La Cina ha annunciato che dal 1
gennaio 2020 accetterà i Carnet ATA anche per le merci sportive. Si creano così
le basi per facilitare le Olimpiadi invernali di Pechino nel 2022.
Il Carnet ATA, il documento internazionale per l’esportazione temporanea di merci, denominato anche “passaporto delle merci”, permette il passaggio alle frontiere senza dover pagare tasse né tributi nell’arco di un anno. Questo documento è attualmente accettato da 78 Paesi ed è rilasciato dalle Camere di commercio.
La Cina accetta il Carnet ATA per “mostre,
fiere, congressi” ufficiali, per il “materiale professionale” e
per i “campioni commerciali”. Dal 1 gennaio 2020 le condizioni
vengono estese anche al materiale dedicato alle manifestazioni sportive. Questo
ampliamento giunge al momento opportuno e sarà molto apprezzato dagli atleti e da
tutte le entità coinvolte nei Giochi Olimpici invernali che si disputeranno nel
2022 a Pechino.
La Cina ha introdotto il sistema dei Carnet ATA nel 1998, accettando le esportazioni temporanee solo per mostre e fiere. A gennaio 2019 sono state aggiunte anche le attrezzature professionali e i campioni commerciali, permettendo a queste ultime di entrare temporaneamente nella più grande nazione asiatica.
Il Servizio Export della Cc-Ti è sempre a disposizione per informazioni relative ai Carnet ATA e al loro utilizzo. Non esitate a contattarci.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2019/12/ART19_carnet-ATA_cina_sport.jpg8151280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2019-12-04 16:37:512019-12-04 16:37:51Cina: I Carnet ATA anche per le manifestazioni sportive
Nel corso delle ultime settimane mercati e governi centrali hanno posto molta attenzione alla situazione turca.
Occorre pertanto valutare anche l’impatto potenziale di un nuovo periodo di tensioni finanziarie in Turchia attraverso tre canali: esposizione in valuta estera, comportamento nei pagamenti e potenziali ricadute.
Dopo il recente intervento militare turco nella Siria settentrionale,
l’amministrazione statunitense ha reagito con una tariffa del 50% sulle
importazioni di acciaio turco, misura recentemente revocata in via provvisoria.
L’impatto diretto di questa misura è stato, e sarebbe in caso di riattivazione,
piuttosto contenuto dato che gli US sono un partner di esportazione minore per
l’economia turca (4.9% del totale).
Tuttavia, gli impatti indiretti, come l’evoluzione della lira turca (TRY),
il differimento del debito e il comportamento in materia di pagamenti,
avrebbero conseguenze più ampie.
L’economia turca non è immune da un nuovo shock. Sebbene sia già uscita
dalla profonda recessione del secondo semestre 2018, innescata da un forte
shock dei tassi di cambio (fino a -50% di deprezzamento del tasso di cambio),
la crescita del PIL rimane contenuta (-0,2% nel 2019 e +2,3% nel 2020).
Dovrebbe tornare al livello precedente la crisi solo nel 2021.
Diventerebbe invece assai problematico per la Turchia se l’UE aderisse a
nuove eventuali sanzioni statunitensi (come ha fatto con la Russia nel 2014).
Ad ogni modo riteniamo che, poiché l’esposizione dell’Europa all’economia turca
è significativa, ciò renda al momento improbabili sanzioni finanziarie severe. In
aggiunta l’UE dipende dalla Turchia per trattenere un afflusso potenzialmente
enorme di rifugiati verso l’UE.
Le riserve estere della Turchia hanno recuperato in parte grazie al
riequilibrio della bilancia commerciale. Tuttavia, le riserve in valuta estera
sono ancora sotto il livello adeguato: non coprono tutte le potenziali esigenze
di liquidità che si presenterebbero in caso di shock.
Il deterioramento dei termini di pagamento è il risultato di un
fabbisogno di liquidità maggiore da quando i giorni medi di pagamento (DSO)
sono aumentati di +11 giorni dal 2008 (68 giorni) al 2018 (79 giorni). Parallelamente,
prevediamo che le insolvenze aziendali cresceranno del +8% nel 2019 raggiungendo
un livello pari a +20% in confronto al valore minimo del 2016.
Le economie europee non sono immuni da eventuali contagi. Il circuito
bancario-sovrano è il canale d’impatto più probabile. Le banche dell’UE hanno
una delle più ampie esposizioni verso la Turchia e, allo stesso tempo, alcune
economie europee devono ancora affrontare un livello significativo di crediti
in sofferenza nei loro sistemi bancari e livelli elevati di debito pubblico.
Le banche spagnole, francesi e britanniche sono
le più esposte con la Turchia e l’esposizione complessiva è ancora rilevante,
nonostante un calo simmetrico nell’ultimo anno (-20% circa).
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2019-11-26 09:39:552019-11-26 14:51:59Turchia: uno sguardo da vicino
Il primo gennaio 2020 sono entrate in vigore le nuove regole Incoterms ICC. Presso la Cc-Ti è acquistabile il libro in versione italiano/inglese.
Si è concluso il processo di revisione delle Regole Incoterms®, avviato nel 2016, e il 1° gennaio 2020 sono entrate in vigore le nuove clausole di resa. Ogni dieci anni la Camera di commercio internazionale effettua questo esercizio di rinnovamento per renderle più performanti e per adattarle alle necessità pratiche degli attori attivi nel commercio internazionale.
La nuova edizione degli Incoterms® presenta alcune novità che saranno approfondite durante il corso di aggiornamento, in agenda il 23 gennaio.
Come noto gli Incoterms® sono di supporto alle imprese nell’evitare di incorrere in costi non necessari chiarificando, all’interno del contratto, le obbligazioni delle parti, i costi e i rischi sostenuti da ciascuna di esse durante le operazioni di import ed export delle merci.
Presso la Cc-Ti sono disponibili i libri “Incoterms 2020” nella versione italiano/inglese. Per chi desiderasse acquistarne una o più copie è pregato di scrivere un email con i propri dati.
Costi: (70 CHF per i soci / 82 CHF per i non soci + spese di spedizione).
Nell’ambito degli stage in azienda, in che modo devono agire i datori di lavoro relativamente al tema della copertura assicurativa contro gli infortuni (LAINF)? Ecco un breve vademecum.
È assodato che durante
uno stage “al fine di prepararsi alla scelta di una professione” presso un
datore di lavoro la persona è assicurata d’obbligo contro gli infortuni (art.
1a cpv. 1 lett. a LAINF in concomitanza con art. 1a cpv. 1 OAINF). Questo è naturalmente
valido anche per giovani studenti delle scuole medie.
