diritti che può vantare presso un istituto di previdenza o una compagnia di assicurazioni. Se il datore di lavoro non adempie al suo dovere di informazione, può subire conseguenze: se è certo che il lavoratore avrebbe, ad esempio, esteso un’ulteriore aggiuntiva assicurazione contro gli infortuni non professionali per la durata del congedo sabbatico avrà la stessa valenza allo stesso modo come se il datore di lavoro avesse stipulato questa assicurazione in caso di infortunio. In altre parole, il datore di lavoro sarà finanziariamente responsabile delle perdite subite dal lavoratore. Lo stesso vale se il datore di lavoro ha fornito informazioni false o incomplete. Per motivi di prova, si raccomanda pertanto di fornire per iscritto informazioni sufficientemente precise sulla copertura assicurativa o sulle possibilità di prosecuzione della stessa durante il congedo sabbatico, idealmente con una ricevuta di ricezione e comprensione da parte del dipendente, al fine di prevenire eventuali difficoltà riscontrabili nel caso di controversia.
Assicurazione infortuni non professionale
Il dovere alla continuazione del pagamento del salario da parte del datore di lavoro cessa dall’inizio del congedo sabbatico per l’intero periodo. La copertura assicurativa contro gli infortuni, invece, scade (solo) il 31° giorno dopo il quale cessa il diritto alla corresponsione della metà dello stipendio.
Per beneficiare della copertura assicurativa durante il congedo sabbatico, il lavoratore ha la possibilità di stipulare un’assicurazione convenzionale presso l’assicuratore del datore di lavoro per un massimo di 6 mesi. Unitamente alla proroga della copertura di 31 giorni, questa concede una copertura per 7 mesi dopo la scadenza del diritto allo stipendio. Tuttavia, un congedo sabbatico raramente dura più di 7 mesi. I premi devono essere pagati dal lavoratore entro la fine del periodo di 31 giorni di estensione della copertura, pena la decadenza dalla possibilità di stipulare un’assicurazione convenzionale. In alternativa a questa assicurazione convenzionale, l’assicurazione contro gli infortuni può essere inclusa nell’assicurazione sanitaria del dipendente. I dipendenti part-time il cui orario di lavoro settimanale è inferiore alle 8 ore non beneficiano della possibilità di stipulare un’assicurazione convenzionale. Se il lavoratore è impossibilitato a lavorare al termine del congedo sabbatico, viene ripristinato il diritto alla continuazione del pagamento della retribuzione da parte del datore di lavoro. Lo stesso vale per l’indennità giornaliera dell’assicurazione contro gli infortuni se l’infortunio è avvenuto durante la copertura integrativa di 31 giorni o se è stata stipulata un’assicurazione convenzionale con l’assicuratore entro 180 giorni dall’inizio del congedo sabbatico.
Consigli pratici: il datore di lavoro deve informare immediatamente per iscritto il lavoratore della possibilità di stipulare un’assicurazione convenzionale all’inizio del congedo sabbatico. Trascorso il termine di 31 giorni, il lavoratore non potrà più beneficiare dell’assicurazione convenzionale.
Assicurazione indennità giornaliera in caso di malattia
Durante il periodo del congedo sabbatico il lavoratore non ha più diritto alla prosecuzione del pagamento della retribuzione da parte del datore di lavoro né alle prestazioni dell’indennità giornaliera in caso di malattia. Se è stata concordata la data di rientro al lavoro e in tale data il lavoratore è impossibilitato a lavorare per malattia, viene ripristinato l’obbligo di continuare a pagare la retribuzione. Se il datore di lavoro ha stipulato un’assicurazione collettiva d’indennità giornaliera di malattia per i propri dipendenti, è possibile continuare la copertura assicurativa durante il periodo sabbatico. Di norma, in caso di malattia esiste il diritto al trasferimento all’assicurazione l’indennità giornaliera individuale. I premi sono a carico del lavoratore. I dettagli possono essere trovati nelle disposizioni della rispettiva polizza assicurativa. A seconda dell’assicuratore, il diritto al passaggio all’assicurazione individuale deve essere esercitato entro 30-90 giorni dall’uscita dall’assicurazione collettiva per l’indennità giornaliera di malattia. Se il datore di lavoro non informa il lavoratore di tale termine, può essere ritenuto responsabile per i danni. Il datore di lavoro è inoltre tenuto a informare il lavoratore di eventuali limitazioni alle prestazioni assicurative.
