Affrontare i mercati esteri ben preparati

Per non aver problemi a livello doganale, e se possibile beneficiare di sgravi dai dazi, è  necessario conoscere a fondo la propria merce e tutto il processo produttivo.

Questa conoscenza a 360 gradi viene spesso sottovalutata perché non ritenuta importante. La nostra esperienza quotidiana ci permette però di affermare  esattamente il contrario: chi non si avvale di personale formato e con profonde conoscenze dei processi aziendali, può infatti incorrere in problemi seri, con risvolti finanziari anche negativi.

La condivisione delle informazioni

La conoscenza dell’intero iter del processo produttivo, dallo sviluppo tecnico fino alla vendita al cliente finale, è fondamentale: pensiamo ad esempio alla  provenienza delle componenti, alla percentuale del valore aggiunto svizzero, alle certificazioni necessarie per vendere il prodotto o ancora all’origine della merce e alla sua classificazione doganale. Questa lista non è esaustiva, ma mette in risalto la complessità di un prodotto e della sua vendita sui mercati internazionali. Per rendere più efficaci i processi e riuscire far fronte rapidamente ad eventuali problematiche, tali informazioni non devono rimanere in compartimenti stagni, ma essere condivise all’interno dell’azienda. Prendiamo il caso di una verifica da parte dell’autorità preposta in merito all’origine della merce: l’azienda deve  essere pronta a confermare l’esatta veridicità delle prove documentali emesse. L’Amministrazione federale delle dogane aggiorna sì regolarmente le sue istruzioni utili per determinare la validità formale delle prove dell’origine preferenziale, ma è l’azienda stessa a doversi tenere aggiornata e assicurarsi che i processi aziendali siano chiari e noti a tutti gli addetti ai lavori.

Mercati in continua evoluzione

L’internazionalizzazione di un’azienda presuppone anche un costante aggiornamento sulle tematiche – di natura politica o economica – che toccano i mercati mondiali. Pensiamo ad esempio all’attualità: la Brexit continua a tenere gli imprenditori sul chi vive. Al momento in cui scriviamo questo articolo non è dato a sapere come il Regno Unito risolverà l’uscita dall’Unione Europea. La Svizzera ha anticipato i tempi e ha già concluso alcuni accordi per far fronte a questo  cambiamento, ma alcune lacune potranno essere risolte solo a tempo debito. Gli imprenditori elvetici saranno chiamati a far fronte ai cambiamenti che  r iguardano ad esempio l’origine della merce e le certificazioni di conformità.

Articolo a cura di

Monica Zurfluh, Responsabile S-GE per la Svizzera italiana e
Valentina Rossi, Responsabile Servizio Export Cc-Ti

Con il 5G si rafforza l’export

L’opinione di Cristina Maderni, Vice Presidente Cc-Ti, Presidente Ordine dei Commercialisti del Cantone Ticino, Presidente FTAF e deputata PLRT in Gran Consiglio

Se nei primi anni ’90 non fosse stato introdotto il 2G, lo standard digitale per la telefonia mobile, non ci sarebbero stati gli sms. Senza il 3G, poi, i telefonini non avrebbero avuto l’accesso ad internet e senza il 4G gli smartphone non si sarebbero trasformati nei computer da tasca che oggi tutti usiamo. Ora è la volta del 5G. La quinta generazione dei sistemi di telefonia mobile, definita giustamente “l’autostrada dei dati”. Ovvero di quel flusso crescente d’informazioni, la nuova materia prima dell’economia mondiale, che sta radicalmente trasformando la produzione, i servizi e la nostra vita quotidiana. Già nel 2016 il volume dei dati prodotti in tutto il mondo era pari a 16,1 zettabyte, l’equivalente, si è stimato, di  230’000 bilioni di pagine di testi scritti a macchina su fogli A4. Negli ultimi cinque anni il traffico planetario di dati è aumentato di ben 14 volte. Ecco perché serve una tecnologia più affidabile e veloce per la loro trasmissione, elaborazione e archiviazione. Che solo il 5G può garantire grazie ad una velocità sino a 20 volte superiore a quella del 4G e di 222 volte rispetto ad un normale collegamento DSL. La ricchezza della Svizzera è anche il risultato della forte interconnessione del nostro sistema produttivo e della ricerca con l’economia globale. Perciò, il 5G è un vettore competitivo fondamentale per tutta la piazza economica elvetica e per salvaguardare l’internazionalizzazione delle nostre imprese. Ma oggi, purtroppo, la discussione su questo nuovo standard di comunicazione e sui presunti rischi per la salute delle radio frequenze è affrontata in termini emozionali più che razionali. Paure non confermate da studi scientifici, ma  che rallentano l’adozione di una tecnologia che, secondo l’Associazione  Svizzera delle telecomunicazioni, garantirebbe un aumento del valore della produzione annua sino a 42,4 miliardi di franchi entro il 2030 e la creazione di 137mila nuovi posti di lavoro.

