Il telelavoro: una scelta o un’imposizione?

La pandemia di Coronavirus ha favorito lo sviluppo del telelavoro. Se quest’ultimo presenta vantaggi e svantaggi, pone anche questioni legali.


L’azienda può imporre il telelavoro ai propri dipendenti? E, al contrario, il dipendente può esigere dal proprio datore di lavorare in telelavoro?

In generale, questa possibilità deriva da un accordo tra di loro al momento della conclusione del contratto di lavoro o, successivamente, da un accordo che modifica il contratto di lavoro.
Durante questo periodo di pandemia, l’applicazione della legge è stata adattata alla situazione particolare. Sia le autorità federali che quelle cantonali hanno raccomandato ai datori di lavoro di utilizzare il telelavoro. Questa forma di lavoro è eccezionalmente entrata come parte integrante delle misure che il datore di lavoro poteva adottare per proteggere i suoi dipendenti.
A scanso di equivoci va sottolineato che il telelavoro non è un diritto del lavoratore. Deve essere accettato dal datore di lavoro.

La persona che adotta il telelavoro sosterrà verosimilmente costi aggiuntivi. Usa i suoi locali e, talvolta, i suoi strumenti (computer, stampante, carta, wifi). Sorge quindi la domanda a sapere chi debba sostenere questi costi. Questa domanda deve essere risolta alla luce dell’art. 327ss.CO, secondo il quale il datore di lavoro fornisce al lavoratore gli strumenti di lavoro e i materiali di cui ha bisogno. Se, previo accordo con il datore di lavoro, il lavoratore vi provvede personalmente, va adeguatamente risarcito.

Se il lavoratore svolge su propria richiesta e volontariamente il suo lavoro da casa, previo accordo con il suo datore di lavoro, nonostante disponga di un luogo di lavoro consono in azienda, questo rimborso non è in linea di principio dovuto. Recentemente si è pubblicamente parlato di una sentenza del Tribunale federale risalente al 2019 in cui i giudici hanno condannato il datore di lavoro ad indennizzare con un importo forfetario di CHF 150/mese un dipendente che era stato obbligato a lavorare a domicilio. In questa fattispecie va però considerato il fatto che il datore di lavoro non era in grado di offrire al dipendente un posto di lavoro adeguato. Non si tratta pertanto di una regola generalmente applicabile a tutti i casi di telelavoro.

Domanda fiscale

La detrazione fiscale per il lavoratore viene presa in considerazione solo se la relativa spesa professionale è a carico di quest’ultimo. Se tutti i costi sono a carico del datore di lavoro, non è consentita alcuna detrazione fiscale.
Se, in effetti, il dipendente ha subito dei costi, si farà riferimento all’ordinanza federale sui costi professionali, del Dipartimento delle finanze, che consente una detrazione forfettaria delle spese essenziali per l’esercizio della professione da parte del dipendente (ovvero strumenti professionali – compresi hardware e software per computer), lavori professionali o l’uso di una stanza di lavoro privata – affitto, riscaldamento, illuminazione, pulizia). Questa detrazione ammonta al 3% dello stipendio netto (ma minimo 2000 franchi e massimo 4000 franchi).
La detrazione viene ridotta se l’attività remunerativa del dipendente viene svolta a tempo parziale.
Tuttavia, il dipendente può ottenere una detrazione più elevata se dimostra l’esistenza di costi più importanti.

Fonte: Lydia Masmejan, lydia.masmejan@cvci.ch – adattamento Cc-Ti

Con competenza al servizio delle aziende esportatrici

Lo sportello del Servizio Export e Legalizzazioni assume un ruolo molto importante presso la Cc-Ti: ha infatti il compito di certificare l’origine dei prodotti esportati dalle aziende ticinesi basandosi sull’applicazione delle regole d’origine non preferenziali.

Giulia Scalzi e Martina Grisoni

Ciò si concretizza nella prova documentale (certificato d’origine e/o attestazione dell’origine su fattura) che accompagna la merce all’estero fino al Paese di destinazione.Oltre a poter richiedere la legalizzazione di documenti come semplici certificazioni su fatture e certificati d’origine, lo sportello rilascia anche dei documenti chiamati CITES e Carnet ATA.

