La riforma dell’AVS 21, che è entrata in vigore il 1° gennaio 2024, prevede una maggiore flessibilità nel pensionamento. Ad esempio, il termine “età pensionabile” è stato sostituito da “età di riferimento”, per designare il momento in cui gli assicurati possono richiedere la rendita di vecchiaia senza essere soggetti a una riduzione per il pensionamento anticipato o a un supplemento per il differimento
Data la complessità della materia e le numerose specificità ed eccezioni, la presente scheda fornisce una panoramica delle nuove possibilità offerte dal primo pilastro, tenendo presente che il primo pilastro è solo uno dei fattori che entrano in gioco nel determinare le risorse disponibili al momento del pensionamento.
Pensionamento all’età di riferimento
L’età pensionabile di riferimento sarà gradualmente innalzata da 64 a 65 anni per le donne, con misure di compensazione per le donne nate tra il 1961 e il 1969. Queste possono assumere varie forme, tra cui prestazioni pensionistiche migliori in determinate situazioni, non soggette al massimale per le donne sposate. Tutti i futuri pensionati devono presentare una richiesta al fondo di compensazione competente alcuni mesi prima del raggiungimento dell’età di riferimento per attivare il pagamento della pensione.
Pensionamento anticipato
Anticipo totale È ora possibile percepire la pensione in anticipo a partire dal primo giorno del mese successivo al compimento del 63° anno di età. È possibile scegliere di percepire la pensione in anticipo, per intero o in parte. In questo caso, la pensione viene calcolata in modo normale, tenendo presente che la pensione anticipata è generalmente parziale, in assenza di un periodo completo di contributi. L’importo della pensione così calcolato viene poi ridotto di una percentuale che dipende dalla durata del periodo di prepensionamento. Durante il periodo di prepensionamento è necessario continuare a versare i contributi AVS, se necessario, come persona non attiva.
Anticipo parziale È ora possibile percepire tra il 20% e l’80% della pensione di vecchiaia prima di raggiungere l’età di riferimento. Durante il periodo di anticipazione, è possibile aumentare una volta la percentuale anticipata. In questo caso, il calcolo viene effettuato come per il prelievo anticipato completo.
Fine dell’anticipazione Al raggiungimento dell’età di riferimento, viene calcolata la pensione di vecchiaia definitiva, tenendo conto dei contributi versati durante il periodo di prepensionamento. Una volta stabilito l’importo della pensione, questo viene ridotto in base alla durata del periodo di pensionamento anticipato. Al momento del decesso dell’assicurato che ha versato la pensione anticipata, la pensione della vedova, del vedovo o dell’orfano che gli succede non viene ridotta.
Rinvio del pensionamento
Rinvio totale Chi raggiunge l’età di riferimento può differire la riscossione della pensione di vecchiaia da uno a cinque anni. Ciò consente di ricevere una pensione di vecchiaia maggiorata, a seconda della durata del differimento. Il meccanismo è quindi inverso a quello dell’anticipazione. Il differimento non può essere inferiore a un anno. Nel caso di assicurati coniugati, l’aumento legato al differimento non è influenzato dal massimale della pensione. Il differimento può riguardare la totalità o una parte della pensione, senza che sia necessario stabilire in anticipo la durata del differimento. Dopo un anno di differimento, è possibile revocarlo, in tutto o in parte, e ottenere il pagamento della pensione a partire dal mese successivo alla revoca. Tuttavia, il differimento non è possibile se l’assicurato percepisce una pensione di invalidità totale o un’indennità di frequenza.
Rinvio parziale Il differimento può riguardare solo una parte della pensione, dal 20% all’80% della stessa. Questa percentuale può essere ridotta una volta durante il periodo di differimento, ma non aumentata. Se una parte della pensione è stata anticipata, è possibile differire solo il saldo.
Fine del rinvio Il differimento termina quando l’assicurato revoca la rendita. La revoca si considera avvenuta anche quando è trascorso il periodo massimo di cinque anni, precisando che l’assicurato deve richiedere espressamente il pagamento della pensione. Anche la concessione di un assegno di invalidità o il decesso dell’assicurato pone fine al differimento. Le pensioni di reversibilità che seguono una pensione di vecchiaia differita non vengono aumentate.
Fonte: CVCI, Demain, agosto/settembre 2024. Traduzione ed adattamento: Cc-Ti
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2025/02/ART25-Pensionamento-flessibile.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2025-02-21 08:00:002025-02-17 15:35:02Pensionamento flessibile nel regime del 1° pilastro
Il passaggio di proprietà di un’azienda è, innegabilmente, una fase importante nella vita di un’azienda
Si tratta di un processo lungo e sfaccettato che tocca diversi ambiti, tra cui quello finanziario (valutazione e finanziamento dell’azienda), giuridico (redazione dei contratti) e fiscale (tassazione dell’imprenditore e dell’azienda). Il punto di vista di uno specialista del settore: Julien J. Collaud, della ditta VZ Conseil juridique et fiscal SA, raccolto dalla Camera di commercio e dell’industria del Canton Vaud.
Secondo alcuni studi, in Svizzera diverse decine di migliaia di PMI sono interessate da trasferimenti non regolarizzati. Quali sono le principali difficoltà incontrate dai proprietari?
A parte alcune difficoltà legate al settore o all’azienda da trasferire, i principali ostacoli incontrati dagli imprenditori che desiderano trasferire la propria azienda e che non cercano supporto sono la sottovalutazione del tempo da dedicare alla transazione, la ricerca di un rappresentante in grado di farlo, i cattivi consigli ricevuti da familiari e amici e il non valutare attentamente la complessità della transazione, in particolare in termini di tasse e successioni.
Quali sono le diverse opzioni a disposizione di chi vuole cedere la propria azienda?
In pratica, si distinguono tre tipi di trasferimento d’impresa, che rappresentano una serie di opzioni disponibili per chi desidera cedere la propria azienda:
il primo è la trasmissione all’interno della famiglia (Family Buy-Out – FBO), che consiste in una vendita o donazione (totale o parziale) ai membri della famiglia dell’imprenditore
il secondo è la trasmissione all’interno dell’azienda (Management Buy-Out – MBO), che consiste nella vendita ai dipendenti dell’azienda, spesso dirigenti
il terzo è la vendita a terzi, cioè a persone non legate all’imprenditore.
Possono essere aziende che operano nello stesso mercato, investitori finanziari (private equity, fondazioni d’investimento, fondi d’investimento, ecc.) o persone che desiderano diventare imprenditori.
Esistono scadenze ideali per affrontare questo passaggio?
Ogni caso è unico e ha le sue peculiarità. Possiamo tuttavia affermare che il momento ideale per iniziare a pensare al trasferimento dell’azienda è tra i cinque e gli otto anni prima. Quanto prima si inizia, tanto maggiori sono le possibilità di ottimizzare l’attività, la pianificazione finanziaria personale e la previdenza. È particolarmente consigliabile farlo in anticipo quando la società detiene molti beni non necessari per le operazioni. Poiché l’acquirente probabilmente non sarà interessato ad acquistarli, è opportuno ammortizzarli su più anni per limitare l’impatto fiscale. Inoltre, in caso di cambio di forma giuridica (ad esempio da ditta individuale a società a responsabilità limitata), è previsto un periodo di blocco di cinque anni prima di poter realizzare una plusvalenza esente da imposte.