2° pilastro
Mentre la regolamentazione del primo pilastro è uniforme, le condizioni del secondo pilastro dipendono dall’istituto di previdenza del datore di lavoro. Per legge, la copertura assicurativa per invalidità e decesso termina un mese dopo l’ultimo pagamento dello stipendio. A seconda delle disposizioni dell’istituto di previdenza, durante il congedo sabbatico può essere assicurata la prosecuzione della copertura previdenziale, ovvero la copertura assicurativa in caso di decesso o invalidità continua senza interruzione e possono continuare a essere versati anche i contributi. La questione di chi paga i contributi è chiarita nel regolamento: a seconda dei casi, il datore di lavoro e il lavoratore continuano a versare i contributi al fondo pensione come prima oppure i contributi possono essere interamente a carico del datore di lavoro. Se, invece, non è prevista la prosecuzione dell’assicurazione, decorso il termine legale di un mese di copertura non è più prevista alcuna tutela in caso di decesso o invalidità.
Consiglio pratico: il datore di lavoro è obbligato a informare la cassa pensione dell’imminente congedo sabbatico. Le compagnie di assicurazione mettono a disposizione online i moduli di comunicazione. Questi devono essere presentati alla cassa pensione il prima possibile.
1° pilastro (AVS)
Con l’inizio del periodo sabbatico il rapporto di lavoro è solo sospeso; pertanto, nessun annuncio dovrebbe essere fatto alla cassa AVS. Se il periodo sabbatico non si estende per un intero anno solare, non ci sono importanti conseguenze sulla rendita pensione AVS. Sebbene la perdita di stipendio riduca il reddito soggetto all’AVS, non comporta lacune contributive. Se il congedo sabbatico si estende su un intero anno solare, ciò significa che il dipendente viene considerato inattivo durante il periodo del congedo sabbatico e deve dunque versare i cosiddetti contributi AVS per persone senza reddito. In caso contrario, ci saranno delle lacune nei contributi, che ridurranno la pensione di vecchiaia. Tale divario non può essere colmato in seguito, nemmeno con contributi AVS molto elevati; quindi, deve essere evitato a tutti i costi.
Nota: è contestato l’obbligo del datore di lavoro di informare in materia di 1° pilastro sulle conseguenze del congedo sabbatico, che, come spiegato, vale per la cassa pensione nonché per l’assicurazione contro gli infortuni e l’indennità giornaliera in caso di malattia. Contrariamente alle suddette assicurazioni, il fatto che i regolamenti della copertura AVS siano chiari e strutturati argomentano in modo inequivocabile. Tuttavia, si consiglia al datore di lavoro di informare il dipendente se il periodo sabbatico è di un anno o più lungo o (nel caso di un anno sabbatico più breve ma con reddito basso) se c’è il rischio di inadempienza contributiva.
Assegni familiari Il godimento di un congedo non pagato è rilevante ai fini del salario e influisce quindi sul diritto agli assegni familiari. Nel caso di un congedo non pagato gli assegni familiari vengono ancora erogati nel mese in corso e per i tre mesi successivi, se:
• viene comunque raggiunto un salario annuale di CHF 7’170 • dopo il congedo non pagato si riprende il lavoro presso lo stesso datore di lavoro.
Cosa succede al termine del mese in corso e dei tre mesi successivi? Il diritto agli assegni familiari decade. L’altro genitore deve richiedere al proprio datore di lavoro la presentazione di una nuova richiesta di assegni familiari alla rispettiva cassa d’assegni familiari.