Boom dei droni in Cina

Negli ultimi anni l’industria dei droni, nota in Cina anche come industria degli UAV (Unmanned Aerial Vehicle), è stata protagonista di una rapida espansione dovuta all’impiego sempre più sostenuto di velivoli teleguidati.

Questo sviluppo offre varie e concrete opportunità di business per le aziende svizzere produttrici di droni, che offrono soluzioni high-tech molto interessanti. Scoprite qui come beneficiare di queste opportunità e partecipate alla Swiss Innovation Week 2019: Home of Drones a Pechino.

Per presentare gli interessanti settori legati ai droni e aiutare le aziende svizzere produttrici di droni a trovare investitori e partner economici in Cina, l’Ambasciata svizzera a Pechino organizza l’evento Swiss Innovation Week 2019: Home of Drones a Pechino (12-14 giugno 2019).

Partecipate al più grande evento organizzato dell’Ambasciata svizzera quest’anno e contribuite a configurare e a promuovere l’immagine della Svizzera come Paese più innovativo del mondo!

Politiche e supporto normativo da parte del governo cinese

Secondo le linee guida UAV pubblicate dal Ministero cinese dell’industria e dell’informazione tecnologica (MIIT), il ministero ha deciso di definire e rivedere oltre 200 norme nella ricerca, produzione, applicazione e sicurezza dei droni civili.

La Cina mira al decollo della sua industria UAV fino al raggiungimento di 27 miliardi di dollari di output totale entro il 2025. Per il settore infatti si prevede una crescita annua del 40% entro il 2020 e del 25% per gli anni successivi.

A luglio 2017 il Consiglio di Stato della Cina ha emanato il piano di sviluppo “New Generation Artificial Intelligence AI”, con l’intento di far diventare la Cina leader mondiale nel settore entro il 2030. Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale ha raggiunto il livello di una strategia nazionale. L’UAV è uno dei settori focus.  ….continua a leggere

Articolo tratto da Switzerland Global Enterprise (S-GE) ©

Come usufruire del private label per accedere al mercato alimentare canadese

In Canada, il private label con grandi marchi rappresenta per le aziende svizzere una buona opportunità di aumentare il volume delle vendite, accedere facilmente al mercato e instaurare rapporti con i rivenditori, soprattutto per quanto riguarda il mercato dei prodotti alimentari, caratterizzato da una vastissima scelta.

Beneficiare della crescente popolarità del private label

L’articolo “The Rising Power of Private Label”, pubblicato a luglio 2018 sulla rivista canadese Canadian Grocer, descrive la crescente popolarità dei prodotti a marchio, o private label, che in cinque anni hanno registrato una crescita costante e vendite al dettaglio per 14,4 miliardi di dollari USA (18,6% delle vendite al dettaglio totali) nel 2017. Il prezzo, la fiducia e l’esperienza maturata in precedenza sono i motivi principali che spingono i canadesi ad acquistare prodotti a marchio.

I prodotti private label possono garantire alcuni importanti vantaggi/opportunità:

  • Gli introiti generati dai prodotti private label possono infatti essere utilizzati per compensare parte dei costi sostenuti per far crescere il proprio marchio.
  • Dal punto di vista operativo, se il vostro impianto di produzione non funziona a pieno regime si ha uno spreco di finanze. L’aumento del volume di produzione può assorbire l’eccesso di capacità dell’impianto e coprire i costi generali.
  • Tenere sotto controllo i costi delle merci è una sfida continua per i produttori. Il maggior volume generato dai prodotti private label può innescare un effetto leva per negoziare costi più ridotti per ingredienti e imballaggio.
  • Grazie al private label, chi rifornisce i grandi rivenditori di generi alimentari come LoblawsSobeys o Metro, può portare sugli scaffali i propri prodotti senza dover pagare i compensi per l’inclusione nei listini. Disponendo già di portafogli ben sviluppati, tali rivenditori necessitano di prodotti in grado di colmare le lacune, di articoli unici di tendenza o di alternative a basso costo.
  • Per quanto riguarda l’ideazione dei prodotti, i rivenditori possono accettare la ricetta del produttore oppure chiedere a quest’ultimo di sviluppare una ricetta proprietaria che permetta di distinguersi rispetto alla concorrenza. L’accesso al know-how del rivenditore in fatto di sviluppo dei prodotti e di controllo della qualità costituisce un’opportunità di apprendimento che si può essere implementata per migliorare altri aspetti della propria attività.
  • I principali rivenditori di generi alimentari richiedono il possesso di certificazioni nell’ambito di un’iniziativa per la sicurezza alimentare (Global Food Safety Initiative, GFSI) quali BRC, SQF o FSSC 22000 solo per menzionarne alcune. La certificazione può ridurre notevolmente alcuni rischi aziendali come i richiami e proteggere il vostro marchio.