Come garantire il successo del trasferimento? È consigliabile rivolgersi a degli esperti?
Il trasferimento dell’azienda è un’operazione complessa che tocca diversi ambiti, tra cui quello finanziario (valutazione dell’azienda e finanziamento), giuridico (redazione dei contratti) e fiscale (tassazione dell’imprenditore e dell’azienda). Si consiglia vivamente di avvalersi dei servizi di un esperto in materia di trasferimento d’azienda, che sarà in grado di fornire una consulenza personalizzata durante l’intero processo. Se necessario, può anche aiutarvi a trovare un acquirente. Inoltre, l’esperto vi permetterà di dedicare meno tempo alla vendita dell’azienda, in modo da potervi concentrare il più possibile sulla gestione dell’impresa. Sarebbe un peccato se i risultati dell’azienda diminuissero durante la fase di trasferimento perché l’imprenditore non può più dedicarvi abbastanza tempo.
Fonte: CVCI, Demain, agosto/settembre 2024. Traduzione ed adattamento: Cc-Ti.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2025/02/ART25-Cedere-azienda.png8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2025-02-18 08:00:002025-02-17 15:21:02Cedere la propria azienda è un’operazione complessa
A partire dal 1° gennaio 2025, i crediti di diritto pubblico (IVA, multe, imposte, contributi previdenziali o premi assicurativi obbligatori) non saranno più perseguiti tramite pignoramento, ma tramite fallimento.
Quando nel 1889 è entrata in vigore la Legge federale sull’esecuzione e sul fallimento (LEF), è stata concordata un’eccezione per i crediti di diritto pubblico. I crediti di diritto pubblico sono perseguiti tramite pignoramento e non tramite fallimento, come avviene per i crediti di diritto privato. A partire dal 1° gennaio 2025, le eccezioni previste dai paragrafi 1 e 2 dell’articolo 43 della Legge federale sulla esecuzione e sul fallimento (LEF) saranno abrogate. Questa modifica legislativa fa parte della nuova legge federale sulla lotta all’abuso del fallimento.
Di conseguenza, a partire dal 1° gennaio 2025, i crediti di diritto pubblico (IVA, multe, imposte, contributi previdenziali o premi assicurativi obbligatori) non saranno più perseguiti tramite pignoramento, ma tramite fallimento. Questo vale solo per le persone giuridiche (società, associazioni) e le persone fisiche (ditte individuali) iscritte nel registro di commercio ai sensi dell’articolo 39 LEF. Si noti che il titolare di una ditta individuale è soggetto al fallimento nel suo cantone di domicilio, anche se la sua società è iscritta nel registro di commercio di un altro cantone.
Quali debiti sono coinvolti?
Questo vale per tutti i crediti di diritto pubblico, comprese le imposte (comunali, cantonali e federali), l’IVA, le multe, le sanzioni e i contributi sociali (compresi i contributi AVS). Sono compresi anche i premi dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni. Tuttavia, due tipi di crediti di diritto pubblico continueranno a essere disciplinati dal regime eccezionale previsto dall’art. 43 LEF. Si tratta dei crediti relativi al recupero degli alimenti periodici e dei contributi alimentari derivanti dal diritto di famiglia, nonché dei contributi alimentari derivanti dalla legge sul partenariato del 18 giugno 2004 (art. 43 cpv. 2) e della prestazione di garanzie (art. 43 cpv. 3).
Questa revisione prevede una particolarità giuridica: oltre ai procedimenti giudiziari avviati a partire dal 1° gennaio 2025, saranno interessate anche le procedure avviate prima di tale data. Inoltre, anche le persone con un certificato di inadempimento patrimoniale emesso prima del 1° gennaio 2025 potranno avviare una nuova procedura fallimentare. Va notato che un credito stabilito da un atto di mora si prescrive dopo 20 anni dalla data di emissione (art. 149° cpv. 1 LEF).
Cosa ci si può aspettare?
Tutti i crediti, recenti o pregressi, compresi i certificati di inadempimento rianimati, saranno ora soggetti alla procedura fallimentare. In pratica, la procedura iniziale (solleciti, citazioni) rimane invariata. Tuttavia, dopo la notifica dell’intimazione di pagamento e in caso di opposizione,
il creditore beneficerà di un processo di recupero semplificato, poiché le decisioni dell’autorità pubblica costituiranno titoli di scarico definitivi. In questo modo sarà più facile revocare l’ingiunzione di pagamento e procedere direttamente alla procedura fallimentare. Il creditore dovrà quindi richiedere un decreto di fallimento, che darà il via alla liquidazione di tutti i beni dell’azienda. Uno dei vantaggi del fallimento è che consente a un maggior numero di creditori di partecipare alla procedura, garantendo così una distribuzione più equa dei beni. Al termine del fallimento, il creditore ottiene un certificato di inadempienza per l’importo del credito non pagato. Tuttavia, la chiusura del fallimento comporta lo scioglimento della società e la sua cancellazione dal registro di commercio.
Gli amministratori possono comunque essere ritenuti personalmente responsabili, in particolare se l’amministratore non ha adempiuto ai suoi obblighi, come il pagamento dei contributi sociali (art. 51 LAVS), causando così un danno.
Come prevenire la situazione?
Per evitare spiacevoli sorprese, si consiglia alle aziende interessate di saldare gli arretrati entro il 31 dicembre 2024. Se ciò non fosse possibile, si consiglia di contattare i creditori (autorità fiscali, fondo AVS, ecc.) per negoziare accordi o piani di pagamento che consentano di ripartire i debiti nel tempo. È inoltre possibile avviare una procedura di riorganizzazione richiedendo una moratoria per la ristrutturazione del debito. Se non si raggiunge un accordo, l’ufficio di recupero crediti non avrà alcun margine di manovra per concedere una dilazione degli arretrati, essendo vincolato alle scadenze legali obbligatorie. Il rischio di fallimento è quindi molto concreto.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/12/ART24-recupero-crediti-2025.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-12-13 08:00:002024-12-11 09:26:45Recupero crediti e fallimento: le novità per le aziende
Lo scorso mese di giugno la Cc-Ti ha organizzato un evento intitolato “AI-volution: il futuro è oggi”, che ha riunito una quarantina di partecipanti, che hanno potuto discutere del tema dell’intelligenza artificiale e delle tendenze nell’ambito delle HR e della gestione aziendale, con un occhio di riguardo ai risvolti a livello legale che si dovranno fronteggiare. Vi proponiamo di seguito alcune considerazioni dei due relatori dell’evento, il Prof. Andrea Martone, Director Research & Studies Von Rundstedt – Svizzera e Roberta Bazzana-Marcoli, Avvocato, Titolare dello studio RBLegal.
