Il segreto per una successione aziendale vincente? L’innovazione

Un’altra interessante testimonianza, dopo quella di Fratelli Matasci SA, giunge da un settore produttivo industriale di nicchia, nel quale vengono prodotti strumentazioni per dentisti ed odontoiatri. In quest’intervista con Claudia Schaffner Paffi, CEO di Polydentia SA, affrontiamo i temi dell’innovazione e della trasmissione aziendale interna all’azienda, avvenuta, in questo caso, con successo.

Una forte propensione all’innovazione combinata con una marcata presenza sui mercati esteri. Quali le novità per la vostra azienda?

Da più di 40 anni, con grande orgoglio, sviluppiamo e produciamo prodotti dentali in Ticino. Siamo un’azienda famigliare in cui la nuova generazione è riuscita a mantenere forti ed autentici i valori imprenditoriali svizzeri portando grande dinamicità nello sviluppo di nuovi prodotti, ascoltando costantemente le esigenze del mercato e creando forti legami e collaborazioni con opinion leader di tutto il mondo. La passione, l’innovazione e la qualità ci guidano nella nostra quotidianità cercando soluzioni pratiche ed accattivanti a beneficio delle esigenze della moderna odontoiatria conservativa ed estetica dei nostri tempi. Fondata nel 1976, per Polydentia questi ultimi quattro decenni sono stati anni di passione, eccellenza e miglioramento continuo. Siamo stati in grado di unire con successo la qualità svizzera, il pensiero innovativo e il costante sviluppo del prodotto con le ultime tendenze della moderna odontoiatria conservativa. Tutti i nostri prodotti vengono fabbricati in Ticino, secondo i più alti standard di produzione, affidabilità e sicurezza: dall’acquisizione delle materie prime fino al servizio post-vendita. La posizione privilegiata, in un territorio politicamente ed economicamente stabile, ci permette di pianificare strategie industriali a lungo termine che vanno a beneficio dei nostri clienti di tutto il mondo, distribuiti in oltre 110 Paesi. Questi possono quindi contare sulla garanzia di una qualità costante, oltre che su una collaborazione affidabile e durevole con un’azienda svizzera rinomata a livello mondiale.

Siete un’impresa familiare, dove la successione è avvenuta con successo. Ogni anno in Svizzera molte realtà sono confrontate con il tema del passaggio generazionale. Vi sono ingredienti chiave affinché avvenga al meglio?

Per quanto riguarda il passaggio generazionale posso affermare che non ci sono ricette segrete, le PMI come la nostra sono numerose in Svizzera e la caratteristica che ci accomuna è che sono tutte nate dall’ispirazione e/o dalla passione dei nostri genitori o avi. Questi sono i talenti che non sempre sono facili da tramandare di generazione in generazione, anche perché non per forza nascono dal solo fatto di essere l’erede di un’azienda, bensì crescono e si trasmettono con la conoscenza profonda dell’azienda famigliare. Al fine di poter garantire un passaggio generazionale vincente penso sia fondamentale essere inseriti con il dovuto anticipo nell’azienda, aver la possibilità di lavorare affiancati dal genitore per un periodo sufficientemente adeguato a capire l’attività, le proprie peculiarità, e soprattutto identificare in sé stessi la responsabilità del proprio ruolo verso i clienti, dipendenti e il territorio, al fine di garantire la crescita dell’azienda nel futuro. Un fattore fondamentale una volta acquisita questa consapevolezza e conoscenza, è l’apertura al cambiamento, il coraggio di aprirsi a nuove sfide, a nuovi metodi, essere ambiziosi e definire i propri traguardi, mantenendo i valori di base tramandati di generazione in generazione, ma trovando il proprio stile e nutrendo l’azienda di energia, innovazione e passione.

 

Interessati ad approfondire la tematica della trasmissione aziendale? La Cc-Ti dedica un percorso formativo ad hoc, intitolato proprio “La trasmissione aziendale“,durante il quale si getteranno le basi per rispondere ai tanti quesiti sull’argomento. Il corso, si strutturerà attorno a 4 mezze giornate, e  avrà un taglio pratico, proprio nello stile Cc-Ti e permetterà di capire meglio come intraprendere in modo funzionale il passaggio di testimone aziendale. Vi sono ancora posti disponibili, iscrivetevi direttamente!

 

Il conflitto commerciale e le sue ripercussioni – una panoramica

La controversia commerciale internazionale e le conseguenti misure non lasciano indenne un’economia così fortemente orientata alle esportazioni come quella Svizzera. Nella nostra panoramica vi illustriamo quali nuove regole vigono concretamente per le aziende svizzere.

S-GE si è espressa nel dettaglio delle misure direttamente rilevanti per gli esportatori svizzeri in diversi articoli nel corso del 2018. Da un lato va osservato che le imprese svizzere negli USA sono interessate da dazi all’importazione su prodotti in acciaio e alluminio. Dall’altro, gli USA applicano dazi su alcuni prodotti cinesi scelti. Questa circostanza è rilevante soprattutto per imprese svizzere che acquistano i prodotti interessati dai dazi in Cina e li esportano negli USA. Nella nostra panoramica trovate tutti gli articoli rilevanti, che vengono aggiornati costantemente:

Sanzioni doganali statunitensi su acciaio e alluminio – effetti per le aziende svizzere

Da marzo 2018 negli Stati Uniti vigono nuovi dazi all’importazione su determinati prodotti in acciaio e alluminio, che possono interessare anche aziende, commercianti ed esportatori svizzeri. A questo proposito è importante sapere che tali dazi non vengono riscossi in base al Paese di esportazione, bensì al Paese di origine e che pertanto non possono essere aggirati mediante esportazione attraverso altri Paesi, per esempio gli Stati dell’UE. ….continua a leggere

Articolo tratto da Switzerland Global Enterprise (S-GE) ©

Cile e Argentina: mercati interessanti per la tecnologia medicale

Il Cile offre a imprese svizzere del settore medtech un ingresso relativamente semplice e un’elevata consapevolezza della qualità. Agli esportatori medtech conviene tenere sotto controllo l’Argentina a causa delle trattative sull’accordo di libero scambio tra la Svizzera e il Mercosur.

