La Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora

La CITES (CITES – Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora), nota anche come Convenzione di Washington è sottoscritta da 175 Paesi di tutto il mondo allo scopo di garantire la conservazione e l’utilizzo sostenibile delle popolazioni vegetali e animali del nostro pianeta.

Per molte specie di flora e fauna l’espansione degli scambi internazionali costituisce – o potrebbe costituire – una minaccia. Il loro commercio dovrebbe quindi essere ammesso solo nella misura in cui lo consentono gli effettivi naturali. L’introduzione di regole chiare, improntate ai criteri della sostenibilità, si rivela spesso più efficace di un divieto assoluto. Con il termine “commercio ai sensi della CITES” si intende quindi qualsiasi spostamento che preveda il passaggio di un confine.

Le specie protette dalla CITES vengono classificate su tre diversi livelli, a seconda del grado di minaccia. L’importazione e l’esportazione di esemplari vivi, di loro parti o prodotti da essi derivati sono vietate, oppure consentite solo previa autorizzazione.

L’Appendice I (primo livello) comprende tutte le specie minacciate di estinzione le quali sono o potrebbero esserlo dal commercio. Il commercio degli esemplari di tali specie deve essere autorizzato solo in condizioni eccezionali.
L’Appendice II (secondo livello) comprende tutte le specie le quali, pur non essendo attualmente necessariamente minacciate di estinzione, potrebbero esserlo se il commercio degli esemplari di tali specie non fosse sottomesso ad una severa regolamentazione.
Mentre l’Appendice III (terzo livello) comprende tutte le specie che una parte dichiara sottoposte, nei limiti della propria competenza, ad una regolamentazione avente come scopo l’impedimento o la restrizione del loro sfruttamento e implicante la cooperazione delle altre Parti per il controllo del commercio.

Molti animali selvatici oggetto di scambi commerciali transfrontalieri sono tutelati da disposizioni sulla conservazione delle specie sia a livello nazionale che internazionale.
Anche la legislazione sulle epizoozie impone il rispetto di determinate condizioni.
Per importare o esportare questi animali è necessario disporre di un’autorizzazione.

Animali selvatici non protetti

In Svizzera vengono considerati non protetti gli animali selvatici che non figurano nelle Appendici I-III della CITES né sono tutelati ai sensi della legge sulla caccia e della legge sulla protezione della natura e del paesaggio.
Sussiste tuttavia un obbligo di autorizzazione anche per l’importazione di alcuni invertebrati e per la maggior parte dei vertebrati non protetti.
Per importare parti di animali protetti e prodotti da essi derivati sono necessarie un’autorizzazione d’importazione dell’USAV (Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria) e, per lo più, un’autorizzazione d’esportazione rilasciata nel Paese di origine o di provenienza.

Per parti di animali protetti e prodotti da essi derivati si intende:

  • prodotti di specie CITES: le disposizioni della convenzione internazionale CITES si applicano a circa 5’000 specie animali, elencate nelle tre Appendici citate poc’anzi;
  • prodotti derivati da specie di uccelli indigene di cui è vietata la caccia, protette ai sensi della legislazione svizzera in materia di caccia e di protezione della natura e del paesaggio.

Determinate parti e prodotti non trasformati, come ad esempio carni o pelli grezze, sono inoltre soggette alla legislazione in materia di epizoozie.

Piante ornamentali compresi bulbi e tuberi, semi, fiori recisi, foglie, frasche e rami

Tutti gli invii e gli esemplari di piante soggetti alle disposizioni CITES (anche riprodotti artificialmente) devono essere accompagnati dall’originale del certificato CITES rilasciato nel Paese d’origine. Il certificato è obbligatorio a prescindere dalla quantità.
Oltre 28’000 specie di piante rientrano nel campo d’applicazione della CITES; di queste, circa 300 sono iscritte nell’Appendice I e possono essere oggetto di scambi commerciali internazionali solo se ottenute da esemplari riprodotti artificialmente nell’ambito della coltivazione vivaistica; vige invece il divieto per le piante selvatiche.
Di norma non viene richiesto alcun permesso d’importazione dell’USAV per le piante CITES vendute in commercio e il materiale vegetale vivo deve essere anche accompagnato da un certificato fitosanitario (Phytosanitary Certificate = certificato di fitosanitario).

L’importazione in Svizzera deve avvenire esclusivamente attraverso gli uffici doganali inclusi nell’elenco “Uffici doganali per l’importazione di piante CITES”.
Sussiste un obbligo generale di notifica nei confronti dell’autorità doganale e del Servizio fitosanitario federale. Il Servizio fitosanitario federale è in grado di fornire ulteriori informazioni circa l’importazione di piante.
Del controllo alla frontiera è responsabile il Servizio fitosanitario federale (SFF) dell’UFAG (Ufficio federale dell’agricoltura), che su incarico dell’USAV effettua anche il controllo CITES.

Riesportazione di animali selvatici vivi – animali selvatici protetti

In Svizzera, gli animali sono protetti dalle seguenti disposizioni:

  • CITES: le norme previste dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e di flora selvatiche minacciate di estinzione (CITES) interessano circa 5’000 specie animali, elencate nelle tre Appendici già citate.
  • Legislazione sulla caccia e sulla protezione della natura e del paesaggio

Per esportare animali selvatici protetti dalla CITES sono necessari un’autorizzazione d’esportazione o un certificato di riesportazione rilasciati dall’USAV.

Per l’esportazione di specie iscritte nell’Appendice I, è necessario che l’organo di gestione del Paese di destinazione abbia rilasciato un’autorizzazione d’importazione prima che l’USAV rilasci a propria volta un’autorizzazione d’esportazione (certificato di riesportazione). Tuttavia, per il commercio delle suddette specie vigono severe restrizioni. L’esportazione viene autorizzata, ad esempio, solo se si tratta di esemplari pre-convenzione, se è comprovabile che gli animali sono stati allevati in cattività o se vengono esportati nel quadro di programmi di conservazione in cattività e per finalità di ricerca.
Anche per gli animali di specie elencate nelle Appendici II e III sono necessarie autorizzazioni d’esportazione (certificati di riesportazione).
Per sapere se e in quale forma nel Paese in cui si intende esportare gli esemplari siano richieste autorizzazioni d’importazione per le specie iscritte nelle Appendici II e III, è opportuno contattare le autorità CITES del Paese di destinazione.

Riesportazione di parti di animali e prodotti derivati

In Svizzera, gli animali sono protetti dalle seguenti disposizioni:

  • CITES: le norme previste dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e di flora selvatiche minacciate di estinzione (CITES) interessano circa 5’000 specie animali, elencate nelle tre Appendici descritte.
  • Legislazione sulla caccia e sulla protezione della natura e del paesaggio.

Per esportare parti di animali appartenenti a specie protette dalla CITES e prodotti da essi derivati sono necessari un’autorizzazione d’esportazione o un certificato di riesportazione rilasciati dall’USAV.

Fonti:


Necessitate maggiori dettagli? Il Servizio Export Cc-Ti è a vostra disposizione.

L’importanza degli accordi di libero scambio

«La Svizzera include sistematicamente nei suoi accordi di libero scambio disposizioni giuridicamente vincolanti sulla protezione dell’ambiente e dei lavoratori». Il popolo svizzero è stato chiamato alle urne accettando l’accordo di libero scambio con l’Indonesia. Ecco qualche spunto di riflessione per evidenziare la rilevanza del libero scambio per l’economia svizzera: la liberalizzazione del commercio internazionale ottimizza il benessere collettivo, per cui la Svizzera ne beneficia in modo positivo.

Nel mondo le risorse naturali sono ripartite irregolarmente. Alcuni Stati non sono autosufficienti, non producono tutti i beni e i servizi di cui necessitano in modo autonomo.
È questa una delle ragioni per cui sono nati gli accordi di libero scambio. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il commercio internazionale ha continuato a crescere. Un tale incremento coincide naturalmente con l’aumento degli accordi di libero scambio, che si posizionano come garanti della prosperità.
Una politica aperta, che mette in luce il libero scambio ha l’obiettivo di ridurre le barriere doganali e favorire l’estensione dei mercati, aprendo nuovi sbocchi per l’esportazione.
Alcune teorie economiche affermano che la libertà degli scambi conduce le Nazioni a specializzarsi nella produzione di beni fabbricati a costi contenuti. Ne risulta un incremento per il reddito mondiale. L’apertura dei mercati genera consequenzialmente una pressione concorrenziale che indirizza alcuni Paesi all’adozione di politiche protezionistiche, di limitazione ai prodotti esteri sui mercati interni.