Riflessioni “a ruota libera” su come l’AI sta cambiando i modelli di gestione delle HR
Immaginate di lavorare con un collega robot; non è fantascienza, ma la quotidianità di molte imprese, in cui i sistemi di Intelligenza Artificiale (AI) rispondono a domande, gestiscono le richieste di ferie, organizzano riunioni e monitorano le scadenze dei progetti. Se però il robot, non è un collega, ma assume i poteri di capo l’idea sembra ancora più sorprendente, magari anche disturbante. In realtà già oggi, molti lavoratori operano alle dipendenze di un’intelligenza non umana: pensate agli autisti di un servizio di taxi le cui corse sono regolate da un algoritmo o ai cassieri di un supermercato, che sono chiamati alla postazione di lavoro da un sistema automatizzato di controllo delle code. Un capo robot può analizzare le prestazioni in tempo reale, offrire un feedback immediato e personalizzato e prendere decisioni basate su dati concreti piuttosto che su intuizioni soggettive. Ciò nonostante, l’assenza di empatia e intelligenza emotiva rappresenta una sfida significativa per l’AI sia in ruoli operativi che in ruoli di leadership. La capacità di comprendere le sfumature delle interazioni umane, di creare fiducia e di gestire conflitti richiede competenze che attualmente solo gli esseri umani possiedono. Lavorare con un robot richiede un adattamento culturale: l’AI arriva fino ad un certo punto, poi deve intervenire l’uomo; è fondamentale vederla come uno strumento complementare, piuttosto che un sostituto del lavoro umano. La cultura e la comunicazione interna giocano un ruolo cruciale nel dissipare paure e pregiudizi legati all’automazione.
Ora però vorrei proporvi alcune considerazioni sulla gestione delle risorse umane: accettereste che il vostro direttore del personale fosse un robot? Oggi l’AI è in grado di fare ragionamenti logici sempre più complessi, così, anche i processi di gestione del personale possono essere condotti da “soggetti pensanti” di natura non umana. nonostante siano, per loro natura, molto delicati, perché vanno a toccare direttamente la vita dei lavoratori e le loro sensibilità personali (come giudichereste essere licenziati da un robot?). Non penso di esaurire l’argomento nelle poche righe di questo articolo, ma vorrei condividere alcune riflessioni sulle tendenze prevalenti.
La selezione del personale è una delle aree in cui l’AI sta avendo maggiore impatto. Innanzitutto, può intervenire sul dimensionamento degli organici, attraverso l’analisi predittiva dei fabbisogni: in questo modo, al posto di lunghe trattative con i vari dirigenti, una macchina pensante pianifica con oggettività le assunzioni e i licenziamenti. Una volta stabiliti i fabbisogni di organico, l’AI può analizzare migliaia di curriculum in pochi secondi, identificando i candidati più promettenti in base a competenze, esperienze e parole chiave. I sistemi di intelligenza artificiale possono anche proporre esercitazioni, prove pratiche e test per comprendere le reali capacità del candidato. Il sogno dei programmatori è che in un futuro non lontano saranno in grado di tenere anche i colloqui di selezione, lasciando alla mente umana solo la scelta finale tra un rosa di candidati (a questo punto perfetta, perché frutto di una preselezione ottimizzata). Tutto questo, non solo velocizza il processo di reclutamento, ma elimina anche molti bias umani, favorendo una selezione più equa e meritocratica (anche se ci sono alcune evidenze sui pregiudizi che gli uomini trasferiscono alle macchine quando le programmano).
L’AI può monitorare e valutare le performance dei dipendenti in modo continuo e dettagliato molto più di quanto possa fare qualsiasi dirigente. Attraverso l’analisi dei dati raccolti da vari sistemi aziendali, il capo robot può fornire feedback personalizzati e tempestivi, aiutando i dipendenti a migliorare le proprie performance. Inoltre, può identificare potenziali aree di sviluppo per ciascun lavoratore, suggerendo percorsi di carriera e opportunità di formazione.
Un tema assai delicato, in cui l’AI sta irrompendo è quello del benessere dei dipendenti: monitorando il linguaggio nei messaggi di posta elettronica o nei commenti sui social aziendali e confrontando queste evidenze con le performance aziendali, l’AI è in grado di valutare lo stato di salute dei lavoratori. Questi insight possono essere utilizzati per avviare interventi di sostegno preventivi (con molte precauzioni in tema di privacy).
Da ultimo dobbiamo menzionare i sistemi di formazione e sviluppo che l’AI sta trasformando, grazie soprattutto alla creazione di piattaforme di e-learning che possono adattare i percorsi formativi alle esigenze specifiche di ciascun dipendente. Analizzando le performance e i progressi individuali, l’AI può suggerire corsi e contenuti specifici, garantendo che ogni dipendente riceva la formazione di cui ha bisogno. Va anche ricordato che l’AI offre esperienze di apprendimento, che possono simulare situazioni reali, migliorando così l’efficacia della formazione in tutti i campi del sapere.
Conclusioni
L’integrazione dell’intelligenza artificiale nella vita delle imprese non è solo una questione di efficienza e produttività, ma rappresenta un cambiamento culturale significativo. Le aziende devono essere pronte a gestire questa transizione, assicurandosi che la tecnologia sia utilizzata in modo etico e che i dipendenti siano adeguatamente supportati in questo nuovo ambiente di lavoro. Dialogare con un collega robot o avere un capo digitale potrebbe presto diventare la norma: essere pronti sarà la chiave per il successo futuro delle organizzazioni.
Futuro: attenzione alle sfide giuridiche, non c’è solo la privacy
È ormai risaputo che l’intelligenza artificiale (IA) sta rapidamente rivoluzionando molti settori, offrendo un potenziale straordinario per aumentare l’efficienza e migliorare le prestazioni in vari ambiti, compresa la gestione delle risorse umane. Dall’IA derivano strumenti avanzati per la selezione del personale, la valutazione delle performance e il monitoraggio del benessere dei dipendenti. Ma si va ben oltre: non è più fantascienza immaginare dipendenti che interagiscono con macchine o addirittura ricevono ordini e direttive da un capo robot. L’IA promette enormi vantaggi in termini di produttività ed efficienza, aprendo interessanti prospettive. Ciononostante, accanto a queste opportunità, emergono rilevanti questioni etiche e giuridiche che non possono essere ignorate.
In questo scenario, diventa cruciale bilanciare l’entusiasmo per l’innovazione tecnologica con una riflessione attenta sui potenziali rischi e sulle implicazioni legali. Sono ormai ricorrenti i dibattiti sulle problematiche giuridiche legate all’interazione professionale con l’IA, come la tutela dei dati personali, la necessità di trasparenza e, soprattutto, l’importanza di garantire processi equi e non discriminatori. Tuttavia, non va trascurato un altro aspetto che, pur apparendo una questione etica, ha anche rilevanti implicazioni legali: quale impatto ha l’IA sulla salute psicofisica di un collaboratore che si trova a interagire o addirittura a sottostare, alle direttive di una macchina dotata di intelligenza artificiale? La protezione della salute dei lavoratori, inclusa quella psicofisica, è al centro delle normative sul lavoro in molti Paesi.
