I contenuti di questo testo sono stati aggiornati nel mese di ottobre 2019. Il presente articolo, a firma di Bernardo Lamoni, si appoggia invece ad una precedente pubblicazione del 27 febbraio 2018.
La Commissione Europea aveva varato in data 4 ottobre 2017 la proposta di riforma dell’IVA riguardante i fondamenti giuridici del sistema definitivo per gli scambi intracomunitari B2B, seguita in data 25 maggio 2018 da un’ulteriore proposta di disposizioni tecniche di dettaglio (1). Il regime definitivo, secondo quanto proposto dalla Commissione Europea, dovrebbe entrare in vigore il 1° luglio 2022.
Sempre in data 4 ottobre 2017 la Commissione Europea aveva presentato una serie di misure urgenti per migliorare il funzionamento pratico di alcune problematiche esistenti ormai da anni e che necessitano finalmente di una base giuridica a livello di direttive e regolamenti, prima dell’attuazione del regime definitivo:
- Obbligo dell’acquirente di disporre di un numero di identificazione (UID.IVA) dove ha luogo l’acquisto intracomunitario come requisito sostanziale per il fornitore per l’attuazione della cessione intracomunitaria esente da IVA.
- Semplificazioni ed armonizzazione del regime di “Call-off stock” per evitare che il fornitore debba identificarsi ai fini IVA nell’altro Stato UE dove è ubicato il magazzino merci dell’acquirente.
- Semplificazione e armonizzazione delle norme concernenti le operazioni a catena tra tre operatori, quando il trasporto è organizzato dall’operatore intermedio per stabilire in modo univoco la cessione intracomunitaria esente da IVA.
- Creazione di disposizioni comuni inerenti alle prove documentali del trasferimento fisico delle merci nell’ambito delle cessioni intracomunitarie.
In particolare la Commissione Europea proponeva che le misure 2, 3, e 4 si applicassero unicamente laddove gli operatori coinvolti avessero goduto dello status di “soggetto passivo certificato”.
In data 2 ottobre 2018 il Consiglio dell’Unione Europea, in sede di riunione ECOFIN, ha raggiunto un accordo politico sulle misure urgenti in esame (the VAT “quick-fixes”). Dal documento approvato, sono emerse alcune modifiche interessanti anche per aziende svizzere registrate ai fini IVA in uno o più stati dell’UE (2).
Prima di trattare i punti in questione si segnala, per quanto riguarda l’iter decisionale, che il Consiglio dell’UE prevede di adottare il documento dopo che il Parlamento europeo avrà pubblicato la sua opinione su questo fascicolo. In seguito il Consiglio dell’UE potrà deliberare con l’unanimità dei voti (da qui l’accordo politico preventivamente raggiunto). Queste fasi finali dovrebbero aver luogo prossimamente.
Nella prima fase di proposte la Commissione Europea aveva fissato come termine per l’entrata in vigore delle misure in esame il 1° gennaio 2019 suscitando parecchio nervosismo siccome nel package di misure urgenti formulate in modo chiaro e relativamente semplici, la Commissione Europea aveva inserito la nuova figura del soggetto passivo certificato, la cui realizzazione pratica capillare ed armonizzata a livello di ogni singolo Stato UE dal profilo normativo ed informatico, avrebbe comportato tempi di realizzazioni di alcuni anni.
Nel recente documento approvato dal Consiglio dell’UE emergono due novità. La prima riguarda il fatto che le misure urgenti riguarderanno indistintamente tutti i soggetti passivi identificati ai fini IVA e non più solamente i soggetti passivi certificati come originariamente proposto dalla Commissione Europea. Mentre la seconda riguarda il termine per l’entrata in vigore delle misure urgenti, posticipato al 1° gennaio 2020.
In questo modo le disposizioni riguardanti i soggetti passivi certificati dovrebbero da ora in poi essere integrate nel package finale delle normative sul regime definitivo previsto appena il 1°luglio 2022.
Riprendiamo dapprima alcune caratteristiche di questa nuova figura “privilegiata” chiamata soggetto passivo certificato.