La copertura
assicurativa si estende poi anche in ambito non professionale quando la persona
durante lo stage lavora almeno 8 ore settimanali (art. 8 LAINF con art. 13
OAINF). Se la durata del lavoro fosse invece inferiore, la copertura
assicurativa è valida solo per gli infortuni professionali (art. 7 LAINF)
compreso però il tragitto più breve per recarsi al lavoro o sulla via del
ritorno.
In caso d’infortunio
la persona avrà diritto alle prestazioni sanitarie previste dalla LAINF (art.
10 e segg.) così come alle prestazioni in contanti. Per quanto concerne
l’indennità giornaliera, anche gli stagisti fino a 20 anni, avranno diritto a
CHF 32.50/giorno dal 3. giorno dopo l’infortunio (art. 23 cpv. 6 OAINF).
Se la persona al
termine dello stage riceve un salario, quest’ultimo sarà determinante per
pagare i premi assicurativi. I premi assicurativi, che variano a dipendenza
della comunità di rischio alla quale è attribuita l’azienda, contro gli
infortuni professionali sono a carico del datore di lavoro, quelli per i premi
non professionali (se appunto lavoro > 8h/sett.) possono essere dedotti dal
salario. Il datore di lavoro riceverà la fattura per i premi complessivi.
Purtroppo spesso lo
stagista non riceve un salario, per cui in questi casi si calcolano i premi
assicurativi sulla base di un “salario fittizio” di CHF 41 [10% (148’200/365)]
per ogni giorno civile per i giovani fino a 20 anni (CHF 82/giorno se > 20
anni) così come previsto dall’art. 115 cpv. 1 lett. b OAINF.
Una notifica formale
al proprio assicuratore LAINF dell’inizio di ogni singolo stage non è
necessaria; basterà notificare le persone sulla solita dichiarazione salariale
LAINF di fine anno nella rubrica, se prevista, “salari supplementari, per es.
giovani, pensionati, tirocinanti” oppure nella lista assieme al resto del
personale occupato.
Per qualsiasi ulteriore richiesta di informazioni/precisazioni
il datore di lavoro può sicuramente rivolgersi al proprio assicuratore LAINF
contro gli infortuni (sia esso la Suva o un assicuratore privato).
Testo a cura di Fabio Bonaldi, Responsabile imprese, Suva Bellinzona
Vi ricordiamo che la Cc-Ti, attraverso il suo Servizio giuridico, è a disposizione delle imprese associate per fornire maggiori informazioni. Contattateci per altri dettagli!
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2019-11-13 11:01:282019-11-13 11:43:57LAINF e stage: come comportarsi?
Dall’ospedale
all’azienda: quando la pulizia diventa centrale
Le molte sfaccettature della nostra economia ci suggeriscono di dare spazio, a scadenze regolari, anche ad attività magari meno conosciute o ritenute erroneamente marginali. Una di queste è il settore delle pulizie. Nonostante di primo acchito le pulizie possano sembrare un aspetto marginale del business, in alcuni casi assumono un ruolo centrale. Poter contare su un partner affidabile e competente è cruciale.
Un ambiente piacevole e curato
costituisce senza ombra di dubbio un buon biglietto da visita nei confronti dei
clienti, nonché una sorta di segno di rispetto per i collaboratori attivi nello
stesso ambiente. Questo è valido per tutti i tipi di realtà aziendale, con
differenti livelli di rilevanza a dipendenza del settore. La complessità stessa
di mantenere pulito un ambiente può chiaramente variare molto in contesti e
realtà diverse: la pulizia degli uffici, così come di ricezione, sale riunioni
e caffetteria normalmente non presenta particolari difficoltà. Quando invece si
inizia a entrare in zone di produzione e avere a che fare con macchinari ed
impianti, l’asticella inevitabilmente si alza, così come l’importanza per il
cliente di un compito svolto in modo efficace e preciso.
Il Centro Stampa Ticino ad
esempio si affida a ISS Facility Services per la pulizia sia degli uffici e
aree comuni, sia dell’area di produzione e in particolare dell’area della
rotativa. L’imponente macchinario, che occupa uno spazio di circa 200 metri
quadrati suddiviso su tre piani, uno dei pochi in Svizzera e fiore
all’occhiello del Centro Stampa, consente di produrre fino a 45’000 copie
l’ora. Una volta alla settimana è necessario ripulire dall’inchiostro le
ringhiere e il pavimento metallico con prodotti specifici. Considerando che la
rotativa lavora con rotoli di carta dal peso di oltre 1.2 tonnellate pronti per
essere stampati, una pulizia attenta è garanzia di continuità operativa, perché
nel caso in cui un rotolo si dovesse bagnare significherebbe fermare la
produzione con conseguenze importanti in termini economici e di produttività.
Sapere che il fornitore del servizio ha le competenze necessarie e che sempre
le stesse persone esperte si occupano della pulizia di questo macchinario è un
aspetto che cliente valuta positivamente.
Le pulizie possono tuttavia
rivestire un ruolo ancora più cruciale per il core business, essendo
determinanti per la riuscita delle operazioni aziendali. Ne sono esempio le
pulizie di laboratori, camere bianche o locali sterili, dove una disinfezione
eseguita a regola d’arte può essere fondamentale per rispondere a requisiti di
legge, ottenere certificazioni o poter svolgere le attività aziendali stesse.
Un esempio è il caso di Humabs
BioMed, realtà specializzata nella ricerca biomedica ed in particolare nello
sviluppo di anticorpi per curare le malattie infettive, che si è rivolta ad un
provider esterno anche per l’igienizzazione della vetreria utilizzata in
laboratorio. Questa mansione, che deve essere svolta seguendo un processo
curato nei minimi dettagli, è necessaria per garantire che i liquidi contenuti
nei recipienti siano resi inattivi, e dunque che questi possano essere
riutilizzati in tutta sicurezza per nuove analisi. L’azienda ha impartito una
formazione speciale al team incaricato di ISS Facility Services per svolgere il
compito. Come testimonia il Direttore generale di Humabs BioMed Filippo Riva,
esternalizzare è per l’azienda un approccio a tutto campo: “Confrontati con la
scelta strategica make or buy, abbiamo deciso di propendere per la seconda
opzione: in azienda contiamo 30 persone di cui 25 impiegate nella ricerca, il nostro core business. Con
l’acquisto di servizi esterni per talune attività, possiamo concentrarci sullo
sviluppo aziendale. Per
quanto riguarda le pulizie e la disinfezione dei laboratori e vetreria,
affidarci a un partner esterno che ci garantisce la massima affidabilità e di
cui possiamo fidarci ci offre una flessibilità importante”. In effetti,
le collaboratrici ISS incaricate della mansione rimangono le stesse, comprese
le sostitute che garantiscono la copertura 365 giorni all’anno.
