Lo sportello del Servizio Export e Legalizzazioni assume un ruolo molto importante presso la Cc-Ti: ha infatti il compito di certificare l’origine dei prodotti esportati dalle aziende ticinesi basandosi sull’applicazione delle regole d’origine non preferenziali.
Ciò si concretizza nella prova documentale (certificato d’origine e/o attestazione dell’origine su fattura) che accompagna la merce all’estero fino al Paese di destinazione.Oltre a poter richiedere la legalizzazione di documenti come semplici certificazioni su fatture e certificati d’origine, lo sportello rilascia anche dei documenti chiamati CITES e Carnet ATA.
Dai certificati d’origine…
Partiamo con la descrizione del documento che viene richiesto maggiormente, ovvero il certificati di origine . A cosa serve? Questo documento viene richiesto dalle aziende che devono esportare in un Paese che non ha un accordo di libero scambio con la Svizzera. Si richiede l’emissione del certificato d’origine per importare la propria merce senza andare incontro a problemi presso la dogana estera, che potrà così verificare sul documento da noi rilasciato la provenienza della merce.
…ai Carnet ATA e CITES
Oltre ai certificati di origine e alle varie legalizzazioni, la Cc-Ti rilascia il Carnet ATA, documento doganale internazionale per l’esportazione temporanea di merci all’estero. Esso permette al suo titolare o al suo rappresentante di evitare il pagamento dei dazi doganali o di altre tasse riscosse all’importazione.
Il Carnet ATA ha validità di un anno e può essere
utilizzato per l’importazione e l’esportazione temporanea di merci finalizzata
ai seguenti scopi:
campioni commerciali
materiale professionale
merce destinata ad esposizioni, fiere,
congressi o manifestazioni simili
La CITES (CITES – Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora) invece si riferisce a una convenzione commerciale, nota anche come Convenzione di Washington, sottoscritta da 175 Paesi di tutto il mondo allo scopo di garantire la conservazione e un utilizzo sostenibile delle popolazioni vegetali e animali del nostro pianeta.
Per molte specie di flora e fauna l’espandersi degli scambi internazionali costituisce – o potrebbe costituire – una minaccia. Il loro commercio dovrebbe quindi essere ammesso solo nella misura in cui lo consentono gli effettivi naturali. L’introduzione di regole chiare, improntate ai criteri della sostenibilità, si rivela spesso più efficace di un divieto assoluto. Con il termine ‘commercio ai sensi della CITES’ si intende qualsiasi spostamento che preveda il passaggio di un confine. Le specie protette dalla CITES vengono classificate su tre diversi livelli, a seconda del grado di minaccia. L’importazione e l’esportazione di esemplari vivi, di loro parti o prodotti da essi derivati sono vietate, oppure consentite solo previa autorizzazione.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/07/ART20-scalzi-grisoni.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2020-07-20 08:31:542020-07-20 08:31:54Con competenza al servizio delle aziende esportatrici
Poche settimane fa, la classifica annuale dell’International Institute for Management Development (IMD) ha aggiudicato alla Svizzera il terzo posto nella classifica mondiale della competitività. Come si riflette ciò sull’export svizzero? Riflessioni e considerazioni sul presente e sul futuro.
La Confederazione ha guadagnato una posizione nella classifica mondiale della competitività rispetto allo scorso anno e si è piazzata dietro Singapore e Danimarca. Il nostro Paese – ricorda l’IMD – ha un’economia vigorosa sostenuta da diversi fattori, tra i quali: ottima formazione, sanità efficiente, stabilità e trasparenza delle istituzioni politiche, solide finanze pubbliche e un’eccellente infrastruttura scientifica, che si traducono anche nella capacità di attrarre talenti dall’estero. Un tessuto produttivo agile e dinamico alimentato da sempre – si sottolinea – da un robusto commercio internazionale. Un modello di successo basato sull’innovazione continua, una forte etica d’impresa e del lavoro, e su un sistema Paese aperto al mondo che ha saputo promuovere, con un pragmatico sviluppo delle relazioni internazionali, un ruolo di primo piano della Svizzera nella rete degli scambi mondiali. Questa spiccata capacità d’intraprendere e di relazionarsi positivamente con gli altri Paesi ha trasformato una nazione di appena 8,5 milioni di abitanti e quasi del tutto priva di materie prime, in una realtà annoverata oggi tra le 20 principali potenze economiche del pianeta, all’avanguardia nella ricerca avanzata e da anni ai vertici delle classifiche sulla competitività, l’innovazione e il reddito pro capite. Purtroppo la crisi del coronavirus ha frenato bruscamente il commercio mondiale uno dei principali driver della crescita elvetica, con pesanti ripercussioni per l’export che hanno penalizzato, in particolare, le piccole e medie imprese orientate sui mercati esteri. Secondo l’ultimo sondaggio di Switzerland Global Enterprise (SGE), la pandemia ha causato il crollo del clima delle esportazioni tra le PMI. Anche il barometro delle esportazioni del Credit Suisse ha registrato un’allarmante picchiata.
