Evitare l’obsolescenza programmata delle competenze

Nelle differenti teorie economiche e industriali del XX e XXI secolo, con ‘obsolescenza programmata’ si definisce la fine pianificata del ciclo vitale di un prodotto. Cosa succede se applichiamo questo concetto alle risorse umane?

L’obsolescenza programmata serve a limitare la durata di un bene in un periodo prefissato. Il prodotto diventa così inservibile e obsoleto agli occhi del consumatore, soprattutto se confrontato con modelli e/o altri prodotti più innovativi. Questo tipo di strategie industriali sono ricorrenti se pensiamo ad esempio al mondo dell’high-tech: dai cellulari o smartphones agli elettrodomestici.

Cosa succede se applichiamo questo concetto alle risorse umane? In che modo l’evoluzione digitale e tecnologica – su cui come Cc-Ti stiamo portando avanti da diverso tempo un’informazione che tocca sfumature e aspetti diversi – influisce sulle dinamiche di formazione continua dei collaboratori, e di riflesso sul mercato del lavoro? In che modo il lockdown e la pandemia Covid-19 hanno modificato e ampliato questo processo?

Alcuni mesi fa il WEF (World Economic Forum) nel suo rapporto “Future of jobs” ha stimato che nei prossimi 2 anni saranno creati 133 milioni di nuovi posti di lavoro a livello mondiale. Professioni il cui profilo non è ancora ben tracciato poiché le dinamiche dell’economia mutano repentinamente e sono in costante evoluzione. La spinta innovatrice degli ultimi anni ha già modificato in modo importante il mondo del lavoro facendo sparire o mutando alcune mansioni, visto che nuove tecnologie si impongono rendendo obsolete alcune tecniche. Questo significa, parallelamente, che vi saranno migliaia di persone che dovranno riqualificare le proprie competenze con formazioni continue e corsi d’aggiornamento.

Le aziende oggi investono nel loro capitale più prezioso: quello umano, con azioni concrete volte allacostante e continua formazione dei propri collaboratori. Quest’azione resta una delle migliori misure concrete da attuare per far fronte all’“obsolescenza programmata delle competenze” nelle risorse umane. Ecco perché oggi le tendenze danno lo sviluppo personale e professionale – mediante corsi di aggiornamento per l’incremento delle proprie competenze e nuove attitudini – quale fondamento di crescita.

Raggiungere un traguardo concludendo un corso di formazione continua permette di restare aggiornati e competitivi sul mercato del lavoro. Di riflesso le aziende possono contare su figure professionali specializzate.

Al pari del perfezionamento continuo dei collaboratori, anche la società e le istituzioni si adoperano per mantenere aggiornati i programmi e le basi giuridiche su cui poggiano i sistemi di formazione di base a tutti i livelli (primario, secondario e terziario), mediante le revisioni di ordinanze sulla formazione. Occorre dunque agire a monte per sensibilizzare gli attori in gioco sul valore della questione e per trovare in modo concertato misure che siano innovative e garantiscano la giusta preparazione – dai giovani ai professionisti – nel mondo del lavoro (orientamento professionale).

In questo scenario che si sta concretizzando, acuito sicuramente dal Covid-19 che ha spinto sull’acceleratore del telelavoro e dello smartworking, emergono nuove figure professionali molto specialistiche, che vanno nella direzione di divenire “gli impieghi del futuro”.

I mestieri di domani 

Dove ci porterà il futuro? Ecco qualche ipotesi.