Per altre realtà, come ad esempio
ospedali, cliniche e case per anziani, un ulteriore aspetto da considerare
quando ci si affida a un partner esterno per alcune attività è il fattore
umano. Infatti, in ambienti nei quali chi si occupa delle pulizie entra
contatto con le persone, che spesso si trovano inoltre in un momento di
difficoltà, è importante che si possa instaurare un rapporto di rispetto. Anche
in questo caso, avere i medesimi collaboratori che entrano nella struttura,
consente di rendere un servizio migliore al cliente.
In definitiva, un settore che
sembra semplice come quello delle pulizie mostra molteplici sfaccettature.
Saper cogliere le peculiarità di ogni ambito significa saper rispondere al
meglio alle esigenze del cliente e metterlo nelle condizioni di contare anche
sulle pulizie come aspetto integrante del proprio successo.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2019-11-07 14:55:592021-03-02 14:33:33I molti risvolti dell’outsourcing
Un’informativa sulle modifiche del Codice delle obbligazioni – decise dal Consiglio federale – che decretano l’abolizione delle azioni al portatore per le società non quotate in borsa.
Lo scorso 27 settembre il Consiglio federale ha stabilito che le modifiche del Codice delle obbligazioni che decretano l’abolizione delle azioni al portatore per le società non quotate in borsa decise dal Parlamento nel mese di giugno, sono entrate in vigore il 1° novembre 2019.
Le società avranno 18 mesi di tempo dall’entrata in vigore per adeguarsi a tale divieto e per modificare di conseguenza i propri statuti. Inoltre, dal mese di novembre in Svizzera non sarà più possibile costituire nuove società con titoli al portatore. Si consiglia pertanto a tutte le società con titoli al portatore di rivolgersi ai loro rispettivi notai di fiducia per procedere alle modifiche necessarie. In caso di inadempienza la nuova legge prevede sanzioni e l’annullamento delle azioni al portatore ancora esistenti entro 5 anni.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2019-11-04 10:34:002019-11-04 11:34:221° novembre 2019: abolizione delle azioni al portatore
Il presente articolo a firma di Bernardo Lamoni è il terzo aggiornamento inerente la riforma del sistema dell’IVA nell’UE. I contenuti di questo testo saranno integrati anche durante il corso di formazione “IVA: Cessioni intracomunitarie” in agenda il 19 novembre.
In data 4 dicembre 2018 il
Consiglio dell’Unione Europea ha approvato una serie di misure urgenti,
integrate nella normativa IVA comunitaria, denominate “Quick Fixes” e che
riguardano quattro specifiche tematiche. Le misure sono finalizzate a
migliorare il funzionamento pratico di determinate aree storicamente
problematiche e saranno applicabili a partire dal 1° gennaio 2020 a tutti i
soggetti passivi registrati ai fini IVA in uno Stato Membro dell’Unione
Europea, senza distinzioni in base all’ubicazione della sede dell’attività
operativa all’interno o all’esterno del territorio comunitario (1).
Di seguito le caratteristiche
principali ed alcune osservazioni relative alle quattro misure adottate:
1 –
Obbligo dell’acquirente di disporre di un numero di identificazione per le
cessioni intracomunitarie
L’acquirente di una cessione
intracomunitaria dovrà registrarsi ai fini dell’IVA in uno Stato diverso da
quello in cui ha inizio il trasporto dei beni. Nel caso di una cessione
intracomunitaria tra due operatori, l’acquirente sarà identificato nello Stato
UE di destinazione dei beni.
L’adempimento di quest’obbligo
rappresenta un requisito sostanziale per consentire al fornitore di applicare,
per la cessione intracomunitaria, l’esenzione ad IVA nello Stato UE di partenza
della spedizione.
L’attuale regime IVA prevede per
il fornitore, l’obbligo di trasmissione dei dati alle autorità fiscali dello
Stato UE di arrivo dei beni, attraverso l’inoltro degli elenchi riepilogativi.
Tuttavia ad oggi, il mancato inoltro degli stessi comporta solamente
l’applicazione di sanzioni, senza causare il diniego dell’esenzione all’IVA nel
caso di cessioni intracomunitarie debitamente comprovabili.
Le modifiche in oggetto prevedono
che anche la corretta presentazione degli elenchi riepilogativi diventino un
requisito sostanziale per il riconoscimento dell’esenzione all’IVA alle
cessioni intracomunitarie (2).
2 –
Creazione di disposizioni comuni inerenti alle prove documentali del
trasferimento fisico delle merci nell’ambito delle cessioni intracomunitarie
Il fornitore di una cessione
intracomunitaria per poter beneficiare dell’esenzione all’IVA nello Stato UE di
partenza del bene ha da sempre l’onere della prova del trasferimento fisico
della merce. A tutt’oggi le normative UE non prevedono disposizioni comuni
circa i documenti utilizzabili, lasciando ai singoli Stati l’emanazione di
normative locali.
A partire dal
1° gennaio 2020 saranno considerati elementi di prova:
a) i documenti
relativi al trasporto o alla spedizione dei beni, quali ad esempio un documento
o una lettera CMR riportante la firma, una polizza di carico, una fattura di
trasporto aereo, oppure una fattura emessa dallo spedizioniere;
b) una polizza
assicurativa relativa alla spedizione o al trasporto dei beni o i documenti
bancari attestanti il pagamento per la spedizione
o il trasporto dei beni; documenti ufficiali rilasciati da una pubblica
autorità, ad esempio
da un notaio, che confermino l’arrivo dei beni
nello Stato membro di destinazione; una ricevuta rilasciata da un depositario nello
Stato membro di destinazione che confermi il deposito dei beni in tale
Stato UE
Nel caso in cui il trasporto sia organizzato dal venditoresi
presume avvenuto il trasferimento intracomunitario dei beni in presenza di
almeno due elementi di prova non contradditori rilasciati da parti indipendenti
dal venditore e dall’acquirente, di cui alla lettera a).
In via alternativa quando il venditore è in possesso di uno qualsiasi
degli elementi probatori di cui alla lettera a), in combinazione con uno degli
elementi probatori non contradditori di cui alla lettera b), che confermino il trasporto e che
siano stati rilasciati da due diverse parti indipendenti l’una dall’altra e
rispetto al venditore ed all’acquirente.
Inoltre,
qualora il trasporto sia organizzato dall’acquirente occorrerà
aggiungere come ulteriore elemento di prova, in aggiunta agli elementi prodotti
secondo la combinazione summenzionata, una dichiarazione scritta rilasciata
dall’acquirente che certifica che i beni sono stati trasportati da quest’ultimo
in un determinato altro Stato UE.