Nubi
sull’export
I
risultati del sondaggio S-GE, effettuato tra l’inizio di maggio e i primi di
giugno su un campione di 200 aziende di diversi settori produttivi, non sono
per nulla rassicuranti. Alla fine del primo semestre del 2020, il 65% delle PMI
segnala una contrazione delle esportazioni. Per l’81% delle imprese
intervistate la pandemia ha conseguenze negative soprattutto per il crollo
della domanda, la flessione nelle vendite e nel fatturato e la mancanza di aspettative
affidabili nella pianificazione aziendale. Per il secondo semestre dell’anno
soltanto il 39% delle PMI prevede un aumento dell’export, il 23% ipotizza una
stagnazione e il 38% un’ulteriore diminuzione. Anche gli indicatori del Credit
Suisse sulla domanda estera di prodotti svizzeri restano nettamente al di sotto
della soglia di crescita, segnando minimi storici. Scenario altrettanto cupo
nell’ultimo sondaggio di economiesuisse il 72% delle imprese esportatrici ipotizza,
difatti, una riduzione delle vendite nei prossimi mesi, considerate anche le
persistenti difficoltà sui principali mercati di riferimento, in primo luogo
quello dell’UE. Il blocco della produzione e le misure protezionistiche
adottate dagli Stati per contrastare l’emergenza sanitaria ed economica
provocata dal Covid-19, hanno dissestato le catene internazionali
dell’approvvigionamento e della distribuzione, innescando, peraltro, una battuta
d’arresto per gli investimenti. Tanto per farsi un’idea della paralisi che ha
sconnesso il flusso globale degli scambi, lo scorso maggio le grandi
organizzazioni del trasporto commerciale marittimo segnalavano per il 65% dei
porti europei un calo di circa un quarto del traffico merci e un aumento del 350%
per le cancellazioni delle partenze di navi portacontainer dall’Asia verso
l’Europa, rispetto allo stesso periodo del 2019. Un quadro preoccupante
attutito solo da qualche leggero segnale di ripresa per l’export dell’industria
metalmeccanica ed elettrica dei Paesi asiatici e dalle considerazioni dell’Organizzazione
Mondiale del Commercio (OMC), secondo cui si è riusciti, almeno per ora, a
scongiurare lo scenario più catastrofico per gli scambi internazionali. Ma, per
dirla come il Presidente della FED Jerome Powel, le prospettive per l’economia
restano «straordinariamente incerte».
Di
crisi in crisi
L’economia
svizzera è riuscita a superare la crisi finanziaria del 2008, l’impatto del
franco forte e gli effetti nefasti della guerra dei dazi tra USA e Cina,
confermando nel 2019 una ottima tenuta delle esportazioni con un aumento del
3,9 % (import: +1,6%). Un risultato notevole, visto il clima di forti tensioni geopolitiche
e con una congiuntura mondiale estremamente instabile, ottenuto grazie soprattutto
alla diversificazione degli sbocchi di mercato. Strategia quest’ultima in cui
si è distinto particolarmente il Ticino con una progressiva
internazionalizzazione delle imprese, supportata anche da un intenso impegno
della Cc-Ti con le sue missioni all’estero e l’ampia offerta di servizi di
consulenza e informazione per le aziende esportatrici. Va ricordato, al
riguardo, che nel 2018 l’export del Cantone Ticino era cresciuto del 14,1%,
ossia quasi tre volte la media nazionale.
Ma dietro
il successo delle esportazioni elvetiche c’è un paziente e sapiente lavoro di
tessitura di relazioni internazionali, di accordi bilaterali e intese
commerciali con gruppi di Stati, che hanno aperto alle imprese nuove frontiere
per il business e reciproche opportunità negli investimenti diretti esteri. Sono
ben 450mila i posti di lavoro nella Confederazione garantiti dagli investimenti
stranieri. Oggi però ci si trova a fronteggiare le devastanti conseguenze della
pandemia che hanno ulteriormente inasprito la guerra commerciale tra Pechino,
Washington e Bruxelles. Rafforzando in quasi tutti Paesi i vecchi demoni del
protezionismo, dell’isolazionismo e del nazionalismo, che rischiano di
inceppare del tutto il commercio mondiale. Veleno puro per la Svizzera, nazione
esportatrice per eccellenza che, non potendo neanche contare su un sufficiente
mercato interno, è cresciuta e prosperata col libero scambio.