Liberalismo vs. neomercantilismo

Il commercio mondiale è frequentemente confrontato con un contrasto tra la libertà di scambio e interventismo statale. Molto spesso esistono ragioni oggettive per la promozione del protezionismo. Una limitazione della concorrenza estera può, per esempio, consentire la salvaguardia degli impieghi, delle attività ritenute indispensabili (l’agricoltura) e di favorire lo sviluppo di nuove attività.
Resta il fatto che alcune pratiche possano risultare – sul lungo termine – addirittura dannose per la comunità internazionale. Una riduzione delle importazioni di un attore genera inevitabilmente una diminuzione delle esportazioni per altri. Questa dinamica mette in difficoltà la dinamicità economica globale. Inoltre, una politica protezionistica rischia di rendersi responsabile di una guerra commerciale latente. D’altro canto, la libera circolazione dei prodotti – che corrisponde allo stato naturale dell’economia – presuppone, per sua natura, un incremento della domanda. L’esistenza della concorrenza favorisce l’innovazione e, in questo senso, il libero scambio permette di produrre di più e meglio, costituendo un fattore chiave dello sviluppo economico. Contemporaneamente il libero scambio protegge le relazioni internazionali, portando i Paesi a limitare eventuali conflitti con i propri partner commerciali.

Gli accordi di libero scambio

Il libero scambio nasce dove possibile concertare accordi puntuali specifici. Oltre alla Convenzione AELS e all’accordo di libero scambio con l’Unione europea (UE), la Svizzera dispone di una rete di 32 accordi di libero scambio con 42 partner. Tali accordi sono di solito conclusi nell’ambito dell’Associazione europea di libero scambio (AELS); la Svizzera può però stipulare accordi di libero scambio anche al di fuori dell’AELS, così com’è avvenuto con il Giappone e la Cina.
Un accordo di libero scambio (ALS) è un contratto tra due o più Stati atto a favorire il commercio internazionale tra questi. In questi accordi vendono siglati e determinati, con le parti, trattamenti preferenziali per ovviare a oggettive complessità nei rapporti commerciali esistenti tra i Paesi (una panoramica degli accordi di libero scambio della Svizzera è disponibile su www.seco.admin.ch).
I trattati dell’Organizzazione Mondale del Commercio (OMC) permettono tali accordi preferenziali solamente a certe condizioni.
L’accordo principale di libero scambio “prima generazione” regolamenta la circolazione delle merci (in particolar modo per l’abolizione o la diminuzione dei dazi doganali e altre restrizioni) e – in alcuni casi – disposizioni sulla protezione dei diritti di proprietà intellettuale. Nell’accordo viene regolato il commercio di prodotti industriali (capitolo HS 25-97), prodotti ittici e prodotti agricoli trasformati. Il commercio di prodotti agricoli di base è oggetto di accordi agricoli bilaterali separati.
L’accordo di “seconda generazione” comporta un’intesa più ampia del basilare commercio delle merci e può elencare, per esempio, l’intesa sul commercio dei servizi, investimenti, concorrenza, appalti pubblici e anche sulle disposizioni sulla sostenibilità commerciale.

Il futuro accordo con il Mercosur
Nel 2019 gli Stati dell’AELS (fra cui la Svizzera) e quelli del Mercosur, ossia il mercato dell’America latina (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay), hanno concluso le negoziazioni per un futuro accordo di libero scambio. Ciò significa che quasi il 95% delle esportazioni svizzere verso i Paesi del Mercosur (260 milioni di consumatori) potranno essere esonerate dai diritti doganali. Gli accordi di libero scambio comportano un capitolo importante contenente delle disposizioni obbligatorie in materia di sviluppo sostenibile. I diritti della popolazione indigena sono parte integrante dell’accordo.

La diplomazia commerciale elvetica

Per sua natura, la Confederazione Svizzera è orientata ai mercati esteri e questi rapporti internazionali costituiscono uno degli obiettivi centrali della politica economica rossocrociata.
La Confederazione è cosciente dell’importanza della liberalizzazione del commercio mondiale e opera insieme all’OMC in favore del multilateralismo. Il nostro Paese persegue quindi il rafforzamento della sua rete di accordi al fine di garantire alle aziende elvetiche un mercato internazionale almeno equivalente a quello dove operano i principali concorrenti esteri.

Nel 2018, gli importatori e i consumatori svizzeri hanno risparmiato in totale 2,5 miliardi di franchi per dazi doganali grazie all’applicazione di accordi di libero scambio. Il tasso di utilizzo medio degli ALS è del 73% per le importazioni in Svizzera. Il maggiore potenziale di risparmio sulle importazioni riguarda la plastica, il formaggio o la carta. Se si considerano i Paesi d’origine, i risparmi più importanti sono realizzati sulle importazioni provenienti dalla Germania, dall’Italia, dalla Francia, dalla Cina e dall’Austria. Per quanto concerne le esportazioni, gli autori dello studio hanno potuto esaminare gli scambi con alcuni Paesi con i quali la Svizzera ha concluso un ALS. Per Paesi come l’UE, la Cina, il Giappone, il Canada e il Messico, il tasso di utilizzo è stato nel 2018 dell’80%. Espresso in franchi svizzeri, ciò rappresenta un risparmio annuo in dazi doganali di 1,8 miliardi di franchi. In materia di esportazioni, sono gli orologi, le macchine e i metalli preziosi che permettono i maggiori risparmi. I dati mostrano chiaramente che le imprese svizzere utilizzano già molto spesso i vantaggi offerti dagli accordi di libero scambio. Un potenziale di risparmio ancora non sfruttato è identificato principalmente dal lato delle importazioni provenienti dalla Cina e dalla Germania.

La rete degli accordi di libero scambio della Svizzera

Fonte foto: Segreteria di Stato dell’economia – SECO

La reticenza della società civile

Malgrado l’importanza per le nostre aziende esportatrici, gli accordi di libero scambio non sono ancora ben visti. Alcune persone associano gli accordi di libero scambio a un consumismo eccessivo, mettendone in discussione i reali effettivi benefici.
La Svizzera si batte per affiancare alla ricerca di crescita ed espansione con le esigenze di uno sviluppo sostenibile. Sistematicamente la Confederazione include nei propri accordi di libero scambio delle disposizioni giuridiche per salvaguardare sia l’ambiente che i lavoratori. Queste disposizioni vengono applicate a tutti i settori compresi nell’ALS, tenendo conto anche della produzione agroalimentare, intendendo concretizzare gli impegni di tutte le parti nel segno dello sviluppo sostenibile coordinato dalle Nazioni Unite. Gli accordi di libero scambio attuali contengono, di conseguenza, anche gli aspetti sociali e ambientali legati al commercio.
È fondamentale che gli Stati si adoperino in favore della socialità e dell’ecologia.

Questa sensibilità mirata e attenta dovrà continuare ad essere chiara. L’approccio liberale e pragmatico della Confederazione merita di essere sostenuto.
L’accordo con l’Indonesia è stato quindi approvato dai cittadini svizzeri con una maggioranza del 51,6% nella votazione del 7 marzo 2021.

L’accordo commerciale con l’Indonesia
L’accordo di libero scambio con l’Indonesia riduce notevolmente gli elevati dazi all’importazione che colpiscono gli esportatori elvetici, rafforza la protezione della proprietà intellettuale, elimina gli ostacoli tecnici al commercio e accresce la sicurezza degli investimenti. Il 98% dei dazi all’importazione riscossi attualmente saranno completamente aboliti per gli esportatori svizzeri. Occorre sottolineare come l’accordo con l’Indonesia non introduca il libero scambio per l’olio di palma; le concessioni doganali accordate a questo prodotto sono legate a delle esigenze in materia di sostenibilità. Il testo include invece disposizioni sull’ambiente e sulle normative legate al commercio, come pure ai diritti umani.


Fonte del testo: Plein Centre, gennaio 2021

A, B e C

Riflessioni per la ricerca di un team ben concertato e vincente, per ottenere e guidare un’azienda di successo.

Steve Jobs, con le sue idee innovative e la sua straordinaria creatività, è stato il co-fondatore e poi CEO di Apple, e ha cambiato il mondo e non solo quello dell’elettronica di consumo. Egli ha diviso il personale di Apple in A, B e C perché credeva che un’azienda possa essere forte solo quanto il suo anello più debole.
Egli aveva introdotto il principio delle tipologie di collaboratori A, B e C, quindi aveva diviso i suoi dipendenti in diverse categorie al fine di eventualmente separarsi dagli anelli più deboli o dare loro occasione di miglioramento.

È assolutamente delicato e poco empatico categorizzare le persone, ma la differenziazione, in questa riflessione non si rivolge al valore personale, bensì alla ricerca di un team ben concertato e vincente.

Dipendente A

I collaboratori A si assumono le loro responsabilità. Sono le figure professionali sulle quali poter contare e assicurano all’azienda uno sviluppo positivo. Hanno un atteggiamento fondamentalmente positivo, sono motivati e sviluppano idee e strategie creative per far progredire il business. Sono essenziali per la sopravvivenza e in definitiva garantiscono il successo di un’attività commerciale.