Si tratta
delle uniche disposizioni che non saranno integrate nella
direttiva comunitaria sull’IVA 2006/112/CE ma che andranno a modificare il
regolamento UE 282/2011. In quest’ambito è rimasta tuttavia invariata la
disposizione contenuta nella direttiva che delega agli Stati UE la scelta della
documentazione probatoria (3). Questo principio è stato citato anche dalla
Corte di Giustizia Europea (4).
Occorreranno quindi
ulteriori chiarimenti in merito alla possibilità di utilizzo degli attuali set
documentali previsti in determinati Stati UE, come prove alternative, qualora
la presunzione dell’avvenuto trasporto intracomunitario venisse rigettata da
parte delle autorità fiscali, seguendo i nuovi criteri visti sopra (5).
Favorevoli in
questo senso sono anche le note esplicative ai “Quick Fixes” (non vincolanti),
che sono attualmente in fase di elaborazione da parte del Group of the Future
of VAT, sottostante alla Direzione generale della fiscalità e dell’Unione
doganale (TAXUD).
Infine il
nuovo principio che esige che i documenti di trasporto intracomunitari debbano
essere emessi da “parti indipendenti” andrebbe chiarito riguardo
all’eventualità nella quale il trasporto dei beni sia effettuato con mezzi
propri (esempio trasporto carburanti in autocisterne o in altri mezzi di
trasporto) o con mezzi di trasporto di una società appartenente al medesimo
gruppo.
3 –
Disposizioni comuni in regime di “Call-off stock”
Le nuove disposizioni in regime
di “Call-off stock” (conosciuto anche come “Consignment stock”), mirano ad evitare che un fornitore di uno
stato UE, che detiene merci proprie in un altro Stato UE e le mette a
disposizione di un suo cliente stabilito nel medesimo stato, debba anche
identificarsi ad IVA nello Stato UE del cliente.
In una prima fase il
trasferimento dei beni a destinazione del cliente, senza che vi sia passaggio
di proprietà degli stessi, non ha rilevanza ai fini impositivi. Solamente al
momento del prelevamento dei beni per le proprie necessità imprenditoriali da
parte del cliente, si genererà una cessione intracomunitaria tra fornitore e
cliente con relativo passaggio di proprietà. Evidentemente il trasferimento
fisico intracomunitario dei beni ha già avuto luogo in precedenza.
Le attuali normative comunitarie
sono per contro più articolate ed obbligano il fornitore a registrarsi nello
Stato UE del cliente, poiché:
La spedizione della merce all’acquirente
genera nello Stato UE del fornitore un trasferimento intracomunitario di
beni “a sé stesso” in uscita, rilevante perciò ai fini IVA, da dichiarare
con gli stessi criteri delle usuali cessioni intracomunitarie.
Il successivo l’arrivo della merce negli
stabilimenti del cliente genera sempre per il fornitore un trasferimento
di beni “a sé stesso” in entrata, pure rilevante ai fini IVA, da
dichiarare con gli stessi criteri degli usuali acquisti intracomunitari
nello Stato UE del cliente.
All’atto del successivo prelevamento dei beni
da parte dell’acquirente si genererà la cessione rilevante ai fini
dell’IVA che si qualificherà come cessione nazionale imponibile.
Va tuttavia precisato che alcuni
Stati UE hanno già sviluppato misure di semplificazione personalizzate,
attuabili solamente nel caso in cui lo Stato UE di controparte disponga di
norme analoghe, allo scopo di evitare lacune di imposizione o doppie
tassazioni.
A fronte di queste casistiche, si
è quindi reso necessario formulare una solida base giuridica comune per
permettere la sincronizzazione degli scambi commerciali di questo tipo e per
evitare il rischio di eventuali ricorsi alla Corte di Giustizia Europea, la
quale non avrebbe avuto alcuna normativa comunitaria di appoggio se chiamata ad
esprimersi sulle misure semplificative unilateralmente adottate da taluni Stati
UE.
Le nuove disposizioni potrebbero
quindi essere interessanti anche per soggetti passivi non UE che già dispongono
di un magazzino merci in uno Stato UE e che vorrebbero evitare di doversi
registrare anche in un altro Stato UE dove dispongono di merci proprie presso
un loro cliente secondo il regime in oggetto.
A livello pratico le nuove norme
in regime di “Call-off stock” implicano alcune misure di gestione di tipo
organizzativo ed informatico che vanno affrontate per tempo. Se la società
effettua già cessioni intracomunitarie propriamente dette, dove cioè la
fatturazione della cessione intracomunitaria è direttamente collegata alla
documentazione di trasporto, essa dovrà prevedere nuove misure per i presenti
casi di cessioni intracomunitarie “differite”. In questo caso infatti la
documentazione di trasporto sarà collegata ai beni inizialmente trasferiti e
dovrà in un secondo momento essere abbinata ai beni successivamente fatturati,
in modo frazionato, al momento del prelevamento da parte del cliente. Il tutto
dovrà essere predisposto anche in senso inverso in caso di reso.
4 –
Disposizioni concernenti le operazioni a catena tra tre operatori, quando il
trasporto è organizzato dall’operatore intermedio
Le operazioni a catena, rientranti
nel campo di applicazione della proposta in oggetto, sono caratterizzate da
cessioni successive della stessa merce che viene trasferita da uno Stato UE ad
un altro Stato UE mediante un unico trasporto. Le operazioni a catena si
differenziano dalle triangolazioni intracomunitarie (6) in quanto in
quest’ultime l’operatore intermedio è identificato ad IVA in uno Stato UE
terzo, che non deve quindi essere né lo Stato UE di partenza del trasporto
delle merci, né lo Stato UE di destinazione delle stesse.
Nelle operazioni a catena tra tre
operatori (A, B e C) l’assenza di disposizioni comunitarie aveva costretto
varie volte i soggetti interessati a ricorrere alla Corte di Giustizia Europea
(CGE) per conoscere il trattamento ad IVA delle due cessioni. Nelle sue
sentenze la CGE aveva stabilito che in un’operazione a catena potevano
realizzarsi due scenari:
qualora la prima cessione fosse stata quella
collegata al trasporto delle merci (cessione intracomunitaria da A a B, esente
da IVA), la seconda andava qualificata come cessione nazionale nello Stato UE
di destinazione delle merci (cessione imponibile da B a C).
viceversa, qualora la seconda cessione fosse stata
quella collegata al trasporto delle merci (cessione intracomunitaria da B a C,
esente da IVA), la prima andava qualificata come cessione nazionale nello Stato
UE di partenza delle merci (cessione imponibile da A a B).