Servono
stabilità e certezze
In una
situazione geopolitica pericolosamente tesa, un’economia vocata
tradizionalmente all’export come la nostra avrebbe bisogno di più stabilità e
certezze, quantomeno nei rapporti con i suoi principali partner commerciali.
Innanzitutto, con l’UE che resta ancora il mercato più importante assorbendo il
51,2% delle esportazioni (oltre 120 miliardi di franchi) contro il 15,9% degli
USA, il 4,5% della Cina e il28,3% del resto degli altri Paesi. Uno sbocco
vitale ha ricordato economiesuisse, per tutto il tessuto produttivo
rossocrociato: dal caseificio di montagna che può vendere in ogni angolo
d’Europa senza ostacoli alla start-up che può acquisire un know-how
internazionale partecipando ad un
programma europeo di ricerca; dalla piccola impresa (e sono ben 96mila le PMI esportatrici)
che rafforza la sua posizione nelle filiere di creazione del valore, fornendo
magari solo componenti per il prodotto finale di un gruppo dell’UE alla grande azienda
che ha accesso ad un mercato di 500 milioni di consumatori. Ma non si tratta solo
di vendere merci e servizi, senza cui la Svizzera perderebbe tra i 37 e i 64
miliardi di franchi all’anno. Dal settore dell’export dipendono infatti 1,5 milioni
di impieghi e già nel 2016, stando ai calcoli di economiesuisse, il reddito pro
capite in Svizzera era di circa 4’400
franchi in più rispetto a quanto sarebbe stato senza gli accordi bilaterali con
Bruxelles. L’accesso al mercato UE, ha sottolineato la Fondazione Bertelsmann, favorisce
la popolazione dei piccoli Paesi esportatori. Con un aumento del reddito annuo
pro capite stimato nel 2019 in 2’914 euro, la Svizzera è la grande
beneficiaria, superando il Lussemburgo (2’814 euro), l’Irlanda (1’894 euro) e
davanti persino alla Germania (1’046 euro).
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2020-07-14 08:14:542020-07-13 09:37:44Per salvaguardare l’export svizzero sono necessarie stabilità e certezze
FAQ sul nuovo Coronavirus – informativa dell’Ufficio federale della sanità pubblica UFSP – stato al 2 luglio 2020
Dal 6 luglio tutte le persone che entrano in Svizzera provenienti da uno Stato o da una regione con rischio elevato di contagio devono mettersi in quarantena per dieci giorni.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2020-07-03 14:53:552020-07-03 14:53:56Quarantena per i viaggiatori in entrata in Svizzera
Il 1° luglio 2020 è entrata in vigore la modifica della legge sulla parità dei sessi.
Questa modifica introduce l’obbligo di eseguire un’analisi della parità salariale. Questo obbligo concerne i datori di lavoro che impiegano almeno 100 dipendenti. La soglia numerica non si riferisce ai posti di lavoro a tempo pieno ma al numero effettivo dei lavoratori. Gli apprendisti non sono conteggiati nel calcolo.
L’analisi va effettuata entro un anno
dall’entrata in vigore della revisione, e ripetuta ogni quattro anni, a meno
che la prima analisi non dimostri il rispetto della parità salariale, o se nel
frattempo il numero dei lavoratori non scenda al di sotto della soglia che la
rende obbligatoria.
Sono esentati dall’analisi anche i datori di lavoro che sono già stati oggetto di un controllo della parità salariale nell’ambito di una commessa pubblica, di una concessione di sussidi, o di un’altra procedura di verifica che non risalga ad oltre quattro anni. L’analisi del datore di lavoro va successivamente verificata da un organo indipendente. Sono considerati organi indipendenti gli uffici di revisione abilitati legalmente, le organizzazioni che esistono da almeno due anni e, secondo gli statuti, promuovono l’uguaglianza fra donna e uomo, o una rappresentanza dei lavoratori secondo la legge sulla partecipazione. Entro un anno l’ufficio di revisione indipendente stila un rapporto sulla correttezza esecuzione formale dell’analisi. Se la verifica è affidata ad una delle organizzazioni summenzionate, le parti concludono una convenzione sulle modalità di verifica e di consegna.