Dai certificati d’origine…

Partiamo con la descrizione del documento che viene richiesto maggiormente, ovvero il certificati di origine . A cosa serve?
Questo documento viene richiesto dalle aziende che devono esportare in un Paese che non ha un accordo di libero scambio con la Svizzera. Si richiede l’emissione del certificato d’origine per importare la propria merce senza andare incontro a problemi presso la dogana estera, che potrà così verificare sul documento da noi rilasciato la provenienza della merce.

…ai Carnet ATA e CITES

Oltre ai certificati di origine e alle varie legalizzazioni, la Cc-Ti rilascia il Carnet ATA, documento doganale internazionale per l’esportazione temporanea di merci all’estero. Esso permette al suo titolare o al suo rappresentante di evitare il pagamento dei dazi doganali o di altre tasse riscosse all’importazione.

Il Carnet ATA ha validità di un anno e può essere utilizzato per l’importazione e l’esportazione temporanea di merci finalizzata ai seguenti scopi:

  • campioni commerciali
  • materiale professionale
  • merce destinata ad esposizioni, fiere, congressi o manifestazioni simili

La CITES (CITES – Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora) invece si riferisce a una convenzione commerciale, nota anche come Convenzione di Washington, sottoscritta da 175 Paesi di tutto il mondo allo scopo di garantire la conservazione e un utilizzo sostenibile delle popolazioni vegetali e animali del nostro pianeta.

Per molte specie di flora e fauna l’espandersi degli scambi internazionali costituisce – o potrebbe costituire – una minaccia. Il loro commercio dovrebbe quindi essere ammesso solo nella misura in cui lo consentono gli effettivi naturali. L’introduzione di regole chiare, improntate ai criteri della sostenibilità, si rivela spesso più efficace di un divieto assoluto. Con il termine ‘commercio ai sensi della CITES’ si intende qualsiasi spostamento che preveda il passaggio di un confine. Le specie protette dalla CITES vengono classificate su tre diversi livelli, a seconda del grado di minaccia. L’importazione e l’esportazione di esemplari vivi, di loro parti o prodotti da essi derivati sono vietate, oppure consentite solo previa autorizzazione.

Maggiori dettagli sul nostro sito web e contattando il Servizio Export: Martina Grisoni e Giulia Scalzi sono a vostra disposizione.

Per salvaguardare l’export svizzero sono necessarie stabilità e certezze

Poche settimane fa, la classifica annuale dell’International Institute for Management Development (IMD) ha aggiudicato alla Svizzera il terzo posto nella classifica mondiale della competitività. Come si riflette ciò sull’export svizzero? Riflessioni e considerazioni sul presente e sul futuro.

© Istockphoto.com/eternalcreative

La Confederazione ha guadagnato una posizione nella classifica mondiale della competitività rispetto allo scorso anno e si è piazzata dietro Singapore e Danimarca. Il nostro Paese – ricorda l’IMD – ha un’economia vigorosa sostenuta da diversi fattori, tra i quali: ottima formazione, sanità efficiente, stabilità e trasparenza delle istituzioni politiche, solide finanze pubbliche e un’eccellente infrastruttura scientifica, che si traducono anche nella capacità di attrarre talenti dall’estero. Un tessuto produttivo agile e dinamico alimentato da sempre – si sottolinea – da un robusto commercio internazionale. Un modello di successo basato sull’innovazione continua, una forte etica d’impresa e del lavoro, e su un sistema Paese aperto al mondo che ha saputo promuovere, con un pragmatico sviluppo delle relazioni internazionali, un ruolo di primo piano della Svizzera nella rete degli scambi mondiali. Questa spiccata capacità d’intraprendere e di relazionarsi positivamente con gli altri Paesi ha trasformato una nazione di appena 8,5 milioni di abitanti e quasi del tutto priva di materie prime, in una realtà annoverata oggi tra le 20 principali potenze economiche del pianeta, all’avanguardia nella ricerca avanzata e da anni ai vertici delle classifiche sulla competitività, l’innovazione e il reddito pro capite. Purtroppo la crisi del coronavirus ha frenato bruscamente il commercio mondiale uno dei principali driver della crescita elvetica, con pesanti ripercussioni per l’export che hanno penalizzato, in particolare, le piccole e medie imprese orientate sui mercati esteri. Secondo l’ultimo sondaggio di Switzerland Global Enterprise (SGE), la pandemia ha causato il crollo del clima delle esportazioni tra le PMI. Anche il barometro delle esportazioni del Credit Suisse ha registrato un’allarmante picchiata.