Per quanto
riguarda i criteri da considerare al fine di stabilire quando si sarebbe
verificato il primo o il secondo scenario, la GCE stabiliva che la risposta
dipendeva da una valutazione
globale di tutte le circostanze del singolo caso che doveva essere
effettuata dal giudice nazionale.
In particolare occorreva
determinare “il momento in cui
il potere di disporre del bene come proprietario era stato trasferito al
destinatario finale. Infatti, nell’ipotesi in cui il secondo trasferimento del
potere di disporre del bene come proprietario (cessione da B a C) avesse avuto
luogo prima che fosse stato effettuato il trasporto intracomunitario,
quest’ultimo non avrebbe più potuto essere imputato alla prima cessione in
favore del primo acquirente.” In tal caso si sarebbe quindi realizzato il
secondo scenario. Mentre nei rimanenti casi si sarebbe realizzato il primo
scenario (7).
Questi criteri,
di difficile realizzazione pratica, avevano generato parecchie insicurezze
nelle amministrazioni fiscali dei vari Stati UE. Si è quindi reso necessario
creare a livello di direttiva UE una nuova normativa più semplice e sicura.
I nuovi criteri, applicabili a
decorrere dal 1° gennaio 2020 e che determinano la cessione intracomunitaria
quando il trasporto è organizzato dal fornitore intermedio B in
un’operazione a catena tra tre operatori (A-B-C), dipendono esclusivamente
dall’utilizzo della partita IVA da parte di B e si possono così riassumere:
se B è identificato ad IVA nello Stato UE di
arrivo dei beni, la cessione tra A e B qualificherà come intracomunitaria
e la successiva cessione tra B e C sarà imponibile nello Stato UE di
destinazione dei beni,
mentre se B comunica ad A la propria
partita IVA dello Stato UE di partenza, la cessione tra B e C qualificherà
come intracomunitaria e l’anteposta cessione tra A e B sarà imponibile
nello Stato UE nel quale ha avuto origine la spedizione.
Pur trattandosi di un passo
importante e utile per i numerosi operatori attivi in campo intracomunitario,
occorre tuttavia considerare che in alcune specifiche situazioni, ad esempio
nel mercato delle materie prime, le cessioni a catena avvengono spesso tra
numerosi operatori in un lasso di tempo assai ridotto. Questa nuova normativa
dovrebbe quindi senz’altro essere ulteriormente approfondita ed affinata al
fine di considerare le reali molteplici casistiche che posso presentarsi.
Per contro non si è ritenuto
necessario estendere a livello di normativa comunitaria le ipotesi nelle quali
il trasporto sia organizzato dal primo fornitore A o dall’ultimo acquirente C.
In questi casi, la regola generalmente adottata dagli Stati UE è la seguente:
se il
trasporto è organizzato da A: la cessione da A a B si qualificherà come
intracomunitaria, mentre la successiva cessione da B a C sarà imponibile ad IVA
nello Stato UE di destinazione;
mentre se
il trasporto è organizzato da C: la cessione da A a B sarà imponibile
nello Stato UE di partenza dei beni, la successiva cessione da B a C si
qualificherà come intracomunitaria.
Queste semplici regole sono state
considerate talmente ovvie da parte della Commissione Europea da ritenere
superflua la loro integrazione nella nuova normativa in oggetto (8). Tuttavia
proprio di recente la Corte di Giustizia ha avuto modo di esprimersi su un caso
di cessione a catena nella quale il trasporto dei beni era organizzato
dall’ultimo acquirente, ribadendo ancora una volta il proprio orientamento,
come descritto precedentemente, alla luce di una “valutazione globale di tutte
le circostanze del singolo caso” (9). Un
vero peccato che anche quest’ultime regole non siano state conglobate nelle
presenti “Quick Fixes”.
Testo a cura di Bernardo Lamoni, MA Business and Economics Università di Zurigo Fiduciario commercialista, Rappresentante IVA Via Bosia 13, 6900 Paradiso Email
Dalla protezione del dipendente alle misure disciplinari: un vademecum a riguardo.
Screzi tra dipendenti, un collega che ribatte a una frecciatina, un ambiente lavorativo non armonioso come si auspicherebbe. Il timore di essere ripresi dal proprio superiore, di andare a fondo e chiarire la situazione, possibili ritorsioni, o peggio, la perdita del lavoro. Per ogni società, il capitale umano è imprescindibile. Dunque è di primaria importanza il benessere dei propri collaboratori. Nelle relazioni interpersonali la comunicazione è uno dei fattori primari che può però, se non correttamente adoperata, portare a fraintendimenti o incomprensioni; da lì all’insorgenza di un conflitto, il passo è breve. Nei rapporti di lavoro i conflitti possono essere all’ordine del giorno. Come gestirli? Ogni rapporto dipendente-datore di lavoro è disciplinato con obblighi reciproci (prestazione del lavoro del collaboratore, pagamento del salario da parte del datore di lavoro), al quale si aggiungono la lealtà (art. 321 a CO) e il rispetto delle direttive ricevute dal datore di lavoro (articolo 321 d CO). Anche il datore di lavoro è tenuto a preservare la salute e l’integrità personale dei dipendenti, garantendo il rispetto della moralità in azienda (articolo 328 CO).
Violazione degli obblighi dei dipendenti
Di norma quelli che vengono definiti ‘conflitti classici’ si riferiscono a un insieme di violazioni degli obblighi dei dipendenti verso il datore di lavoro (mancata soddisfazione o scarso rendimento delle prestazioni lavorative). Qualche esempio? I cosiddetti ‘casi tipici’ riguardano la violazione dell’obbligo di lealtà, come ad esempio: comportamenti illeciti o non rispettosi nei confronti del datore di lavoro o dei clienti, la svalutazione della reputazione aziendale, il turbamento dell’ambiente lavorativo, il lavoro per terzi durante l’orario di lavoro, la violazione del divieto di concorrenza, la violazione degli obblighi di riservatezza, e così via. Il datore di lavoro può imporre il rispetto di tali obblighi mediante una denuncia e una misura di vincolo. Nel caso di un rifiuto ingiustificato di prestazioni connesse al proprio lavoro, il datore di lavoro può rivalersi anche sullo stipendio, trattenendone una parte (articolo 324 CO: principio di “niente lavoro, niente stipendio”). Anche le richieste di risarcimento danni possono essere trattata nello stesso modo (articolo 323 b, al. 2 CO).