I lavoratori sono informati per iscritto
circa il risultato dell’analisi entro un anno dalla conclusione della verifica.
Le nuove norme della legge sulla parità dei
sessi resteranno in vigore per 12 anni, ossia fino al 31 giugno 2032.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2020-07-03 10:11:202020-09-03 15:25:26Obbligo dell’analisi della parità salariale
L’iniziativa della Cc-Ti permetterà ai soci della nostra associazione di ordinare delle mascherine protettive.
Dopo aver sondato il terreno fra i soci per un eventuale fabbisogno di mascherine protettive, abbiamo acquistato uno stock di mascherine chirurgiche di protezione RII, che proponiamo in vendita per i soci e le associazioni di categoria a prezzo di costo.
L’esperienza è il tipo di insegnante più difficile. Prima ti fa l’esame, poi ti spiega la lezione (O.Wilde).
«Andrà tutto bene» è stato l’incoraggiamento che ci ha sostenuti nei mesi più drammatici del Coronavirus. Ora che la pandemia ha allentato la sua morsa, dobbiamo domandarci cosa fare affinché «tutto finisca davvero bene», scongiurando il rischio che dall’emergenza sanitaria si sprofondi in un’emergenza economica e sociale. Anche la Camera di commercio e dell’industria unitamente agli attori del territorio, è persuasa che sia il momento di predisporre una strategia di rilancio economico post Covid- 19, favorendo le condizioni per un nuovo ciclo di sviluppo del Paese. Indubbiamente la crescita e la salvaguardia della competitività delle imprese potranno evitare effetti devastanti per l’occupazione, i redditi e il sostegno alle fasce più deboli della popolazione. Diviene, dunque, ancora più importante il dialogo tra imprese, sindacati, politica, governo e società civile se vogliamo costruire una visione comune per il Ticino del XXI secolo, concentrandoci sulle vere priorità della collettività, poiché Cantone e Comuni saranno confrontati con un importante calo delle entrate fiscali. Innovazione tecnologica, digitalizzazione, formazione, sburocratizzazione e lavoro sono per la Cc-Ti gli assi strategici su cui intervenire per favorire la ripresa e sostenere strutturalmente l’economia e la società.
Innovazione
Incoraggiare l’innovazione in tutte le sue applicazioni è la migliore garanzia per rendere più competitivo il sistema economico. Le premesse ci sono. L’anno scorso il Ticino si è aggiudicato il secondo posto nella classifica europea sull’innovazione e ha registrato, inoltre, un numero di brevetti superiore alla media svizzera. Tre le direttrici principali per dare nuovi impulsi all’innovazione:
Intensificare ulteriormente la collaborazione dei nostri Centri di ricerca (vantiamo istituti di fama mondiale), dell’USI e della SUPSI con le aziende.
Sfruttare la collocazione geografica che pone il Ticino al centro delle aree più innovative dell’Europa.
Promuovere un ambiente socioeconomico che attiri talenti e specialisti, agevoli la nascita di start up ed esorti il rischio imprenditoriale.
Digitalizzazione e sostenibilità
La trasformazione digitale è un moltiplicatore dei nostri tempi che delinea l’innovazione per tutte le attività economiche. Secondo uno studio del MIT, in quattro mesi di pandemia col boom dell’e-commerce, il telelavoro, le lezioni a distanza, la telemedicina e le comunicazioni online, si è avuto un’estensione delle tecnologie digitali che avrebbe richiesto, normalmente, dai 3 ai 5 anni. L’emergenza sanitaria ha dimostrato che il settore ITC è il tessuto connettivo della società. Di fronte a questo incredibile salto tecnologico diventa fondamentale pensare di estendere al più presto la banda ultralarga a tutto il Ticino, eliminando o limitando le barriere digitali tra aree urbane e zone periferiche e assicurare nuove opportunità di crescita in ogni regione. Strettamente legata a questo passaggio è la realizzazione della rete di telefonia 5G. Una tematica che dovrebbe essere affrontata con emotività maggiormente razionale, considerato che questo nuovo standard di comunicazione, oltre ad essere un eccezionale vettore competitivo per le imprese, diventa essenziale per gestire il flusso di dati che ormai governa i servizi collettivi e la vita quotidiana. Ma le tecnologie digitali offrono soluzioni inedite anche per garantire quella sostenibilità ambientale che è uno dei principali traguardi delle aziende. Esse permettono, infatti, una migliore efficienza energetica, un uso più razionale delle risorse (evitando sprechi e riducendo le emissioni nocive), un’ottimizzazione delle filiere produttive e modalità di impiego, come il telelavoro, a più basso impatto ambientale.