  • Data Detective 
    Se Peter Falk (celeberrimo Tenente Colombo) indagava su misfatti e delitti, il futuro domanda ancora di detective abili che analizzino il mondo di Internet. Difatti il “Data Detective” sarà un impiego ricercato, in quanto il numero di dati riservati tra cui elementi biometrici e informazioni personali che invadono la rete, richiedono un certo livello di sicurezza nel loro trattamento. È così che le Business Intelligence aziendali sussisteranno per il controllo dei dati ricevuti e trasmessi, in modo da garantirne un uso discreto e rigorosamente serbato.   
  • Ethical Sourcing Officer Manager
    Ad emergere, nel futuro più di oggi, saranno le professioni che implicano la responsabilità etica e sociale delle imprese. Aziende internazionali e non, avranno bisogno di ESO, ovvero un Ethical Sourcing Officer. Questo ruolo avrà il compito di garantire l’esercizio dei principi morali attraverso tutti i processi operativi e le relazioni interne ed esterne alla società; ovvero assicurarsi che i valori dell’esistenza di una compagnia rispecchino l’immagine per cui essa è riconosciuta dai suoi clienti, fornitori, investitori e collaboratori.  
  • Assistente camminatore e parlatore
    Nel 2050 si prevede che la percentuale delle persone a superare i 65 anni d’età sarà più del 16%, in confronto al 2019 dove “solo” il 9% della popolazione mondiale rientrava nella fascia ‘over 65’. Quest’incremento delle persone di terza e quarta età si rifletterà sulle generazioni più giovani, dando loro il compito di offrire un servizio di assistenza e supporto. Un mestiere del futuro sarà quindi quello del “camminatore/parlatore”, ovvero passeggiare in compagnia e scambiare due chiacchiere. La collettività è sinonimo di unità e inclusione, l’emarginazione di persone non fa parte di una visione futura.  
  • Personal Trainer 3.0
    Se le persone anziane avranno degli accompagnatori, allo stesso tempo, le persone più giovani e attive richiederanno un supporto per restare dinamiche, sportive e in salute. C’è chi deciderà di dedicarsi al coaching sportivo (una sorta di ‘Personal Trainer’ avanzato), per motivare e appoggiare donne e uomini nel loro cammino verso una vita più sana.
  • Infermieri specializzati
    Il campo della medicina è evoluto incredibilmente e continuerà in questa direzione. La necessità di personale medico sempre più formato e specializzato è stata anche – purtroppo – confermato negli scorsi mesi dalla pandemia Covd-19. In ottica futura possiamo vedere come in campo MedTech, ad esempio, non sarà più necessaria la presenza di un chirurgo per l’esecuzione di un intervento, ma sarà sufficiente l’accompagnamento di infermieri specializzati, che grazie all’uso dell’intelligenza artificiale, potranno svolgere operazioni in modo più autonomo. 
  • Professioni relative alle ‘Smart Cities’
    La maniera di costruire case e di modellare la realtà urbana si è trasformata nel tempo. Il lavoro di asfaltatori, costruttori, muratori, ingegneri e architetti si è dovuto confrontare con nuovi metodi di concepire e modernizzare le città di domani. Le “Smart Cities” sono già parte del presente. Se nel 2016, a livello globale, venivano spesi 80 miliardi di dollari per lo sviluppo di città intelligenti, nel 2021, si prevede un budget consacrato a questo scopo, di 135 miliardi di dollari. I lavori coinvolti nella progettazione, nella costruzione e nel mantenimento delle metropoli moderne, verranno profondamente sviluppati, in termini di competenze, e conoscenze, di materiali e di infrastrutture hi-tech. Specialisti nei sistemi fotovoltaici e solari saranno ingaggiati nell’ideazione di configurazioni energetiche volte a soddisfare le esigenze dei cittadini. 

Lavori del futuro che si uniscono alla tecnologia per fornire beni e servizi. È questa una delle strade da percorrere per non incorrere nell’ “obsolescenza programmata delle competenze”, insieme al potenziamento della formazione continua, affinché si possa fornire al tessuto economico una concreta risposta di personale qualificato.


Incrementare le proprie competenze
Con corsi mirati e di breve durata la formazione puntuale Cc-Ti è pensata per offrire in modo concreto ai partecipanti delle solide basi sulle diverse tematiche legate alla gestione aziendale (diritto; export; finanza; marketing e vendita; organizzazione; risorse umane e soft skills). Tutte le nostre formazioni sono erogate rispettando le direttive sanitarie Covid-19. Per altre informazioni: www.cc-ti.ch/formazione

Revisione della legge sugli assegni familiari per la formazione

Un’informativa in merito a questa modifica legislativa, che entra in vigore il prossimo 1° agosto 2020.

Dal 1° agosto 2020 l’assegno di formazione potrà essere riconosciuto anche prima dei 16 anni, nel caso in cui il figlio ha compiuto 15 anni e segue una formazione post-obbligatoria.

Nel suo nuovo tenore, l’articolo 3 capoverso 1 lettera b LAFam prevede che l’assegno di formazione sia versato dall’inizio del mese in cui il figlio inizia una formazione postobbligatoria, ma al più presto dall’inizio del mese in cui questi compie il 15° anno d’età. Se invece a 15 anni il figlio frequenta ancora la scuola dell’obbligo, per il diritto all’assegno di formazione si dovrà attendere che abbia compiuto 16 anni.

Contratto di lavoro tacito?

Una scheda giuridica redatta dall’Avv. Michele Rossi. Scopriamo i dettagli.