I rivenditori più importanti stanno dimostrando grande creatività nell’elaborazione di marchi attenti alla salute. Il fornitore di un prodotto a marchio può contribuire con un ingrediente che potrebbe essere integrato nel prodotto finale.  ….continua a leggere

Articolo tratto da Switzerland Global Enterprise (S-GE) ©

Vetraio: arte e tecnica in evoluzione

Con Marco Jelmini, Presidente AVCT, scopriamo maggiori dettagli su una professione artigianale non così conosciuta, il vetraio.

Oggi si parla in modo importante di sostenibilità, legandola al modo di fare impresa ‘svizzero’ (la cosiddetta ‘swissness’). Quale attenzione pone la vostra associazione a riguardo?

La AVCT, Associazione Vetrerie del Cantone Ticino, riunisce l’eccellenza delle ditte nel campo della vetreria presenti nel Canton Ticino con lo scopo di promuovere, sul piano regionale, la professione di vetraio e di difendere un modo di operare che ha sempre distinto le nostre aziende dal punto di vista della serietà, della affidabilità e della conoscenza approfondita del loro mestiere. Non da ultimo un contratto collettivo di lavoro permette buone condizioni salariali a tutti i collaboratori e contribuisce alla stabilità economica e sociale del nostro Paese, garantendone una buona qualità di vita. La nostra associazione fa riferimento a livello svizzero all’Associazione Svizzera del Vetro Piano che raggruppa a sua volta tutte le ditte attive nel ramo a livello nazionale.

Come è evoluto il ‘mestiere’ del vetraio negli ultimi anni, visto il grande progresso tecnologico, se pensiamo alla formazione ed agli sbocchi professionali?

Il mestiere del vetraio negli ultimi anni si è parecchio evoluto grazie ad un progresso tecnologico nella costruzione in vetro che ha fatto sì che venisse potenziato il percorso formativo dei nostri giovani sia nell’ambito della conoscenza dei nuovi materiali come pure di una corretta loro messa in opera, tale da garantirne la massima sicurezza e durabilità nel tempo. In questi ultimi anni sono stati aggiornati e pubblicati tutta una serie di direttive dell’arte del vetrario a cura dell’Istituto Svizzero del Vetro Piano (SIGaB) che permettono di definire con maggiore chiarezza i requisiti qualitativi e tecnici posti a tutte le Opere da Vetraio in Svizzera, direttive che possono essere consultate ed ordinate direttamente al sito dell’Istituto SIGaB. Dopo la scuola dell’obbligo vi è la possibilità per un giovane di seguire la formazione professionale di base quale vetraio terminando l’apprendistato di 4 anni con l’attestato federale di capacità. Si può quindi proseguire il percorso formativo pratico ottenendo l’attestato professionale federale di capo vetraio e terminare la formazione con un esame professionale federale superiore con diploma “maestro vetraio”. Con l’ottenimento di tale diploma si può quindi se lo si desidera proseguire gli studi presso le scuole specializzate superiori, scuole universitarie professionali in Svizzera e all’estero.

La modifica del contratto di lavoro

Determiniamo come affrontare e concretizzare i cambiamenti nei contratti lavorativi, nell’interesse di entrambe le parti in gioco: datore di lavoro e dipendente. Un vademecum in proposito.

Art. 319 CO

  1. In contratto individuale di lavoro è quello con il quale il lavoratore si obbliga a lavorare al servizio del datore di lavoro per un tempo determinato o indeterminato e il datore di lavoro a pagare un salario stabilito a tempo o a cottimo.
  2. E’ considerato contratto individuale di lavoro anche il contratto con il quale un lavoratore si obbliga a lavorare regolarmente al servizio del datore di lavoro per ore, mezze giornate o giornate (lavoro a tempo parziale).