Le Normative che richiedono la gestione dei rischi psicosociali, come lo stress e il burnout, sono ormai diffuse in diversi ordinamenti, a testimonianza di una crescente attenzione verso la salute mentale, considerata fondamentale per garantire il benessere complessivo dei lavoratori. Questa crescente attenzione alla salute psicofisica dei lavoratori diventa ancor più indispensabile con l’introduzione di macchine basate sull’intelligenza artificiale. Questi strumenti, pur essendo progettati, come detto, per migliorare l’efficienza e ottimizzare le operazioni, possono in realtà generare nuove fonti di stress e frustrazione, mettendo a rischio il benessere mentale dei dipendenti. L’automazione e il monitoraggio continuo rischiano di ridurre l’autonomia e la serenità dei lavoratori, compromettendo un equilibrio che la normativa aveva faticosamente cercato di costruire. Nel processo di selezione del personale, ad esempio, sempre più aziende ricorrono all’intelligenza artificiale per valutare performance, analizzare curriculum e persino condurre interviste virtuali. In alcuni casi, l’IA viene impiegata perfino per decidere chi richiamare o chi licenziare. Il dipendente o il candidato, a quel punto, potrebbe percepire di ritrovarsi in una posizione passiva, sentendosi giudicato da un sistema di cui non conosce a fondo i criteri sui quali si basa, ma che immagina precisi e impeccabili, proprio perché dettati da una macchina, ritenuta priva di errori. Nonostante l’elevata raffinatezza della tecnologia, questa non è -ancora-in grado di cogliere appieno le sfumature emotive o le difficoltà individuali, generando così potenzialmente un inevitabile senso di frustrazione e stress. Il non “potersi spiegare” potrebbe collocare la persona in una situazione di assoluto disorientamento. Tale situazione, nella quale si viene valutati da un algoritmo, piuttosto che da una persona, può far crescere un senso di inadeguatezza difficile da gestire, con possibili conseguenze sulla salute psichica.
Un esempio particolarmente significativo è quello dei driver che operano per le piattaforme di consegne online. Non sempre l’intelligenza artificiale si limita a ottimizzare la logistica, ma spesso definisce in ogni dettaglio della giornata lavorativa. Alcuni algoritmi monitorano ogni aspetto del loro operato: dal tempo impiegato per completare una consegna, alla velocità di guida, fino a quante pause vengono prese. In casi estremi, telecamere all’interno dei veicoli scrutano persino le espressioni facciali per valutare se il conducente è stanco o distratto. Questa sorveglianza pervasiva ha dimostrato di generare un costante senso di pressione, addirittura oppressione. I driver lavorano con la consapevolezza di essere osservati da un occhio digitale che non perdona errori, alimentando la paura di sanzioni ogni qualvolta non si allineano ai rigidi parametri imposti dall’algoritmo. Il risultato è uno stato di tensione permanente, un’ansia che non considera le variabili umane, come il traffico, la fatica o gli imprevisti quotidiani. Così, invece di migliorare l’efficienza, è emerso che questa forma di controllo finisce per erodere il benessere mentale dei lavoratori, trasformandoli in semplici ingranaggi di un sistema che dimentica il loro lato umano. Gli esempi di questo tipo sono numerosi. Dalle fabbriche automatizzate ai magazzini dove l’IA guida le operazioni, fino ai call center in cui il monitoraggio costante è la norma.
Il quadro che emerge è chiaro: l’evoluzione tecnologica è ormai una realtà inarrestabile e senz’altro un’opportunità da cogliere. Tuttavia, ciò che oggi richiede una riflessione urgente, sia etica che giuridica, è come procedere da qui in avanti. Se da un lato non possiamo ignorare i benefici tangibili dell’intelligenza artificiale, dall’altro è fondamentale che questo progresso non avvenga a discapito della salute psichica di chi interagisce con l’IA. La sfida non è fermare la tecnologia, ma piuttosto integrarla in modo che sia tutelata la dignità umana, riconoscendo che dietro ogni algoritmo c’è un individuo, con emozioni, limiti e diritti.
I principi di informazione e trasparenza rappresentano i pilastri fondamentali di questa trasformazione tecnologica Nel processo informativo, il coinvolgimento di tutte le risorse umane dei dipendenti è imprescindibile e la garanzia di trasparenza non deve riguardare solo il funzionamento degli algoritmi, ma anche i criteri su cui si basano le valutazioni, garantendo che tutti i dipendenti possano comprendere il processo decisionale e non percepiscano l’IA come uno strumento impenetrabile. È in tal senso che stanno andando le giurisdizioni europee. Il regolamento europeo sull’intelligenza artificiale concretizza questi principi di informazione e trasparenza, stabilendo obblighi precisi per i datori di lavoro riguardo alla comunicazione chiara e accessibile sui meccanismi di monitoraggio e sui criteri di decisione automatizzata, con l’obiettivo di proteggere i diritti e la salute psicofisica dei lavoratori. “L’innovazione distingue un leader da un seguace.” – (Steve Jobs)
Articolo a cura di Avv. Roberta Bazzana-Marcoli, Titolare dello studio RBLegal
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/09/ART24-capo-robot.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-09-27 08:00:002024-09-26 14:42:55Pronti a dialogare con un collega robot?
Fusioni ed acquisizioni aziendali: l’importanza strategica della presenza social di aziende e manager
Secondo l‘Harvard Business Review (HBR Magazine, edizione USA e Canada, Maggio-Giugno 2024, “A better approach to mergers and acquisitions”, pp. 19-23), negli ultimi 20 anni c‘è stato un notevole miglioramento nel tasso di successo dei processi di M&A (Merger and Acquisition) aziendali, inclusi quelli delle PMI.
Due decenni fa, il 70% delle fusioni o acquisizioni non raggiungeva i risultati sperati; oggi, oltre il 70% di questi processi genera il valore previsto in fase di valutazione.
Il ruolo dei social media nelle acquisizioni aziendali
Diversi fattori hanno contribuito a questo cambiamento positivo:
maggiore specializzazione dei valutatori aziendali
ricerca di partner con valori complementari
valutazioni che considerano non solo i numeri, ma anche il contesto e il fattore umano.
I profili social aziendali e individuali sono ora parte integrante dei parametri di valutazione.
Attraverso un‘analisi approfondita dei social media, le aziende acquirenti possono ottenere informazioni sul sentiment dei clienti, sulla gestione dei reclami, sulla notorietà del marchio e sulla fedeltà dei clienti.
Il ‘Personal Branding’ nei processi di M&A
Gli specialisti in M&A esaminano anche i profili pubblici di dipendenti ed ex dipendenti per ottenere informazioni valoriali e comportamentali.
Questo sottolinea l‘importanza per le PMI di mantenere una presenza online ben strutturata e professionale. Anche i profili individuali devono essere curati, migliorando il Personal Branding per accrescere l‘autorevolezza e il valore del proprio account.
Un recente articolo apparso su ‘Il Sole 24 Ore’ (https://bit.ly/4cdmUgq) ha evidenziato che parte del processo di selezione di figure manageriali passa attraverso l‘analisi dei profili LinkedIn dei candidati. Infatti, un recruiter su due modifica la propria opinione sul candidato dopo aver esaminato i suoi post e commenti.
Presenza social delle PMI
Le aziende più performanti affidano la gestione della propria presenza online a team di professionisti capaci di considerare tutte queste dinamiche nella formulazione e implementazione della strategia editoriale.
La pubblicazione di contenuti che riflettono l‘identità aziendale può aumentare il numero di follower interessati e migliorare il tasso di engagement, con un impatto positivo sul posizionamento e sulla brand equity.
Lo stesso vale per i professionisti che devono postare contenuti strategici e consapevoli dell‘impatto che possono avere su potenziali datori di lavoro o partner.
I social quindi, se ben gestiti, sono un tassello fondamentale che contribuisce alla definizione del valore economico dell’azienda da parte di un potenziale acquirente.
Articolo di Giuseppe Maffei, Fondatore Develed Sagl
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/07/ART24-Social-power.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-07-23 08:00:002024-07-15 10:31:04“Social Power” in fusioni ed acquisizioni
Le organizzazioni adattive rappresentano un elemento chiave nel contesto economico contemporaneo, in un’epoca in cui i modelli di business e le situazioni di mercato sono in costante evoluzione.