Nubi sull’export

I risultati del sondaggio S-GE, effettuato tra l’inizio di maggio e i primi di giugno su un campione di 200 aziende di diversi settori produttivi, non sono per nulla rassicuranti. Alla fine del primo semestre del 2020, il 65% delle PMI segnala una contrazione delle esportazioni. Per l’81% delle imprese intervistate la pandemia ha conseguenze negative soprattutto per il crollo della domanda, la flessione nelle vendite e nel fatturato e la mancanza di aspettative affidabili nella pianificazione aziendale. Per il secondo semestre dell’anno soltanto il 39% delle PMI prevede un aumento dell’export, il 23% ipotizza una stagnazione e il 38% un’ulteriore diminuzione. Anche gli indicatori del Credit Suisse sulla domanda estera di prodotti svizzeri restano nettamente al di sotto della soglia di crescita, segnando minimi storici. Scenario altrettanto cupo nell’ultimo sondaggio di economiesuisse il 72% delle imprese esportatrici ipotizza, difatti, una riduzione delle vendite nei prossimi mesi, considerate anche le persistenti difficoltà sui principali mercati di riferimento, in primo luogo quello dell’UE. Il blocco della produzione e le misure protezionistiche adottate dagli Stati per contrastare l’emergenza sanitaria ed economica provocata dal Covid-19, hanno dissestato le catene internazionali dell’approvvigionamento e della distribuzione, innescando, peraltro, una battuta d’arresto per gli investimenti. Tanto per farsi un’idea della paralisi che ha sconnesso il flusso globale degli scambi, lo scorso maggio le grandi organizzazioni del trasporto commerciale marittimo segnalavano per il 65% dei porti europei un calo di circa un quarto del traffico merci e un aumento del 350% per le cancellazioni delle partenze di navi portacontainer dall’Asia verso l’Europa, rispetto allo stesso periodo del 2019. Un quadro preoccupante attutito solo da qualche leggero segnale di ripresa per l’export dell’industria metalmeccanica ed elettrica dei Paesi asiatici e dalle considerazioni dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), secondo cui si è riusciti, almeno per ora, a scongiurare lo scenario più catastrofico per gli scambi internazionali. Ma, per dirla come il Presidente della FED Jerome Powel, le prospettive per l’economia restano «straordinariamente incerte».

Di crisi in crisi

L’economia svizzera è riuscita a superare la crisi finanziaria del 2008, l’impatto del franco forte e gli effetti nefasti della guerra dei dazi tra USA e Cina, confermando nel 2019 una ottima tenuta delle esportazioni con un aumento del 3,9 % (import: +1,6%). Un risultato notevole, visto il clima di forti tensioni geopolitiche e con una congiuntura mondiale estremamente instabile, ottenuto grazie soprattutto alla diversificazione degli sbocchi di mercato. Strategia quest’ultima in cui si è distinto particolarmente il Ticino con una progressiva internazionalizzazione delle imprese, supportata anche da un intenso impegno della Cc-Ti con le sue missioni all’estero e l’ampia offerta di servizi di consulenza e informazione per le aziende esportatrici. Va ricordato, al riguardo, che nel 2018 l’export del Cantone Ticino era cresciuto del 14,1%, ossia quasi tre volte la media nazionale.

Ma dietro il successo delle esportazioni elvetiche c’è un paziente e sapiente lavoro di tessitura di relazioni internazionali, di accordi bilaterali e intese commerciali con gruppi di Stati, che hanno aperto alle imprese nuove frontiere per il business e reciproche opportunità negli investimenti diretti esteri. Sono ben 450mila i posti di lavoro nella Confederazione garantiti dagli investimenti stranieri. Oggi però ci si trova a fronteggiare le devastanti conseguenze della pandemia che hanno ulteriormente inasprito la guerra commerciale tra Pechino, Washington e Bruxelles. Rafforzando in quasi tutti Paesi i vecchi demoni del protezionismo, dell’isolazionismo e del nazionalismo, che rischiano di inceppare del tutto il commercio mondiale. Veleno puro per la Svizzera, nazione esportatrice per eccellenza che, non potendo neanche contare su un sufficiente mercato interno, è cresciuta e prosperata col libero scambio.