I contratti individuali di lavoro sono generalmente concisi e chiari. Le disposizioni generali applicabili a tutti e che non devono essere necessariamente scritte, sono spesso contenute in un regolamento separato. Nel contratto di lavoro dovrebbe essere inclusa la conferma che il lavoratore ha ricevuto il regolamento in questione, che ha compreso il suo contenuto e che lo approva.

Salvo casi particolari e solo quando a vantaggio del dipendente in primis, il contratto di lavoro può essere modificato senza osservare una forma particolare e può, in determinate circostanze, anche derivare dal comportamento di una parte (modifica tacita). In questo caso occorre però valutare con attenzione quanto possa essere effettivamente ritenuto accettabile secondo le regole della buona fede, del diritto e dell’equità, poiché comunque non sono accettabili modifiche unilaterali ed è sempre necessario un accordo fra le parti (scritto, orale o concludente che sia).

E’ molto importante rilevare che, in ogni caso, devono sempre essere osservate le disposizioni imperative del CO (vedi art. 361 segg.) e le regole concernenti la disdetta di un contratto.

Una modifica immediata è accettata solo se è favorevole al dipendente. Se le parti non trovano un accordo sulla modifica proposta, il datore di lavoro deve sciogliere il contratto rispettando i termini di disdetta.

Una modifica delle condizioni di lavoro sfavorevole al lavoratore, ad esempio una riduzione del salario, può infatti diventare effettiva solo alla scadenza del termine di disdetta contrattuale o legale, poiché di fatto viene trattato come un nuovo contratto.

La disdetta con riserva di modifica

Un contratto di lavoro non è immutabile e deve essere adattabile alle diverse esigenze e necessità dell’economia o dell’impresa.

Per apportare modifiche all’accordo iniziale è necessario essere attenti e prudenti nella determinazione di ogni cambiamento che intendiamo introdurre nel rapporto di lavoro con il nostro collaboratore e farlo nel modo più corretto per entrambi.

Chiariamo subito che un contratto di lavoro non può essere modificato negativamente, unilateralmente, dal datore di lavoro.

Il datore di lavoro deve quindi ricorrere a “la disdetta con riserva di modifica” quando intende modificare unilateralmente un elemento essenziale del contratto di lavoro.

Consideriamo due scenari:

  • Il primo di questi consiste in un semplice accordo congiunto di modifica del contratto (con il consenso del collaboratore).

Ogni modifica contrattuale che peggiora le condizioni di lavoro del collaboratore (ad es. il salario) necessita sempre del consenso del medesimo. In tempi di crisi, non è escluso che il personale sia disposto, pur di mantenere il posto di lavoro, ad accettare dei sacrifici.

  • La seconda alternativa, qualora non fosse possibile raggiungere un accordo, consiste nella notifica di una disdetta con riserva di modifica.

Tramite una disdetta con riserva di modifica, il datore di lavoro che intende modificare le condizioni di un contratto di lavoro di durata indeterminata, presenterà al dipendente le nuove condizioni menzionando che, in assenza di accettazione il contratto terminerà allo scadere del termine di disdetta contrattuale o legale.

Una simile disdetta volge comunque a mantenere il rapporto di lavoro, ma ad altre condizioni.

La legge è silente in merito ai requisiti del contratto di lavoro che, per essere modificato, necessita della disdetta con riserva di modifica.

La dottrina ritiene che i punti chiave da considerare, senza dubbio, siano quelli “essenziali” del contratto di lavoro, ovvero: il tipo di attività, il principio della remunerazione, la durata determinata o indeterminata del contratto e, in linea di principio, il luogo di lavoro (a meno che il cambiamento del luogo di lavoro non comporti particolari inconvenienti per il collaboratore). La modifica di questi elementi del contratto deve quindi essere oggetto di una manifestazione di volontà reciproca e concordante e non possono in linea di massima essere modificati in modo unilaterale, se le modifiche svantaggiano il dipendente.

Per essere valida, la disdetta con riserva di modifica del contratto di lavoro deve quindi rispettare determinate condizioni. La giurisprudenza ritiene che, in linea di principio, una disdetta con riserva di modifica a sfavore del dipendente è possibile e non abusiva, se risponde a reali e comprovate nuove necessità economiche dell’azienda.

In altri termini, la disdetta pronunciata in assenza di una vera necessità potrebbe rivelarsi abusiva e comportare una sanzione sotto forma di versamento di un’indennità al dipendente.

Tipologie di disdetta con riserva di modifica

Occorre distinguere fra la disdetta con riserva di modifica “in senso stretto” e quella “in senso lato”.