Il contratto di lavoro non richiede alcuna forma speciale. Addirittura si considera che un contratto sia concluso anche quando il datore di lavoro accetta, per un certo tempo, l’esecuzione d’un lavoro, la cui prestazione secondo le circostanze non può attendersi senza salario (art. 320 CO). In altre parole, una situazione di fatto può quindi costituire un valido contratto di lavoro senza che le parti ne abbiano nemmeno discusso.

Questa presunzione legale necessita però di due condizioni. Dapprima che vi sia una fornitura effettiva di lavoro e, secondariamente, che tale prestazione venga accettata dal datore di lavoro. Questa seconda condizione è realizzata quando l’accettazione emana da una persona autorizzata a rappresentare il datore di lavoro. Non vi è per contro accettazione se la fornitura di lavoro è nota unicamente a persone senza poteri di rappresentanza in seno all’azienda. Va precisato che la presunzione porta unicamente sull’esistenza di un contratto di lavoro, non sul suo contenuto (es. salario).

Esistono però situazioni che generalmente esulano dall’applicazione di tale regola come ad esempio eventuali contributi lavorativi di una persona all’azienda del coniuge o del concubino, oppure nell’ambito di mere attività di volontariato. E’ infatti usuale che determinate prestazioni vengano fornite senza alcuna controprestazione, anche sa la gratuità dell’operato non è stata esplicitamente convenuta. A titolo di esempio si possono citare l’attività di cassiere per una società di calcio, oppure la sorveglianza dei figli dei vicini per un paio d’ore. In questi casi si ritiene che i rapporti non siano retti da un contratto di lavoro ma poggino invece su altre basi.

Se, sulla base di circostanze concrete, si deve ammettere l’esistenza di un contratto di lavoro, allora la conseguenza è l’applicabilità integrale a tale rapporto degli art.319 ss del Codice delle obbligazioni. Come per i contratti stipulati esplicitamente, sia nella forma scritta che in quella orale.


Il nostro Servizio giuridico è a disposizione delle aziende affiliate per consulenze specifiche. Nell’Area soci sono pubblicate diverse schede giuridiche con informazioni mirate e aggiornate su temi d’interesse in ambiti quali diritto del lavoro, HR, diritto commerciale, accordi bilaterali, proprietà intellettuale, fiscalità, assicurazioni sociali, ecc.. L’accesso a questa sezione del sito è destinata esclusivamente ai soci. Il Servizio giudirico è gestito dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti.

Il telelavoro: una scelta o un’imposizione?

La pandemia di Coronavirus ha favorito lo sviluppo del telelavoro. Se quest’ultimo presenta vantaggi e svantaggi, pone anche questioni legali.


L’azienda può imporre il telelavoro ai propri dipendenti? E, al contrario, il dipendente può esigere dal proprio datore di lavorare in telelavoro?

In generale, questa possibilità deriva da un accordo tra di loro al momento della conclusione del contratto di lavoro o, successivamente, da un accordo che modifica il contratto di lavoro.
Durante questo periodo di pandemia, l’applicazione della legge è stata adattata alla situazione particolare. Sia le autorità federali che quelle cantonali hanno raccomandato ai datori di lavoro di utilizzare il telelavoro. Questa forma di lavoro è eccezionalmente entrata come parte integrante delle misure che il datore di lavoro poteva adottare per proteggere i suoi dipendenti.
A scanso di equivoci va sottolineato che il telelavoro non è un diritto del lavoratore. Deve essere accettato dal datore di lavoro.

La persona che adotta il telelavoro sosterrà verosimilmente costi aggiuntivi. Usa i suoi locali e, talvolta, i suoi strumenti (computer, stampante, carta, wifi). Sorge quindi la domanda a sapere chi debba sostenere questi costi. Questa domanda deve essere risolta alla luce dell’art. 327ss.CO, secondo il quale il datore di lavoro fornisce al lavoratore gli strumenti di lavoro e i materiali di cui ha bisogno. Se, previo accordo con il datore di lavoro, il lavoratore vi provvede personalmente, va adeguatamente risarcito.

Se il lavoratore svolge su propria richiesta e volontariamente il suo lavoro da casa, previo accordo con il suo datore di lavoro, nonostante disponga di un luogo di lavoro consono in azienda, questo rimborso non è in linea di principio dovuto. Recentemente si è pubblicamente parlato di una sentenza del Tribunale federale risalente al 2019 in cui i giudici hanno condannato il datore di lavoro ad indennizzare con un importo forfetario di CHF 150/mese un dipendente che era stato obbligato a lavorare a domicilio. In questa fattispecie va però considerato il fatto che il datore di lavoro non era in grado di offrire al dipendente un posto di lavoro adeguato. Non si tratta pertanto di una regola generalmente applicabile a tutti i casi di telelavoro.