Servono stabilità e certezze

In una situazione geopolitica pericolosamente tesa, un’economia vocata tradizionalmente all’export come la nostra avrebbe bisogno di più stabilità e certezze, quantomeno nei rapporti con i suoi principali partner commerciali. Innanzitutto, con l’UE che resta ancora il mercato più importante assorbendo il 51,2% delle esportazioni (oltre 120 miliardi di franchi) contro il 15,9% degli USA, il 4,5% della Cina e il28,3% del resto degli altri Paesi. Uno sbocco vitale ha ricordato economiesuisse, per tutto il tessuto produttivo rossocrociato: dal caseificio di montagna che può vendere in ogni angolo d’Europa senza ostacoli alla start-up che può acquisire un know-how internazionale  partecipando ad un programma europeo di ricerca; dalla piccola impresa (e sono ben 96mila le PMI esportatrici) che rafforza la sua posizione nelle filiere di creazione del valore, fornendo magari solo componenti per il prodotto finale di un gruppo dell’UE alla grande azienda che ha accesso ad un mercato di 500 milioni di consumatori. Ma non si tratta solo di vendere merci e servizi, senza cui la Svizzera perderebbe tra i 37 e i 64 miliardi di franchi all’anno. Dal settore dell’export dipendono infatti 1,5 milioni di impieghi e già nel 2016, stando ai calcoli di economiesuisse, il reddito pro capite in Svizzera  era di circa 4’400 franchi in più rispetto a quanto sarebbe stato senza gli accordi bilaterali con Bruxelles. L’accesso al mercato UE, ha sottolineato la Fondazione Bertelsmann, favorisce la popolazione dei piccoli Paesi esportatori. Con un aumento del reddito annuo pro capite stimato nel 2019 in 2’914 euro, la Svizzera è la grande beneficiaria, superando il Lussemburgo (2’814 euro), l’Irlanda (1’894 euro) e davanti persino alla Germania  (1’046 euro).

Quarantena per i viaggiatori in entrata in Svizzera

FAQ sul nuovo Coronavirus – informativa dell’Ufficio federale della sanità pubblica UFSP – stato al 2 luglio 2020


Dal 6 luglio tutte le persone che entrano in Svizzera provenienti da uno Stato o da una regione con rischio elevato di contagio devono mettersi in quarantena per dieci giorni.


Obbligo dell’analisi della parità salariale

Il 1° luglio 2020 è entrata in vigore la modifica della legge sulla parità dei sessi.

Questa modifica introduce l’obbligo di eseguire un’analisi della parità salariale. Questo obbligo concerne i datori di lavoro che impiegano almeno 100 dipendenti. La soglia numerica non si riferisce ai posti di lavoro a tempo pieno ma al numero effettivo dei lavoratori. Gli apprendisti non sono conteggiati nel calcolo.

L’analisi va effettuata entro un anno dall’entrata in vigore della revisione, e ripetuta ogni quattro anni, a meno che la prima analisi non dimostri il rispetto della parità salariale, o se nel frattempo il numero dei lavoratori non scenda al di sotto della soglia che la rende obbligatoria.

Tenuto conto che l’analisi va condotta secondo un metodo scientifico, la Confederazione mette a disposizione gratuitamente dei datori di lavoro uno strumento adeguato.

Sono esentati dall’analisi anche i datori di lavoro che sono già stati oggetto di un controllo della parità salariale nell’ambito di una commessa pubblica, di una concessione di sussidi, o di un’altra procedura di verifica che non risalga ad oltre quattro anni.   L’analisi del datore di lavoro va successivamente verificata da un organo indipendente. Sono considerati organi indipendenti gli uffici di revisione abilitati legalmente, le organizzazioni che esistono da almeno due anni e, secondo gli statuti, promuovono l’uguaglianza fra donna e uomo, o una rappresentanza dei lavoratori secondo la legge sulla partecipazione. Entro un anno l’ufficio di revisione indipendente stila un rapporto sulla correttezza esecuzione formale dell’analisi. Se la verifica è affidata ad una delle organizzazioni summenzionate, le parti concludono una convenzione sulle modalità di verifica e di consegna.

I lavoratori sono informati per iscritto circa il risultato dell’analisi entro un anno dalla conclusione della verifica. Le nuove norme della legge sulla parità dei sessi resteranno in vigore per 12 anni, ossia fino al 31 giugno 2032.