In senso stretto:

  • Viene notificata contemporaneamente alla proposta di nuove condizioni di lavoro. Si consiglia, per evitare controversie, di procedere con atti scritti, menzionando quali condizioni sono modificate, le conseguenze di una mancata accettazione, il termine e le modalità di comunicazione dell’accettazione o del rifiuto, nonché il momento in cui il contratto terminerà in caso di mancata accettazione. Sarà anche opportuno precisare che in caso di accettazione le nuove condizioni verranno applicate alla scadenza del termine di disdetta.

In senso lato:

  • Si attua invece notificando al dipendente la disdetta solo dopo che questi ha rifiutato una determinata modifica di elementi essenziali del contratto di lavoro. La disdetta con riserva di modifica in senso lato è insidiosa perché, in caso di contestazione, corre maggiori rischi di risultare abusiva. Infatti, a seconda delle circostanze, la disdetta potrà apparire come una rappresaglia del datore di lavoro per la mancata accettazione della modifica da parte del dipendente. Sarà segnatamente il caso quando la disdetta non appoggia su un motivo oggettivamente fondato e le modalità della disdetta abbiano violato il principio della buona fede.
  • Occorre essere attenti nel proprio agire:

Il datore di lavoro che, informando il dipendente che una determinata modifica dettata da concrete necessità economiche entrerà in vigore alla fine del termine di disdetta (legale o contrattuale), e invita quest’ultimo a negoziare le nuove condizioni del contratto senza diffidare o imporre al dipendente di accettare immediatamente la modifica, agisce correttamente dal profilo della buona fede. In tal caso, la disdetta notificata dopo il rifiuto del dipendente di accettare le nuove condizioni, non sarà considerata abusiva.

È opportuno rammentare che le modifiche a sfavore del dipendente potranno entrare in vigore solo allo scadere del periodo di disdetta legale contrattuale. In altri termini, durante il periodo di disdetta le vigenti condizioni contrattuali dovranno continuare ad essere applicate.

La disdetta con riserva di modifica “collettiva”

Anche se più insidiosa, la disdetta con riserva di modifica “in senso lato” può risultare vantaggiosa nel caso in cui si dovessero modificare molti contratti.

Di seguito, illustreremo il motivo.

Qualora il datore di lavoro fosse costretto dalle circostanze a modificare l’insieme dei contratti dei dipendenti o di una parte consistente dei medesimi, dovrà tenere in considerazione le disposizioni del Codice delle obbligazioni relative al licenziamento collettivo (articoli 335d-335g).

Se il datore di lavoro procede a delle disdette con riserva di modifica “in senso stretto” nei confronti di un numero di dipendenti uguale o superiore ai valori menzionati all’art. 335d (ad esempio, almeno dieci nelle imprese che occupano più di venti dipendenti e meno di cento), egli dovrà rispettare la procedura di licenziamento collettivo anche se la maggioranza dei lavoratori dovesse accettare le modifiche e non essere pertanto licenziata.

Al contrario, l’azienda che attua una disdetta con riserva di modifica “in senso lato” proponendo dapprima la modifica dei contratti e licenziando unicamente i collaboratori che l’avranno rifiutata, sottostarà alle disposizioni sul licenziamento collettivo solamente nella misura in cui il numero di lavoratori effettivamente licenziati supererà i valori di cui all’art. 335d.

Queste, in sintesi, le principali possibilità di intervento dell’azienda, per affrontare i periodi di incertezza senza perdere validi collaboratori, premesso che siano utilizzate conformemente ai principi enunciati.

Da ricordare

Il contenuto di una modifica deve essere chiaro e non ambiguo. In particolare, deve menzionare espressamente le modifiche contrattuali desiderate. Pertanto, le nuove condizioni di lavoro devono essere indicate con precisione.
La modifica del contratto deve fissare la data effettiva di entrata in vigore delle modifiche. L’attuazione non può aver luogo prima della scadenza del periodo di preavviso applicabile. In caso contrario, il cambiamento sarà considerato come abusivo ai sensi dell’articolo 336 comma 1 lettera del Codice delle obbligazioni (CO).
Anche le conseguenze del rifiuto del cambiamento devono essere espressamente incluse nella disdetta con riserva di modifica. In caso di rifiuto delle modifiche contrattuali, i rapporti di lavoro terminano alla scadenza del periodo di preavviso senza ulteriore notifica.

Deve essere espressamente dichiarato che, senza l’accettazione scritta del dipendente, il rapporto di lavoro terminerà alla fine del periodo di preavviso.
Attenzione! Il silenzio del collaboratore non vale quale accordo tacito.