Il collaboratore A, è il tipo di persona che devi trovare e assumere. “Difficile da trovare ma facile da supervisionare”. Sono personaggi che incoraggiano e motivano, agendo sempre per il bene dell’azienda. I “Re Mida” dell’impresa.
Il dipendente A riassume le qualità più edificanti per l’azienda:

  • È completamente concentrato e dedicato
  • Si assume la piena responsabilità
  • Mantiene ciò che promette nel tempo previsto
  • Informa in modo tempestivo riguardo eventuali cambiamenti nello sviluppo dell’incarico
  • Resta positivo e orientato alla ricerca di soluzioni
  • È assolutamente flessibile
  • Condivide i successi
  • Supera spesso gli obiettivi fissati
  • È al fianco del capo / dell’azienda con un atteggiamento protettivo e propositivo.

Ogni azienda dovrebbe quindi avere il maggior numero possibile di dipendenti A.

Dipendente B

I dipendenti B sono i classici “dalle 9.00 alle 17.00”, cioè arrivano alle 9:00 e lasciano la loro postazione alle 17:00. Solitamente svolgono il loro lavoro senza necessità di un controllo puntuale. Sono lavoratori che assumono i compiti loro affidati e li svolgono, punto. Si assumono poca o nessuna responsabilità. Limitano il loro impegno al tempo stretto definito per contratto, per esempio, tra le 9:00 e le 17:00. Se chiedi a un dipendente di B di rispondere a una richiesta di informazioni di un cliente che arriva poco prima delle 17.00, risponderà che darà seguito alla stesso “domani”.

Il dipendente B riassume le qualità di base per l’azienda:

  • Svolge il suo compito secondo le indicazioni fornite
  • Non prevede straordinari
  • Di solito commette pochi errori
  • Sfrutta mediamente le sue capacità
  • Propone pochi o nessun suggerimento
  • Non è né negativo né positivo, diremmo neutro

C’è una possibilità che i collaboratori B possano diventare collaboratori A se la composizione del team è adeguata. I dipendenti B hanno scarsi legami emotivi con l’azienda e svolgono il proprio lavoro solo sulla base delle istruzioni fornite loro. Questa categoria di dipendenti è inoltre caratterizzata da un assenteismo superiore alla media (diversi giorni all’anno) e da un tasso di fluttuazione più elevato.

Dipendente C

I dipendenti C sono motivo di preoccupazione in un’azienda. Sono responsabili della cattiva atmosfera e attraverso il loro comportamento contribuiscono in modo significativo al fallimento dei progetti, se non aziendale. Vedono sempre il bicchiere mezzo vuoto e sono inclini al pessimismo. Pertanto generalmente incolpano coloro che li circondano per i loro errori e fallimenti. La più grande fonte di demotivazione per i colleghi A sono i colleghi C.
C necessita normalmente del doppio del tempo per portare a termine il proprio compito.

Il dipendente C:

  • Lavora solo il minimo necessario
  • Parte e ha pregiudizi o giudizi negativi sull’attività e sull’azienda
  • È spesso malato
  • Contribuisce alla cattiva atmosfera e alla discordia
  • È costantemente alla ricerca di problemi
  • È sempre stressato e non ha mai tempo per fare il suo lavoro
  • Il lavoro che consegna è generalmente incompleto
  • Delega il proprio lavoro spesso e volentieri
  • Gironzola spesso senza meta per l’azienda, mimando grande occupazione
  • Esegue svogliatamente ciò che gli viene assegnato

Purtroppo esiste un solo modo per relazionarsi con i dipendenti C: o il cambio di atteggiamento avviene in modo rapidissimo o devono essere allontanati dall’azienda nello stesso rapidissimo tempo. Sono un danno.
I collaboratori C non considerano e non costruiscono alcun legame emotivo con il proprio lavoro o con l’azienda, loro sono già “licenziati internamente”.

La gestione delle diverse tipologie di collaboratori

Ora potete considerare queste tre categorie di collaboratori e provare a dare un riscontro reale nella vostra azienda.
Steve Jobs dava per scontato che ai colleghi A piacesse lavorare anche con colleghi A e che potessero lavorare bene anche con colleghi B.
D’altra parte, i colleghi A non potevano lavorare affatto con i colleghi C, essendo questi una fonte di demotivazione permanente. Inoltre, i dipendenti B potevano diventare dipendenti A con il tempo, purché collaborassero attivamente con i collaboratori A. Ma possiamo anche fare un passo in più in questo ragionamento. Proprio come il comportamento dei dipendenti A, anche il comportamento dei dipendenti C è “contagioso”. Ciò significa che se un’azienda ha pochi collaboratori A e, invece, diversi collaboratori B e C, si osserverà il seguente risultato: i collaboratori A lasceranno l’azienda perché impossibilitati a un rendimento consono alle loro capacità e aspettative. I collaboratori B e C resteranno in azienda. Il comportamento “distruttivo” dei collaboratori C influirà sui i collaboratori B, che livellano le loro prestazioni verso il basso. I collaboratori devono essere i tesori della vostra azienda. È necessario disporre di una formazione continua di qualità e buone condizioni sotto tutti i punti di vista: lavorativi, salute, ambiente e mentali. Sono le vostre “galline dalle uova d’oro”.
Inoltre, tenete presente che i collaboratori A renderanno anche il vostro lavoro di dirigente o responsabile più agevole e motivante.

Fondamentale è essere consapevoli del reale atteggiamento di un dipendente nei confronti dell’azienda. Utilizzando i seguenti criteri, è possibile intravvedere il gruppo a cui appartiene un collaboratore (la scala delle risposte potrà variare da molto buono a insoddisfacente). Il datore di lavoro e la persona risponderanno entrambi a queste domande. In questo modo le percezioni delle due parti potranno avere un valore completo.

Questi sono alcuni possibili criteri che potrebbero essere inclusi in un questionario comune:

  • Qual è il livello di esperienza?
  • Qual è l’interesse per la formazione continua?
  • Volontà di assumere delle responsabilità?
  • Quale orientamento verso la ricerca di soluzioni?
  • Collaborazione e rapporto con colleghi e superiori?
  • Qual è l’attitudine verso l’azienda?
  • Quanto è flessibile?
  • Qual è la motivazione sul posto di lavoro?
  • Qual è il ritmo del suo lavoro?
  • Qual è la qualità del suo lavoro?
  • Quanti suggerimenti di miglioramento vengono dal dipendente?

Il progetto finale A, B e C

Come abbiamo già evidenziato sarebbe ideale (utopistico forse) che la maggioranza dei vostri collaboratori appartenesse al gruppo dei collaboratori di categoria A.
Vale comunque la pena sostenere i collaboratori B e incoraggiarli nel loro cammino a migliorarsi ed essere ambiziosi.
Una buona quota nella classificazione A, B e C è 80:20:0. L’assunzione di un collaboratore C non dovrebbe neanche essere presa in considerazione.
Con pazienza e perseveranza verso obiettivi comuni, vengono stimati dai tre ai cinque anni, di dovrebbe poter raggiungere la quota 80:20. Questo equilibrio è un obbiettivo ottimale e sarete positivamente sorpresi e appagati dai grandi progressi e successi della vostra azienda.


Fonte: Weka

La nuova Legge federale sulla protezione dei dati

Sfide e opportunità per le aziende e i professionisti in una scheda informativa ricca di riflessioni.

La parola “LPD” è da alcuni mesi sulla bocca di tutti. LPD è l’acronimo ufficiale della Legge (federale) sulla protezione dei dati, normativa adottata dall’Assemblea federale, dopo un lungo periodo di gestazione, il 25 settembre 2020.

Si tratta di una revisione di legge complessa che avrà un impatto notevole sulla società e sulle imprese.

Il nuovo paradigma impone di rivalutare aspetti fondamentali della propria azienda, quali l’organizzazione interna, la gestione del personale, la tecnologia utilizzata, i fornitori di beni e servizi, la sicurezza e la trasparenza dei trattamenti. Il “giro di vite” a livello normativo è la “naturale” conseguenza della digitalizzazione e dei rischi sistemici che ne derivano (si pensi ai disastri informatici, ai furti di dati personali e ai casi di estorsione tramite “ransomware”), come pure degli abusi emersi nell’ambito di scandali internazionali, quali “Cambridge Analytica” (profilazione e manipolazione delle masse tramite fake news) oppure il caso Snowden.

La nuova LPD si prefigge di proteggere le persone fisiche e, indirettamente, l’intera comunità, dai trattamenti illeciti dei dati, affinché le informazioni possano essere utilizzate per creare una società digitale sicura, efficiente e non discriminatoria. Più romanticamente, si tratta di tutelare il bene più prezioso: la libertà e la dignità di ciascuno come essere umano.