Conclusione
Un congedo sabbatico pone problemi legali al datore di lavoro in termini di obblighi di informazione così come la cessazione del rapporto di lavoro – soprattutto perché disposizioni legali diverse si applicano ai diversi istituti di previdenza sociale. Si consiglia pertanto ai datori di lavoro di adempiere agli obblighi di legge di informare il dipendente per iscritto e di chiedergli di firmare i documenti presentati. In caso di congedo sabbatico, una corrispondente lettera informativa dovrebbe essere assolutamente la norma per evitare ulteriori oneri finanziari evitabili.
Nella vita professionale, il trend attuale si sta allontanando da uno sviluppo lineare. Sempre più carriere progrediscono in modo altamente individuale.
Per coloro che inseguivano un sogno di carriera verticale, il mestiere non veniva modificato, veniva arricchito dall’esperienza e dalla formazione per raggiungere i vertici aziendali, passo dopo passo, diventando, spesso, un dirigente nell’azienda, ma solo in finale del proprio percorso lavorativo.
Questo modello lineare è ancora relativamente forte nelle nostre abitudini lavorative, ma bisogna sottolineare che era frutto di un’altra percezione: uno sviluppo economico stabile e prevedibile.
Nuove tipologie professionali
Secondo un recente rapporto del World Economic Forum, l’automazione sostituirà circa 85 milioni di lavori manuali in tutto il mondo entro il 2025. Ma, allo stesso tempo secondo la stima, la digitalizzazione dovrebbe creare 97 milioni di nuovi posti di lavoro nei prossimi dieci anni. Oggi molti di questi profili professionali non hanno ancora una definizione precisa identificativa. Secondo il Work Trend Index di Microsoft, circa il 40% della forza lavoro globale nel 2021 sta pensando di lasciare il lavoro attuale o l’hanno già fatto. I motivi più ricorrenti: un lavoro divenuto noioso o un desiderio di cambiamento “rivoluzionario”.
Le competenze sono trasferibili
Un esempio chiaro è quello di un operatore di call center in ambito sociale, la cui carriera è stata citata come esempio in un rapporto pubblicitario del 2017 di JP Morgan Chase, la più grande banca americana. Questo collaboratore viene fortuitamente ascoltato da una sua superiore in grado mentre conduce una conversazione più “ricca” di quanto avrebbe richiesto un normale protocollo. L’ impegno e l’empatia sono evidenti e quindi gli chiede se non avesse mai pensato di entrare in politica. La risposta è no, ma la proposta non lascia indifferente il dipendente che, anche se proviene da una formazione commerciale, decide di affrontare una nuova sfida che si rivelerà vincente: ora lavora per alcuni esponenti politici e cura le loro campagne elettorali.
Il fattore interessante e costante anche per tante altre realtà professionali è l’utilizzo di abilità parallele alla propria professione di base, coniugando cultura e soft skill (come vengono chiamate ora) e trasferirle adattandole/aggiungendole/coltivandole da un settore all’altro. Si tratta quindi di sviluppare delle competenze generali e di perseguire la propria idea guida.
Cinque modelli di carriera
Esistono modelli base delle nuove traiettorie di carriera? Martin J. Eppler, Professore di Communications Management all’Università di San Gallo, parla di diversi percorsi tipici dell’era moderna.
In contrasto con la carriera che si sviluppa tradizionalmente e che può essere rappresentata dall’immagine di una scala, vi è il modello di riorientamento radicale. Viene raffigurato da una freccia che si piega in una direzione completamente diversa.
La “carriera a montagne russe”. Questo è rappresentato da una freccia fortemente oscillante, che illustra gli alti e i bassi in rapporto anche ai cambiamenti di settore.
“Tornare a ciò che piace” è particolarmente interessante. Qui la freccia si piega, ma non in una direzione completamente opposta, perché è rivolta a ciò che è già conosciuto e praticato.
“Late bloomer”: la freccia corre piatta per un lungo periodo prima di salire verticalmente, similmente alla classica carriera lineare.
Il burnout: questa rappresenta l’altra faccia della medaglia. Una carriera che assorbe troppe energie o una grave gestione delle stesse.