La disdetta con riserva di modifica non può essere utilizzata per ottenere un vantaggio immediato, per deviare la legge o un contratto collettivo, senza ritenersi abusiva. Ad esempio non è corretto per un datore di lavoro aumentare la durata del lavoro di un collaboratore senza aumentare il suo stipendio e licenziarlo due giorni dopo perché ha rifiutato. Il datore di lavoro pretendeva un beneficio unilaterale immediato, senza rispettare il periodo di preavviso.
I periodi di protezione contro i licenziamenti intempestivi sono previsti dal Codice delle obbligazioni per proteggere i lavoratori in caso di assenza per servizio militare, infortuni, malattia o incidente. Qualsiasi annullamento che si verifica durante questo periodo è da ritenersi abusivo, anche nel caso di disdetta con riserva di modifica.

Opposizione del dipendente

In caso di opposizione, la prova che la disdetta sotto riserva di modifica non avviene per motivi economici o legati al mercato incombe al dipendente. Fornire questa prova è, naturalmente, piuttosto difficile. D’altra parte, in giudizio, sarà altrettanto difficile per il datore di lavoro far credere al giudice che ha effettivamente dovuto fare ricorso a una disdetta sotto riserva di modifica spinto da una logica di economia aziendale o da ragioni di mercato, se quasi contemporaneamente, ha creato nuovi posti a tempo pieno, occupandoli con nuova forza lavoro.

Tuttavia, anche se il collaboratore fosse in grado di fornire la prova che la disdetta è abusiva, il giudice non la annullerebbe.

Il dipendente può opporsi alla modifica contrattuale e il rapporto di lavoro avrà tuttavia fine alla scadenza del termine di disdetta, sebbene la corte ne riconosca l’abusività.

Sul datore di lavoro incombe poi la minaccia di dover pagare, come sanzione, fino a sei mesi di salario. La disdetta non sarà annullata.

Il dipendente può decidere di accettare la disdetta sotto riserva di modifica e, alla scadenza del termine di disdetta, di continuare a lavorare per l’attuale datore di lavoro con le nuove modalità.

Viceversa, se vuole, può opporsi alla modifica e ricorrere alla giustizia.

NB: Secondo il diritto delle assicurazioni sociali, va ritenuto che in caso di rifiuto della modifica contrattuale il dipendente dovrà attendersi giorni di sospensione dal diritto, causa disoccupazione per colpa propria.

 

 

Etica e innovazione dal Ticino al mondo

Con Giordano Facchinetti, CEO della New Celio Engineering SA di Ambrì, parliamo di etica ed innovazione, e di come un’azienda radicata nell’alta Valle lavori oggi in tutto il mondo.

Una visione aziendale forgiata sulla precisione e la cura al dettaglio, lavorando però, a livello internazionale, su mercati diversi. Come si fa fronte a questa duplice ‘anima’?

La precisione e la cura del dettaglio sono parte integrante della nostra cultura ed è ciò che cerchiamo di trasmettere ai clienti. Notiamo però che nell’industria in cui operiamo il livello tecnico diminuisce a scapito della qualità, mentre si è più colpiti da aspetti commerciali che a prima vista sembrano attrattivi ma che poi non reggono il confronto. Il fatto di essere un’azienda solida, rinomata e basata su sani principi etici, ci orienta piuttosto verso clienti con la nostra stessa attitudine: forniamo nel mondo intero prodotti di alto livello a clienti prestigiosi che si dichiarano molto soddisfatti delle soluzioni ottenute.

L’innovazione oggi è determinante (fatto confermato anche dallo studio Bak Economics). Anche New Celio Engineering sviluppa approcci customizzati per i clienti. Ce ne può parlare?

Per mantenerci competitivi sul mercato, abbiamo prima lavorato su di noi, poi innovato ed ingegnerizzato completamente la produzione, evitandone così lo spostamento in paesi esotici, producendo a prezzi competitivi la totalità dei nostri prodotti in Svizzera. Con dinamicità e competenza abbiamo investito nella progettazione le risorse risparmiate nella produzione, riuscendo ad offrire a clienti internazionali prodotti customizzati performanti e di alta qualità.

Una piazza sempre più digitale

Con Franco Citterio, Direttore Associazione Bancaria Ticinese, capiamo meglio le dinamiche delle riconversioni finanziarie e gli influssi delle trasformazioni tecnologiche in atto.

Il settore finanziario ha subito profonde trasformazioni nel corso degli ultimi anni. Oggi dove siamo?