Formazione
Assieme all’innovazione, la formazione è l’altro motore della crescita. Per sintonizzare la formazione alle esigenze reali del mercato del lavoro, è indispensabile una collaborazione costante tra imprese, sindacati, scuola e istituzioni politiche. Questa sinergia riuscirà a ricalibrare la formazione sui cambiamenti produttivi e sociali che richiedono una manodopera ancora più preparata e, soprattutto, in grado di acquisire sempre nuove competenze. Grazie alla formazione duale, la Svizzera ha ottenuto per l’occupazione giovanile risultati che gli altri Paesi ci invidiano. Un sistema oggi confrontato, purtroppo, con la crisi indotta dalla pandemia e che va, quindi, sostenuto e potenziato: mettendo le aziende formatrici nelle migliori condizioni per l’inserimento degli apprendisti, sgravandole da costi e carichi burocratici eccessivi; accostando con più efficacia l’orientamento professionale alla vita reale delle imprese; organizzando campagne mirate sia per persuadere i ragazzi e le loro famiglie che il tirocinio non è assolutamente una formazione di serie B (permette tra l’atro anche l’accesso all’università), sia per avvalorare ai loro occhi, mestieri che garantiscono ottimi sbocchi occupazionali. L’avanzata dell’intelligenza artificiale spazzerà via molte professioni, ne farà nascere altre e riconfigurerà, con abilità diverse, le modalità del lavoro ad ogni livello. Tutto ciò richiederà modelli formativi decisamente flessibili. È questa la sfida che guida l’offerta formativa della Cc-Ti con corsi mirati, moduli commisurati a specifiche esigenze aziendali e la sua Scuola Manageriale con attestato federale. Bisogna attrezzarsi per cogliere le opportunità offerte dall’evoluzione digitale.
Dobbiamo imparare bene le regole in modo da infrangerle nel modo giusto (Dalai Lama).
L’accelerazione tecnologica di questi ultimi anni va supportata con una forte capacità d’innovazione istituzionale per rendere più dinamica la governance di un sistema paese in rapida trasformazione. Serve in particolare una drastica riduzione della burocrazia che ha ormai pervaso ogni attività. Oggi persino medici e insegnanti si lamentano dell’eccessivo carico burocratico che sottrae tempo ai loro veri compiti. Tra Confederazione, Cantoni e Comuni si è addensata una stratificazione di leggi, regolamenti e ordinanze che penalizza la competitività delle imprese e soffoca la società e lo spirito d’iniziativa. Da anni in Ticino si chiede di ridurre la densità normativa, di semplificare le regolamentazioni, accelerare le procedure amministrative, coordinare meglio servizi e competenze della pubblica amministrazione e sfoltire gli oneri amministrativi che gravano sulle aziende. Ciò non significa deregolamentare, ma permettere, oggi più che mai, all’economia e alla società di rimettersi in moto per superare una crisi che si annuncia lunga e difficile. La necessità di una maggiore flessibilità burocratica è avvertita da tante imprese che oggi devono confrontarsi con una concorrenza più agguerrita che mai. Il nodo da sciogliere, nell’interesse, in primis, degli stessi lavoratori, è anche la riforma di una legge del lavoro non più interamente aderente all’odierna realtà produttiva e sociale.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/06/ART20-mondo-lavoro-alla-ricerca-di-competenze.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2020-06-23 08:00:232020-06-22 10:42:55Una strategia di rilancio economico per il Ticino post Coronavirus
Una scheda giuridica redatta dall’Avv. Michele Rossi. Scopriamo i dettagli.
Gli articoli 335d e seguenti del Codice delle Obbligazioni prevedono una specifica procedura (consultazione dei lavoratori) per i cosiddetti licenziamenti collettivi. Si applica a tutte le aziende attive in Svizzera? O solo ad alcune? La domanda è lecita in quanto la legge stabilisce effettivamente una serie di criteri che devono essere soddisfatti affinché questi articoli siano applicati. Un primo criterio è la dimensione dell’azienda. La norma recita infatti che per licenziamento collettivo si intendono le disdette date in un’azienda dal datore di lavoro entro un periodo di 30 giorni, per motivi non inerenti alla persona del lavoratore, se il numero dei licenziamenti effettuati è:
• almeno pari a 10 negli stabilimenti che occupano abitualmente più di 20 e meno di 100 lavoratori; • almeno pari al 10 per cento del numero dei lavoratori negli stabilimenti che occupano abitualmente almeno 100 e meno di 300 lavoratori; • almeno pari a 30 negli stabilimenti che occupano abitualmente almeno 300 lavoratori.