Possibilità d’acquisto di mascherine chirurgiche RII

L’iniziativa della Cc-Ti permetterà ai soci della nostra associazione di ordinare delle mascherine protettive.

Dopo aver sondato il terreno fra i soci per un eventuale fabbisogno di mascherine protettive, abbiamo acquistato uno stock di mascherine chirurgiche di protezione RII, che proponiamo in vendita per i soci e le associazioni di categoria a prezzo di costo.

Attraverso il formulario d’ordine (scaricabile tramite questo link) è possibile procedere all’ordine e trovare tutte le informazioni del caso.

Contattateci in caso di domande!


Una strategia di rilancio economico per il Ticino post Coronavirus

L’esperienza è il tipo di insegnante più difficile. Prima ti fa l’esame, poi ti spiega la lezione (O.Wilde).

FONTE: BILAN NR. 12- ANNO 2020

«Andrà tutto bene» è stato l’incoraggiamento che ci ha sostenuti nei mesi più drammatici del Coronavirus. Ora che la pandemia ha allentato la sua morsa, dobbiamo domandarci cosa fare affinché «tutto finisca davvero bene», scongiurando il rischio che dall’emergenza sanitaria si sprofondi in un’emergenza economica e sociale. Anche la Camera di commercio e dell’industria unitamente agli attori del territorio, è persuasa che sia il momento di predisporre una strategia di rilancio economico post Covid- 19, favorendo le condizioni per un nuovo ciclo di sviluppo del Paese. Indubbiamente la crescita e la salvaguardia della competitività delle imprese potranno evitare effetti devastanti per l’occupazione, i redditi e il sostegno alle fasce più deboli della popolazione. Diviene, dunque, ancora più importante il dialogo tra imprese, sindacati, politica,
governo e società civile se vogliamo costruire una visione comune per il Ticino del XXI secolo, concentrandoci sulle vere priorità della collettività, poiché Cantone e Comuni saranno confrontati con un importante calo delle entrate fiscali.
Innovazione tecnologica, digitalizzazione, formazione, sburocratizzazione e lavoro sono per la Cc-Ti gli assi strategici su cui intervenire per favorire la ripresa e sostenere strutturalmente l’economia e la società.

Innovazione

Incoraggiare l’innovazione in tutte le sue applicazioni è la migliore garanzia per rendere più competitivo il sistema economico. Le premesse ci sono. L’anno scorso il Ticino si è aggiudicato il secondo posto nella classifica europea sull’innovazione e ha registrato, inoltre, un numero di brevetti superiore alla media svizzera. Tre le direttrici principali per dare nuovi impulsi all’innovazione:

  • Intensificare ulteriormente la collaborazione dei nostri Centri di ricerca (vantiamo istituti di fama mondiale), dell’USI e della SUPSI con le aziende.
  • Sfruttare la collocazione geografica che pone il Ticino al centro delle aree più innovative dell’Europa.
  • Promuovere un ambiente socioeconomico che attiri talenti e specialisti, agevoli la nascita di start up ed esorti il rischio imprenditoriale.

Digitalizzazione e sostenibilità

La trasformazione digitale è un moltiplicatore dei nostri tempi che delinea l’innovazione per tutte le attività economiche. Secondo uno studio del MIT, in quattro mesi di pandemia col boom dell’e-commerce, il telelavoro, le lezioni a distanza, la telemedicina e le comunicazioni online, si è avuto un’estensione delle tecnologie digitali che avrebbe richiesto, normalmente, dai 3 ai 5 anni. L’emergenza sanitaria ha dimostrato che il settore ITC è il tessuto connettivo della società. Di fronte a questo incredibile salto tecnologico diventa fondamentale pensare di estendere al più presto la banda ultralarga a tutto il Ticino, eliminando o limitando le barriere digitali tra aree urbane e zone periferiche e assicurare nuove opportunità di crescita in ogni regione. Strettamente legata a questo passaggio è la realizzazione della rete di telefonia 5G. Una tematica che dovrebbe essere affrontata con emotività maggiormente razionale, considerato che questo nuovo standard di comunicazione, oltre ad essere un eccezionale vettore competitivo per le imprese, diventa essenziale per gestire il flusso di dati che ormai governa i servizi collettivi e la vita quotidiana. Ma le tecnologie digitali offrono soluzioni inedite anche per garantire quella sostenibilità ambientale che è uno dei principali traguardi delle aziende. Esse permettono, infatti, una migliore efficienza energetica, un uso più razionale delle risorse (evitando sprechi e riducendo le emissioni nocive), un’ottimizzazione delle filiere produttive e modalità di impiego, come il telelavoro, a più basso impatto ambientale.