La trasformazione del settore finanziario è un processo iniziato ormai da diversi anni. Il contesto internazionale è stato turbolento e non sono mancate le difficoltà: le banche si sono adeguate a nuovi paradigmi, abbandonando gradualmente il segreto bancario. La piazza finanziaria sta puntando su altre caratteristiche vincenti dello “Swiss banking”: stabilità politica, efficienza burocratica, certezza del diritto e una professionalità mai messa in discussione. Questo vale anche a livello ticinese dove Lugano, nonostante la fase di consolidamento, rimane la terza piazza finanziaria svizzera dopo Zurigo e Ginevra. Il settore finanziario ticinese sta investendo molto anche sull’innovazione, attraendo talenti e competenze.

Fintech, blockchain, digitalizzazione. In che modo le trasformazioni tecnologiche accelerano i processi?

Il mondo finanziario è già molto attivo per quanto riguarda la digitalizzazione e, con la dovuta prudenza, si è dimostrato interessato alle opportunità offerte dal Fintech. Lo scorso settembre per esempio l’Associazione svizzera dei banchieri (ASB) ha elaborato una guida specifica destinata alle banche interessate ad aprire conti per società legate alla tecnologia blockchain. Una tecnologia in grado di velocizzare numerosi processi mantenendo elevata la sicurezza. Sfruttare la potenzialità delle nuove tecnologie rappresenta una delle sfide maggiori per il settore finanziario.

La fine della cybersecurity

La fine della cybersecurity non è la previsione di un esperto di sicurezza bollito, bensì il titolo in prima pagina di una delle più prestigiose riviste del mondo, la Harward Business Review.

Un titolo inaspettato che nei primi istanti ha fatto tremare le mura delle stanze dei bottoni, laddove si annida il potere di chi controlla e guida le strategie globali di cybersecurity.

Pochi secondi di panico che hanno presto lasciato il posto a qualcosa di più interessante e utile per imbastire un nuovo e stimolante ragionamento, rivolto proprio alla gestione della sicurezza cibernetica. Un’occasione da cogliere per fare il punto della situazione di un fenomeno destinato a dilagare senza precedenti. Altro che fine della cybersecurity, tutt’altro. Si conclude il periodo che ha considerato la cybersecurity come un costo, e si apre una nuova fase ricca di opportunità che la percepisce come un investimento.

Aumenta la complessità dell’impianto tecnologico, aumentano gli oggetti interconnessi tra loro, migliorano i software per la protezione dei dati, ma, purtroppo, aumenta l’impreparazione del personale incaricato di gestire l’intera infrastruttura. Ancora una volta il fattore umano torna prepotente al centro della scena, anche se riposizionato, dimostrando quanto l’intera filiera della sicurezza possa essere contaminata e compromessa in qualsiasi momento a causa di una gestione superficiale del personale aziendale.

A sostenere questa tesi è lo slogan lapidario di Kevin Mitnick, l’hacker più famoso del mondo: “You could spend a fortune purchasing technology and services, and your network infrastructure could still remain vulnerable to old-fashioned manipulation”.

Lui di fattore umano se ne intende eccome. I prodotti e i servizi per la messa in sicurezza dei dati saranno sempre necessari, ma occorre investire e migliorare la formazione continua del personale.

Una formazione che deve cambiare il suo paradigma, offrendo agli utenti un nuovo approccio alla “cyber education”, fondata sulle collaborazioni con i centri di ricerca, sempre più di carattere interdisciplinare. Insomma, dalla segretaria all’amministratore delegato, concetti come “Incident Response Plan” o “Detection & Response” devono essere integrati a pieno titolo nella cultura aziendale.

Ogni forma di lacuna, in termini di scarsa preparazione e mancata consapevolezza, può trasformarsi in una potenziale vulnerabilità. Cosa fare quindi per evitare che ciò accada, soprattutto in presenza di nuove minacce cyber capaci di sfruttare una profilazione utente senza precedenti? Semplice, collaborare e condividere senza se e senza ma.

Per esempio, chiedendo agli addetti ai lavori di condividere in una piattaforma comune i registri digitali (log files) in cui sono registrati i tentativi di attacco che l’azienda ha subito.

In altro modo, gli attaccanti saranno sempre un passo avanti rispetto ai difensori. E i primi, contrariamente ai secondi, non devono mettersi d’accordo, non devono collaborare e soprattutto non devono sottostare ad alcun regolamento, ma possono sfruttare le risorse gratuite della rete per la raccolta a strascico dei big dati da dare in pasto agli algoritmi per l’apprendimento automatico di intelligenza artificiale. A loro basta un semplice messaggio di phishing per raccogliere senza sforzo numerosi e continui feedback, usati per migliorare giorno dopo giorno la qualità dell’inganno emotivo inserito nel messaggio di posta elettronica.