Mai come negli ultimi anni abbiamo avuto testimonianza di quest’assunto. E, con ’abracadabra’, non ci riferiamo ad una formula magica pronunciata per evocare un incantesimo. È invece diventata una realtà imprescindibile per un’azienda possedere la capacità di reinventarsi e adattarsi alle mutevoli condizioni che oggi il mercato presenta, perché questa abilità è determinate per il successo a lungo termine.
Una definizione
Le organizzazioni adattive (intese come “gruppo di persone formalmente unite per raggiungere uno o più obiettivi comuni, riunite in un sistema aperto che percepisce l’ambiente interno ed esterno, attivando meccanismi di adattamento finalizzati a mantenere lo stato ottimale dell’entità stessa, quale cambiamento evolutivo costante”) si distinguono per la loro capacità di rispondere prontamente e in modo efficace ai cambiamenti nell’ambiente esterno. Esse sono in grado di riconoscere le nuove tendenze e le opportunità emergenti, adattando rapidamente le proprie strategie e operazioni per capitalizzare su tali cambiamenti. Agilità e flessibilità sono caratteristiche fondamentali, che spesso si traducono in una maggiore capacità di innovazione e di adattamento alle mutevoli condizioni congiunturali.
Fare impresa oggi
Nel contesto attuale, le aziende devono affrontare una serie di sfide e opportunità senza precedenti. I rapidi avanzamenti tecnologici, i cambiamenti demografici, gli scenari internazionali, le pressioni competitive e i repentini cambiamenti nei gusti dei consumatori rappresentano solo alcune delle forze che richiedono alle aziende di essere agili e pronte a reinventarsi. Un esempio evidente di questa necessità è stato (ed è tuttora) rappresentato dalla trasformazione digitale, che ha spinto molte aziende a ridefinire i loro modelli di business e ad adottare nuove tecnologie per rimanere competitive.
Il capitale umano è sempre determinante
Nelle organizzazioni adattive vive una forte cultura aziendale, dove deve fiorire l’innovazione, l’apprendimento continuo e il coinvolgimento dei dipendenti. L’agilità organizzativa non può essere raggiunta senza un impegno diffuso a tutti i livelli dell’azienda e senza un’apertura al cambiamento. Per questi motivi la formazione e lo sviluppo dei dipendenti, così come il dialogo fra i diversi componenti del team intergenerazionali sono cruciali per garantire che l’azienda abbia le competenze necessarie per adattarsi a nuovi modelli di business e situazioni congiunturali (junior e senior non sempre approcciano i cambiamenti nello stesso modo e sono guidati da leve motivazionali diverse). Attraverso l’adozione di queste pratiche, le aziende possono prepararsi ad affrontare con successo le sfide del mercato in continua evoluzione.
Parole chiave: la nostra ’top 5’
Restare competitiva sul mercato oggi è una sfida complessa. Ecco alcune riflessioni in termini di temi a cui prestare particolare attenzione:
Innovazione e competitività: mantenere un costante flusso di innovazione è essenziale per restare passo con i cambiamenti del mercato in continua evoluzione, rappresentando un vantaggio competitivo ragguardevole nei confronti degli altri competitors.
Tecnologia: l’adozione di tecnologie all’avanguardia e la trasformazione digitale sono cruciali per migliorare l’efficienza operativa di ogni organizzazione.
Flessibilità: essere in grado di adattarsi rapidamente ai cambiamenti del mercato è una delle caratteristiche imprescindibili per le aziende moderne.
Sostenibilità: è un concetto che è ormai diventato di uso corrente nella vita quotidiana, così come nel lessico imprenditoriale. Oggi parliamo di ’responsabilità sociale’, concetto ampio che include 3 assi di azione: l’ambito ambientale, il benessere economico e quello sociale. Occorre quindi integrare pratiche sostenibili nella strategia aziendale. Sottolineiamo che la Cc-Ti, quale associazione-mantello dell’economia ticinese, ha sviluppato – con il supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE) – un modello online di rapporto di sostenibilità, accessibile su www.ti-csrreport.ch.
Talent management: attrarre, sviluppare e trattenere talenti qualificati è cruciale per l’innovazione e il successo a lungo termine di un’azienda. In questo senso la Cc-Ti eroga corsi di formazione puntuale e dei percorsi formativi di gestione aziendale, che rappresentano un’offerta solida e variegata per uno sviluppo sostenibile delle risorse umane, in risposta alle richieste del tessuto economico ticinese (www.cc-ti.ch/formazione).
L’orizzonte della tecnologia sanitaria si allarga, cancellando i confini tra fisico e digitale e inaugurando un’era in cui il nostro corpo diventa un’interfaccia vivente.
Immagine generata da Open AI (DALL.E)
Dispositivi indossabili e impianti interni ci circondano, monitorando movimenti e battiti cardiaci con precisione, anticipando un futuro dove le nostre funzioni biologiche interagiscono direttamente con il mondo digitale. Questo non è solo in concetto di fantascienza ma l’alba dell’Internet of Bodies (IoB), una rivoluzione tecnologica che si annuncia tanto impattante quanto la scoperta del DNA.
In questo contesto, emergono innovazioni rivoluzionarie come Neuralink, che promette di amplificare le nostre capacità cognitive mediante un’interfaccia diretta tra cervello e computer. Quest’epoca di confini sempre più sfumati tra biologia e tecnologia porta sfide inedite per la nostra privacy e identità personale, specialmente nel settore sanitario dove l’IA sta già trasformando la precisione diagnostica e ottimizzando i trattamenti. L’IA, unita alle potenzialità dell’IoB di fornire monitoraggi in tempo reale e terapie personalizzate attraverso l’analisi di dati biologici, getta le fondamenta per un approccio alla cura sempre più preciso e personalizzato. Tuttavia, è essenziale riconoscere che, al di là dell’automazione e della precisione dei dati, il giudizio finale spetta sempre all’esperto clinico, il cui ruolo rimane centrale e insostituibile nel processo decisionale clinico.
Questo nuovo paradigma di salute digitale solleva interrogativi critici su privacy, etica, sicurezza e proprietà dei dati personali, richiedendo una riflessione profonda su come navigare le acque di questa rivoluzione tecnologica senza compromettere i diritti fondamentali dell’individuo. Queste sfide si fanno ancor più pressanti di fronte all’emergere di tecnologie pionieristiche quali Neuralink, che quest’anno ha inaugurato una nuova era con l’impianto del primo dispositivo BCI (Brain Computer Interface) su un paziente, spostando i confini del possibile verso ambiti un tempo considerati pura fantascienza. In questo scenario emergente che si spinge alle frontiere dell’etica, si comincia a delineare una distinzione tra gli esseri umani “1.0”, ovvero quelli non modificati o potenziati tecnologicamente, e gli “umani 2.0”, individui che incorporano tecnologie avanzate per estendere le proprie capacità fisiche e cognitive.
Questa dicotomia solleva questioni etiche fondamentali, interrogandoci su cosa significhi veramente essere umani in un’epoca di profonda trasformazione digitale.