Da alcuni mesi la Svizzera è in fase di trattativa con la Confederazione di Stati Mercosur per quanto riguarda un accordo di libero scambio. Il mercato principale è certamente quello brasiliano, ma anche altri Stati membri possono offrire interessanti opportunità di vendita per gli esportatori svizzeri di tecnologie medicali.

Monitorare l’Argentina nel campo delle tecnologie medicali

L’Argentina ha investito circa il 7% del suo PIL per la salute pubblica. Con il cambio del governo nel 2015 è stata marcata una svolta nella politica economica e sono state semplificate numerose restrizioni all’importazione. Tuttavia, il Paese si trova nuovamente in difficoltà economiche, il Peso argentino ha recentemente subito una forte svalutazione. Ciononostante potrebbe essere opportuno monitorare il mercato delle tecnologie medicali in quanto fortemente dipendente dalle importazioni estere. Nel settore sanitario, il 70% delle merci proviene dall’estero. ….continua a leggere

Articolo tratto da Switzerland Global Enterprise (S-GE) ©

La riforma del sistema dell’IVA nell’UE – Misure a breve – Aggiornamento

I contenuti di questo testo sono stati aggiornati nel mese di ottobre 2019. Il presente articolo, a firma di Bernardo Lamoni, si appoggia invece ad una precedente pubblicazione del 27 febbraio 2018.

La Commissione Europea aveva varato in data 4 ottobre 2017 la proposta di riforma dell’IVA riguardante i fondamenti giuridici del sistema definitivo per gli scambi intracomunitari B2B, seguita in data 25 maggio 2018 da un’ulteriore proposta di disposizioni tecniche di dettaglio (1). Il regime definitivo, secondo quanto proposto dalla Commissione Europea, dovrebbe entrare in vigore il 1° luglio 2022.

Sempre in data 4 ottobre 2017 la Commissione Europea aveva presentato una serie di misure urgenti per migliorare il funzionamento pratico di alcune problematiche esistenti ormai da anni e che necessitano finalmente di una base giuridica a livello di direttive e regolamenti, prima dell’attuazione del regime definitivo:

  1. Obbligo dell’acquirente di disporre di un numero di identificazione (UID.IVA) dove ha luogo l’acquisto intracomunitario come requisito sostanziale per il fornitore per l’attuazione della cessione intracomunitaria esente da IVA.
  2. Semplificazioni ed armonizzazione del regime di “Call-off stock” per evitare che il fornitore debba identificarsi ai fini IVA nell’altro Stato UE dove è ubicato il magazzino merci dell’acquirente.
  3. Semplificazione e armonizzazione delle norme concernenti le operazioni a catena tra tre operatori, quando il trasporto è organizzato dall’operatore intermedio per stabilire in modo univoco la cessione intracomunitaria esente da IVA.
  4. Creazione di disposizioni comuni inerenti alle prove documentali del trasferimento fisico delle merci nell’ambito delle cessioni intracomunitarie.

In particolare la Commissione Europea proponeva che le misure 2, 3, e 4 si applicassero unicamente laddove gli operatori coinvolti avessero goduto dello status di “soggetto passivo certificato”.

In data 2 ottobre 2018 il Consiglio dell’Unione Europea, in sede di riunione ECOFIN, ha raggiunto un accordo politico sulle misure urgenti in esame (the VAT “quick-fixes”). Dal documento approvato, sono emerse alcune modifiche interessanti anche per aziende svizzere registrate ai fini IVA in uno o più stati dell’UE (2).

Prima di trattare i punti in questione si segnala, per quanto riguarda l’iter decisionale, che il Consiglio dell’UE prevede di adottare il documento dopo che il Parlamento europeo avrà pubblicato la sua opinione su questo fascicolo. In seguito il Consiglio dell’UE potrà deliberare con l’unanimità dei voti (da qui l’accordo politico preventivamente raggiunto). Queste fasi finali dovrebbero aver luogo prossimamente.

Nella prima fase di proposte la Commissione Europea aveva fissato come termine per l’entrata in vigore delle misure in esame il 1° gennaio 2019 suscitando parecchio nervosismo siccome nel package di misure urgenti formulate in modo chiaro e relativamente semplici, la Commissione Europea aveva inserito la nuova figura del soggetto passivo certificato, la cui realizzazione pratica capillare ed armonizzata a livello di ogni singolo Stato UE dal profilo normativo ed informatico, avrebbe comportato tempi di realizzazioni di alcuni anni.

Nel recente documento approvato dal Consiglio dell’UE emergono due novità. La prima riguarda il fatto che le misure urgenti riguarderanno indistintamente tutti i soggetti passivi identificati ai fini IVA e non più solamente i soggetti passivi certificati come originariamente proposto dalla Commissione Europea. Mentre la seconda riguarda il termine per l’entrata in vigore delle misure urgenti, posticipato al 1° gennaio 2020.

In questo modo le disposizioni riguardanti i soggetti passivi certificati dovrebbero da ora in poi essere integrate nel package finale delle normative sul regime definitivo previsto appena il 1°luglio 2022.

Riprendiamo dapprima alcune caratteristiche di questa nuova figura “privilegiata” chiamata soggetto passivo certificato.