Domanda fiscale

La detrazione fiscale per il lavoratore viene presa in considerazione solo se la relativa spesa professionale è a carico di quest’ultimo. Se tutti i costi sono a carico del datore di lavoro, non è consentita alcuna detrazione fiscale.
Se, in effetti, il dipendente ha subito dei costi, si farà riferimento all’ordinanza federale sui costi professionali, del Dipartimento delle finanze, che consente una detrazione forfettaria delle spese essenziali per l’esercizio della professione da parte del dipendente (ovvero strumenti professionali – compresi hardware e software per computer), lavori professionali o l’uso di una stanza di lavoro privata – affitto, riscaldamento, illuminazione, pulizia). Questa detrazione ammonta al 3% dello stipendio netto (ma minimo 2000 franchi e massimo 4000 franchi).
La detrazione viene ridotta se l’attività remunerativa del dipendente viene svolta a tempo parziale.
Tuttavia, il dipendente può ottenere una detrazione più elevata se dimostra l’esistenza di costi più importanti.

Fonte: Lydia Masmejan, lydia.masmejan@cvci.ch – adattamento Cc-Ti

Con competenza al servizio delle aziende esportatrici

Lo sportello del Servizio Export e Legalizzazioni assume un ruolo molto importante presso la Cc-Ti: ha infatti il compito di certificare l’origine dei prodotti esportati dalle aziende ticinesi basandosi sull’applicazione delle regole d’origine non preferenziali.

Giulia Scalzi e Martina Grisoni

Ciò si concretizza nella prova documentale (certificato d’origine e/o attestazione dell’origine su fattura) che accompagna la merce all’estero fino al Paese di destinazione.Oltre a poter richiedere la legalizzazione di documenti come semplici certificazioni su fatture e certificati d’origine, lo sportello rilascia anche dei documenti chiamati CITES e Carnet ATA.

Dai certificati d’origine…

Partiamo con la descrizione del documento che viene richiesto maggiormente, ovvero il certificati di origine . A cosa serve?
Questo documento viene richiesto dalle aziende che devono esportare in un Paese che non ha un accordo di libero scambio con la Svizzera. Si richiede l’emissione del certificato d’origine per importare la propria merce senza andare incontro a problemi presso la dogana estera, che potrà così verificare sul documento da noi rilasciato la provenienza della merce.

…ai Carnet ATA e CITES

Oltre ai certificati di origine e alle varie legalizzazioni, la Cc-Ti rilascia il Carnet ATA, documento doganale internazionale per l’esportazione temporanea di merci all’estero. Esso permette al suo titolare o al suo rappresentante di evitare il pagamento dei dazi doganali o di altre tasse riscosse all’importazione.

Il Carnet ATA ha validità di un anno e può essere utilizzato per l’importazione e l’esportazione temporanea di merci finalizzata ai seguenti scopi:

  • campioni commerciali
  • materiale professionale
  • merce destinata ad esposizioni, fiere, congressi o manifestazioni simili

La CITES (CITES – Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora) invece si riferisce a una convenzione commerciale, nota anche come Convenzione di Washington, sottoscritta da 175 Paesi di tutto il mondo allo scopo di garantire la conservazione e un utilizzo sostenibile delle popolazioni vegetali e animali del nostro pianeta.

Per molte specie di flora e fauna l’espandersi degli scambi internazionali costituisce – o potrebbe costituire – una minaccia. Il loro commercio dovrebbe quindi essere ammesso solo nella misura in cui lo consentono gli effettivi naturali. L’introduzione di regole chiare, improntate ai criteri della sostenibilità, si rivela spesso più efficace di un divieto assoluto. Con il termine ‘commercio ai sensi della CITES’ si intende qualsiasi spostamento che preveda il passaggio di un confine. Le specie protette dalla CITES vengono classificate su tre diversi livelli, a seconda del grado di minaccia. L’importazione e l’esportazione di esemplari vivi, di loro parti o prodotti da essi derivati sono vietate, oppure consentite solo previa autorizzazione.

Maggiori dettagli sul nostro sito web e contattando il Servizio Export: Martina Grisoni e Giulia Scalzi sono a vostra disposizione.

Per salvaguardare l’export svizzero sono necessarie stabilità e certezze

Poche settimane fa, la classifica annuale dell’International Institute for Management Development (IMD) ha aggiudicato alla Svizzera il terzo posto nella classifica mondiale della competitività. Come si riflette ciò sull’export svizzero? Riflessioni e considerazioni sul presente e sul futuro.