Parlando di responsabilità, a conferma che l’adeguamento alla LPD non è un “optional”, saranno i consiglieri di amministrazione e i manager ad essere ritenuti responsabili penalmente per le violazioni della LPD riconducibili alle loro aziende (con multe fino a CHF 250’000.-). Ciò includerà la mancata implementazione degli standard minimi di sicurezza che saranno stabiliti dal Consiglio federale. Diversamente dal diritto europeo, che istituisce pesanti sanzioni amministrative pecuniarie a carico delle società, il diritto svizzero ha dunque optato primariamente per la responsabilizzazione dei dirigenti in quanto detentori del potere decisionale. Parallelamente, permane la responsabilità (civile) dei dirigenti verso la società, i suoi azionisti e i creditori per aver omesso di impedire il proliferare di atti illeciti, rispettivamente per aver omesso di implementare un’organizzazione conforme alla legge, come pure la responsabilità (civile) della società per la lesione della personalità delle persone interessate.

La data di entrata in vigore della LPD non è ancora stata decretata, considerato che mancano le norme attuative. Il termine per il referendum è scaduto infruttuoso, per cui, sotto questo profilo, non vi è alcun ostacolo giuridico alla messa in vigore. Gli esperti del settore ritengono che la data più realistica sia metà 2022. Essendo tale data relativamente lontana, si potrebbe essere tentati di rinviare la questione nel tempo. Sarebbe un errore di valutazione grave, tenuto conto della complessità degli adempimenti, dei tempi tecnici per la loro messa in opera e del fatto che la nuova LPD non prevede un termine generale di adeguamento dopo la sua entrata in vigore. È pertanto di fondamentale importanza avviare senza indugio il processo di messa a norma.

Trovandoci in un periodo di transizione, è bene sottolineare l’opportunità di implementare sin da ora le previsioni della futura LPD. In effetti, salvo rare eccezioni, tali previsioni non si pongono assolutamente in contrasto con il diritto attuale.

Vediamo concretamente come procedere e quali sono i principali adempimenti. Sia chiaro: non si tratta di uno sterile esercizio di “produzione cartacea” (come molti pensano), bensì di una vera e propria “ristrutturazione” dell’azienda, che comporta sia un ripensamento del rapporto con le persone interessate, i dati personali e la tecnologia, sia un cambiamento radicale di mentalità che tocca tutti, dai dipendenti fino al top management.

Innanzitutto, occorre creare un Team di progetto autorevole, dotato di risorse adeguate, competenze tecniche, operative e legali, nonché obiettivi chiari. Il Team deve godere del pieno sostegno della Direzione generale e del CdA. In mancanza di know-how specialistico interno, la guida del Team può essere affidata a uno specialista esterno. Le soluzioni completamente esterne (in cui lo specialista pretende, dopo alcune interviste, di mettere a norma l’azienda) sono illusorie e pericolose: nessuno conosce l’azienda meglio di chi ci lavora, per cui il coinvolgimento degli interni, in un cantiere “serio”, è imprescindibile.

Una volta costituito il Team, occorre stabilire il programma di lavoro con relativo scadenziario in base alle risorse disponibili, agli obiettivi e alle priorità d’intervento. In questo ambito, due questioni preliminari devono essere necessariamente affrontate:

(i) l’esigenza di considerare / implementare nel processo, data l’attività dell’azienda, anche normative estere (ad esempio, il GDPR)

e

(ii) l’individuazione di attività che necessitano di particolare (e prioritaria) attenzione (in ragione, ad esempio, delle responsabilità penali che ne scaturiscono oppure di aspetti “visibili” esternamente, come nel caso delle informative sui cookies, oppure perché i rischi per le persone interessate sono elevati).

La prima attività da svolgere è quella di “mappare” i trattamenti di dati personali, inserendo in un apposito registro i seguenti elementi: quali dati vengono trattati, da chi, come, dove, per quali scopi, chi ne è destinatario e sulla base di quale motivo giustificativo avviene il trattamento (legge, consenso o interesse preponderante pubblico o privato). Per lo svolgimento di tale compito è utile dotarsi di un gestionale informatico (nelle aziende medio – grandi la scelta è obbligata).

In secondo luogo, occorre definire ruoli e responsabilità di ciascuna persona che tratta dati personali, sia essa interna (dirigente, collaboratore) o esterna (data processor) all’azienda. La situazione va rappresentata in un organigramma di immediata fruibilità. Tali persone devono ricevere istruzioni chiare e complete sui trattamenti da effettuare (direttive e regolamenti interni) e, nel caso degli esterni, una volta accertata l’affidabilità dei singoli fornitori e dei loro prodotti e/o servizi, la delega del trattamento deve essere regolamentata tramite una convenzione scritta. Nell’ambito di tale fase, occorre valutare se sia opportuno (oppure obbligatorio, se si è confrontati con il GDPR) nominare un Data Protection Officer (DPO), il quale può essere interno o esterno all’azienda, onde presidiare il rispetto delle norme e offrire un supporto costante all’azienda e alle persone interessate nell’ambito di attività informative, ispettive e di consulenza. In base alla nuova LPD, che non prevede l’obbligatorietà della figura del DPO, la nomina comporta (a determinate condizioni) l’esclusione dell’obbligo di consultazione preventiva dell’Incaricato federale in presenza di trattamenti a rischio elevato. In terzo luogo, occorre attuare i principi per il trattamento dei dati personali (sicurezza, proporzionalità, correttezza, privacy by design e by default ecc.) in relazione ai trattamenti svolti e alla scelta degli strumenti (fisici e informatici) e delle modalità di trattamento, nonché identificare e bloccare eventuali attività illecite (in attesa di adeguamento o distruzione dei dati). In quarto luogo, occorre dare seguito agli obblighi di informare le persone interessate (inclusi i dipendenti, gli utenti delle risorse online e i clienti) circa i trattamenti svolti dall’azienda (o delegati a terzi) fornendo tutte le informazioni previste dalla legge. In quinto luogo, occorre identificare i motivi giustificativi alla base di ogni categoria di trattamento, raccogliendo ove necessario il consenso degli interessati (in maniera valida e comprovabile in giustizia), rispettivamente giustificando in modo documentato il ricorso all’interesse preponderante pubblico o privato (“LIA”). In sesto luogo, occorre creare un Team e delle regole per la gestione efficace e tempestiva dei “data breach” (violazioni della sicurezza), come pure per la gestione delle richieste delle persone interessate (rettifica dei dati, blocco dei trattamenti, revoca del consenso, accesso ai dati, portabilità ecc.). In settimo luogo, occorre identificare i trattamenti a rischio accresciuto che impongono lo svolgimento di una valutazione d’impatto sulla protezione dei dati (nel gergo, “DPIA”) e svolgere correttamente tale valutazione (in genere con l’ausilio di un tool informatico). Ove necessario, occorre effettuare la consultazione preventiva dell’Incaricato federale. In ottava posizione troviamo un punto essenziale: le attività di sensibilizzazione e di formazione dei dipendenti sui rischi, sui diritti e sugli obblighi di ciascuno in materia di protezione dei dati personali, nonché sulle responsabilità collegate.

Quale ultima riflessione, credo sia importante rilevare come le nuove norme non debbano essere viste come una rigida e onerosa imposizione, bensì come l’occasione per fortificare il rapporto di fiducia con clienti e dipendenti, promuovendo un’immagine aziendale positiva, socialmente responsabile e rispettosa delle regole e dei diritti fondamentali delle persone. Investire nella protezione dei dati personali significa operare in un contesto nuovo con coscienza e padronanza dei rischi e delle opportunità, sfruttando pienamente vantaggi competitivi e strumenti innovativi nel campo della digitalizzazione. Deludere le aspettative (sempre più elevate) degli utenti riguardo alla tutela della sfera privata e personale (caso WhatsApp docet) è una strategia dannosa non solo dal profilo giuridico, bensì commerciale. In definitiva, la strada è tracciata, per cui non resta che avviarsi con buona volontà, determinazione e con la migliore compagnia possibile verso la meta.


Articolo redatto da

Gianni Cattaneo, Avv., LL. M., FCI Arb

Nuovo accordo sulla fiscalità dei frontalieri: i punti principali

Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.

Lo scorso 23 dicembre Svizzera e Italia hanno concluso il “nuovo” Accordo relativo all’imposizione fiscale dei frontalieri. Si tratta di uno dei vari capitoli già contemplati nella cosiddetta Roadmap sottoscritta da Svizzera e Italia nel 2015, che elencava i temi aperti tra i due Paesi che necessitavano di una soluzione. Dopo diversi anni di negoziati le parti sono dunque arrivate ad una soluzione condivisa in questo ambito. L’accordo, a causa dei tempi tecnici di ratifica, sia sul versante svizzero che su quello italiano, entrerà verosimilmente in vigore nel 2023. Cosa cambia rispetto alla situazione attuale?