L’attuale normativa comunitaria non effettua alcuna distinzione tra operatori affidabili e meno affidabili per quanto riguarda il corretto comportamento del soggetto passivo nel contesto delle disposizioni IVA. La concessione di questo nuovo status dovrebbe consentire di evidenziare gli operatori affidabili i quali beneficeranno di una serie di semplificazioni ora previste come già detto appena nel sistema IVA definitivo. Per ottenere lo status di soggetto passivo certificato, l’operatore dovrà provare cumulativamente l’assenza di violazioni gravi della normativa doganale e fiscale, la propria solvibilità finanziaria e l’alto livello di controllo interno delle proprie operazioni.

È tutt’ora prematuro pronunciarsi sulla possibilità per un’azienda svizzera senza stabile organizzazione in territorio comunitario di ottenere tale status quando verrà introdotto, in quanto le attuali proposte legislative stabiliscono che il soggetto passivo interessato dovrà inoltrare la richiesta all’amministrazione fiscale dello Stato UE dove ha stabilito la sede della sua attività economica o una stabile organizzazione (3).

Come visto, questa problematica non dovrebbe impattare per alcuni anni le nuove misure urgenti che varranno indistintamente per tutti gli operatori comunitari e non, imponibili ai fini IVA nell’UE.

1 – Misura: Numero identificazione IVA ed elenchi riepilogativi

Gli Stati UE hanno chiesto che nella direttiva IVA sia incluso l’obbligo per l’acquirente di disporre di un numero di identificazione IVA nello Stato UE di destinazione della merce, dove ha luogo l’acquisto intracomunitario. Ciò rappresenta un requisito sostanziale per consentire al fornitore di applicare l’esenzione ad IVA alla sua cessione nello Stato UE di partenza della spedizione.

In tal modo si eliminerebbe l’orientamento ormai consolidato adottato dalla Corte di Giustizia Europea che considera il numero di identificazione dell’acquirente un mero requisito formale per l’esenzione ad IVA della cessione intracomunitaria.  In quest’ambito si aggiunge un ulteriore requisito sostanziale per l’esenzione della cessione intracomunitaria che consiste nell’obbligo della corretta presentazione degli elenchi riepilogativi da parte del fornitore.

L’attuale regime IVA prevede già l’obbligo per il fornitore di trasmettere i dati alle autorità fiscali del paese di partenza della merce i quali sono poi trasmessi alle autorità di destinazione della spedizione, per permettere verifiche incrociate nei confronti degli acquirenti in relazione al loro obbligo di dichiarazione del relativo acquisto intracomunitario.

Attualmente tuttavia, il mancato inoltro degli elenchi riepilogativi comporta solamente l’applicazione di sanzioni, senza causare il diniego dell’esenzione all’IVA nel caso di cessioni intracomunitarie. Le modifiche alla direttiva IVA prevedono come nuova disposizione che anche la corretta presentazione degli elenchi riepilogativi diventino un requisito sostanziale per l’esenzione all’IVA alle cessioni intracomunitarie.

2 – Misura: Regime di “Call-off stock”, semplificazioni e armonizzazioni

Nel regime di “Call-off stock” il fornitore di uno Stato UE trasferisce merce ad un acquirente noto, operante in un altro Stato UE, senza che vi sia passaggio di proprietà. In un primo momento, il fornitore deterrà quindi merci proprie presso gli stabilimenti dell’acquirente. L’acquirente a sua volta converrà contrattualmente il diritto di prelevare i beni secondo i propri fabbisogni d’impresa.

Le attuali normative comunitarie prevedono i seguenti eventi rilevanti ai fini dell’IVA.

  • La spedizione della merce all’acquirente genera nello Stato UE del fornitore un trasferimento intracomunitario di beni “a sé stessi” in uscita, da dichiarare con gli stessi criteri delle usuali cessioni intracomunitarie.
  • Contemporaneamente l’arrivo della merce negli stabilimenti del futuro acquirente genera sempre per il fornitore un trasferimento di beni “a sé stessi” in entrata, da dichiarare con gli stessi criteri degli usuali acquisti intracomunitari nello Stato UE del futuro acquirente.
  • All’atto del successivo prelevamento dei beni da parte dell’acquirente si genererà la cessione rilevante ai fini dell’IVA che qualificherà come cessione nazionale imponibile.

Il cedente deve quindi identificarsi ad IVA nello Stato UE dell’acquirente sia per dichiarare il trasferimento dei suoi beni presso gli stabilimenti di quest’ultimo, sia per dichiarare la successiva cessione nazionale. Va riconosciuto che nel corso degli anni alcuni Stati UE hanno sviluppato misure di semplificazione personalizzate attuabili tuttavia solamente se “sincronizzabili” con le normative dello Stato UE in cui opera la controparte commerciale.

La soluzione ora proposta nel regime di “Call-off stock”, consiste in un’unica operazione rilevante ai fini IVA, che qualifica come cessione intracomunitaria, differita al momento del prelevamento della merce da parte dell’acquirente. Il semplice trasferimento intracomunitario del bene non rileverà più ai fini dell’IVA e il cedente non dovrà identificarsi ad IVA nello Stato UE dell’acquirente.