© Istockphoto.com/eternalcreative

La Confederazione ha guadagnato una posizione nella classifica mondiale della competitività rispetto allo scorso anno e si è piazzata dietro Singapore e Danimarca. Il nostro Paese – ricorda l’IMD – ha un’economia vigorosa sostenuta da diversi fattori, tra i quali: ottima formazione, sanità efficiente, stabilità e trasparenza delle istituzioni politiche, solide finanze pubbliche e un’eccellente infrastruttura scientifica, che si traducono anche nella capacità di attrarre talenti dall’estero. Un tessuto produttivo agile e dinamico alimentato da sempre – si sottolinea – da un robusto commercio internazionale. Un modello di successo basato sull’innovazione continua, una forte etica d’impresa e del lavoro, e su un sistema Paese aperto al mondo che ha saputo promuovere, con un pragmatico sviluppo delle relazioni internazionali, un ruolo di primo piano della Svizzera nella rete degli scambi mondiali. Questa spiccata capacità d’intraprendere e di relazionarsi positivamente con gli altri Paesi ha trasformato una nazione di appena 8,5 milioni di abitanti e quasi del tutto priva di materie prime, in una realtà annoverata oggi tra le 20 principali potenze economiche del pianeta, all’avanguardia nella ricerca avanzata e da anni ai vertici delle classifiche sulla competitività, l’innovazione e il reddito pro capite. Purtroppo la crisi del coronavirus ha frenato bruscamente il commercio mondiale uno dei principali driver della crescita elvetica, con pesanti ripercussioni per l’export che hanno penalizzato, in particolare, le piccole e medie imprese orientate sui mercati esteri. Secondo l’ultimo sondaggio di Switzerland Global Enterprise (SGE), la pandemia ha causato il crollo del clima delle esportazioni tra le PMI. Anche il barometro delle esportazioni del Credit Suisse ha registrato un’allarmante picchiata.

Nubi sull’export

I risultati del sondaggio S-GE, effettuato tra l’inizio di maggio e i primi di giugno su un campione di 200 aziende di diversi settori produttivi, non sono per nulla rassicuranti. Alla fine del primo semestre del 2020, il 65% delle PMI segnala una contrazione delle esportazioni. Per l’81% delle imprese intervistate la pandemia ha conseguenze negative soprattutto per il crollo della domanda, la flessione nelle vendite e nel fatturato e la mancanza di aspettative affidabili nella pianificazione aziendale. Per il secondo semestre dell’anno soltanto il 39% delle PMI prevede un aumento dell’export, il 23% ipotizza una stagnazione e il 38% un’ulteriore diminuzione. Anche gli indicatori del Credit Suisse sulla domanda estera di prodotti svizzeri restano nettamente al di sotto della soglia di crescita, segnando minimi storici. Scenario altrettanto cupo nell’ultimo sondaggio di economiesuisse il 72% delle imprese esportatrici ipotizza, difatti, una riduzione delle vendite nei prossimi mesi, considerate anche le persistenti difficoltà sui principali mercati di riferimento, in primo luogo quello dell’UE. Il blocco della produzione e le misure protezionistiche adottate dagli Stati per contrastare l’emergenza sanitaria ed economica provocata dal Covid-19, hanno dissestato le catene internazionali dell’approvvigionamento e della distribuzione, innescando, peraltro, una battuta d’arresto per gli investimenti. Tanto per farsi un’idea della paralisi che ha sconnesso il flusso globale degli scambi, lo scorso maggio le grandi organizzazioni del trasporto commerciale marittimo segnalavano per il 65% dei porti europei un calo di circa un quarto del traffico merci e un aumento del 350% per le cancellazioni delle partenze di navi portacontainer dall’Asia verso l’Europa, rispetto allo stesso periodo del 2019. Un quadro preoccupante attutito solo da qualche leggero segnale di ripresa per l’export dell’industria metalmeccanica ed elettrica dei Paesi asiatici e dalle considerazioni dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), secondo cui si è riusciti, almeno per ora, a scongiurare lo scenario più catastrofico per gli scambi internazionali. Ma, per dirla come il Presidente della FED Jerome Powel, le prospettive per l’economia restano «straordinariamente incerte».