Da quanto sopra possiamo innanzitutto concludere che la procedura non si applica alle aziende con meno di 20 dipendenti. In secondo luogo entrano in considerazione solo le disdette date dal datore di lavoro, non quelle notificate dai dipendenti o eventuali accordi tra le parti di cessazione consensuale del rapporto lavorativo. Nel calcolo non vanno poi considerati nemmeno eventuali licenziamenti decisi per motivi inerenti alla persona del dipendente, come ad esempio un rendimento insufficiente o un licenziamento in tronco per cause gravi.
Durante il regime di lavoro ridotto è possibile notificare una disdetta del contratto? Esiste un periodo di protezione come, ad esempio, in caso di malattia o di assenza per servizio militare? Durante questo regime valgono le regole generali sulle disdette. Non esiste quindi alcun periodo di protezione e le disdette possono essere notificate. Attenzione però che dal momento della disdetta del contratto lo Stato non verserà più le indennità e il salario durante il periodo di preavviso sarà pertanto interamente a carico del datore di lavoro.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2019/01/ART19-Michele-Rossi-ufficiale.jpg20193166Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2020-06-12 09:36:502020-06-12 09:36:51A chi si applica la procedura sui licenziamenti collettivi?
Una scheda giuridica redatta dall’Avv. Michele Rossi. Scopriamo i dettagli.
In queste settimane si è molto parlato del lavoro ridotto. Si tratta di una possibilità già da tempo prevista dalla nostra legislazione, ma che è diventata di estrema attualità a seguito dell’emergenza sanitaria. A cosa serve? Tramite il lavoro ridotto è possibile mantenere in essere i contratti di lavoro, in un momento di riduzione o sospensione temporanea dell’attività aziendale. In un tale regime il datore di lavoro percepisce dallo Stato le cosiddette indennità per lavoro ridotto a favore dei dipendenti assicurati. Le indennità ammontano all’80% del salario ordinario. In altre parole, le indennità statali permettono all’azienda di non separarsi dai lavoratori temporaneamente senza attività, o con attività ridotta, e di essere quindi pronta con i contratti in essere al momento della ripartenza.
Durante il regime di lavoro ridotto è possibile notificare una disdetta del contratto? Esiste un periodo di protezione come, ad esempio, in caso di malattia o di assenza per servizio militare? Durante questo regime valgono le regole generali sulle disdette. Non esiste quindi alcun periodo di protezione e le disdette possono essere notificate. Attenzione però che dal momento della disdetta del contratto lo Stato non verserà più le indennità e il salario durante il periodo di preavviso sarà pertanto interamente a carico del datore di lavoro.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2019/01/ART19-Michele-Rossi-ufficiale.jpg20193166Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2020-06-12 09:27:442020-06-12 09:33:50Il lavoro ridotto e la disdetta del contratto di lavoro
Non è mai stato così facile, veloce e sicuro richiedere un certificato d’origine. Il nostro Servizio Export è a vostra disposizione per i dettagli.
Da qualche anno abbiamo implementato l’utilizzo della piattaforma www.certify.ch, già utilizzata con successo e praticità anche da altre Camere di commercio e dell’industria svizzere. Invece di fornire le domande di attestazione e di ricevere i documenti via posta cartacea, il tutto avviene semplicemente online. I certificati e i documenti legalizzati possono essere comodamente stampati dal richiedente o utilizzati in PDF. La piattaforma non ha alcun costo supplementare e i prezzi delle pratiche rimangono invariati. Si guadagna sicuramente in velocità e in sicurezza.
Crediamo che non ci sia momento migliore per avvicinarsi al mondo della digitalizzazione anche nel settore dell’export, soprattutto riguardo al rilascio dei certificati d’origine, per i quali l’emissione è richiesta sempre di più in tempi brevi.
La piattaforma è accessibile 24h su 24h, 7 giorni su 7, tramite il proprio nome utente e la propria password che vi rilasceremo noi al momento della creazione dell’account.