3 – Misura: Semplificazione e armonizzazione delle norme concernenti le operazioni a catena

Le operazioni a catena rientranti nel campo di applicazione della proposta in oggetto sono caratterizzate da cessioni successive della stessa merce le quali sono trasferite da uno Stato UE ad un altro Stato UE mediante un unico trasporto. I nuovi criteri che determinano la cessione intracomunitaria, quando il trasporto è effettuato dal fornitore intermedio in un’operazione a catena tra tre operatori (A-B-C) si possono così riassumere:

  • se B è identificato ad IVA in uno Stato UE diverso da quello di partenza dei beni la cessione tra A e B qualificherà come intracomunitaria e la successiva cessione tra B e C sarà imponibile nello Stato UE di destinazione dei beni,
  • mentre se B comunica ad A la propria partita IVA dello Stato UE di partenza, la cessione tra B e C qualificherà come intracomunitaria e l’anteposta cessione tra A e B sarà imponibile nello Stato UE di inizio della spedizione

4. Misura: La prova della cessione comunitaria

Il fornitore di una cessione intracomunitaria per poter beneficiare dell’esenzione all’IVA nello Stato UE di partenza del bene ha da sempre l’onere della prova del trasferimento fisico della merce. A tutt’oggi le normative UE non prevedono disposizioni comuni circa i documenti utilizzabili, lasciando ai singoli Stati l’emanazione di normative locali. Le nuove disposizioni prevedono che i soggetti passivi potranno dimostrare l’avvenuta cessione intracomunitaria se in possesso di due documenti non contradditori contemplati in un apposito elenco (5). In esso sono previsti ad esempio i documenti di trasporto, la lettera CMR (firmata!), i documenti bancari riguardanti il pagamento del trasporto, la corrispondenza commerciale, la dichiarazione IVA dell’acquirente.

Per i trasporti organizzati dall’acquirente (resa EXW o FCA Incoterms 2010) è pure menzionata la conferma di ricezione delle merci rilasciata da quest’ultimo (6). Quest’unico documento dovrebbe essere sufficiente e non richiederebbe un secondo documento non contradditorio da affiancare come per gli altri casi.

Testo a cura di

Bernardo Lamoni,
MA Università Zurigo Business and Economics
Fiduciario commercialista
Via Bosia 13, CH-6900 Paradiso
Email, Tel. +4191 967 49 24

Riferimenti: 

  1. COM (2017) 569 final del 4 ottobre 2017 e COM (2017) 329 final del 25 maggio 2018
  2. Documento 12564/18 del 28 settembre 2018
  3. Occorre inoltre chiarire come va intesa la formulazione di “indirizzo permanente/residenza abituale” in assenza di una sede di attività economica/stabile organizzazione in uno Stato UE, cfr. (COM 2018) 329 final, 25 maggio 2018.
  4. nuovo articolo 36 bis della Direttiva 2006/122/CE
  5. Bozza Art 45bis, cpv 3, Reg. UE n. 282/2011
  6. In tale conferma dovrebbe rientrare la “Certificate of Entry” in vigore in Germania che tuttavia è attualmente prevista anche per i trasporti organizzati dal venditore (es resa DAP Incoterms 2010).

Sinergie settoriali per promuovere il territorio

In quest’intervista con Paola Maran-Matasci dell’azienda Matasci Fratelli SA, Tenero, cerchiamo di capire meglio l’evoluzione del settore vitivinicolo in Ticino, sia dal punto di vista storico che quale esperienza aziendale. La Matasci Fratelli SA è un’azienda con anni di storia alle spalle, che ben testimonia il valore del fare impresa in modo sostenibile, legato al territorio.

Nel contesto economico ticinese, anche il settore vitivinicolo ha un peso determinante. Quale è la sua importanza nel contesto storico e come sta oggi?

Premetto che l’azienda a conduzione familiare che oggi dirigo con mio marito e i miei cugini ha vissuto la storia del Merlot quasi dalle sue origini. Nel 1906 vi furono i primi impianti di barbatelle ma la coltivazione di questo vitigno si è sviluppata solo negli anni ‘50, mentre in precedenza si coltivavano altri uvaggi e il gusto del consumatore era orientato sul Barbera del Piemonte. Negli anni sessanta, con il periodo del boom turistico in Ticino, il Merlot ha iniziato ad essere apprezzato vieppiù dalla clientela d’Oltralpe, che ha di fatto aperto le porte alla sua commercializzazione in tutta la Svizzera tedesca. A partire dagli anni ottanta un gruppo di enologi ha cercato di dare una nuova impostazione alla vinificazione del Merlot con l’introduzione delle barriques secondo il metodo bordolese. Ciò ha dato un grande impulso alla ricerca sia in vigna che in cantina, e la qualità del prodotto ha raggiunto altissimi livelli, favorita in parte anche dal cambiamento climatico. Oggi il Merlot del Ticino gode di un’ottima reputazione grazie anche ai numerosi riconoscimenti ottenuti ai più importanti concorsi vinicoli, mentre la sua commercializzazione sta subendo una leggera ma preoccupante inversione di tendenza. Da una parte la concorrenza dei vini esteri che, a parità di qualità hanno prezzi più accessibili. Dall’altra il calo del consumo di vino in generale (si beve meglio ma meno), vuoi per l’ondata salutista, vuoi per l’introduzione di regole più severe in ambito di circolazione stradale, vuoi per una questione di mode. La soluzione per una ripresa potrebbe passare dalla consapevolezza di tutti gli attori del mondo enogastronomico, della necessità di armonizzare l’offerta privilegiando e coinvolgendo i produttori legati al territorio. Questa potrebbe anche essere la carta vincente per incrementare un turismo di qualità che va alla ricerca della tipicità del luogo e delle sue eccellenze. Non dimentichiamo che il turista non solo consuma il prodotto sul posto ma lo acquista e ne diventa portavoce a casa sua.

In che modo dare un valore aggiunto ad un prodotto tipico ticinese nel contesto internazionale? Quale la vostra esperienza?

Per quanto concerne la nostra azienda, la quantità di vino che esportiamo è molto esigua, in linea credo con gli altri produttori, e ciò per due ragioni: da una parte siamo penalizzati dal rapporto franco-euro, dall’altra la realtà vinicola ticinese (ma anche Svizzera) è pressoché sconosciuta fuori dai nostri confini e il confronto con altri paesi tradizionalmente vocati richiederebbe un investimento a livello di immagine probabilmente sproporzionato in rapporto all’offerta. La superficie vitata in Ticino si trova spesso in zone edificabili, ciò che non ne favorisce l’estensione, ma piuttosto il contrario, quindi la produzione media di vino non aumenterà a breve termine. Detto questo, se ci fosse la necessità di esportare, in previsione di annate più abbondanti e di un ulteriore calo del consumo interno di vino, bisognerebbe farlo all’unisono con le altre regioni vinicole svizzere, rivolgendosi ad un consumatore di nicchia, curioso e appassionato, disposto a spendere per un prodotto che racchiude in sé l’immagine di un Paese considerato un concentrato di bellezza (grazie anche ai suoi vigneti).