Il modello delle montagne russe è quello più riscontrato.
Alla ricerca di persone con carriera non lineare, a “mosaico”
La conferenza Career Relaunch di quest’anno all’Università di San Gallo ha mostrato quanto segue sulla base di uno studio dell’agenzia di reclutamento Adecco e dell’Università di Zurigo: la carenza di lavoratori qualificati sta diventando acuta, anche se la pandemia potrebbe aver, in realtà, rallentato il flusso di lavoratori da un posto di lavoro all’altro. Ma si può avere successo presentando una carriera a mosaico? Un tale curriculum può porre dei dubbi ai potenziali datori di lavoro? Le grandi aziende svizzere del settore farmaceutico, delle assicurazioni o della consulenza sono orientate diversamente dal passato, prendendo sempre più in considerazione persone con carriere non lineari. La loro versatilità formative, di ambizione o pratiche rappresenta un valore aggiunto e può fare la differenza nei colloqui. Il solo curriculum tradizionale sta passando in secondo piano.
Le persone con carriere non lineari contribuiscono fattivamente alla ricchezza dei diversi modi di pensare e di operare. Aumentano la flessibilità e l’adattabilità nei reparti di una ditta. La soddisfazione personale e la possibilità di poter coniugare vita professionale con vita privata ha preso una dimensione fondamentale nelle scelte delle persone. Anche per questo, molte aziende, motivano e appoggiano i propri dipendenti con servizi aziendali atti a sostenere i propri collaboratori e agevolarli nelle proprie esigenze e passioni. Il Welfare appunto!
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/05/Art22-carriera.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2022-05-02 15:38:002022-05-05 15:39:40L’era della carriera a mosaico
L’11 febbraio 2020
l’OMS ha attribuito una nuova denominazione alla malattia causata dal nuovo
coronavirus: COVID-19, abbreviazione di «coronavirus disease 2019» o, in
italiano, malattia da coronavirus 2019.
Tutte le informazioni del caso e i
dettagli su come comportarsi sono disponibili sul sito
del Medico cantonale.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2022-04-19 08:24:002022-04-19 08:31:38Informazioni alle aziende sul “Coronavirus”
Il nuovo servizio promosso dalla Cc-Ti per sostenere il tirocinio nelle aziende
Promuovere e potenziare l’apprendistato, sostenere fattivamente le aziende nella gestione dei contratti di tirocinio, affiancare i formatori affinché i giovani apprendisti sviluppino nella formazione anche quelle competenze trasversali sempre più richieste dal mercato del lavoro. È il nuovo servizio varato dalla Cc-Ti con una società spin-off, la fill-up, creata da Sara Rossini-Monighetti che, grazie alla sua esperienza trentennale nel campo della formazione professionale, dal prossimo giugno seguirà le imprese e le associazioni di categoria su questo importante tema.
Sempre attenta ai bisogni della nostra economia, con questa operazione la Cc-Ti amplia ulteriormente la sua offerta di prestazioni e consulenze per le aziende. Dando vita ad un’importante iniziativa privata che si prefigge di sostenere la tanto auspicata crescita dell’apprendistato in Ticino e creare le condizioni più favorevoli per formare all’interno delle stesse aziende quel personale qualificato che oggi manca nel Cantone. Uno strumento che va ad aggiungersi, completandolo, all’importante lavoro svolto dall’Associazione della rete di aziende formatrici del Canton Ticino (ARAF – www.araf.ch).
Un aiuto diretto alle imprese e al sistema
Grazie al servizio offerto dalla Cc-Ti e fill-up le aziende, oltre ad essere accompagnate nella ricerca e nella formazione degli apprendisti, saranno anche sgravate da tutte le incombenze burocratiche e amministrative annesse ai contratti di tirocinio, dai contatti con la scuola, le famiglie e gli enti cantonali di riferimento. Un notevole carico di incombenze che richiede tempo e specifiche competenze. Le imprese, libere da questi oneri esterni, potranno concentrarsi “unicamente” sulla formazione “tecnica- pratica” degli apprendisti.