Formazione

Assieme all’innovazione, la formazione è l’altro motore della crescita. Per sintonizzare la formazione alle esigenze reali del mercato del lavoro, è indispensabile una collaborazione costante tra imprese, sindacati, scuola e istituzioni politiche. Questa sinergia riuscirà a ricalibrare la formazione sui cambiamenti produttivi e sociali che richiedono una manodopera ancora più preparata e, soprattutto, in grado di acquisire sempre nuove competenze. Grazie alla formazione duale, la Svizzera ha ottenuto per l’occupazione giovanile risultati che gli altri Paesi ci invidiano. Un sistema oggi confrontato, purtroppo, con la crisi indotta dalla pandemia e che va, quindi, sostenuto e potenziato: mettendo le aziende formatrici nelle migliori condizioni per l’inserimento degli apprendisti, sgravandole da costi e carichi burocratici eccessivi; accostando con più efficacia l’orientamento professionale alla vita reale delle imprese; organizzando campagne mirate sia per persuadere i ragazzi e le loro famiglie che il tirocinio non è assolutamente una formazione di serie B (permette tra l’atro anche l’accesso all’università), sia per avvalorare ai loro occhi, mestieri che garantiscono ottimi sbocchi occupazionali. L’avanzata dell’intelligenza artificiale spazzerà via molte professioni, ne farà nascere altre e riconfigurerà, con abilità diverse, le modalità del lavoro ad ogni livello. Tutto ciò richiederà modelli formativi decisamente flessibili. È questa la sfida che guida l’offerta formativa della Cc-Ti con corsi mirati, moduli commisurati a specifiche esigenze aziendali e la sua Scuola Manageriale con attestato federale. Bisogna attrezzarsi per cogliere le opportunità offerte dall’evoluzione digitale.

Dobbiamo imparare bene le regole in modo da infrangerle nel modo giusto (Dalai Lama).

L’accelerazione tecnologica di questi ultimi anni va supportata con una forte capacità d’innovazione istituzionale per rendere più dinamica
la governance di un sistema paese in rapida trasformazione. Serve in particolare una drastica riduzione della burocrazia che ha ormai pervaso ogni attività. Oggi persino medici e insegnanti si lamentano dell’eccessivo carico burocratico che sottrae tempo ai loro veri compiti. Tra Confederazione, Cantoni e Comuni si è addensata una stratificazione di leggi, regolamenti e ordinanze che penalizza la competitività delle imprese e soffoca la società e lo spirito d’iniziativa. Da anni in Ticino si chiede di ridurre la densità normativa, di semplificare le regolamentazioni, accelerare le procedure amministrative, coordinare meglio servizi e competenze della pubblica amministrazione e sfoltire gli oneri amministrativi che gravano sulle aziende. Ciò non significa deregolamentare, ma permettere, oggi più che mai, all’economia e alla società di rimettersi in moto per superare una crisi che si annuncia lunga e difficile. La necessità di una maggiore flessibilità burocratica è avvertita da
tante imprese che oggi devono confrontarsi con una concorrenza più agguerrita che mai. Il nodo da sciogliere, nell’interesse, in primis, degli stessi lavoratori, è anche la riforma di una legge del lavoro non più interamente aderente all’odierna realtà produttiva e sociale.

A chi si applica la procedura sui licenziamenti collettivi?

Una scheda giuridica redatta dall’Avv. Michele Rossi. Scopriamo i dettagli.