Export: attenzione ai passi falsi

Nel corso del nostro lavoro abbiamo constatato che le PMI che si avvicinano a nuovi mercati tendono a effettuare alcuni passi falsi. Il primo è sottovalutare la pianificazione dell’entrata sul mercato, la concorrenza e i costi legati all’operazione.

Per affacciarsi a un nuovo Paese è necessaria una pianificazione accurata e la conoscenza degli ultimi sviluppi e delle tendenze del settore. È opportuno essere al corrente dei prezzi usuali ai quali i propri prodotti sono offerti sul mercato target e dei costi legati alla logistica e alla vendita. È altresì basilare capire come si posiziona la concorrenza: spesso le aziende svizzere hanno sì prodotti di livello superiore, ma la vera e propria sfida consiste spesso nell’essere in grado di offrire anche il necessario servizio dopo vendita.

Un secondo passo falso è quello di legarsi al partner sbagliato. Chi entra su un nuovo mercato lo fa generalmente operando con un’azienda locale, che lo aiuti a fare le prime esperienze e a stabilire i contatti con i clienti del luogo. La scelta del partner è quindi un aspetto fondamentale: serietà, affidabilità e interessi comuni sono caratteristiche imprescindibili e presuppongono una selezione accurata e l’esecuzione di una due diligence.

Sottovalutare l’importanza della cura dei rapporti personali è un altro passo falso ricorrente. Identificare il partner “giusto” non è sufficiente: le relazioni vanno curate e coltivate, i propri partner, clienti e/o rappresentanti di autorità vanno incontrati con regolarità e di persona.

Un ultimo elemento da non sottovalutare è quello di non seguire il proprio intuito: chi non riesce a relazionarsi con partner locali, a capirne la mentalità o non si trova bene nel Paese target dovrebbe rivalutare l’importanza dello stesso nel processo di internazionalizzazione della sua azienda.

Le missioni economiche della Cc-Ti oppure le ricerche di partner o di mercato di S-GE costituiscono un supporto valido per minimizzare questi errori.

Articolo a cura di
Monica Zurfluh, Responsabile S-GE per la Svizzera italiana e
Valentina Rossi, Responsabile Servizio Export Cc-Ti

Testo apparso sul CdT del 2 ottobre 2018

Il servizio Export della Cc-Ti e S-GE sono a vostra disposizione per consulenze in ambito di esportazioni.
Contatti email: Servizio Export Cc-Ti e S-GE

Legge sul cioccolato: dal 1° gennaio 2019 aboliti i contributi all’esportazione

Le condizioni quadro per le industrie alimentari peggiorano. Nell’intervista con Alessandra Alberti, Direttrice Chocolat Stella SA e membro dell’Ufficio Presidenziale Cc-Ti, facciamo il punto su questa novità legislativa che dal 1° gennaio 2019 prevede l’abolizione dei contributi all’esportazione.

Dal 1° gennaio 2019 entreranno in vigore le modifiche alla legge sull’importazione e l’esportazione dei prodotti agricoli trasformati (la cosiddetta “legge sul cioccolato”). Cosa significa questa misura per le aziende del settore alimentare e più in particolare per quelle attive nella produzione di cioccolato come la sua?

In base alla decisione della Conferenza ministeriale dell’OMC di Nairobi del dicembre 2015, le sovvenzioni all’esportazione per i prodotti agricoli trasformati devono essere abolite entro la fine del 2020. Il provvedimento riguarda anche i contributi svizzeri all’esportazione secondo la legge sull’importazione e l’esportazione dei prodotti agricoli trasformati (per l’appunto la cosiddetta “Legge sul cioccolato”). La base giuridica di questi contributi sarà abrogata il 1° gennaio 2019 in seguito alla revisione totale della legge sul cioccolato approvata dal Parlamento nel 2017, che ne cambia il nome in «legge federale sull’importazione di prodotti agricoli trasformati». Nella sua riunione del 21.9.2018, il Consiglio federale ha approvato l’entrata in vigore delle modifiche legislative e le misure di accompagnamento, che sono:

  • nuovi supplementi per cereali e per il latte commerciale (modifica della legge sull’agricoltura, i regolamenti sui contributi culturali individuali e il regolamento sul sostegno al prezzo del latte)
  • una semplificazione della procedura di autorizzazione per il regime di perfezionamento attivo per certi latticini e cereali di base (modifica dell’ordinanza doganale).

La nuova situazione non sarà più gestita dalle dogane, ma farà capo ad una soluzione privata, la quale non prevedrà più l’intero contributo ai prodotti esportati che contengono latticini o cereali.

Le condizioni quadro per le ditte che producono alimenti e che esportano una parte di essi continuano dunque a peggiorare. La qualità svizzera è fondamentale per essere apprezzati in tutto il mondo, ma purtroppo ciò non a qualsiasi prezzo. I prodotti devono comunque rimanere concorrenziali, altrimenti la possibilità di esportare diminuisce rapidamente.

La legge prevede delle misure di accompagnamento per colmare l’eliminazione dei contribuiti all’esportazione dati fino a tutt’oggi. Ritiene che le nuove condizioni quadro favoriranno la piazza economica svizzera per l’industria alimentare?  