Un aiuto fondamentale tenuto conto del fatto che il 90% circa delle aziende ticinesi ha meno di dieci dipendenti. Piccole realtà produttive che sarebbero, spesso, molto interessate ad avere dei giovani in formazione, ma che non hanno il tempo per far fronte a questi compiti gestionali o non dispongono del personale idoneo per seguirli adeguatamente, per cui si vedono costrette a rinunciarvi. Compiti che ora potranno delegare alla piattaforma Cc-Ti-fill- up che fornirà un sostegno a tutto campo nella gestione complessiva degli apprendisti.
Con un supporto strutturato, calibrato sulle loro necessità e su obiettivi concreti, si contribuirà a valorizzare le sinergie tra percorsi di tirocinio, aziende e mercato del lavoro. Aiutare gli imprenditori a “formare in casa” il personale significa aiutarli a formare quella manodopera qualificata, la cui carenza rischia di penalizzare pesantemente le imprese e la crescita economica. Con questa iniziativa privata, autofinanziata e che sarà avviata di concerto con le associazioni professionali legate alla Cc-Ti, si vuole incidere su uno dei nodi cruciali dello sviluppo del Cantone. L’apprendistato ha infatti una valenza strategica per rafforzare il sistema produttivo e con questo strumento si intende dare un contributo fattivo a quella carenza di manodopera qualificata segnalata da anni dal mondo economico e regolarmente confermata dalla nostra annuale inchiesta congiunturale. È evidente che si tratta anche di un contributo al sistema generale della formazione e quindi anche di un sostegno agli sforzi profusi dallo Stato per il collocamento degli apprendisti.
Come funziona
Il servizio della Cc-Ti e fill-up si basa su due pilastri: “Apprendista plus” e “Associazioni Pro”. Il servizio “Apprendista plus”è dedicato alle aziende e presenta un’offerta modulare. In una prima fase viene definito il profilo del giovane apprendista che interessa all’azienda, seguono poi la ricerca e la valutazione dei candidati che più corrispondono alle esigenze richieste, la selezione finale e la sottoscrizione del contratto di tirocinio, con la verifica dei requisiti necessari per poter formare e delle relative autorizzazioni cantonali. Il coaching è la fase cruciale, nella quale si sostiene, invece, in maniera mirata il formatore e l’apprendista per stimolarli ad un approccio fattivo alla formazione, al lavoro e all’acquisizione di quelle competenze trasversali che oggi sono più che mai indispensabili in ogni settore produttivo. Un’assistenza personalizzata, quindi, per permettere all’apprendista di sviluppare anche le soft skills che gli permetteranno di rapportarsi positivamente col suo ambiente di lavoro e l’attività professionale. Un insieme di competenze e di qualità attitudinali come, ad esempio, empatia, intelligenza emotiva, capacità di fare squadra, efficacia comunicativa, creatività, flessibilità, spirito d’iniziativa, pensiero critico e auto motivazione, che nei curricula contano ormai quanto le competenze più strettamente tecniche per restare allineati con le necessità del mercato.
E che saranno ancora più importanti domani, sottolinea Sara Rossini-Monighetti: “ci troviamo, difatti, davanti ad un passaggio molto delicato – spiega –, in cui bisogna relazionare in modo costruttivo e vantaggioso per tutti due entità molto distanti tra di loro: la Generazione Z, ossia i giovani nati tra il 1995 e il 2010, che ha un suo specifico sistema valoriale e culturale, con aspettative molto diverse rispetto a quelle delle generazioni precedenti, e un mondo del lavoro che va trasformandosi con una rapidità mai registrata prima. In questo complesso passaggio generazionale e tecnologico è importante mettere bene a fuoco le soft skills necessarie per affrontare bene attrezzati il futuro. Senza dimenticarci del successo formativo che si trasforma poi in risorsa qualificata a disposizione dell’economia“. Il supporto alle imprese non è sufficiente per dare il giusto posizionamento e visibilità all’apprendistato e alle professioni. Il servizio “Associazioni Pro” si rivolge per questo motivo alle associazioni professionali che vengono chiamate sempre più a una gestione comparabile a quella aziendale. Intervenire sia sul fronte aziendale che su quello associativo è assolutamente indispensabile per raggiungere l’obiettivo di far crescere l’interesse per l’apprendistato.