La “Cognizione Collettiva”, un concetto che descrive una nuova forma di intelligenza e di connessione tra individui mediata dalla tecnologia, ad esempio, sta diventando una realtà sempre più tangibile, richiedendo una riflessione critica sul nostro futuro collettivo. Nell’affrontare questa accelerazione dell’innovazione tecnologica, le normative come la LPD, il GDPR e l’EU AI Act sono state create e adattate per cercare un equilibrio tra il progresso tecnologico e la tutela dei diritti individuali. Introducendo standard elevati per la gestione dei dati personali, in particolare quelli sensibili come i dati sanitari, queste leggi riflettono il tentativo di armonizzare l’avanzamento tecnologico con i principi etici e sociali, enfatizzando l’importanza di adottare approcci come il “privacy by design” e il “privacy by default”.
Questi principi non rappresentano solo una risposta alle complessità etiche emergenti, ma diventano parte integrante dell’innovazione responsabile, puntando a un rispetto completo della persona. All’interno del settore sanitario, questa evoluzione normativa si traduce in un cambiamento importante nell’approccio al trattamento dei dati sensibili, stimolando un’avanzata collaborazione tra pazienti, professionisti sanitari e legislatori. La pratica medica si adatta non solo agli obblighi normativi ma rafforza la fiducia, elevando strumenti come il consenso informato oltre la mera burocrazia per migliorare trasparenza e protezione dei diritti nell’era digitale. In questo contesto, l’Internet of Bodies, l’intelligenza artificiale e le interfacce cervello-computer (BCI) catalizzano la transizione verso cure mediche altamente personalizzate, richiedendo norme che superino la mera conformità burocratica per favorire un’innovazione etica e centrata sull’individuo.
Così, l’avanzamento legislativo, guidato dalle sfide poste dalle nuove tecnologie sanitarie, emerge non solo come risposta alle necessità di conformità ma come componente fondamentale di un futuro dove ogni innovazione tecnologica è al servizio del benessere collettivo, preservando i valori fondamentali di rispetto e dignità personale.
Articolo di Baroum Mrad MLaw, CAS-DPO HSG, Data Protection Officer, EOC
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/05/ART24-sanitafuturo.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2024-05-08 10:54:492024-05-10 10:55:36Sanità del futuro: tra innovazione tecnologica e diritti individuali
La legge svizzera impone alle aziende di mettere in atto un sistema di registrazione della durata del lavoro e comporta, in modo generale, un obbligo per i lavoratori di registrare il loro tempo di lavoro. Di seguito verrà spiegato quali sono i collaboratori che non devono sottostare a questa norma o che lo sono parzialmente e come procedere per rinunciare alla registrazione dell’orario di lavoro o per mettere in atto una registrazione semplificata.
Quadro normativo
La legge sul lavoro (art 46 LL) impone al datore di lavoro di mettere a disposizione delle autorità di sorveglianza i registri o i giustificativi contenenti le informazioni necessarie all’esecuzione di questa legge e delle relative ordinanze. L’ordinanza 1 relative alla legge sul lavoro (art 73 OLL1) precisa che i registri e i giustificativi devono indicare la durata quotidiana e settimanale del lavoro fornito (lavoro compensativo e supplementare incluso), le coordinate temporali (ore di inizio e fine del lavoro), gli orari e la durata delle pause di una durata uguale o superiore alla mezz’ora.
Registrazione semplificata
Nel quadro della registrazione semplificata (art 73 b OLL1) solo la durata giornaliera del lavoro fornito deve essere presa in considerazione: non è dunque necessario precisare i periodi di lavoro e di risposo, eccezion fatta per il lavoro domenicale e notturno. È altresì possibile creare un sistema di registrazione semplificata per i collaboratori che possono determinare in modo autonomo una parte significativa del loro orario lavorativo. Secondo la SECO (Segretaria di Stato per l’Economia) i lavoratori che potrebbero sottostare a questa misura sono coloro che possiedono una flessibilità tale da organizzare e fissare almeno un quarto dei loro orari di lavoro (valore indicativo). L’esistenza di orari flessibili non è sufficiente.
Il criterio è soddisfatto quando gli orari fissati non sorpassano il 75% del tempo di lavoro totale e quando l’autonomia del lavoratore non è limitata da altre esigenze (es. riunioni obbligatorie o viaggi d’affari).
Al fine di instaurare la registrazione semplificata occorre concludere un accordo collettivo con i rappresentanti dei lavoratori dell’azienda (commissione del personale) o con un sindacato (oppure in mancanza di ciò con la maggioranza dei lavoratori dell’azienda). Questo accordo deve indicare:
quali categorie di lavoratori sottostanno alla registrazione semplificata;
prevedere disposizioni particolari per garantire il rispetto della durata del lavoro e del tempo di riposo (es. blocco delle e-mail durante la notte e la domenica);
una procedura paritaria che permetta di verificare il rispetto dell’accordo.
Nelle aziende che impiegano meno di 50 dipendenti è possibile concludere un accordo individuale per iscritto. Quest’ultimo deve menzionare le disposizioni relative alla durata del lavoro e del riposo. Inoltre, l’azienda deve organizzare un colloquio di fine anno sul carico di lavoro e registrarne il contenuto. Anche se un accordo è stato concluso, il datore di lavoro è tenuto a fornire uno strumento adeguato alla registrazione dell’orario di lavoro, perché i dipendenti restino liberi di registrarlo.
Rinuncia alla registrazione
È consentita la rinuncia alla registrazione dell’orario di lavoro se sono soddisfatte cumulativamente quattro condizioni (art. 73a OLL1). Innanzitutto, la rinuncia deve essere stipulata in un contratto collettivo di lavoro (CCL), sottoscritto dalle parti sociali. Questo CCL deve essere sottoscritto dalla maggioranza delle organizzazioni rappresentanti i lavoratori, in particolare nell’azienda o nel settore, e prevedere misure specifiche per garantire la tutela della salute e assicurare il rispetto della durata del riposo fissata dalla legge. Deve includere, inoltre, l’obbligo del datore di lavoro di designare un responsabile o un servizio interno che si occupi delle questioni relative alla durata del lavoro. In secondo luogo, i lavoratori interessati devono disporre di grande autonomia nel loro lavoro e poter fissare, nella maggior parte dei casi, il proprio orario di lavoro. In terzo luogo, questi dipendenti devono ricevere uno stipendio annuo lordo superiore a CHF 120’000.- (ev. bonus inclusi) o la quota corrispondente in caso di lavoro a tempo parziale. In quarto luogo, deve essere concluso un accordo scritto individuale con ciascun dipendente dove viene indicata la rinuncia alla registrazione del proprio orario di lavoro. Questo accordo è revocabile ogni anno. In caso di rinuncia alla registrazione dell’orario di lavoro, il datore di lavoro deve mettere a disposizione delle autorità gli accordi individuali di rinuncia nonché un registro dei lavoratori che hanno rinunciato alla registrazione della durata del loro lavoro.
Quadri superiori e/o dirigenti
I lavoratori che ricoprono una posizione dirigenziale non sono soggetti alla normativa alla legge sul lavoro sul lavoro (art. 3 lett. d LL) e quindi non sono assoggettati all’obbligo di registrazione dell’orario di lavoro. Sono considerati tali i soggetti che, in ragione della loro posizione e responsabilità e date le dimensioni dell’azienda, dispongono di un significativo potere decisionale, o sono in grado di influenzare fortemente le decisioni importanti riguardanti, in particolare, la struttura, l’attività commerciale e lo sviluppo di un’azienda o di una parte di azienda (art. 9 OLL1). La nozione di “alta funzione dirigenziale” è interpretata in modo restrittivo dalla giurisprudenza (v. sentenza del Tribunale Federale ATF 126 III 337 c. 5).