Di crisi in crisi

L’economia svizzera è riuscita a superare la crisi finanziaria del 2008, l’impatto del franco forte e gli effetti nefasti della guerra dei dazi tra USA e Cina, confermando nel 2019 una ottima tenuta delle esportazioni con un aumento del 3,9 % (import: +1,6%). Un risultato notevole, visto il clima di forti tensioni geopolitiche e con una congiuntura mondiale estremamente instabile, ottenuto grazie soprattutto alla diversificazione degli sbocchi di mercato. Strategia quest’ultima in cui si è distinto particolarmente il Ticino con una progressiva internazionalizzazione delle imprese, supportata anche da un intenso impegno della Cc-Ti con le sue missioni all’estero e l’ampia offerta di servizi di consulenza e informazione per le aziende esportatrici. Va ricordato, al riguardo, che nel 2018 l’export del Cantone Ticino era cresciuto del 14,1%, ossia quasi tre volte la media nazionale.

Ma dietro il successo delle esportazioni elvetiche c’è un paziente e sapiente lavoro di tessitura di relazioni internazionali, di accordi bilaterali e intese commerciali con gruppi di Stati, che hanno aperto alle imprese nuove frontiere per il business e reciproche opportunità negli investimenti diretti esteri. Sono ben 450mila i posti di lavoro nella Confederazione garantiti dagli investimenti stranieri. Oggi però ci si trova a fronteggiare le devastanti conseguenze della pandemia che hanno ulteriormente inasprito la guerra commerciale tra Pechino, Washington e Bruxelles. Rafforzando in quasi tutti Paesi i vecchi demoni del protezionismo, dell’isolazionismo e del nazionalismo, che rischiano di inceppare del tutto il commercio mondiale. Veleno puro per la Svizzera, nazione esportatrice per eccellenza che, non potendo neanche contare su un sufficiente mercato interno, è cresciuta e prosperata col libero scambio.

Servono stabilità e certezze

In una situazione geopolitica pericolosamente tesa, un’economia vocata tradizionalmente all’export come la nostra avrebbe bisogno di più stabilità e certezze, quantomeno nei rapporti con i suoi principali partner commerciali. Innanzitutto, con l’UE che resta ancora il mercato più importante assorbendo il 51,2% delle esportazioni (oltre 120 miliardi di franchi) contro il 15,9% degli USA, il 4,5% della Cina e il28,3% del resto degli altri Paesi. Uno sbocco vitale ha ricordato economiesuisse, per tutto il tessuto produttivo rossocrociato: dal caseificio di montagna che può vendere in ogni angolo d’Europa senza ostacoli alla start-up che può acquisire un know-how internazionale  partecipando ad un programma europeo di ricerca; dalla piccola impresa (e sono ben 96mila le PMI esportatrici) che rafforza la sua posizione nelle filiere di creazione del valore, fornendo magari solo componenti per il prodotto finale di un gruppo dell’UE alla grande azienda che ha accesso ad un mercato di 500 milioni di consumatori. Ma non si tratta solo di vendere merci e servizi, senza cui la Svizzera perderebbe tra i 37 e i 64 miliardi di franchi all’anno. Dal settore dell’export dipendono infatti 1,5 milioni di impieghi e già nel 2016, stando ai calcoli di economiesuisse, il reddito pro capite in Svizzera  era di circa 4’400 franchi in più rispetto a quanto sarebbe stato senza gli accordi bilaterali con Bruxelles. L’accesso al mercato UE, ha sottolineato la Fondazione Bertelsmann, favorisce la popolazione dei piccoli Paesi esportatori. Con un aumento del reddito annuo pro capite stimato nel 2019 in 2’914 euro, la Svizzera è la grande beneficiaria, superando il Lussemburgo (2’814 euro), l’Irlanda (1’894 euro) e davanti persino alla Germania  (1’046 euro).

Quarantena per i viaggiatori in entrata in Svizzera

FAQ sul nuovo Coronavirus – informativa dell’Ufficio federale della sanità pubblica UFSP – stato al 2 luglio 2020


Dal 6 luglio tutte le persone che entrano in Svizzera provenienti da uno Stato o da una regione con rischio elevato di contagio devono mettersi in quarantena per dieci giorni.


Obbligo dell’analisi della parità salariale

Il 1° luglio 2020 è entrata in vigore la modifica della legge sulla parità dei sessi.

Questa modifica introduce l’obbligo di eseguire un’analisi della parità salariale. Questo obbligo concerne i datori di lavoro che impiegano almeno 100 dipendenti. La soglia numerica non si riferisce ai posti di lavoro a tempo pieno ma al numero effettivo dei lavoratori. Gli apprendisti non sono conteggiati nel calcolo.

L’analisi va effettuata entro un anno dall’entrata in vigore della revisione, e ripetuta ogni quattro anni, a meno che la prima analisi non dimostri il rispetto della parità salariale, o se nel frattempo il numero dei lavoratori non scenda al di sotto della soglia che la rende obbligatoria.