Nuove opportunità per gli apprendisti
Il Ticino detiene attualmente il non invidiabile primato nazionale del più alto tasso di scioglimenti di contratti di tirocinio, il 30% circa. Interessante è però il fatto che i giovani non interrompono o modificano la formazione intrapresa, ma di norma cambiano solo datore di lavoro. È un chiaro segnale che occorre far collimare le aspirazioni dei giovani con le esigenze di un mercato del lavoro sempre più complesso, caratterizzato non più solo da avanzate abilità tecniche, ma anche da importanti competenze trasversali. Il concetto classico di forza lavoro qualificata si basa su una formazione specialistica che contempla tutta una serie di capacità tecniche ben definite per ogni mestiere. La trasformazione tecnologica e del mercato del lavoro richiede, con forza, però a tutti gli operatori qualità che permettano di adattarsi rapidamente ai cambiamenti. Le competenze tecniche, codificate e organizzate per professione, e quelle comportamentali vanno ormai di pari passo. Un mix equilibrato di soft e hard skills oggi è indispensabile. La Cc-Ti, con fill-up e la relativa consulenza specializzata, raccoglie questa sfida nell’interesse di apprendisti e aziende.
Un circolo virtuoso
Un modello analogo al servizio “Apprendista plus ” si sta realizzando a Neuchâtel per iniziativa anche qui della locale Camera di commercio e dell’industria, con la quale la Cc-Ti collabora strettamente; un progetto pilota sta gestendo una quarantina di contratti di tirocinio. I risultati sono molto positivi. A dimostrazione che anche nella realtà latina della Svizzera vi è un potenziale importante per rafforzare l’apprendistato, malgrado vi sia un notevole ritardo rispetto a quanto avviene in Svizzera tedesca. È bene sottolineare che l’apprendistato garantisce ottimi sbocchi occupazionali e ben retribuiti, così come l’accesso, se lo si desidera, ad una formazione superiore. Per le aziende, vi è l’opportunità preziosa di formare figure specialistiche che ormai mancano anche sul mercato del lavoro internazionale. “Facendo crescere i propri specialisti in casa non solo si limita il pericolo della mancanza di manodopera qualificata, ma si radica in loro il senso di appartenenza all’azienda e al territorio in cui si opera – nota Sara Rossini-Monighetti –. Con il nostro servizio vogliamo anche creare questa atmosfera del sentirsi parte, partecipi di qualche cosa”.
Numeri buoni ma migliorabili
Lo scorso anno in Ticino, nonostante le difficoltà provocate dalla pandemia, sono stati sottoscritti 2’523 contratti di tirocinio, 130 in più rispetto al 2020, conseguendo il risultato più alto dal 2015. Dati che dimostrano tutta la buona volontà e l’impegno delle nostre aziende sebbene confrontate con quei problemi che da sempre, come già detto, condizionano l’approccio all’apprendistato e che erano stati ben evidenziati nell’inchiesta congiunturale della Cc-Ti di qualche anno fa, quando era emerso chiaramente che le maggiori difficoltà per rafforzare l’apprendistato non erano legate a motivi finanziari ma soprattutto gestionali. Il reverse mentoring, ad esempio, deve essere concertato tra le parti in maniera ottimale. Come detto in precedenza, non tutte le imprese hanno il tempo materiale e le risorse interne per potersi occupare compiutamente di un percorso d’apprendistato.
L’obiettivo della Cc-Ti con fill-up è ridimensionare gli ostacoli che impediscono di correggere l’attuale squilibrio fra domanda e offerta nel mercato del lavoro. Una collaborazione volta a un obiettivo comune sempre più lineare ed esente da freni.
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