Di fronte a un incremento della criminalità informatica organizzata e resiliente, che può contare su risorse gratuite in cui trovare script, applicazioni e reti neurali, soltanto un cambio di mentalità potrà ridurre la distanza tra chi ha il piacere di attaccare e chi, invece, ha l’obbligo e il dovere di difendere.

In altro modo, non dovremo stupirci se un giorno, non troppo lontano, grazie alla fragilità emotiva di un collaboratore distratto, le città potrebbero cessare di erogare energia elettrica, sempre più necessaria per tenere in vita la neo costituente società digitale.

Testo a cura di Lorenza Bernasconi, CFO Gruppo Sicurezza SA, Savosa

Efficienza nei processi aziendali. Ancora carta?

In Svizzera vengono (ancora) prodotte 800 milioni di fatture cartacee all’anno. Nell’era della trasformazione digitale, la contraddizione è più che mai evidente. Colpa di processi aziendali acquisiti e spesso difficili da ridisegnare. Ma ci conviene ancora rimandare il cambiamento?

Nel pieno della trasformazione digitale, molte organizzazioni vivono ancora anacronistiche contraddizioni in grado di annullare qualsiasi sforzo futuristico. Partiamo dai processi aziendali: mentre le start-up partono dall’indubbio vantaggio di poterli (e spesso doverli) disegnare da zero, le organizzazioni consolidate talvolta sembrano legate a schemi, attitudini e abitudini che rischiano di rallentare, se non bloccare, il difficile guado verso l’efficienza. A titolo di esempio, basti pensare che in Svizzera vengono ancora prodotte 800 milioni di fatture cartacee all’anno. Nate da un gestionale, riprodotte su carta e reintrodotte in un altro gestionale a costi esorbitanti. La semplice migrazione verso soluzioni di e-invoicing permetterebbe un risparmio fino a poco più di 20 CHF per fattura, per un potenziale di risparmio totale che supera i 16 Miliardi di Franchi. Ma gli effetti di un processo digitalizzato, potrebbero portare il risparmio a cifre decisamente superiori; la fattura elettronica sarebbe infatti il primo passo verso la semplificazione dei processi approvativi, velocizzando i tempi di pagamento e limitando drasticamente attività poco produttive, come la riconciliazione dei pagamenti con fatture e relativi ordini d’acquisto, fino all’archiviazione.

L’efficienza dei processi spesso trova un ostacolo nella validità legale di alcune tipologie di documenti. L’idea che una firma autografa sia un passaggio obbligato nel conferire piena legalità ad un documento, sembra scoraggiare qualsiasi tentativo di ottimizzazione. È vero solo in parte; se il Canton Ticino spende ancora più di 8 Milioni di Franchi in francobolli, lo si deve all’attuale assetto legislativo, che impone l’uso della posta raccomandata per talune comunicazioni. Nondimeno, già oggi è possibile firmare digitalmente documenti con carattere legale probatorio. Grazie alla Legge Federale sui servizi di certificazione nel campo della firma elettronica e di altre applicazioni di certificati digitali e l’Ordinanza sulla tenuta e la conservazione dei libri di commercio consentono la gestione legalmente valida (firme incluse) dei documenti elettronici. Anche in mobilità.

Se è così semplice digitalizzare documenti, anche preservando il loro valore legale, come si spiega allora l’apparente pervicacia con cui molte organizzazioni rimangono attaccate al supporto cartaceo? Nella maggior parte dei casi, la sfida maggiore e di conseguenza l’ostacolo apparentemente invalicabile, è rappresentato dalla necessità di ridisegnare completamente i processi. Un passo che comporta necessariamente investimenti. Più grande e complessa è l’organizzazione, maggiore sarà l’ampiezza dell’impatto determinato dalla reingegnerizzazione dei processi, spesso resi complicati da aggiunte e personalizzazioni accumulate in anni di crescita del business. In alcuni casi, una possibile soluzione è offerta dagli standard di processo ed eventualmente dai servizi BPO (business process outsourcing) ma attenti alle integrazioni. I sistemi aziendali e del provider devono poter parlare la stessa lingua. Sembra una banalità, ma spesso è proprio qui che si nascondono nuove inefficienze.

Testo redatto da
Carlo Secchi, Sales Director Swisscom (Svizzera) SA Enterprise Customers, Bellinzona