Attualmente i rapporti tra Svizzera e Italia in materia di fiscalità dei frontalieri si basano sul relativo accordo del 1974 che prevede l’imposizione esclusivamente in Svizzera. Concretamente un lavoratore frontaliere paga le imposte in Svizzera, la quale riversa una compensazione fiscale ai Comuni italiani di residenza pari al 38,8% dell’ammontare lordo delle imposte pagate dai frontalieri. È il cosiddetto sistema dei “ristorni”.

Il nuovo accordo non prevede sostanziali modifiche per gli attuali frontalieri. In effetti i lavoratori frontalieri residenti in Italia che alla data di entrata in vigore svolgono oppure che tra il 31 dicembre 2018 e la data dell’entrata in vigore hanno svolto un’attività di lavoro dipendente nell’area di frontiera in Svizzera per un datore di lavoro ivi residente, una stabile organizzazione o una base fissa svizzere, resteranno imponibili soltanto in Svizzera, che, fino al 2033 continuerà a versare i ristorni ai Comuni italiani. In seguito la Svizzera, per questi lavoratori, non verserà più alcuna compensazione all’Italia e terrà per sé tutti gli introiti fiscali.

La categoria maggiormente toccata dal nuovo sistema sarà per contro quella dei nuovi frontalieri, ossia coloro che otterranno tale statuto dopo l’entrata in vigore dell’accordo firmato lo scorso dicembre. Essi saranno imposti fiscalmente in Svizzera con una quota parte dell’80%. In altre parole, l’imposta prelevata in Svizzera non potrà eccedere l’80% dell’imposta risultante dall’applicazione dell’imposta sui redditi delle persone fisiche. Lo Stato di residenza, l’Italia (ed è questa la grande novità), potrà assoggettare a sua volta ad imposizione i lavoratori frontalieri. Il lavoratore frontaliere verrà quindi assoggettato in Svizzera (all’80%) ed in Italia (come soggetto fiscale italiano). L’accordo prevede il divieto della doppia imposizione, nel senso che l’Italia deve riconoscere al lavoratore italiano un credito d’imposta per quanto dovuto a titolo fiscale in Svizzera. Nel nuovo accordo è definito come frontaliere chi è fiscalmente residente in un Comune il cui territorio si trova, totalmente o parzialmente, nella zona di 20 km dal confine e ritorna, in linea di principio, quotidianamente al proprio domicilio.

Accordo di libero scambio con l’Indonesia: un modello all’avanguardia

Il 7 marzo 2021 il popolo svizzero sarà chiamato alle urne per esprimersi sull’accordo di libero scambio con l’Indonesia. Un’intesa progressista che combina negoziazioni commerciali e grande attenzione allo sviluppo sostenibile. La Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino appoggia questo importante partenariato economico.

Un mercato in piena crescita

Nell’immaginario collettivo l’Indonesia richiama paesaggi paradisiaci, tra spiagge e acque cristalline, ma questa Nazione non è unicamente una rinomata meta turistica. Paese emergente a tutti gli effetti – con i suoi 267 milioni di abitanti, una classe media in costante aumento e una crescente necessità di infrastrutture – lo Stato è già oggi un importante partner commerciale per la Svizzera.

Nel 2019 il commercio bilaterale tra la Confederazione e la Repubblica indonesiana ha raggiunto 1,47 miliardi di franchi, un aumento del 6,4% rispetto all’anno precedente. La Svizzera esporta in Indonesia prevalentemente macchinari, dispositivi elettronici, prodotti chimico-farmaceutici e importa soprattutto materie prime (pietre e metalli preziosi, tessili). Paese ritenuto dall’elevato potenziale economico, rappresenta per la Svizzera un mercato del futuro e non a caso la SECO l’ha inserito nelle priorità della cooperazione economica. Il Fondo Monetario Internazionale situa attualmente l’Indonesia al 16° rango delle principali economie mondiali e, secondo le previsioni di numerosi esperti, potrebbe diventare la quarta superpotenza al mondo entro il 2050.

Il libero scambio, uno strumento di mercato fondamentale

In un’epoca in cui il commercio mondiale è sempre più incerto e le tendenze protezionistiche sono crescentemente più intense, per una nazione esportatrice come la Svizzera è fondamentale avere forti alleati. In quest’ottica gli accordi di libero scambio diventano uno strumento di mercato essenziale. Essi permettono di agevolare l’accesso della Svizzera ai mercati esteri e al contempo di diversificare le relazioni economiche. Attraverso la riduzione di dazi doganali e delle barriere commerciali si facilitano gli scambi commerciali import/export, andando di conseguenza a rafforzare l’economia e la prosperità del nostro Paese.

Partendo da questi presupposti, sembra chiara l’importanza racchiusa nell’accordo di libero scambio con l’Indonesia. Siglato nel 2018 dagli Stati membri dell’AELS (Svizzera, Islanda, Liechtenstein e Norvegia), è stato accolto molto positivamente dagli ambienti economici svizzeri. Questo importante partenariato economico prevede l’abolizione a medio termine del 98% dei dazi all’importazione, che corrisponde a un risparmio per le nostre aziende di circa 25 milioni di franchi all’anno. La soppressione di numerosi ostacoli tecnici non tariffari permetterebbe di intensificare gli scambi tra le due Nazioni. L’accesso al mercato indonesiano sarebbe così facilitato e le aziende svizzere beneficerebbero di un importante vantaggio concorrenziale. L’accordo rafforza inoltre la protezione della proprietà intellettuale e aumenta la certezza degli investimenti. Non da ultimo, sono previste semplificazioni in molti altri settori, come nel commercio di servizi e nel turismo.

Commercio e sostenibilità: tracciata una nuova via

In questo accordo, la Svizzera non ha negoziato unicamente elementi riguardanti gli scambi commerciali, ma ha apportato un importante contributo allo sviluppo sostenibile inserendo un ampio pacchetto di misure specifiche vincolanti, soprattutto legate al commercio di olio di palma. Proprio quest’ultimo è una questione spinosa per gli oppositori dell’accordo che hanno lanciato un referendum su cui saremo chiamati a votare il prossimo 7 marzo. La critica principale è diretta contro la riduzione dei dazi doganali sull’olio di palma, la cui alta redditività della produzione ha portato a dissodare ampie aree di foresta, mettendo in pericolo l’ecosistema indonesiano. Le autorità federali sono ben coscienti di queste problematiche e hanno negoziato l’agevolazione all’importazione solo per quello prodotto in maniera sostenibile. Non vi sarà quindi nessuna riduzione dei dazi doganali e delle barriere commerciali se la produzione non rispetterà i severi standard ecologici e sociali fissati. La Confederazione dovrà quindi garantirne la tracciabilità. L’intesa inoltre non prevede un libero scambio totale: i dazi doganali saranno ridotti del 20-40% e non completamente aboliti. In aggiunta a ciò, il volume totale in arrivo nel nostro Paese dovrà rimanere stabile. È interessante notare che le importazioni di questo prodotto verso la Svizzera sono minime: nel 2019 ammontavano a 24mila tonnellate in provenienza da tutto il mondo, tra queste 35 tonnellate dall’Indonesia, l’equivalente dello 0,01%. Inoltre, secondo i dati di economiesuisse, il commercio di olio di palma rappresenta lo 0,0001% del totale delle importazioni dal Paese asiatico. Sarebbe quindi peccato sacrificare per queste quantità un’intesa che ha trovato il giusto equilibrio tra commercio e sostenibilità.

La grande attenzione rivolta alle misure a favore dello sviluppo sostenibile ha reso l’accordo di libero scambio con l’Indonesia estremamente progressista. È stato raggiunto un risultato negoziale senza precedenti, a dimostrazione che economia e sostenibilità non sono incompatibili. Durante la conferenza stampa per il lancio della campagna a favore dell’accordo, il Presidente della Confederazione Guy Parmelin ha infatti parlato di “accordo di nuova generazione” e ha sottolineato che con esso “non sacrifichiamo i principi sull’altare del libero scambio”. Una nuova via è stata tracciata e ci auguriamo che questo accordo possa diventare un modello da seguire per futuri partenariati economici.

Squadra vincente, anche online

Negli ultimi tempi il telelavoro si è imposto per molte aziende quale must. Diventa così imprescindibile riuscire a mantenere elevato lo spirito di gruppo e la coesione fra i collaboratori.

Un’antitesi? No. Benché in diversi settori e per molte società si lavori da casa, le riunioni in videocall sulle diverse piattaforme come Zoom, Teams, Skype, ecc. sono diventate una norma. Per i responsabili dei team, come pure per chi conduce regolarmente gli incontri diventa indispensabile acquisire una buona leadership che coinvolga le persone, mantenga viva l’attenzione e stimoli la produttività.

La leadership a distanza si impara? Nelle riunioni online la sfida, quindi, è quella di mantenere lo spirito di gruppo, evitando che i collaboratori si isolino, ma al contrario motivandoli a mantenersi attivi.