Tenuto conto che l’analisi va condotta secondo un metodo scientifico, la Confederazione mette a disposizione gratuitamente dei datori di lavoro uno strumento adeguato.

Sono esentati dall’analisi anche i datori di lavoro che sono già stati oggetto di un controllo della parità salariale nell’ambito di una commessa pubblica, di una concessione di sussidi, o di un’altra procedura di verifica che non risalga ad oltre quattro anni.   L’analisi del datore di lavoro va successivamente verificata da un organo indipendente. Sono considerati organi indipendenti gli uffici di revisione abilitati legalmente, le organizzazioni che esistono da almeno due anni e, secondo gli statuti, promuovono l’uguaglianza fra donna e uomo, o una rappresentanza dei lavoratori secondo la legge sulla partecipazione. Entro un anno l’ufficio di revisione indipendente stila un rapporto sulla correttezza esecuzione formale dell’analisi. Se la verifica è affidata ad una delle organizzazioni summenzionate, le parti concludono una convenzione sulle modalità di verifica e di consegna.

I lavoratori sono informati per iscritto circa il risultato dell’analisi entro un anno dalla conclusione della verifica. Le nuove norme della legge sulla parità dei sessi resteranno in vigore per 12 anni, ossia fino al 31 giugno 2032.

Possibilità d’acquisto di mascherine chirurgiche RII

L’iniziativa della Cc-Ti permetterà ai soci della nostra associazione di ordinare delle mascherine protettive.

Dopo aver sondato il terreno fra i soci per un eventuale fabbisogno di mascherine protettive, abbiamo acquistato uno stock di mascherine chirurgiche di protezione RII, che proponiamo in vendita per i soci e le associazioni di categoria a prezzo di costo.

Attraverso il formulario d’ordine (scaricabile tramite questo link) è possibile procedere all’ordine e trovare tutte le informazioni del caso.

Contattateci in caso di domande!


Una strategia di rilancio economico per il Ticino post Coronavirus

L’esperienza è il tipo di insegnante più difficile. Prima ti fa l’esame, poi ti spiega la lezione (O.Wilde).

FONTE: BILAN NR. 12- ANNO 2020

«Andrà tutto bene» è stato l’incoraggiamento che ci ha sostenuti nei mesi più drammatici del Coronavirus. Ora che la pandemia ha allentato la sua morsa, dobbiamo domandarci cosa fare affinché «tutto finisca davvero bene», scongiurando il rischio che dall’emergenza sanitaria si sprofondi in un’emergenza economica e sociale. Anche la Camera di commercio e dell’industria unitamente agli attori del territorio, è persuasa che sia il momento di predisporre una strategia di rilancio economico post Covid- 19, favorendo le condizioni per un nuovo ciclo di sviluppo del Paese. Indubbiamente la crescita e la salvaguardia della competitività delle imprese potranno evitare effetti devastanti per l’occupazione, i redditi e il sostegno alle fasce più deboli della popolazione. Diviene, dunque, ancora più importante il dialogo tra imprese, sindacati, politica,
governo e società civile se vogliamo costruire una visione comune per il Ticino del XXI secolo, concentrandoci sulle vere priorità della collettività, poiché Cantone e Comuni saranno confrontati con un importante calo delle entrate fiscali.
Innovazione tecnologica, digitalizzazione, formazione, sburocratizzazione e lavoro sono per la Cc-Ti gli assi strategici su cui intervenire per favorire la ripresa e sostenere strutturalmente l’economia e la società.

Innovazione

Incoraggiare l’innovazione in tutte le sue applicazioni è la migliore garanzia per rendere più competitivo il sistema economico. Le premesse ci sono. L’anno scorso il Ticino si è aggiudicato il secondo posto nella classifica europea sull’innovazione e ha registrato, inoltre, un numero di brevetti superiore alla media svizzera. Tre le direttrici principali per dare nuovi impulsi all’innovazione:

  • Intensificare ulteriormente la collaborazione dei nostri Centri di ricerca (vantiamo istituti di fama mondiale), dell’USI e della SUPSI con le aziende.
  • Sfruttare la collocazione geografica che pone il Ticino al centro delle aree più innovative dell’Europa.
  • Promuovere un ambiente socioeconomico che attiri talenti e specialisti, agevoli la nascita di start up ed esorti il rischio imprenditoriale.