L’attuale normativa comunitaria non effettua alcuna distinzione tra operatori affidabili e meno affidabili per quanto riguarda il corretto comportamento del soggetto passivo nel contesto delle disposizioni IVA. La concessione di questo nuovo status dovrebbe consentire di evidenziare gli operatori affidabili i quali beneficeranno di una serie di semplificazioni ora previste come già detto appena nel sistema IVA definitivo. Per ottenere lo status di soggetto passivo certificato, l’operatore dovrà provare cumulativamente l’assenza di violazioni gravi della normativa doganale e fiscale, la propria solvibilità finanziaria e l’alto livello di controllo interno delle proprie operazioni.
È tutt’ora prematuro pronunciarsi sulla possibilità per un’azienda svizzera senza stabile organizzazione in territorio comunitario di ottenere tale status quando verrà introdotto, in quanto le attuali proposte legislative stabiliscono che il soggetto passivo interessato dovrà inoltrare la richiesta all’amministrazione fiscale dello Stato UE dove ha stabilito la sede della sua attività economica o una stabile organizzazione (3).
Come visto, questa problematica non dovrebbe impattare per alcuni anni le nuove misure urgenti che varranno indistintamente per tutti gli operatori comunitari e non, imponibili ai fini IVA nell’UE.
1 – Misura: Numero identificazione IVA ed elenchi riepilogativi
Gli Stati UE hanno chiesto che nella direttiva IVA sia incluso l’obbligo per l’acquirente di disporre di un numero di identificazione IVA nello Stato UE di destinazione della merce, dove ha luogo l’acquisto intracomunitario. Ciò rappresenta un requisito sostanziale per consentire al fornitore di applicare l’esenzione ad IVA alla sua cessione nello Stato UE di partenza della spedizione.
In tal modo si eliminerebbe l’orientamento ormai consolidato adottato dalla Corte di Giustizia Europea che considera il numero di identificazione dell’acquirente un mero requisito formale per l’esenzione ad IVA della cessione intracomunitaria. In quest’ambito si aggiunge un ulteriore requisito sostanziale per l’esenzione della cessione intracomunitaria che consiste nell’obbligo della corretta presentazione degli elenchi riepilogativi da parte del fornitore.
L’attuale regime IVA prevede già l’obbligo per il fornitore di trasmettere i dati alle autorità fiscali del paese di partenza della merce i quali sono poi trasmessi alle autorità di destinazione della spedizione, per permettere verifiche incrociate nei confronti degli acquirenti in relazione al loro obbligo di dichiarazione del relativo acquisto intracomunitario.
Attualmente tuttavia, il mancato inoltro degli elenchi riepilogativi comporta solamente l’applicazione di sanzioni, senza causare il diniego dell’esenzione all’IVA nel caso di cessioni intracomunitarie. Le modifiche alla direttiva IVA prevedono come nuova disposizione che anche la corretta presentazione degli elenchi riepilogativi diventino un requisito sostanziale per l’esenzione all’IVA alle cessioni intracomunitarie.
2 – Misura: Regime di “Call-off stock”, semplificazioni e armonizzazioni
Nel regime di “Call-off stock” il fornitore di uno Stato UE trasferisce merce ad un acquirente noto, operante in un altro Stato UE, senza che vi sia passaggio di proprietà. In un primo momento, il fornitore deterrà quindi merci proprie presso gli stabilimenti dell’acquirente. L’acquirente a sua volta converrà contrattualmente il diritto di prelevare i beni secondo i propri fabbisogni d’impresa.
Le attuali normative comunitarie prevedono i seguenti eventi rilevanti ai fini dell’IVA.
- La spedizione della merce all’acquirente genera nello Stato UE del fornitore un trasferimento intracomunitario di beni “a sé stessi” in uscita, da dichiarare con gli stessi criteri delle usuali cessioni intracomunitarie.
- Contemporaneamente l’arrivo della merce negli stabilimenti del futuro acquirente genera sempre per il fornitore un trasferimento di beni “a sé stessi” in entrata, da dichiarare con gli stessi criteri degli usuali acquisti intracomunitari nello Stato UE del futuro acquirente.