Compito non facile, ma sicuramente affascinante. Quali sono quindi gli ingredienti da dosare in queste occasioni?

Online non è offline

Non si possono rievocare le dinamiche delle riunioni tradizionali (quelle faccia a faccia). Occorre frammentare in modo diverso il tempo, perché la nozione del tempo stesso muta online: nelle videocall le attese si diluiscono, si potrebbe pensare di perdere tempo prezioso.

Convocare online solo le persone indispensabili all’esercizio, e fare in modo che tutti abbiano la possibilità di interagire, ponendo delle domande (chat o live).

Momenti informali? Volentieri.

Le pause caffè o quegli istanti di chiacchiere in corridoio sono azzerati con lo smart working. A ciò si può rimediare organizzando delle pause virtuali, che servono a ricreare e riattivare i legami sociali. Come? Ad esempio, con un caffè via Skype 15 minuti prima dell’incontro ufficiale per allineare le idee e mettersi d’accordo o un aperitivo serale dove parlare di hobby e progetti futuri. Questi nuovi modi d’incontro sono benvenuti e servono, per l’appunto, a rinsaldare i legami. Non solo lavoro, ma sentirsi vicini, anche a distanza.

L’ascolto attivo

Si tratta della capacità di porre attenzione alla comunicazione dell’altro senza formulare giudizi. È un atto intenzionale che impegna la nostra attenzione a cogliere quanto l’altro ci riferisce sia in modo esplicito che implicito, sia a livello verbale che non verbale. Online è sicuramente una tecnica da affinare per quanto concerne la comunicazione non verbale.

Mantenere lo spirito di gruppo

Un detto sportivo recita “squadra che vince non si cambia”, ecco il motivo per cui è essenziale preservare l’unione del team con equilibri e concertazione, tanto online che in presenza. Allineare l’équipe sulla visione comune dell’organizzazione crea un maggior senso d’appartenenza e migliora la comunicazione.

Le attività di team building sono necessarie anche quando si lavora da remoto, in quanto la collaborazione degli attori che compongono la squadra è fondamentale. Il team building è un potente strumento a disposizione delle aziende per aiutare le persone a lavorare insieme nel modo giusto e ottenere risultati di business altamente soddisfacenti.

Questo genere di progetti ora si organizza online: virtualmente, visto che partecipanti non sono tutti nello stesso spazio, ogni collaboratore partecipa stando alla propria scrivania.
Sicuramente applicare aspetti ludici alle attività di team building è un buon incentivo. La cosiddetta “gamification” (traducibile in italiano come “ludicizzazione”) è l’utilizzo utilizzo di dinamiche proprie del gioco (come punti, livelli, premi) in contesti non ludici, per sollecitare impegno e competitività e stimolare la ricerca di soluzione a un problema.

Le attività che vengono proposte per mantenere attiva la coesione e lo spirito di gruppo riescono a calamitare le persone, le coinvolgono con allegria, insegnando, motivando e trasferendo – spesso anche in modo inconscio – messaggi e valori.

Tipi di attività

La varietà di proposte da svolgere è davvero illimitata e si espande come la creatività di chi organizza le attività (che permettono anche, a livello di risorse umane, di valutare i collaboratori su aspetti quali la disponibilità, l’interazione, la conoscenza della propria azienda, ecc.).

Si va dai cruciverba (personalizzabili con parole ad hoc sui rami organizzativi aziendali) all’inventare e cantare canzoni aziendali (o jingles), dai quiz online all’aperitivo post riunione.

Sfide e attività d’interazione solo apparentemente ludici permettono ai membri di un team di restare uniti e manifestare skills sopite o non così sviluppate.
Un benvenuto alle squadre unite e vincenti anche online!

Filiere produttive, l’anima dell’economia mondiale

Se le filiere produttive caratterizzano e marcano oggi la forza economica dei singoli Paesi, la supply- chain globale, ovvero la grande catena internazionale di approvvigionamento, produzione, logistica e distribuzione, ridisegna di continuo la mappa degli interessi strategici degli Stati e i nuovi assetti geopolitici.

Il devastante impatto della pandemia innescata dal Coronavirus ci ha fatto vedere concretamente quanto sia interconnessa e interdipendente l’economia mondiale. Ci ha mostrato come la produzione e la commercializzazione di merci e servizi si sviluppano lungo un sistema reticolare di filiere che si estende su tutto il pianeta. Sempre attivo 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno. Ci ha brutalmente messo davanti al fatto che gli scompensi e le rotture anche in un solo punto di questa rete planetaria si ripercuotono non solo sulla vita delle imprese ma sull’esistenza quotidiana di noi tutti.

Cosa sono le filiere produttive

In generale, col termine filiera produttiva s’intende tutto il processo che trasforma una materia prima in un prodotto finito. In poche parole, la successione delle diverse fasi di lavorazione. Dal profilo strettamente operativo si possono distinguere: la produzione e la lavorazione della materia prima, la ricerca per migliorare questa materia prima, i servizi per accrescere la qualità del prodotto finale, la logistica per le forniture, la conservazione e la distribuzione del prodotto e, infine, la sua commercializzazione sui mercati più convenienti per massimizzarne il valore. Questo processo può essere dimensionato su scala locale, nazionale oppure internazionale.

Un esempio classico, quello del tessile, aiuta a chiarire meglio le idee. Per la produzione dei tessuti di lana, la filiera inizia dall’allevamento e dalla tosatura delle pecore. La lana, dopo il lavaggio e la selezione, viene venduta alle aziende che la filano, queste ultime la rivendono alle imprese di tessitura che cedono poi il loro prodotto alle industrie che confezionano abiti e altri capi d’abbigliamento. Tutte le fasi di questa lunga lavorazione possono essere eseguite in un solo Paese così come su scala transnazionale: pecore allevate e tosate in Australia o in Nuova Zelanda, filatura in Cina, tessitura in qualche altra regione dell’Asia, confezionamento degli abiti in Romania, distribuzione in Europa e nelle Americhe. Inoltre, la catena del tessile può anche incrociarsi con quella del mobile e dell’arredamento.

Le differenti attività che danno vita ad una filiera sono effettuate da imprese diverse che lavorano in modo integrato. Produrre in filiera, oltre a massimizzare sul mercato il valore economico del prodotto, eliminando, o quantomeno riducendo, le diseconomie nei vari passaggi, permette anche di garantire in ciascuno di essi una suddivisione dei benefici commisurata ai rischi imprenditoriali assunti. Ogni fattore che crea valore per tutto il processo produttivo viene, quindi, adeguatamente remunerato.

Tipologie di filiere

Il modello delle filiere si ritrova in tutti i settori, dall’agricoltura all’industria e al terziario, e rappresenta di fatto il tessuto connettivo di un sistema economico avanzato. Le imprese che eseguono una o più fasi dell’attività della filiera sono integrate in senso verticale nel processo che porta alla realizzazione di un bene oppure in senso orizzontale operando nello stesso stadio di un ciclo produttivo. Ovvio che con la globalizzazione una stessa filiera può essere localizzata ed estendersi, come già detto, in Paesi diversi o addirittura su più continenti. Da questo punto di vista si distinguono filiere corte o lunghe, a seconda del numero di passaggi necessari per arrivare alla vendita del prodotto finale. Nelle prime, molto diffuse in agricoltura per i prodotti che non richiedono processi di trasformazione, c’è una relazione pressoché diretta tra chi produce e chi consuma; nelle seconde si registra invece la presenza di un numero molto più elevato di imprese e di intermediari, ed è anche molto più grande la distanza tra il luogo di produzione e quello del consumo. Ci sono, tuttavia, produzioni in cui i due modelli possono coesistere in uno stesso contesto, poiché le aziende possono trovare conveniente sfruttare le opportunità offerte da entrambi.

La lunghezza della filiera e la distanza tra le imprese che ne fanno parte incidono sul prezzo finale del bene. Che sia corta o lunga, tra gli altri vantaggi di questa lavorazione c’è anche la tracciabilità del prodotto, elemento quest’ultimo che, soprattutto nel comparto agroalimentare, ha acquistato sempre più rilevanza.

Il rapporto col territorio

Tutte le tipologie di filiera possono essere più o meno efficienti a dipendenza delle situazioni locali e dei mercati in cui operano. Tra queste catene produttive e il territorio c’è difatti un rapporto molto stretto. Lo sviluppo delle prime può favorire o condizionare lo sviluppo dell’altro e viceversa, innescando una relazione virtuosa. Le filiere possono essere il motore della crescita economica di una regione, in termini di occupazione, redditi, innovazione, formazione della manodopera e ricchezza pro capite. Un motore che gira tanto più veloce quanto più un territorio supporta le imprese con infrastrutture moderne, servizi efficienti e agevolazioni alle attività produttive.