La possibile combinazione dell’abolizione delle sovvenzioni all’esportazione e dell’aumento del prezzo dello zucchero in Svizzera, indebolirebbe in modo importante il quadro della nostra industria alimentare. A partire dal 1 ° gennaio 2019, nessun rimborso dei dazi doganali sarà concesso per i prodotti a base di latticini e cereali. Ciò si tradurrà in un significativo deterioramento delle condizioni quadro per i produttori che esportano i prodotti alimentari. Le misure di accompagnamento adottate dal Consiglio federale sono necessarie, ma insufficienti. Non sono in grado di compensare lo svantaggio sul prezzo delle materie prime causato dalla protezione dell’agricoltura. In futuro il prezzo dello zucchero sarà aumentato con nuovi tassi doganali. Di conseguenza, le condizioni quadro delle ditte svizzere, le quali sono attive a livello internazionale e dunque hanno concorrenti a livello globale, sono sotto pressione crescente. L’abolizione del rimborso dei dazi doganali ed estensione della protezione doganale dell’agricoltura crea nuove e sempre più grandi sfide per gli esportatori svizzeri nel settore alimentare come quello del cioccolato, dei biscotti e della confetteria. Anche la Chocolat Stella di Giubiasco, azienda che dirigo, come le altre 18 ditte produttrici di cioccolato in Svizzera, esporta il 70% delle proprie specialità (cioccolato con ingredienti regionali, Bio  Fair Trade, senza aggiunta di zuccheri, vegani e tante altre specialità) in 50 Paesi nel mondo e quindi è molto  preoccupata di questa evoluzione pericolosa per tutti.

Quale membro della Federazione delle Industrie Alimentari svizzere, ritiene che con questa riforma oltre alle ordinanze sempre più restrittive sull’indicazione di provenienza (Swissness), si mettano in pericolo dei posti di lavoro nell’industria alimentare?    

Ingredienti come latte in polvere o farina sono protetti dai dazi doganali in Svizzera. Fino alla fine di quest’anno i rimborsi doganali stabiliti dalla “Legge sul cioccolato” garantiscono che le imprese svizzere possano ancora combattere a parità di condizioni per esportare. Tuttavia, questo risarcimento sarà rimosso dal 2019 su richiesta dell’OMC. Il denaro precedentemente versato agli esportatori per compensare lo svantaggio dei dazi doganali andrà in futuro direttamente all’agricoltura. L’industria lattiero-casearia ha già deciso di utilizzare fino al 30% circa di questi fondi per scopi diversi dalla compensazione agli esportatori per il loro ‘handicap’ sul prezzo delle materie prime. A causa di ciò e di altri restrizioni, solo una quota relativamente piccola di questi soldi messi a disposizione al settore agricolo per compensare lo svantaggio sui prezzi delle materie prime andranno ai produttori di alimenti che esportano.Parallelamente all’abolizione della restituzione dei dazi doganali nei settori lattiero-caseario e cerealicolo, il 18 settembre 2018 l’Ufficio federale dell’agricoltura ha messo in consultazione un sistema di protezione doganale per preservare la crescita della barbabietola da zucchero e la produzione di zucchero in Svizzera. Ne risulterebbero costi aggiuntivi di diversi milioni per l’industria alimentare svizzera.L’attuazione di questa proposta è un rischio che porterebbe una spirale incessante di costi in aumento.In questo contesto, i produttori svizzeri di cioccolato, biscotti e dolciumi sollecitano i politici a garantire le condizioni quadro necessarie affinché i loro prodotti svizzeri di fama mondiale possano continuare ad essere fabbricati in Svizzera. Tutti i produttori desiderano utilizzare le materie prime svizzere per la produzione delle tante specialità esportate nel mondo, quando queste sono reperibili della giusta qualità per la fabbricazione dei prodotti (vedi anche nuova legge Swissness). È però importante che, oltre alla qualità, anche il prezzo sia concorrenziale, così che sia l’industria alimentare che l’agricoltura possano beneficiare dei vantaggi di una sempre maggiore esportazione. In sostanza, più si riesce ad esportare e più materie prime svizzere vengono consumate!

 

Previdenza professionale: capitale o rendita?

Capitale o rendita? Una decisione con conseguenze significative per il reddito nella terza età. I futuri beneficiari di rendita devono attendersi minori prestazioni di vecchiaia dalla previdenza professionale. È anche per tale ragione che la questione della forma di prelievo dell’avere di vecchiaia, ovvero il fatto che si scelga una liquidazione in capitale o una rendita, acquista una rilevanza sempre maggiore.

Lo studio di Credit Suisse illustra le singole opzioni a disposizione degli assicurati in considerazione dell’aliquota di conversione, del contesto dei rendimenti, dell’aspettativa di vita e dell’onere fiscale. La decisione irrevocabile tra capitale e rendita può avere effetti rilevanti sul reddito disponibile durante la vecchiaia, a dipendenza del luogo di residenza e della situazione fiscale.

Un’ampia riforma del sistema previdenziale tarda ad arrivare. Per questo motivo, le casse pensione hanno cominciato a sfruttare il margine di manovra esistente nel regime sovraobbligatorio per far fronte, per quanto possibile, alla nuova realtà caratterizzata da tassi bassi e da un progressivo invecchiamento demografico. Di conseguenza, le aliquote di conversione e i tassi d’interesse tecnici sono stati ridotti. Inoltre le casse pensione trasferiscono in misura sempre maggiore i rischi d’investimento e di longevità sugli assicurati, obbligandoli a percepire l’avere di vecchiaia almeno in parte sotto forma di capitale. Alcune casse pensione prevedono che l’avere di vecchiaia risparmiato per alcune componenti salariali di importo più elevato possa essere versato alla data del pensionamento esclusivamente come capitale.