Fonte: articolo di Kathia Pauchard, apparso su “ECHO”, rivista della Camera di commercio e dell’industria di Friborgo, nr 1, marzo 2024. Traduzione ed adattamento Cc-Ti.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/05/ART24-tempo-lavoro.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2024-05-07 11:02:002024-05-10 11:03:56Registrazione dell’orario di lavoro: chi può essere dispensato?
Un’ondata di licenziamenti sta investendo la Svizzera, una situazione articolata per le persone colpite ma anche per quelle che restano in azienda. Come motivarle nonostante l’oggettiva complessità di simili situazioni?
La resilienza è la capacità degli individui di far fronte allo stress e alle avversità uscendone rafforzati, di saper resistere e di riorganizzare positivamente la propria vita e le proprie abitudini a seguito di un evento critico negativo, sia professionale quanto privato.
I produttori di cioccolato stanno tagliando migliaia di posti di lavoro, Migros vuole ridimensionarsi contraendosi di centinaia di unità, i dipendenti di Sunrise devono lasciare il loro posto di lavoro e quasi tutte le aziende del settore dei media sono oggi più che mai in fermento per non parlare dell’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS. In azienda, nella maggior parte dei casi, pochi sanno in anticipo chi sarà colpito da un taglio o una riorganizzazione. La calma prima della tempesta è una brutta cosa; l’incertezza che precede l’annuncio di licenziamenti riguarda tutti, le voci girano e la tensione nell’aria è palpabile finché non arriva il giorno X e diventa chiaro chi deve restare e chi deve andarsene. Questo giorno è spiacevole per tutti indistintamente, anche l’esperienza della perdita del lavoro di un collega non lascia indifferenti. Per coloro che restano, un evento simile evoca emozioni contrastanti: da un lato sollievo perché la sorte li ha risparmiati ma grande senso di colpa perché la collega o il collega devono andarsene e loro no.
Nella psicologia organizzativa
Questa situazione è nota come “sindrome del sopravvissuto sul posto di lavoro”. In altre parole, chi rimane si sente un sopravvissuto: sono queste persone a dover fare i conti con la nuova situazione e la conseguente riorganizzazione dei compiti. E spesso vengono trascurati nel contesto dei licenziamenti di massa, poiché l’attenzione si concentra solo su coloro che devono andarsene; di chi resta, normalmente non si occupa nessuno. Le sfide che attendono chi vive questa specie di lutto sono enormi, il carico di lavoro aumenta perché chi esce è solitamente assente da un giorno all’altro e coloro che rimangono devono portare a termine compiti in sospeso occupandosi a volte di progetti di cui spesso non hanno molte conoscenze. Queste persone sono anche frustrate perché i processi non funzionano più, gli errori e i ritardi aumentano e la montagna di lavoro non diminuisce come accadrebbe se tutti fossero ancora presenti. Tutto ciò riduce la motivazione delle persone; se l’umore era in generale già basso prima, ora tende a peggiorare ulteriormente. In casi estremi, si può persino arrivare al punto che coloro che sono ancora in azienda si dimettono “interiormente”, fanno solo lo stretto necessario e spesso ne consegue un esodo spontaneo di coloro che nei piani aziendali avrebbero dovuto restare.
Uno influenza l’altro
Chi rimane guarda con attenzione a come l’azienda gestisce gli esuberi. Il modo in cui viene gestito un licenziamento, una dismissione di gruppo, l’eventuale accompagnamento in transizione di carriera, sono tutti indicatori per chi rimane di quanto il datore di lavoro apprezzi e valorizzi i propri dipendenti. Se la procedura è condotta in modo equo e rispettoso, genererà fiducia tra i dipendenti rimanenti; ma questo da solo non basta; ci sono due questioni predominanti per coloro che sono rimasti: essi stanno affrontando il dolore dei loro colleghi che sono stati licenziati, e allo stesso tempo loro stessi sono ansiosi e incerti su ciò che accadrà in seguito. È importante riunire tutti e avviare una comunicazione aperta, trasparente e onesta. Coloro che restano hanno bisogno di certezze e indicazioni; la cosa migliore da fare sarebbe annunciare che non sono previste ulteriori misure riorganizzative per i prossimi dodici mesi, ad esempio. Naturalmente, questo purtroppo non è sempre possibile, soprattutto perché di solito tutto è ancora in divenire. Ma è essenziale comunicare onestamente, perché altrimenti si abbassa drasticamente la motivazione di chi resta.
La cosa peggiore che si possa fare è non dire apertamente la verità
Le persone hanno bisogno di un’ancora e di prospettive per il futuro, altrimenti restano bloccate nella paura. Lo si vede alla macchinetta del caffè in pausa: è qui che i dipendenti rimasti discutono, e ogni parola detta dai loro superiori viene ascoltata e interpretata con estrema attenzione. Se un’azienda non comunica o comunica male, le voci si diffondono e queste aumentano l’incertezza e nessuno sa più cosa sia vero. Ecco perché le aziende devono fare un annuncio chiaro, anche solo per dire quando verranno prese le prossime decisioni.
Alle persone che restano in azienda serve “resilienza”
Si tratta di quella forza interiore utile ad affrontare il cambiamento, serve anche illustrare loro le varie fasi emotive che attraversano e come uscirne. Una comprensione di cosa stia accadendo a livello psicologico aiuta a meglio controllare la propria reazione; creare una calma interiore consente una discussione obiettiva per esaminare le procedure, stabilire nuovi processi e pianificare il futuro. I dipendenti devono poter dire la loro: in workshop di gruppo, i manager di linea possono dare ai propri collaboratori l’opportunità di essere coinvolti e di contribuire alla definizione dei nuovi processi. In particolare, i supervisori e i team leader – e non solo il top management devono dedicare del tempo ai propri collaboratori. Ascoltare le loro preoccupazioni, discuterne con loro il più possibile e prendere sul serio i loro feedback e le loro obiezioni. Perché solo chi sente di essere preso sul serio farà un buon lavoro e contribuirà a traghettare l’azienda verso il futuro.
Articolo apparso il 31.03.2024 su www.handelszeitung.ch con un’intervista di Tina Fischer a Pascal Scheiwiller, CEO di von Rundstedt & Partner Schweiz AG. Traduzione ed adattamento a cura di Marco Costantini, Managing Director von Rundstedt & Partner Lugano.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/05/ART24-sindrome.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2024-05-06 11:21:492024-05-10 11:23:15La “sindrome del sopravvissuto”… sul posto di lavoro
L’empatia è la capacità di comprendere lo stato d’animo, i comportamenti e le emozioni altrui. È un’abilità sociale di fondamentale importanza ed è uno dei principali strumenti per una comunicazione interpersonale efficace e gratificante. Daniel Goleman (psicologo, autore e giornalista scientifico, si è affermato come una figura di rilievo nel campo dell’intelligenza emotiva) ci dice che in ogni tipo di rapporto la radice dell’interesse sta nel riuscire ad entrare in sintonia emozionale. Le emozioni vengono però raramente verbalizzate, soprattutto in ambito professionale, ed è qui che entra in gioco l’empatia. Questa competenza ci permette di comprendere meglio le emozioni toccate decodificando sia i messaggi verbali che quelli emessi dai canali di comunicazione non verbali. Riuscire ad essere empatici facilita l’accettazione delle diversità, migliora la comunicazione, rafforza l’autostima, migliora i rapporti interpersonali e ci spinge a seguire alcuni principi morali come, ad esempio, intervenire a favore di una persona in difficoltà.