Intervenire con
misure disciplinari: un rimprovero, un avvertimento, il licenziamento
In generale un datore di lavoro agisce conseguentemente alle violazioni contrattuali del dipendente con delle azioni disciplinari che, normalmente andrebbero gestite “a scala”: un rimprovero, un avvertimento (con o senza imposizione di un periodo di prova) fino a giungere alla cessazione del rapporto di lavoro. Nel caso del rimprovero (quale misura disciplinare limitata), si sanzionano i comportamenti contrari al contratto lavorativo o alle direttive ricevute. Consigliamo sempre la forma scritta o ev. orale, con un colloquio e verbale dell’incontro controfirmato dal dipendente. La minaccia di una sanzione è strettamente collegata e conseguente a un avvertimento precedente, nel caso in cui il comportamento o le prestazioni del collaboratore non siano migliorate. L’avvertimento e la minaccia di sanzione devono essere espressi in modo chiaro, affinché i dipendenti ne comprendano le conseguenze e, specialmente, le motivazioni. Si consiglia di consegnare l’avvertimento per iscritto, a fini probatori. La sanzione vera e propria solitamente corrisponde al licenziamento immediato. La minaccia di un licenziamento regolare è anche possibile, ma in questo caso il datore di lavoro deve valutare il fattore “tempo” e ne sarà vincolato. Altre misure sanzionatorie possono essere prese in considerazione. Tra esse vi sono le “multe” (pena pecuniaria, riduzione della retribuzione, lavoro extra, trasferimento, proroga del periodo di prova e sospensione), ma richiedono una forma specifica scritta antecedentemente nel contratto di lavoro (a titolo preventivo) e accettata da parte del collaboratore.
Quando i conflitti riguardano
i rapporti con il capo: problemi tra dipendenti e supervisori
Quando nascono conflitti sul posto di lavoro, essi non hanno
una vera e propria distinzione gerarchica: possono riguardare situazioni fra
colleghi o con i propri superiori. Si parla di ‘mobbing’ (termine avvallato
anche dal Tribunale Federale – TF) quando si assiste a un comportamento
duraturo, sistematico, ostile e per un lungo intervallo di tempo verso qualcuno
che lo porterà a essere isolato nel suo stesso posto di lavoro.
In queste situazioni, il datore di lavoro è
tenuto, per suo dovere di assistenza (articolo 328 CO), a proteggere i
dipendenti da qualsiasi atto che leda la loro personalità/persona. Devono
venire presi in considerazione colloqui e sforzi di riconciliazione verso l’interno
o verso l’esterno dell’azienda, l’elaborazione di regole comportamentali, direttive
per coloro che hanno commesso mobbing, lo spostamento all’interno dell’azienda
e, in ultima istanza, l’annuncio di un licenziamento.
Licenziamento vs.
situazione di conflitto
Nel caso in cui si debba ricorrere ad un licenziamento
scaturito da una situazione conflittuale occorre prestare estrema attenzione. Il
diritto del lavoro svizzero riconosce il principio della libertà di
licenziamento secondo cui il datore di lavoro non necessita di invocare alcun motivo
specifico per il licenziamento o di dimostrarlo. È solo su richiesta dei
dipendenti che il datore di lavoro dovrà motivare per iscritto il licenziamento
(art. 355 cpv. 2, art. 337 cpv. 1 CO).
Un licenziamento con effetto immediato del
dipendente viene preso in considerazione solo quale ultima ratio. A parte per
casi estremi, come un reato sul luogo di lavoro, tale azione sarà raramente
considerata giustificata. In caso di licenziamento abusivo con effetto
immediato, il datore di lavoro rischia di dover risarcire l’importo del salario
del dipendente durante il suo normale periodo di licenziamento con una penalità
aggiuntiva fino a sei mesi di stipendio (art 337 c CO).
Gestione e perfomance dei conflitti
I contenuti di questa scheda vogliono portare a riflettere e
sottolineano l’importanza di una gestione HR umana e puntuale, che deve essere
efficacie. I datori di lavoro dovrebbero periodicamente esaminare le
prestazioni e il comportamento dei propri dipendenti con colloqui periodici. In
caso di impegno insufficiente, il datore di lavoro deve comprenderne eventuali
motivazioni e, solo conseguentemente l’ascolto, deve informare il proprio
dipendente delle misure disciplinari a disposizione in caso di mancato
miglioramento.
In caso di rimproveri e avvertimenti si consiglia di organizzare un colloquio personale tra il superiore e il collaboratore, alla presenza di una seconda persona delle HR per motivi probatori. Nella pratica, la seguente procedura si è dimostrata efficace:
dare l’opportunità al dipendente di spiegarsi in
relazione ai fatti e trarne le oggettive considerazioni;
successivamente trovare insieme le soluzioni
appropriate. Eventuali accordi vanno sottoscritti e monitorati;
durante un sucessivo colloquio di feedback, è
necessario verificare se il dipendente ha fatto propri gli obiettivi
prestazionali stabiliti insieme. Se necessario andranno essere prese ulteriori
misure correttive/disciplinari.
In caso di controversie tra dipendenti e il loro diretti
superiori, il datore di lavoro deve prendere tutte le misure appropriate al
fine di disinnescare il conflitto. Se, dopo aver fatto tutto il possibile, non
si sono trovate misure per dar soluzione al conflitto, è possibile prendere in
considerazione la disdetta di uno o dell’altro collaboratore.
Fonte: WEKA, 09.2019 – articolo rielaborato dalla Cc-Ti
La Cc-Ti è volentieri a disposizione dei propri soci, attraverso il Servizio giuridico, per consigli in merito.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2019-10-08 10:29:462019-10-08 10:30:20La gestione dei conflitti sul posto di lavoro
Quali le regole UE applicabili o da applicare al nostro territorio? Ecco un’informativa a tal proposito.
GDPR, come dice la sigla (General Data Protection Regulation), è un testo che volge a uniformare le leggi europee sul trattamento dati e il dovere di controllo delle informazioni che riguardano ogni persona. Nell’aprile 2016 è arrivata l’adozione del testo da parte del Consiglio europeo e del Parlamento europeo, e il 4 maggio 2016, i testi del Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali e della Direttiva che regola il trattamento dei dati personali sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea. Il Regolamento entra, per prassi, in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta ed è entrato effettivamente in applicazione in tutti gli Stati membri, dal 25 maggio 2018 (deadline uguale per tutti i Paesi). Per questa data, infatti, ha dovuto essere garantito il perfetto allineamento delle varie normative nazionali con le disposizioni previste dal Regolamento. In Svizzera, le attività di vigilanza e controllo in materia di protezione dei dati sono assicurate dell’Incaricato federale della protezione dei dati e della trasparenza (IFPDT) e dalle autorità cantonali di protezione dei dati (ACPD; per il Ticino l’Incaricato cantonale della protezione dei dati) nel quadro delle rispettive competenze. Nell’ambito degli Accordi di Schengen queste autorità concretano e coordinano diverse attività di controllo, d’informazione e di sensibilizzazione. Esse non sono unicamente competenti in materia di vigilanza sul SIS e dei servizi interessati, ma devono pure vigilare affinché alle persone interessate da un trattamento di dati personali in questo ambito sia garantito l’esercizio effettivo dei diritti individuali. L’”Ambito di applicazione territoriale” sancito all’articolo 3, RGPD, è estremamente importante per la Svizzera e regola, secondo la legge europea sulla protezione dei dati, come e in che misura anche la Svizzera debba rispondere e attendere a regole ben precise nel quadro europeo.