I piani di previdenza «1e» offrono alle casse pensione nuove opportunità per ridurre i rischi d’investimento e di longevità. Per le imprese ciò si traduce nella possibilità di alleggerire il bilancio degli obblighi pensionistici a lungo termine. Con questi piani, disponibili per le quote di salario superiori a CHF 126 900, gli assicurati hanno la possibilità di scegliere la propria strategia d’investimento e non devono mettere in conto alcuna redistribuzione – contraria al sistema – tra assicurati attivi e beneficiari di rendita. In questo modo gli assicurati possono beneficiare di opportunità di rendimento potenzialmente più elevate. A differenza di quanto accade con altre soluzioni di previdenza, nei piani 1e l’assicurato sopporta interamente in prima persona il rischio d’investimento e al pensionamento percepisce di norma una liquidazione in capitale. Tuttavia, solo un assicurato su dieci raggiunge l’ammontare del reddito richiesto e può così investire in un piano 1e offerto dal proprio datore di lavoro.

La pubblicazione «Previdenza professionale: capitale o rendita?» è disponibile su Internet in italiano, tedesco, francese e inglese.

Testo a cura del Credit Suisse, Lugano

Uno stagista in azienda

Non sempre è possibile e immediato, dopo gli studi, l’accesso al mondo professionale. Molti datori di lavoro danno la precedenza a candidati che hanno già maturato un’esperienza. Gli stagisti sono persone che lavorano e collaborano all’interno di un’azienda, durante la loro formazione, per un periodo limitato, legati da uno speciale contratto da stagisti, al fine di familiarizzare con la pratica e conoscere meglio l’ambito pratico professionale scelto.

Essendo gli stagisti dei futuri possibili collaboratori, è nell’interesse di entrambi il successo di questo cammino condiviso.

 

In generale

Il datore di lavoro deve fissare, in accordo con lo stagista, obiettivi ben chiari all’interno del dominio tecnico proposto. Al primo incontro verranno quindi ricercate caratteristiche affini al tipo di azienda e definite chiaramente esigenze e aspettative di entrambi. Questi particolari “progetti di formazione” interni all’azienda devono venir valutati periodicamente con scadenza regolare e seguiti da un responsabile.

Nella pratica

Il contratto di stage

Questo contratto è un caso specifico di contratto a durata determinata.

La durata dello stage

La durata è normalmente predeterminata dalle parti per iscritto e può variare molto tra qualche settimana e un anno.

Gli stagisti hanno diritto a un salario

L’importo dipende evidentemente dalla durata dello stage e dalle conoscenze tecniche o pratiche della persona (dunque si differenzia tra un semestre o più semestri di formazione già conclusa). Vengono, inoltre, tenuti in considerazione gli obiettivi posti e la valenza reale per l’azienda del lavoro che verrà svolto durante lo stage. I salari sono estremamente variabili. Le indicazioni consigliate dalle istituzioni di formazione o dalle varie associazioni non sono obbligatorie per l’azienda. Non è raccomandabile offrire degli stage non pagati, fatta eccezione nei casi “simili a una prova” di corta durata (meno di un mese).

In linea di massima:

  • per gli studenti di scuola secondaria (ca. 15/16 anni) i salari si collocano sovente tra i CHF 500 e CHF 750 al mese, in funzione della durata dello stage e della tipologia del lavoro da svolgere all’interno dell’azienda. Questi salari possono essere comparati con quelli degli apprendisti.
  • per gli stagisti più anziani o di provenienza da una scuola tecnica superiore o per stage di lunga durata, i salari sono normalmente più alti, fino a CHF 1’500/2’000.
  • il salario massimo indicativo da versare è circa CHF 3’500 al mese e deve differenziarsi dai salari di base di un dipendente con la formazione terminata.

Le vacanze

Gli stagisti hanno diritto, come gli impiegati, a dei congedi pagati secondo le norme del CO.

Certificato di lavoro

Il certificato di lavoro si attiene alle norme del CO e non può o deve essere ignorato. Gli stagisti potranno presentare i certificati di stage durante la loro futura ricerca di un impiego e questi documenti potrebbero fare la differenza, per un datore di lavoro, al momento della scelta del proprio collaboratore.

Giovani sino a 16 anni

I giovani tra i 13 e i 15 anni possono essere assunti solo per lavori leggeri quali lavoretti (estivi e non) e stage d’orientamento. Durante le vacanze possono lavorare al massimo 8h al giorno (40h a settimana), e unicamente per metà delle vacante scolastiche.
Per alcuni ambiti professionali esistono delle restrizioni: ad esempio, i giovani fino ai 16 anni non possono lavorare nei cinema, nei circhi, nelle aziende dello spettacolo, né possono servire clienti in aziende del divertimento quali i cabaret, i bar, i club o le discoteche.
Le disposizioni speciali di protezione dei giovani lavorati contenute nella legge sul lavoro e nell’ordinanza dei giovani lavoratori non si applica più alle persone oltre i 18 anni.

Uno stagista straniero

Per gli stranieri gli stage in Svizzera sono molto attrattivi (anche perché i salari versati durante gli stage sono di norma superiori a quelli di altri paesi).
Per collaborare con stagisti stranieri, è necessario richiedere, in tutti i casi, un’autorizzazione.

Importante è inserire una frase nel contratto che sottolinei questa condizione di collaborazione: “questo contratto è in vigore sotto riserva dell’attribuzione di un’autorizzazione di lavoro e di soggiorno..”

Al momento del deposito della richiesta di autorizzazione, viene spesso richiesta una prova che lo stage scelto sia parte integrante dei propri studi (sia per obbligo che per scelta). Lo studente che possiede un permesso di dimora di tipo B per studio ha la possibilità di effettuare uno stage in Canton Ticino richiedendo una modifica del proprio permesso all’Ufficio della Migrazione di Bellinzona.