La presenza su un territorio circoscritto di forti raggruppamenti di aziende orientate su una stessa produzione dà vita ai cosiddetti distretti industriali. Realtà connotate da un’elevata specializzazione (risultato di una più efficace divisione del lavoro), da una maggiore circolazione delle informazioni, dall’ottimizzazione delle relazioni culturali e istituzionali locali e dalla più facile acquisizione di competenze professionali e sociali. Qualità che nel loro insieme proiettano con successo le aziende del distretto anche su quei mercati internazionali che sembrerebbero irraggiungibili se si guardasse soltanto alle loro dimensioni.

Prestazioni di sostegno

Una raccolta di informazioni relative ai differenti sostegni all’economia vista la situazione pandemica Covid-19. Articolo aggiornato periodicamente.

Casi di rigore

Coronavirus: ultimi adeguamenti dell’ordinanza COVID-19 casi di rigore a favore delle imprese particolarmente colpite – com. stampa del Consiglio federale 21.6.2021

Presentazione ufficiale della conferenza stampa del DFE del 29.1.2021 sul tema dei casi di rigore in Ticino – Sito web di riferimento cantonaleattivo dal 1.2.2021

Coronavirus: il Consiglio federale potenzia il programma per i casi di rigore e l’assicurazione contro la disoccupazione – Com. stampa del Consiglio federale – 27.1.2021

Coronavirus: la Confederazione estende il sostegno fornito con i programmi per i casi di rigore – comunicato del 13.1.2021

Coronavirus: il Consiglio federale adegua l’ordinanza casi di rigore e l’ordinanza perdita di guadagno – comunicato del 18.12.2020

Coronavirus: Il Consiglio federale vuole ampliare le possibilità di sostegno alle imprese – Consiglio Federale – 11.12.2020


Previdenza professionale

Coronavirus: rinnovati i provvedimenti nel settore della previdenza professionale – 11.11.2020


Lavoro ridotto

COVID-19: il Consiglio federale emana alcune misure relative al lavoro ridotto – com. stampa del Consiglio federale del 26.1.2022

Coronavirus: il Consiglio federale prende una decisione di principio sull’indennità per lavoro ridotto – com. stampa del Consiglio federale del 17.12.2021

Coronavirus: prorogata la procedura di conteggio sommaria relativa al lavoro ridotto – com. stampa del Consiglio federale del 1°.10.2021

Coronavirus: aumento della durata di riscossione del lavoro ridotto e proroga della procedura semplificata – com. stampa del Consiglio federale del 23.6.2021

Coronavirus: adeguamento delle misure nell’ambito dell’indennità per lavoro ridotto– com. stampa del Consiglio federale dell’11.6.2021

Coronavirus: estesa a 24 mesi la durata massima del diritto all’ILR – com. stampa del Consiglio federale 12.5.2021

Coronavirus: proroga delle misure in materia di lavoro ridotto19.03.2021

CF – Coronavirus: ampliamento delle misure nel settore del lavoro ridotto per contenere le ricadute economiche – 20.1.2021

Coronavirus: proroga e ripristino delle misure in materia di indennità per lavoro ridotto18.12.2020
Nuove disposizioni per l’Indennità per lavoro ridotto (ILR)NEWS DEL 5 AGOSTO 2020

Coronavirus: Indennità per lavoro ridotto: la durata di percezione è prolungata a 18 mesi – comunicato stampa del Consiglio Federale
Il preannuncio di lavoro ridotto può essere inoltrato all’autorità competente unicamente online, utilizzando l’apposito modulo online.
Altre info: Sito della Divisione dell’economia – FAQ Lavoro ridotto – Informazione per i datori di lavoro indennità LR


Indennità perdita guadagno – disoccupazione

Rinnovo della prestazione ponte COVID – comunicato stampa cantonale del 28.1.2022

Coronavirus: prolungamento dell’indennità di perdita di guadagno per il coronavirus sino alla fine del 2022 – com. stampa del Consiglio federale del 17.12.2021

Coronavirus: prolungamento del diritto all’indennità di perdita di guadagno – com. stampa del Consiglio federale del 18.6.2021

Coronavirus: implicazioni per la sicurezza sociale in un contesto internazionale – com. stampa del Consiglio federale dell’11.6.2021

Pandemia di coronavirus: modifica della legge COVID-19 riguardante l’indennità di perdita di guadagno e lo sport – com. stampa del Consiglio federale del 12.5.2021

Adeguamento della Prestazione ponte COVID – com. stampa cantonale 5.5.2021

Circolare sull’indennità in caso di provvedimenti per combattere il coronavirus – Indennità di perdita di guadagno per il coronavirus (CIC)

Coronavirus: prolungamento del diritto all’indennità di perdita di guadagno anche per i lavoratori indipendenti e le persone in posizione assimilabile a quella di un datore di lavoro indirettamente colpiti – comunicato del Consiglio Federale del 4.11.2020

Dépliant “Indennità di perdita di guadagno Corona in caso di diritto dal 17 settembre 2020

CF – Coronavirus: indennità di perdita di guadagno per il coronavirus: prolungamento in determinati casi – comunicato stampa del Consiglio federale dell’11.9.2020

Coronavirus: prolungamento delle semplificazioni nell’ambito dell’AD – comunicato stampa del Consiglio federale del 26.8.2020

Coronavirus: Assicurazione contro la disoccupazione: modifica dell’ordinanza COVID-19 AD – comunicato stampa del Consiglio federale del 12.8.2020

Indennità di perdita di guadagno per il coronavirus: il diritto dei lavoratori indipendenti è prolungato fino al 16.9.2020 – comunicato stampa del Consiglio Federale

Coronavirus: termini chiari per il diritto all’indennità di perdita di guadagno per il coronavirus – comunicato stampa del Consiglio Federale

Indennità per perdita di guadagno Corona per indipendenti – comunicato stampa del Canton Ticino

Disposizioni transitorie concernenti il diritto all’indennità di perdita di guadagno: diritto alle indennità per indipendenti prolungato fino al 16 maggio – comunicato stampa del Consiglio Federale

Coronavirus: estensione del diritto all’indennità di perdita di guadagno ai casi di rigore – comunicato stampa del Consiglio Federale e relativa Ordinanza sui provvedimenti in caso di perdita di guadagno in relazione con il coronavirus (COVID-19)

Coronavirus: estensione del diritto all’indennità di perdita di guadagno ai casi di rigore – comunicato stampa del Consiglio Federale e relativa Ordinanza sui provvedimenti in caso di perdita di guadagno in relazione con il coronavirus (COVID-19)

Traitement fiscal des prestations selon l’ordonnance sur les mesures en cas de pertes de gain en lien avec le coronavirus – documento dell’Amministrazione federale delle Contribuzioni del 6 aprile 2020

Documento informativo (edito dal Centro d’informazione AVS/AI in collaborazione con l’Ufficio federale delle assicurazioni sociali) –FAQ (redatte dall’Ufficio federale delle assicurazioni sociali UFAS) – Modulo da compilare e spedire alla cassa di compensazione –
Circolare sull’indennità in caso di provvedimenti per combattere il coronavirus – Indennità di perdita di guadagno per il coronavirus (CIC)


Fideiussioni per PMI

Fideiussioni per start-up
Sito web della Confederazione dedicato “Crediti transitori per le imprese
News del 25.3.2020: Il Consiglio federale licenzia un’ordinanza di necessità concernente la concessione di crediti e fideiussioni solidali da parte della Confederazione
Altre info: Sito della Segreteria di Stato per l’economia – SECO – Regime speciale inerente le Fideiussioni per PMI (flyer SECO)


Richiesta di prestazioni complementari all’AVS/AI (PC) tramite formulario compilabile online

Sul sito dello IAS – Istituto Assic. Sociali è presente la documentazione necessaria per la richiesta di prestazioni complementari compilabile online.
Coronavirus: informazioni per i datori di lavoro e gli indipendenti


Anche le start up innovative ottengono il sostegno della Confederazione

Comunicato stampa della Cofederazione


Nuova Ordinanza Covid-19 per la cultura in vigore fino al 2021

Coronavirus: rafforzamento del sostegno al settore della cultura – com. stampa del Consiglio federale – 31.3.2021
Il DECS comunica che è online la pagina www.ti.ch/covidcultura aggiornata con le nuove indicazioni e i formulari per le richieste di sostegno finanziario in ambito culturale (valido dal 18.11.2020 al 30.11.2021)

Ritrovate l’articolo con tutti i dettagli aggiornati sulle informazioni per le aziende

Effetto ‘Brexit’: cosa cambia per la Svizzera che esporta?

Tenuto conto che dal 1° gennaio 2021 la Gran Bretagna non fa più parte dell’Unione Europea, di conseguenza l’accordo Svizzera-UE non può più essere applicato con questo Paese.

Nello specifico è stato concluso un puntuale accordo commerciale tra la Svizzera (incluso il Principato del Liechtenstein) e il Regno Unito. Con questo accordo entrambi i Paesi possono usufruire di un ingresso più favorevole nei rispettivi mercati.