I vantaggi dell’empatia per il business
Le aziende e le organizzazioni sono formate da persone, per questo motivo diventa importante sviluppare l’empatia anche in questi contesti e a tutti i livelli, permettendo la crescita personale dei collaboratori ma anche di migliorare le relazioni tra colleghi, con i superiori o con clienti e fornitori. In altre parole, in un’organizzazione empatica vengono generate relazioni più solide, oltre a una maggiore e migliore collaborazione, e si potrà osservare un aumento della produttività. Sempre secondo Goleman le organizzazioni intelligenti a livello emotivo hanno maggiore chiarezza nei valori e nella missione aziendale gettando così le basi di una cultura organizzativa positiva e veicolando un’immagine chiara e precisa che riesce a distinguersi sul mercato. Ricapitolando, coltivare l’empatia in azienda significa: creare un ambiente di lavoro positivo, facilitare la libertà di espressione di tutti i lavoratori, sviluppare migliori relazioni interne facendo sentire tutti ascoltati, compresi e rispettati, favorire la collaborazione e la gestione dei conflitti ottenendo migliori risultati di business.
L’empatia si può imparare
Molti credono che l’empatia sia qualcosa di innato. È pur vero che ci sono persone più portate perché possiedono delle capacità di intelligenza emotiva naturali, questo però non significa che non si possa apprendere. Gli studi hanno dimostrato che le competenze empatiche, come del resto tutte le competenze, possono essere apprese, a patto che ne si conoscano e comprendano le componenti e le si possano poi mettere in pratica. Un’impresa che propone ai lavoratori di formarsi sul tema dell’empatia e riesce a metterla in pratica e quindi allenarla quotidianamente, permetterà ad ogni membro di un team di diventare un elemento importante della squadra che saprà lavorare in sintonia con il resto dei membri. Un gruppo di lavoro così formato sarà in grado di risolvere più rapidamente qualsiasi problema, aumenterà la sua efficacia e porterà proposte innovative. Individualmente ogni membro affinerà queste capacità che diventeranno parte integrante della sua professionalità. Si avrà così a che fare con persone capaci di rispettare le idee altrui, capaci di ascoltare punti di vista diversi ma anche di esprimere la propria opinione. Nella realtà lavorativa questo si tradurrà in un aumento della collaborazione tra colleghi e si moltiplicheranno gli scambi produttivi. I responsabili di team, se formati sull’empatia, saranno più efficaci nella gestione delle relazioni con i collaboratori, e non solo: sapranno accogliere i feedback e integrarli nei processi aziendali nell’ottica del miglioramento continuo. Offrire ai lavoratori gli strumenti adeguati per poter sviluppare l’empatia risulta essere una scelta vincente a tutti i livelli.
I leader empatici
Come sappiamo i leader sono fondamentali nel creare una cultura aziendale positiva. Questo vale anche per l’empatia. Una delle cinque componenti chiave dell’intelligenza emotiva, sempre secondo Goleman, è proprio la leadership empatica. I leader emotivamente intelligenti sono più efficaci perché sanno riconoscere i sentimenti e le esigenze dei loro collaboratori e infondono loro un senso di fiducia. Promuovono relazioni più forti all’interno del team, favoriscono senso di appartenenza e motivazione. Tutto questo si traduce in una maggiore soddisfazione professionale e nell’aumento del benessere dei dipendenti.
Empatia al lavoro: non solo parole ma azioni
Concretamente quindi come può un’organizzazione sviluppare l’intelligenza emozionale? La risposta spontanea è: attraverso la consulenza e la formazione. Vediamo più nel dettaglio cosa si intende. Per prima cosa offrire una formazione mirata ai collaboratori, partendo dai vertici, per far crescere competenza e consapevolezza su questo tema all’interno dell’organizzazione. Occorrono poi delle azioni concrete da implementare in azienda, per questo la collaborazione di uno specialista che sappia consigliare le azioni da intraprendere e che aiuti a monitorare e tracciare l’efficacia di quanto messo in atto è auspicabile. Una volta appresa questa competenza sarebbe opportuno coinvolgere i collaboratori e trovare il modo di mettere in pratica quanto acquisito introducendo piccoli cambiamenti nella quotidianità lavorativa. Ad esempio, sviluppando una cultura del feedback, utilizzando l’ascolto empatico e accertandosi di dare seguito a quanto emerso.
Si potrebbe anche realizzare un progetto di sviluppo condiviso, con attività volte a coltivare le relazioni all’interno dell’impresa. Anche in questo caso occorre coinvolgere il personale, tenendo sempre presente la necessità di misurare l’efficacia degli interventi effettuati, di condividere i risultati e di discutere insieme sui possibili miglioramenti. I responsabili potrebbero elaborare con ogni collaboratore dei piani di sviluppo personale, valorizzandone i meriti, indagando sulle loro aspirazioni e sostenendoli nel cambiamento. Una pratica ancora poco utilizzata in Ticino e che mi sta particolarmente a cuore è la cultura dell’errore. È una preziosa risorsa di apprendimento e miglioramento continuo personale e di tutto il team che, per essere messa in pratica in maniera efficace, deve essere sostenuta dall’empatia. Un altro punto critico in molte realtà aziendali è la comunicazione. Spesso c’è un divario importante tra quanto ci si sforza di mettere in atto per favorire la comunicazione e quanto viene recepito. Rivedere dal punto di vista empatico i processi comunicativi (come, ad esempio, le riunioni) può dare risultati sorprendenti.
In conclusione
Le aziende a volte sottovalutano l’importanza e l’impatto dell’intelligenza emotiva sul luogo di lavoro. Diversi studi hanno dimostrato che in ogni organizzazione ci sono regole non esplicitate che guidano i collaboratori e che vengono trasmesse inconsciamente. Essi sanno esattamente cosa possono o non possono esprimere sul posto di lavoro e agiscono di conseguenza. Per questo è estremamente importante che le imprese misurino il livello di empatia al loro interno. Purtroppo, gli strumenti standard che vengono normalmente utilizzati per le valutazioni aziendali non sono adatti allo scopo. Per questo motivo le aziende che valutano la loro empatia e sviluppano l’intelligenza emotiva sono ancora poche. Riuscire ad instaurare una comunicazione interna più aperta aiuta a considerare tutti gli aspetti degli eventuali problemi e a trovare soluzioni migliori e innovative. Questo è però possibile unicamente se il personale si sente abbastanza libero di dire quello che pensa, senza paura di ritorsioni. Spesso tra quello che pensano i vertici aziendali e quello che percepiscono i collaboratori c’è un divario che non viene percepito o considerato. Troviamo quindi la dirigenza convinta che il personale possa dire liberamente la sua opinione mentre i collaboratori non si sentono al sicuro e per questo non esprimono il loro parere. Da qui l’importanza di costruire e coltivare relazioni empatiche. Ricorrendo all’aiuto di un consulente preparato e dando ai propri collaboratori la possibilità di formarsi, ogni azienda o organizzazione può sviluppare l’intelligenza emozionale al proprio interno.
Articolo a cura di Monica Garbani-Nerini, Formatrice, consulente e Chief Happiness Officer
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/02/ART24-Potere-empatia.png8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-02-19 08:00:002024-02-14 13:56:21Il potere dell’empatia
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