Per qualsiasi informazione il Servizio Export Cc-Ti è a vostra disposizione.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/03/ART20-certify_co_online.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2020-06-09 09:12:292020-06-09 09:12:30Le legalizzazioni incontrano il digitale
Che cosa sta succedendo sui mercati mondiali? Da dove derivano le tensioni commerciali, inasprite ancor di più dal Covid 19? Per avere un occhio critico su quanto sta succedendo è sempre bene rivolgere un veloce sguardo al passato.
Conoscere i principali
passi della storia permette di leggere il presente e guardare al futuro con
occhi diversi. Uno studio ci aiuta inoltre a capire quali conseguenze avrebbe
una caduta del sistema commerciale multilaterale attuale e il ruolo della
Svizzera a livello internazionale.
Le tensioni commerciali
tra Stati Uniti e Cina sono sotto gli occhi di tutti e gli imprenditori devono
continuamente rimanere vigili sulla guerra dei dazi e delle contro misure che
si sono susseguono nel tempo. Di basilare importanza, in un momento critico, è
la presenza di istituzioni internazionali multilaterali che permettono di
mantenere un certo rigore ed evitare guerre commerciali che distruggerebbero
l’economia mondiale. L’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), non priva
di attacchi critici negli ultimi anni, vigila sulla liberalizzazione del
mercato internazionale ed è la forza che ancora oggi mantiene gli equilibri
internazionali.
Un salto nella storia
Su iniziativa degli
Stati Uniti nel 1947 fu firmato a Ginevra l’accordo generale sulle tariffe
doganali e sul commercio (GATT), predecessore dell’OMC. Il trattato,
sottoscritto inizialmente da 23 Paesi, mirava a impedire un ritorno al
protezionismo del periodo tra le due guerre, liberalizzando gli scambi
commerciali attraverso l’abbassamento multilaterale delle tariffe doganali e
l’adozione di regole contro la concorrenza sleale. Nel 1948 il GATT divenne
un’istituzione a pieno titolo con sede a Ginevra e proseguì da un lato il
processo di liberalizzazione organizzando periodicamente cicli di negoziazioni
(rounds) tra i Paesi membri, dall’altro sovraintese all’applicazione
degli accordi che risultavano da questi incontri. Il 1°.1.1995 il GATT fu
sostituito dall’OMC: oggi i governi degli Stati membri possono cooperare per
stabilire le tariffe doganali e risolvere i principali conflitti con soluzioni
comuni.
Una forte rete di libero
scambio
Anche se la Svizzera non
volle subito entrare nel GATT, per le piccole economie è fondamentale fare
parte di un sistema commerciale multilaterale. Oggi la nostra Confederazione,
oltre alla Convenzione AELS e all’accordo di libero scambio con l’Unione europea
(UE), dispone di una rete di 30 accordi di libero scambio con 40 partner ed
intrattiene forti relazioni con molte nazioni a livello internazionale.
La politica di libero scambio della Svizzera mira a migliorare le condizioni quadro che reggono le relazioni economiche con partner economicamente importanti. L’obiettivo è garantire alle imprese elvetiche un accesso ai mercati internazionali il più possibile privo di ostacoli e discriminazioni rispetto a quello di cui beneficiano i loro principali concorrenti. Gli accordi di libero scambio accelerano l’obiettivo principale del GATT prima e dell’OMC oggi: la liberalizzazione dei mercati, senza ostacoli né barriere commerciali. Le misure di apertura dei mercati esteri sono inoltre particolarmente importanti nell’ambito della politica di stabilizzazione economica del Consiglio federale. Abbandonare quindi un sistema di libero scambio liberale
a favore di un maggiore protezionismo avrebbe conseguenze molto gravi,
soprattutto per un’economia svizzera priva di materie prime e fortemente
dipendente dall’estero.
Conseguenze nefaste di un protezionismo svizzero
Un interessante studio («Swiss market access in a global trade war»,
2019, di Nicita Alessandro, Olarreaga Marcelo, Silva Peri et Solleder Jean-Marc)ha esaminato l’aumento delle tariffe al quale dovrebbero confrontarsi gli
esportatori elvetici nel caso in cui il sistema commerciale multilaterale
verrebbe a cadere e le tariffe doganali non sarebbero quindi più fissate
dall’OMC. I risultati dello studio – che riportiamo qui di seguito e che sono
stati pubblicati da “La Vie économique” (aprile 2020) – indicano che una guerra
commerciale mondiale potrebbe generare una moltiplicazione di barriere tariffarie
per gli esportatori elvetici. La Svizzera si ritroverebbe soprattutto
schiacciata dai suoi principali partner commerciali: l’Unione Europea, gli
Stati Uniti e il Giappone. Queste potenze economiche, non agendo più in seno
all’OMC, disporrebbero di un’influenza di mercato sostanziale: le stime
mostrano un aumento fino al 35% dei dazi doganali che metterebbero in ginocchio
l’economia esportatrice elvetica.