Digitalizzazione e sostenibilità

La trasformazione digitale è un moltiplicatore dei nostri tempi che delinea l’innovazione per tutte le attività economiche. Secondo uno studio del MIT, in quattro mesi di pandemia col boom dell’e-commerce, il telelavoro, le lezioni a distanza, la telemedicina e le comunicazioni online, si è avuto un’estensione delle tecnologie digitali che avrebbe richiesto, normalmente, dai 3 ai 5 anni. L’emergenza sanitaria ha dimostrato che il settore ITC è il tessuto connettivo della società. Di fronte a questo incredibile salto tecnologico diventa fondamentale pensare di estendere al più presto la banda ultralarga a tutto il Ticino, eliminando o limitando le barriere digitali tra aree urbane e zone periferiche e assicurare nuove opportunità di crescita in ogni regione. Strettamente legata a questo passaggio è la realizzazione della rete di telefonia 5G. Una tematica che dovrebbe essere affrontata con emotività maggiormente razionale, considerato che questo nuovo standard di comunicazione, oltre ad essere un eccezionale vettore competitivo per le imprese, diventa essenziale per gestire il flusso di dati che ormai governa i servizi collettivi e la vita quotidiana. Ma le tecnologie digitali offrono soluzioni inedite anche per garantire quella sostenibilità ambientale che è uno dei principali traguardi delle aziende. Esse permettono, infatti, una migliore efficienza energetica, un uso più razionale delle risorse (evitando sprechi e riducendo le emissioni nocive), un’ottimizzazione delle filiere produttive e modalità di impiego, come il telelavoro, a più basso impatto ambientale.

Formazione

Assieme all’innovazione, la formazione è l’altro motore della crescita. Per sintonizzare la formazione alle esigenze reali del mercato del lavoro, è indispensabile una collaborazione costante tra imprese, sindacati, scuola e istituzioni politiche. Questa sinergia riuscirà a ricalibrare la formazione sui cambiamenti produttivi e sociali che richiedono una manodopera ancora più preparata e, soprattutto, in grado di acquisire sempre nuove competenze. Grazie alla formazione duale, la Svizzera ha ottenuto per l’occupazione giovanile risultati che gli altri Paesi ci invidiano. Un sistema oggi confrontato, purtroppo, con la crisi indotta dalla pandemia e che va, quindi, sostenuto e potenziato: mettendo le aziende formatrici nelle migliori condizioni per l’inserimento degli apprendisti, sgravandole da costi e carichi burocratici eccessivi; accostando con più efficacia l’orientamento professionale alla vita reale delle imprese; organizzando campagne mirate sia per persuadere i ragazzi e le loro famiglie che il tirocinio non è assolutamente una formazione di serie B (permette tra l’atro anche l’accesso all’università), sia per avvalorare ai loro occhi, mestieri che garantiscono ottimi sbocchi occupazionali. L’avanzata dell’intelligenza artificiale spazzerà via molte professioni, ne farà nascere altre e riconfigurerà, con abilità diverse, le modalità del lavoro ad ogni livello. Tutto ciò richiederà modelli formativi decisamente flessibili. È questa la sfida che guida l’offerta formativa della Cc-Ti con corsi mirati, moduli commisurati a specifiche esigenze aziendali e la sua Scuola Manageriale con attestato federale. Bisogna attrezzarsi per cogliere le opportunità offerte dall’evoluzione digitale.

Dobbiamo imparare bene le regole in modo da infrangerle nel modo giusto (Dalai Lama).

L’accelerazione tecnologica di questi ultimi anni va supportata con una forte capacità d’innovazione istituzionale per rendere più dinamica
la governance di un sistema paese in rapida trasformazione. Serve in particolare una drastica riduzione della burocrazia che ha ormai pervaso ogni attività. Oggi persino medici e insegnanti si lamentano dell’eccessivo carico burocratico che sottrae tempo ai loro veri compiti. Tra Confederazione, Cantoni e Comuni si è addensata una stratificazione di leggi, regolamenti e ordinanze che penalizza la competitività delle imprese e soffoca la società e lo spirito d’iniziativa. Da anni in Ticino si chiede di ridurre la densità normativa, di semplificare le regolamentazioni, accelerare le procedure amministrative, coordinare meglio servizi e competenze della pubblica amministrazione e sfoltire gli oneri amministrativi che gravano sulle aziende. Ciò non significa deregolamentare, ma permettere, oggi più che mai, all’economia e alla società di rimettersi in moto per superare una crisi che si annuncia lunga e difficile. La necessità di una maggiore flessibilità burocratica è avvertita da
tante imprese che oggi devono confrontarsi con una concorrenza più agguerrita che mai. Il nodo da sciogliere, nell’interesse, in primis, degli stessi lavoratori, è anche la riforma di una legge del lavoro non più interamente aderente all’odierna realtà produttiva e sociale.