- All’atto del successivo prelevamento dei beni da parte dell’acquirente si genererà la cessione rilevante ai fini dell’IVA che qualificherà come cessione nazionale imponibile.
Il cedente deve quindi identificarsi ad IVA nello Stato UE dell’acquirente sia per dichiarare il trasferimento dei suoi beni presso gli stabilimenti di quest’ultimo, sia per dichiarare la successiva cessione nazionale. Va riconosciuto che nel corso degli anni alcuni Stati UE hanno sviluppato misure di semplificazione personalizzate attuabili tuttavia solamente se “sincronizzabili” con le normative dello Stato UE in cui opera la controparte commerciale.
La soluzione ora proposta nel regime di “Call-off stock”, consiste in un’unica operazione rilevante ai fini IVA, che qualifica come cessione intracomunitaria, differita al momento del prelevamento della merce da parte dell’acquirente. Il semplice trasferimento intracomunitario del bene non rileverà più ai fini dell’IVA e il cedente non dovrà identificarsi ad IVA nello Stato UE dell’acquirente.
3 – Misura: Semplificazione e armonizzazione delle norme concernenti le operazioni a catena
Le operazioni a catena rientranti nel campo di applicazione della proposta in oggetto sono caratterizzate da cessioni successive della stessa merce le quali sono trasferite da uno Stato UE ad un altro Stato UE mediante un unico trasporto. I nuovi criteri che determinano la cessione intracomunitaria, quando il trasporto è effettuato dal fornitore intermedio in un’operazione a catena tra tre operatori (A-B-C) si possono così riassumere:
- se B è identificato ad IVA in uno Stato UE diverso da quello di partenza dei beni la cessione tra A e B qualificherà come intracomunitaria e la successiva cessione tra B e C sarà imponibile nello Stato UE di destinazione dei beni,
- mentre se B comunica ad A la propria partita IVA dello Stato UE di partenza, la cessione tra B e C qualificherà come intracomunitaria e l’anteposta cessione tra A e B sarà imponibile nello Stato UE di inizio della spedizione
4. Misura: La prova della cessione comunitaria
Il fornitore di una cessione intracomunitaria per poter beneficiare dell’esenzione all’IVA nello Stato UE di partenza del bene ha da sempre l’onere della prova del trasferimento fisico della merce. A tutt’oggi le normative UE non prevedono disposizioni comuni circa i documenti utilizzabili, lasciando ai singoli Stati l’emanazione di normative locali. Le nuove disposizioni prevedono che i soggetti passivi potranno dimostrare l’avvenuta cessione intracomunitaria se in possesso di due documenti non contradditori contemplati in un apposito elenco (5). In esso sono previsti ad esempio i documenti di trasporto, la lettera CMR (firmata!), i documenti bancari riguardanti il pagamento del trasporto, la corrispondenza commerciale, la dichiarazione IVA dell’acquirente.
Per i trasporti organizzati dall’acquirente (resa EXW o FCA Incoterms 2010) è pure menzionata la conferma di ricezione delle merci rilasciata da quest’ultimo (6). Quest’unico documento dovrebbe essere sufficiente e non richiederebbe un secondo documento non contradditorio da affiancare come per gli altri casi.
Testo a cura di
Bernardo Lamoni,
MA Università Zurigo Business and Economics
Fiduciario commercialista
Via Bosia 13, CH-6900 Paradiso
Email, Tel. +4191 967 49 24
Riferimenti:
- COM (2017) 569 final del 4 ottobre 2017 e COM (2017) 329 final del 25 maggio 2018
- Documento 12564/18 del 28 settembre 2018
- Occorre inoltre chiarire come va intesa la formulazione di “indirizzo permanente/residenza abituale” in assenza di una sede di attività economica/stabile organizzazione in uno Stato UE, cfr. (COM 2018) 329 final, 25 maggio 2018.
- nuovo articolo 36 bis della Direttiva 2006/122/CE
- Bozza Art 45bis, cpv 3, Reg. UE n. 282/2011
- In tale conferma dovrebbe rientrare la “Certificate of Entry” in vigore in Germania che tuttavia è attualmente prevista anche per i trasporti organizzati dal venditore (es resa DAP Incoterms 2010).