Le aziende
GDPR concerne tutte le aziende che gestiscono qualsiasi tipo di dato personale, dalle informazioni sui propri dipendenti alla profilatura dei clienti per conto terzi. È importante capire che anche i soggetti che non appartengono agli Stati membri dell’Unione Europea ma che hanno interessi sul territorio UE o che trattano dati di cittadini UE, devono garantire le medesime garanzie di tutela previste dal Regolamento. Proprio per le aziende, l’articolo 5 del GDPR 2018 prevede una serie
di principi validi per il trattamento dei dati, incluso quello della “responsabilizzazione”
che attribuisce direttamente ai titolari del trattamento il compito di
assicurare, ed essere in grado di comprovare, tutti i principi.
Le attività commerciali in Svizzera
Particolarmente interessati sono tutti i servizi e i negozi online svizzeri al servizio dell’UE. In effetti, non sono solo i prodotti a pagamento che rientrano nella definizione di offerta di beni o servizi, ma anche le offerte che non sono soggette a pagamento, come ad esempio le newsletter gratuite per le persone residenti nell’UE. Poiché secondo GDPR gli indirizzi IP sono considerati dati personali, l’operato degli operatori di siti web svizzeri rientrano nel GDPR dell’UE fintanto che utilizzano il “webtracking” per l’analisi delle abitudini e del comportamento di navigazione degli utenti sul loro sito (compresi quindi i clienti residenti UE). Raccomandiamo agli operatori di siti web e negozi online stabiliti in Svizzera di verificare se le loro attività rientrano nell’ambito di applicazione del GDPR al fine di poter, se necessario, conformarsi al complesso elenco di disposizioni che quest’ultimo regolamento prevede e, se necessario, avvalendosi della consulenza di legali specializzati in materia. Il mancato rispetto delle normative prevede sanzioni severe: chi viola il GDPR può essere multato fino a 20 milioni di euro o con una multa equivalente al 4% del fatturato mondiale dell’azienda. Difficile riassumere questo
tema, qui di seguito elenchiamo alcune delle voci più utilizzate, spiegandone brevemente
le regole di base per un utilizzo consapevole e corretto (parametri selezionati
del RPDG dell’UE, in relazione al funzionamento di siti web, negozi online,
attività di marketing online, ecc.).
I ‘cookies’
Essi sono utilizzati per memorizzare bit di informazioni specifiche riguardanti le interazioni tra il pc ed il sito web. Tali informazioni possono essere usate dal server web in seguito, per quando l’utente tornerà a fargli visita. Il browser è il programma che ha il controllo dei cookies e li gestisce sul computer. È necessario valutare attentamente se gli interessi legittimi dell’operatore del sito web o del negozio online che utilizza i cookies siano prevalenti sugli interessi di protezione dei propri dati dell’utente stesso. La prelazione dell’operatore si verifica solo quando l’uso dei cookies viene utilizzato per raccogliere i soli dati necessari per raggiungere gli scopi previsti dal servizio dell’operatore (vedi ev. anche: la pseudonimizzazione è una tecnica che consiste nel conservare i dati in una forma che impedisce l’identificazione del soggetto senza l’utilizzo di informazioni aggiuntive). I cookies che facilitano l’uso
di un sito web, l’accesso e la qualità del servizio di un negozio online o i
cookies utilizzati per l’analisi del sito web sono, in linea di principio,
legalmente ammissibili. Se la valutazione della prevalenza degli interessi in
gioco fosse a favore dell’utente, i cookies in questione dovrebbero essere
utilizzati solo previo consenso dell’interessato.
Moduli di contatto
Tutti i moduli di contatto su
un sito web o per un negozio online devono essere protetti (ad esempio tramite
il blocco SSL: il termine SSL -sigla per “Secure Socket Layers”- indica
una tecnica che si usa per
criptare e autentificare il traffico dati in rete, garantendola
trasmissione sicura dei dati tra browser e server web su un sito. Soprattutto
nell’e-commerce, dove vengono trasmessi dati protetti e sensibili, l’uso di un
certificato SSL, o meglio della sua versione più recente TLS -“Transport Layer
Security”- è imprescindibile.)
.
Lo stesso vale per i moduli
utilizzati a fini di ordinazioni o registrazioni (ad esempio, per inserire
l’indirizzo di fatturazione e consegna), per un possibile modulo di richiesta
online, per abbonamenti a newsletter e per le altre forme che sono oggetto di
una raccolta di dati personali.
I dati personali che non sono essenziali non dovrebbero essere raccolti “inutilmente”.
Ciò può quindi essere evitato definendo opportunamente i campi obbligatori
richiesti nei moduli.
Ottenere il consenso
Quando si richiede il consenso dell’utente al trattamento dei dati personali (ad es. per l’invio di una newsletter), l’utente deve essere informato in modo trasparente e chiaro sulla modalità e la finalità della raccolta e dell’utilizzo dei dati richiesti. L’utente dovrà poi accettare il trattamento previsto per i suoi dati personali e indicare chiaramente il proprio consenso al riguardo (ad esempio, facendo clic su una casella prevista a tale scopo. Un semplice “opt-out” non è sufficiente. Opt-out: nell’ambito dell’email marketing, è l’opzione di rinuncia con cui l’utente iscritto ad una mailing list chiede l’interruzione dell’invio di e-mail informative o promozionali. Un tipico esempio di opt-out è l’impresa che invia un messaggio al
consumatore per un primo contatto, offrendogli la possibilità di rifiutare
l’invio di ulteriori messaggi; in mancanza di tale rifiuto, e in virtù di una
sorta di consenso tacito, l’impresa può continuare ad inviare comunicazioni
commerciali all’utente, fino a quando egli non dichiarerà esplicitamente di non
essere interessato).