  • Nel complesso vengono mantenute le norme di origine della Convenzione regionale sulle norme di origine preferenziali paneuromediterranee (Convenzione PEM), significa quindi che il trattamento preferenziale per i dazi doganali verrà mantenuto nelle relazioni tra Svizzera e Regno unito.
  • Affinché nelle relazioni bilaterali tra i Paesi sia consentito il cumulo deve esistere un ALS tra tutte le parti con regole d’origine identiche.
  • Tenendo conto che le regole d’origine dell’ALS UE-UK non sono identiche a quelle dell’accordo commerciale tra Svizzera e UK, per questo motivo il cumulo con materiali originali dell’UE non è possibile.
  • Per quanto riguarda le prove di origine preferenziali, sono considerate valide i certificati di circolazione delle merci EUR 1 o EUR-MED per gli invii di qualsiasi valore. Mentre per gli invii di merci originarie con un valore complessivo non superiore a CHF 10’300.-, pari a euro 6’000.- o 5’700.- sterline britanniche è anche considerata valida la dichiarazione di origine su fattura.
  • È bene sapere che l’Irlanda del Nord (inclusi Gibilterra, le Isole del Canale e l’Isola di Man) fanno parte a pieno titolo del territorio doganale del Regno Unito, pertanto sottostanno all’accordo commerciale tra la Svizzera e il Regno Unito.

Un accenno di storia

(fonte: SECO)

Il Regno Unito rappresenta, da sempre, un importante partner economico per la Svizzera. Le relazioni tra la Svizzera e il Regno Unito si sono basate soprattutto sugli accordi bilaterali conclusi con l’Unione Europea (UE). L’accordo di uscita stipulato dal Regno Unito con l’UE («Withdrawal Agreement») ha previsto conseguentemente un periodo di transizione che è durato fino al 31 dicembre 2020.

Durante questa fase transitoria il Regno Unito ha continuato a far parte del mercato unico europeo e dell’Unione doganale. Le disposizioni dell’accordo bilaterale tra la Svizzera e l’UE hanno continuato ad essere applicabili alle relazioni tra la Svizzera e il Regno Unito.

Il 14 dicembre 2020 la Svizzera e il Regno Unito hanno firmato a Londra l’Accordo sulla mobilità dei prestatori di servizi. L’Accordo garantisce alla Svizzera e al Regno Unito, a partire dal 1° gennaio 2021, l’accesso agevolato ai rispettivi mercati per i prestatori di servizi. Tale accodo completa l’accordo commerciale del febbraio 2019.

Per garantire nella misura del possibile la reciprocità dei diritti e dei doveri esistenti nei confronti del Regno Unito durante questa fase transitoria e porre le basi per rafforzare le relazioni, la Svizzera ha concluso, tra altre cose, un accordo commerciale con il Regno Unito. Questo accordo entrerà in vigore non appena gli accordi commerciali ed economici tra la Svizzera e l’UE non saranno più applicabili al Regno Unito e solo allo scadere della fase transitoria concordata tra l’UE e il Regno Unito.

L’accordo commerciale riprende gran parte dei diritti e doveri rilevanti ai fini commerciali contenuti negli accordi bilaterali tra la Svizzera e l’UE: l’accordo di libero scambio, l’accordo sugli appalti pubblici, quello sulla lotta contro la frode, l’accordo sul reciproco riconoscimento in materia di valutazione della conformità (MRA), l’accordo agricolo e l’accordo sulle agevolazioni doganali e sulla sicurezza doganale. Alcuni di questi accordi si basano (prevalentemente o in parte) sull’armonizzazione o sul riconoscimento dell’equivalenza delle norme svizzere ed europee (accordo sulle agevolazioni doganali e sulla sicurezza doganale, alcuni capitoli dell’accordo agricolo tra cui l’allegato detto «accordo veterinario» e alcune parti dell’accordo MRA) e a questo stadio non possono essere ripresi nella loro interezza.

Oltre all’accordo commerciale, la Svizzera e il Regno Unito ne hanno conclusi altri nel contesto della strategia «Mind the gap»: sul traffico aereo, sulle assicurazioni, sul traffico stradale, sui diritti dei cittadini; nonché due accordi limitati nel tempo, uno sul mutuo ingresso di persone fisiche sui rispettivi mercati del lavoro e un altro sul coordinamento delle assicurazioni sociali.

Dal 1° gennaio 2021 le relazioni tra la Svizzera e il Regno Unito saranno disciplinate da nuovi accordi bilaterali. In settori importanti come il commercio o la migrazione, finora la Svizzera si basava sugli accordi bilaterali Svizzera-UE. Poiché dall’inizio del 2021 questi ultimi non saranno più applicabili al Regno Unito, il Consiglio federale ha concluso nuovi accordi: con la sua strategia «Mind the gap» mira a evitare lacune giuridiche e a salvaguardare i diritti e gli obblighi reciproci.

Il 31 dicembre, undici mesi dopo l’uscita del Regno Unito dall’UE – la cosiddetta Brexit – giunge a termine il periodo di transizione concordato tra Londra e Bruxelles. Il Regno Unito lascerà quindi il mercato interno e l’unione doganale dell’UE, e gli accordi internazionali dell’UE non saranno più validi per il Regno Unito. In conseguenza inizierà una nuova fase anche per le relazioni tra la Svizzera e il Regno Unito. Se infatti gli accordi bilaterali Svizzera-UE sono rimasti validi per il Regno Unito durante il periodo di transizione, con l’anno nuovo non lo saranno più. Da quel momento si applicheranno i nuovi regolamenti previsti, in particolare vari accordi tra la Svizzera e il Regno Unito 

Per la Svizzera queste soluzioni sono il risultato della strategia «Mind the gap» del Consiglio federale, adottata nell’ottobre del 2016 – pochi mesi dopo il voto popolare britannico sulla Brexit del 23 giugno – il cui obiettivo era mantenere, ove possibile, ed eventualmente ampliare i diritti e gli obblighi vigenti tra il nostro Paese e il Regno Unito. Per coordinare i lavori il Consiglio federale ha istituito un gruppo direttivo interdipartimentale sotto la guida dal Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE).

La Svizzera e Regno Unito sono riusciti ad assicurare in larga misura il prosieguo del loro attuale rapporto giuridico. Complessivamente il Consiglio federale ha negoziato sette accordi con il Governo britannico.

  • L’Accordo sui trasporti aerei (entra in vigore il 1° gennaio 2021).
  • L’Accordo sul trasporto stradale stabilisce (entra in vigore il 1° gennaio 2021)
  • L’Accordo sulle assicurazioni (entra in vigore il 1° gennaio 2021)
  • L’Accordo commerciale traspone vari accordi fondamentali con l’UE nei rapporti tra Svizzera e Regno Unito, tra cui l’Accordo di libero scambio (1972), l’Accordo sugli appalti pubblici (1999), l’Accordo sul reciproco riconoscimento in materia di valutazione della conformità (1999), l’Accordo sul commercio agricolo (1999) e l’Accordo sulla lotta contro la frode (2004). (entra in vigore il 1° gennaio 2021)
  • L’Accordo sui diritti dei cittadini tutela i diritti delle Svizzere e degli Svizzeri nel Regno Unito acquisiti in virtù dell’Accordo sulla libera circolazione delle persone (ALC): il diritto di soggiorno, i diritti in materia di assicurazioni sociali e il riconoscimento delle qualifiche professionali. Lo stesso vale per le cittadine e i cittadini britannici in Svizzera. (entra in vigore il 1° gennaio 2021)
  • L’Accordo sulla mobilità dei servizi (entra in vigore il 1° gennaio 2021)
  • L’Accordo di cooperazione in materia di polizia. L’accordo dovrebbe entrare in vigore nella seconda metà del 2021.

Svizzera e Regno Unito hanno lavorato per plasmare le loro relazioni future anche al di là di questi sette accordi. Una dichiarazione congiunta del 30 giugno 2020, per esempio, prevede una cooperazione più intensa nel campo dei servizi finanziari. Con un’altra dichiarazione del 21 dicembre 2020 la Svizzera e il Regno Unito si dicono intenzionati a esplorare nuove vie per rafforzare la cooperazione nel settore della migrazione. L’Accordo commerciale prevede inoltre che i due Paesi avviino colloqui sullo sviluppo e l’approfondimento delle relazioni economiche e commerciali.

Poiché alla fine dell’anno la libera circolazione delle persone tra la Svizzera e il Regno Unito non sarà più in vigore, dal 1° gennaio 2021 l’accesso al mercato del lavoro sarà regolato dalle rispettive normative nazionali. Per la Svizzera si applica la legge federale sugli stranieri e la loro integrazione (LStrI). Per il 2021 il Consiglio federale ha stabilito contingenti separati per lavoratori provenienti dal Regno Unito (3’500).