Aumento dei dazi nei principali partner commerciali
Come si evince dal grafico “Aumenti tariffali per gli esportatori svizzeri secondo il mercato di riferimento”, lo studio ha calcolato un indice dell’effetto restrittivo dell’accesso al mercato negli scambi mondiali e permette di rappresentare l’aumento medio delle tariffe a cui dovrebbero far fronte gli esportatori elvetici. Il maggior aumento è dato dai mercati più importanti: i costi delle esportazioni aumenterebbero del 74% verso gli USA e del 60% verso l’UE, che oggi hanno strutture tariffarie cooperative in seno all’OMC. L’India invece è un’eccezione: gli esportatori svizzeri non subirebbero aumenti poiché già oggi, il sistema indiano, ha delle tariffe non cooperative.
Aumenti tariffali per gli esportatori svizzeri secondo il mercato di riferimento
Conseguenze diverse per i settori
Una possibile distruzione del sistema commerciale multilaterale potrebbe avere degli effetti molto differenti a dipendenza del settore economico. Quelli che oggi trascinano l’export elvetico, come ad esempio il chimico-farmaceutico, potrebbero subire aumenti tariffari sostanziali più elevati (vedasi il grafico “Aumenti tariffali per gli esportatori svizzeri per settore industriale (classificazione Isic)”. Altri settori invece, come quello delle macchine elettriche, dei metalli non ferrosi o il tabacco, subirebbero degli aumenti tariffari inferiori alla media.
Aumenti tariffali per gli esportatori svizzeri per settore industriale (classificazione Isic)
Risultati in chiaro scuro
I risultati di questo studio rappresentano lo scenario peggiore di una
guerra commerciale mondiale, che non implicherebbe necessariamente un taglio
così netto alle tariffe non cooperative determinate dalla sola potenza del
mercato d’importazione. Quest’analisi non tiene conto del fatto che le forze
politiche delle potenze mondiali non subirebbero modifiche in caso di conflitto
mondiale, anche se è una variabile molto probabile. Il punto più importante: lo
studio non ha considerato tutte quelle barriere non tariffali che già oggi
creano più ostacoli al commercio mondiale dei semplici dazi doganali. Pensiamo
ad esempio alla richiesta di omologazioni, di certificazioni particolari, di
registrazioni presso specifici ministeri o addirittura di ispezioni prima
dell’invio delle merci.
Malgrado queste critiche, l’analisi mostra chiaramente il risultato
dell’inasprirsi delle tensioni commerciali già oggi in atto e fornisce una
chiara visione dell’importanza di un sistema commerciale multilaterale.
Il futuro dell’OMC e il ruolo della Svizzera
Il ruolo garante dell’OMC risulta fondamentale per mantenere gli equilibri mondiali e garantire la liberalizzazione dei mercati. Malgrado la sua istituzione sia stata scalfita nel dicembre 2019 con l’eliminazione della Corte d’appello – che rimasta con un solo giudice in carica non può più funzionare – le sue regole continuano a rimanere in vigore, ma con minore peso. Se la risoluzione delle controversie dell’OMC non ritornasse nuovamente operativa, i piccoli Stati rimarrebbero senza strumenti per far valere le loro ragioni e perderebbero la possibilità di rimettere le grandi potenze al loro posto in caso di violazione delle regole dell’OMC. La Svizzera può e deve continuare ad agire facendo tutto il possibile per ristabilire la capacità di funzionamento e di azione del sistema dell’OMC. Di fronte a questa crisi, gli accordi di libero scambio sono la strada da perseguire con ancor più capacità e forza. Non è consentito, per un Paese piccolo e dipendente dall’estero, chiudersi commercialmente: i trattati devono continuare ad essere sostenuti per garantire il funzionamento della nostra economia.
Fonte: La Vie économique, nr. 5, “Swiss market access in a global trade war”, 2019, di Nicita Alessandro, Olarreaga Marcelo, Silva Peri et Solleder Jean-Marc.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2020-06-09 07:19:142020-06-09 08:50:12Gli impatti di un’ipotetica guerra commerciale mondiale
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