L’operatore del sito web
o del negozio online deve essere sempre in grado di attestare il consenso
dell’utente. L’utente ha anche il diritto di opporsi e deve essere informato di
questo suo diritto.
RGPD in Svizzera: dichiarazione sulla privacy
L’informativa sulla privacy deve essere scritta in un linguaggio
comprensibile, chiaro, semplice e nella/e lingua/e in uso. L’informativa sulla
privacy deve contenere anche le informazioni dettagliate di cui all’art. 13
RGPD (Articolo 13, EU RGPD,
“Informazioni da fornire qualora i dati personali siano raccolti presso
l’interessato”). L’operatore deve, nel contesto dell’informativa sulla privacy, trattare
esplicitamente tutti i vari ambiti coinvolti, raccolta e trattamento dei dati
personali in relazione ai moduli di contatto, alla registrazione / account
cliente, cookie e plug-in dei social media, nonché argomenti relativi a
newsletter, processi di verifica del credito, hosting di siti web, ecc..
Verifica della solvibilità
Come regola generale, è generalmente ammesso un controllo della solvibilità laddove quest’ultima sia necessaria per la conclusione di un contratto. Sempre preponderante la valutazione degli interessi coinvolti: gli interessi legittimi dell’operatore per verificare la solvibilità dell’utente devono essere prioritari sugli interessi della protezione dei dati dell’utente. Se si propone il metodo di pagamento “acquisto con fattura”, è ammissibile un controllo del credito e non è necessario aver ottenuto il consenso preliminare dell’utente per farlo. La verifica del credito deve tuttavia aver luogo solo dopo aver la selezione del metodo di pagamento e non prima. Se si scelgono i metodi di pagamento “pagamento anticipato”, “con carta di credito” (PayPal incluso) o qualsiasi altro metodo simile, il controllo del credito non è considerato necessario per la conclusione del contratto. Se, tuttavia, si desidera verificare la solvibilità dell’utente, è necessario ottenerne un esplicito consenso. Un controllo del credito per la gestione attiva del metodo di pagamento scelto dall’utente senza il consenso dell’utente stesso è altrimenti illegale.
Plugin dei social media
Poiché l’utente non può validamente acconsentire all’uso dei plugin dei social media, è consigliabile rinunciare al loro uso o ricorrere a soluzioni alternative come l’uso di “Shariff” (Social-Media-Buttons rispettoso della legislazione sulla protezione dei dati).
Utilizzo di fornitori di servizi esterni
Se l’operatore di un sito web o di un negozio online collabora con fornitori di servizi esterni per il trattamento di dati personali, l’operatore e il fornitore di servizi esterni devono concludere un accordo per la protezione dei dati trattati. È necessario rispettare i requisiti stabiliti nel GDPR in materia di “Accordo sul trattamento dei dati”. Tutti gli accordi esistenti con fornitori di servizi esterni devono essere sottoposti a screening per determinare se soddisfano i requisiti del GDPR in Svizzera. In caso contrario, gli accordi esistenti devono essere riformulati di conseguenza. Quando si trasferiscono dati personali a un fornitore di servizi di paesi terzi (Stati membri al di fuori dell’UE e del SEE), è necessario rispettare condizioni di ammissibilità stabilite dal GDPR in Svizzera.
Obbligo di nominare un responsabile della protezione dei dati
I gestori di siti web o negozi online devono assicurarsi di rispettare sia il GDPR, sia la legislazione nazionale del Paese dell’UE sull’obbligo di nominare un delegato alla protezione dati. Solo le persone con qualifiche professionali e conoscenze tecniche adatte a tale posizione possono essere designate come responsabili della protezione dei dati. La nomina di un responsabile esterno della protezione dei dati è tuttavia possibile. Il responsabile della protezione dei dati è il primo punto di contatto per l’autorità di controllo. Il RGPD contiene anche un elenco di compiti assegnati al responsabile della protezione dei dati.
Questo articolo di controllo ha lo scopo di aiutare e indirizzare la gestione di un utilizzo del sito web in modo legalmente sicuro. Tuttavia, in alcuni casi potrebbe rendersi necessaria una consulenza tecnica e legale mirata. Dal momento che la legislazione e la giurisprudenza si evolvono a pari passo con questo ampio e complesso tema, consigliamo la massima prudenza.
La clausola DPU e altre novità per le regole internazionali di resa
Lo scorso 12 settembre la Camera di commercio internazionale (ICC) ha pubblicato le nuove clausole di resa Incoterms che entreranno in vigore il 1° gennaio 2020. È dal 1936 che l’ICC propone regole standard che definiscono gli obblighi e i rischi degli acquirenti in una compravendita internazionale. La nuova versione conferma l’attuale suddivisione delle 11 clausole: quelle per tutti i modi di trasporto (EXW, FCA, CPT, CIP, DAP, DPU, DDP) e le regole applicabili solo per i trasporti marittimi o fluviali (FAS, FOB, CFR, CIF).
Il più grande cambiamento è sicuramente l’eliminazione del DAT (Delivered at Terminal), sostituito con il DPU (Delivered at Place Unloaded). DPU prevede la consegna della merce non più in un determinato punto, solitamente un terminal, ma in un qualsiasi luogo definito con la merce scaricata dal vettore. Con questa clausola il venditore si assume quindi il rischio non solo del trasporto, ma anche del suo scaricamento.
Anche la resa FCA ha avuto un’evoluzione. La versione 2020 prevede la possibilità per l’acquirente, in accordo con il venditore, di richiedere una polizza di carico che indichi che la merce è a bordo del vettore. Qualora vi sia una lettera di credito, il venditore potrà così avere il documento per poter emettere il credito documentario. Va rilevato che questo meccanismo è facoltativo e potrebbe far sorgere più problemi di quanti ne possa risolvere.
Vi sono cambiamenti anche per i termini assicurativi, CIF e CIP. Per la clausola marittima CIF è stato deciso lo statu quo mantenendo quindi un grado di copertura minima, la “C” secondo l’Istitute Cargo Clauses (fermo restando che le parti possono convenire un’assicurazione più completa). Nel caso della resa CIP invece, il venditore è tenuto a presentare una copertura assicurativa conforme alla clausola A, detto altrimenti una “all risk”, anche se venditore e acquirente possono accordarsi per un livello inferiore.
Infine, la versione 2020 inserisce per le clausole FCA, DAP, DPU E DDP la possibilità di utilizzare i propri mezzi di trasporto per lo spostamento delle merci, senza quindi dover far capo a un vettore terzo.
Articolo a cura di
Monica Zurfluh, Responsabile S-GE per la Svizzera italiana e
Valentina Rossi, Responsabile Servizio Export Cc-Ti
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