Ricordate:

  • il permesso non verrà trasformato in permesso di lavoro ma verrà modificato come permesso di studio con possibilità di attività lavorativa.
  • è illegale iniziare lo stage prima di aver ricevuto la modifica del permesso e conseguente approvazione da parte del Servizio regionale degli stranieri di Bellinzona (Ufficio Stranieri). È necessario iniziare la modifica del permesso almeno 15 giorni prima della data di inizio stage indicata sul contratto.
  • se durante il periodo di pratica professionale il guadagno annuo supera i CHF 2’300, il datore di lavoro è tenuto a richiedere il numero AVS per lo/a studente/essa che desidera assumere in stage (questo può venir fatto anche prima dell’approvazione alla modifica del permesso di dimora).

I costi

L’alloggio e tutti i costi accessori sono a carico esclusivo dello stagista. L’azienda è libera, ovviamente, di proporre possibilità di alloggio appropriate o partecipare alle spese.

Da sapere

Nei settori dotati di un CCL di obbligatorietà generale i giovani professionisti e i lavoratori non qualificati hanno diritto a salari minimi che non possono essere aggirati tramite contratti di stage. Negli altri settori che non prevedono salari minimi, il sistema delle misure collaterali alla libera circolazione affida alle commissioni tripartite cantonali il compito di rilevare gli abusi nell’ambito della loro osservazione del mercato del lavoro e di adottare provvedimenti nei singoli casi o anche a livello di professioni o settori.
Il Consiglio federale non ritiene pertanto necessario intervenire nel diritto del lavoro privato o nella formazione professionale regolamentando la durata degli stage.
Nel diritto svizzero sia i contratti di durata determinata che quelli di durata indeterminata sono soggetti alle disposizioni degli articoli 319 segg. del Codice delle obbligazioni. Un contratto di stage conforme al diritto svizzero del lavoro offre quindi la stessa protezione garantita da qualsiasi altro contratto di lavoro. Inoltre, secondo la valutazione del Consiglio federale, la ripetuta stipulazione di contratti di stage di durata determinata presso lo stesso datore di lavoro potrebbe essere considerata, in base alla prassi del Tribunale federale in materia di contratti di lavoro a catena, un modo per aggirare le disposizioni legali. Conformemente alla prassi giudiziaria, ne conseguirebbe che le disposizioni concernenti la protezione contro i licenziamenti, i termini di disdetta e determinate prestazioni sociali legali applicabili nei rapporti di lavoro di durata indeterminata sarebbero validi anche per i rapporti di stage.
Alla luce di queste considerazioni, il Consiglio federale non ritiene necessario intervenire sul piano legislativo.

Link d’interesse: Formulari e documenti , contratto di stage 1, contratto di stage 2, stagista straniero

Inbound Marketing: guida introduttiva

Una descrizione chiara di cosa è l’Inbound Marketing e come funziona per attirare nuovi lead verso l’azienda e trasformarli in clienti. In più, le linee guida per iniziare subito e pianificare oggi stesso una strategia efficace per potenziare il business.

Inbound Marketing: definizione e significato

L’azienda che ha inventato il termine Inbound (contrapponendolo ad Outbound) è HubSpot, software di Marketing Automation presente sul mercato da molti anni.  La parola Outbound si traduce letteralmente con “mandare fuori” e fa riferimento agli spot promozionali, in TV o in radio, alle chiamate a freddo e in genere a tutte quelle azioni commerciali che “aggrediscono” le persone, senza che queste ultime abbiano mai mostrato interesse nei confronti di quel prodotto o servizio pubblicizzato.

Il termine Inbound invece, legato ad una strategia di Marketing, mira ad attirare l’interesse delle persone, solleticando la loro curiosità grazie a contenuti utili e piacevoli, diffusi in prevalenza online (ma non solo).

Attraverso il blog aziendale ad esempio o i Social Media, le persone interessate contattano spontaneamente l’azienda, diventando potenziali clienti da coltivare con riguardo. L’azienda infatti invierà ai nuovi contatti una serie di e-mail, ad esempio, in linea con le preferenze espresse, per accompagnare il nuovo Lead nel percorso che lo condurrà all’acquisto (Buyer Journey).

Come appare evidente, il cuore pulsante di una strategia di Inbound Marketing è rappresentato dalla produzione dei contenuti.

L’azienda che intende lavorare in ottica Inbound svilupperà innanzitutto un piano editoriale da proporre al proprio Target di clientela, sfruttando in prevalenza i canali di comunicazione on-line.

Strategia di Inbound Marketing per l’azienda: come iniziare

Se la produzione dei contenuti è la/una colonna portante dell’intero piano strategico, la definizione del target di riferimento è il basamento da cui partire per cominciare l’analisi. La definizione del cliente ideale (la Buyer Persona) riveste un’importanza cruciale, perché determina:

  • la produzione di ogni singolo contenuto diffuso dall’azienda
  • il ToV (tono di voce aziendale da utilizzare per comunicare con i prospect)
  • i canali di diffusione da prediligere (Linkedin o Instagram ad esempio si rivolgono a target di clientela differenti).

Un identikit efficace della Buyer Persona comprende informazioni come:

  • Dati anagrafici e geografici
  • Professione
  • Hobby
  • Problemi quotidiani che affronta e per cui cerca soluzioni

L’azienda, dal canto suo, dovrà svolgere un accurato lavoro di posizionamento del Brand, comunicando i valori a cui si ispira e l’elemento (vero) che la differenzia dalla concorrenza. Il potenziale cliente si identifica con l’azienda, concede la propria fiducia e si fidelizza.

Definita la strategia di Inbound Marketing più in linea con gli obiettivi aziendali, si passa alla fase del monitoraggio dei risultati, per risolvere eventuali criticità e puntare ad un costante aumento di traffico e conversioni.

Testo redatto da: 

 

Emanuel Paglicci, Marketing Director, Ander Group SA, Agno

 

 

 

 

 

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