Gli articoli 335d e seguenti del Codice delle Obbligazioni prevedono una specifica procedura (consultazione dei lavoratori) per i cosiddetti licenziamenti collettivi. Si applica a tutte le aziende attive in Svizzera? O solo ad alcune? La domanda è lecita in quanto la legge stabilisce effettivamente una serie di criteri che devono essere soddisfatti affinché questi articoli siano applicati. Un primo criterio è la dimensione dell’azienda. La norma recita infatti che per licenziamento collettivo si intendono le disdette date in un’azienda dal datore di lavoro entro un periodo di 30 giorni, per motivi non inerenti alla persona del lavoratore, se il numero dei licenziamenti effettuati è:

• almeno pari a 10 negli stabilimenti che occupano abitualmente più di 20 e meno di 100 lavoratori;
• almeno pari al 10 per cento del numero dei lavoratori negli stabilimenti che occupano abitualmente almeno 100 e meno di 300 lavoratori;
• almeno pari a 30 negli stabilimenti che occupano abitualmente almeno 300 lavoratori.

Da quanto sopra possiamo innanzitutto concludere che la procedura non si applica alle aziende con meno di 20 dipendenti. In secondo luogo entrano in considerazione solo le disdette date dal datore di lavoro, non quelle notificate dai dipendenti o eventuali accordi tra le parti di cessazione consensuale del rapporto lavorativo. Nel calcolo non vanno poi considerati nemmeno eventuali licenziamenti decisi per motivi
inerenti alla persona del dipendente, come ad esempio un rendimento insufficiente o un licenziamento in tronco per cause gravi.

Durante il regime di lavoro ridotto è possibile notificare una disdetta del contratto? Esiste un periodo di protezione come, ad esempio, in caso di malattia o di assenza per servizio militare? Durante questo regime valgono le regole generali sulle disdette. Non esiste quindi alcun periodo di protezione e le disdette possono essere notificate. Attenzione però che dal momento della disdetta del contratto lo Stato non verserà più le indennità e il salario durante il periodo di preavviso sarà pertanto interamente a carico del datore di lavoro.

Il lavoro ridotto e la disdetta del contratto di lavoro

Una scheda giuridica redatta dall’Avv. Michele Rossi. Scopriamo i dettagli.

In queste settimane si è molto parlato del lavoro ridotto. Si tratta di una possibilità già da tempo prevista dalla nostra legislazione, ma che è diventata di estrema attualità a seguito dell’emergenza sanitaria. A cosa serve?
Tramite il lavoro ridotto è possibile mantenere in essere i contratti di lavoro, in un momento di riduzione o sospensione temporanea dell’attività aziendale. In un tale regime il datore di lavoro percepisce dallo Stato le cosiddette indennità per lavoro ridotto a favore dei dipendenti assicurati. Le indennità ammontano all’80% del salario ordinario. In altre parole, le indennità statali permettono all’azienda di non separarsi dai lavoratori temporaneamente senza attività, o con attività ridotta, e di essere quindi pronta con i contratti in essere al momento della ripartenza.

Durante il regime di lavoro ridotto è possibile notificare una disdetta del contratto? Esiste un periodo di protezione come, ad esempio, in caso di malattia o di assenza per servizio militare? Durante questo regime valgono le regole generali sulle disdette. Non esiste quindi alcun periodo di protezione e le disdette possono essere notificate. Attenzione però che dal momento della disdetta del contratto lo Stato non verserà più le indennità e il salario durante il periodo di preavviso sarà pertanto interamente a carico del datore di lavoro.

Le legalizzazioni incontrano il digitale

Non è mai stato così facile, veloce e sicuro richiedere un certificato d’origine. Il nostro Servizio Export è a vostra disposizione per i dettagli.

Da qualche anno abbiamo implementato l’utilizzo della piattaforma www.certify.ch, già utilizzata con successo e praticità anche da altre Camere di commercio e dell’industria svizzere.
Invece di fornire le domande di attestazione e di ricevere i documenti via posta cartacea, il tutto avviene semplicemente online. I certificati e i documenti legalizzati possono essere comodamente stampati dal richiedente o utilizzati in PDF.
La piattaforma non ha alcun costo supplementare e i prezzi delle pratiche rimangono invariati. Si guadagna sicuramente in velocità e in sicurezza.

Crediamo che non ci sia momento migliore per avvicinarsi al mondo della digitalizzazione anche nel settore dell’export, soprattutto riguardo al rilascio dei certificati d’origine, per i quali l’emissione è richiesta sempre di più in tempi brevi.

La piattaforma è accessibile 24h su 24h, 7 giorni su 7, tramite il proprio nome utente e la propria password che vi rilasceremo noi al momento della creazione dell’account.

Per qualsiasi informazione il Servizio Export Cc-Ti è a vostra disposizione.