Entro il 30 giugno 2021 i datori di lavoro che impiegano 100 o più lavoratrici o lavoratori sono tenuti a svolgere un’analisi interna della parità salariale.
Il 1° luglio 2021 ricorreranno i 25 anni dall’entrata in vigore della Legge federale sulla parità dei sessi (LPar) che sancisce il divieto di discriminazioni tra uomo e donna nelle relazioni di lavoro. Il divieto si applica in particolare all’assunzione, all’attribuzione dei compiti, all’assetto delle condizioni di lavoro, alla retribuzione, alla formazione, alla promozione e al licenziamento. Nonostante la parità salariale sia una delle discriminazioni di genere vietate dalla LPar e dall’articolo 8 della Costituzione federale, in 25 anni la Svizzera non è ancora riuscita a eliminare il divario salariale tra donna e uomo. Le cifre ticinesi mostrano infatti che le disparità salariali sono del 17.3% nel settore privato e dell’8.7% nel settore pubblico.
Lo scorso anno è entrata in vigore una modifica della Legge federale sulla parità dei sessi (LPar) che mira a migliorare il rispetto della parità salariale tra donna e uomo (art. 13a-13i LPar). Gli enti e le aziende che impiegano 100 o più collaboratrici e collaboratori sono tenuti a effettuare un’analisi interna della parità salariale entro il 30 giugno 2021.
Oltre all’analisi della parità salariale le disposizioni richiedono agli enti e alle organizzazioni di incaricare un organo indipendente di verificare l’analisi effettuata e di comunicare i risultati per iscritto al personale.
La parità salariale è iscritta nella Costituzione federale dal 1981 (art. 8 cpv. 3 Cst.). Essa è inoltre specificata nella Legge federale sulla parità dei sessi (LPar), entrata in vigore nel 1996. La parità salariale è un obbligo che si applica in tutte le relazioni di lavoro, sia nei rapporti di lavoro di diritto privato, sia in quelli di diritto pubblico.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-05-14 11:34:382021-05-14 15:33:32Obbligo per i datori di lavoro di eseguire un’analisi della parità salariale
Per anni la sicurezza informatica è stata menzionata in ogni occasione pubblica, senza però trovare poi la giusta attenzione da parte di chi, nelle sedi opportune, decide gli investimenti aziendali strategici.
È sempre stata considerata come una disciplina di secondo ordine, da ricondurre alla voce “altri ed eventuali” durante le riunioni dei consigli di amministrazione. Insomma, qualcosa di necessario ma non così importante. Questa è la fotografia da cui partire per lasciarsi alle spalle ciò che è stato e per guardare al futuro con grande ottimismo, e soprattutto per cogliere le prossime innumerevoli opportunità. Per farlo è necessario un’inversione di marcia, che apra la strada a una nuova concezione di sicurezza informatica.
Per molto tempo gli addetti alla cybersecurity aziendale hanno cercato di convincere manager e amministratori delegati di quanto fosse importante cambiare passo, aggiornando le competenze, le strategie e anche gli strumenti. Infatti, in molte realtà permangono tutt’ora le ultime sacche di percezione che la sicurezza informatica – la cybersecurity – sia unicamente una questione di strumenti e non di processi. In particolare, in diversi la ritengono ancora una questione puramente informatica, piuttosto che un’attitudine continua e condivisa, necessaria a garantire la sicurezza dei dati e delle infrastrutture critiche di tutta la filiera produttiva. Lo scenario che ci attende nei prossimi mesi richiede quindi attenzione, e va proprio in questa direzione. È senza dubbio ricco di novità e cambiamenti ai quali non sarà più possibile abdicare.
Il primo cambiamento in atto riguarda l’approvazione da parte del Parlamento svizzero, avvenuta il 20 settembre 2020, della revisione totale della nuova legge sulla protezione dei dati (LPD). Una nuova legge che focalizza l’attenzione sulla trattazione dei dati personali, includendo implicitamente molte indicazioni strettamente legate alla sicurezza delle informazioni.
Il secondo, invece, chiama in causa l’approccio generale alla gestione della sicurezza informatica, che dal 2018 la Confederazione svizzera ha adottato a livello nazionale: il National Institute of Standards and Technology (NIST) Cybersecurity Framework (CSF). Un insieme di indicazioni riconosciute a livello internazionale e già adottate in Europa con il GPDR, suddivise in cinque funzioni operative (recuperare, identificare, proteggere, rilevare, rispondere e recuperare), utili per le aziende e le pubbliche amministrazioni – ma anche per i privati cittadini – per misurare il proprio livello di sicurezza infrastrutturale. La visione della strategia è molto chiara: uniformare quanto più possibile, tra i Paesi comunitari e la Svizzera, la gestione della nuova cybersecurity. In questo modo si potrà usufruire di molteplici vantaggi, per esempio, 1) disporre della medesima interpretazione di trattamento del dato personale; 2) seguire il medesimo framework di riferimento per la messa in sicurezza dei dati e delle instratutture critiche. Tutto ciò assume ancor più valore per un Cantone di frontiera come il nostro.
Il terzo elemento da includere nella cesta dei cambiamenti in corso è il numero crescente di attacchi informatici, come è stato dimostrato dalle recenti statistiche pubblicate dalla Polizia cantonale.
Ecco perché, in funzione delle cinque fasi proposte dal NIST per la gestione dei rischi informatici, entra in gioco un nuovo alleato molto utile non più solo in fase repressiva, ma anche in fase preventiva: l’informatica forense. Questo nuovo approccio consente all’azienda di impiegare le conoscenze e le competenze messe in campo dall’informatica forense per la gestione postuma di un incidente informatico, anche nella fase di definizione delle strategie di difesa cyber, rinforzandole e rendendole proporzionate e adeguate al business aziendale, più complete, resilienti e oculate per ottenere un piano di risposta agli incidenti di tipo interdisciplinare.
Un modus operandi che migliora i crismi di sicurezza di tutto il perimetro aziendale, alloccando le giuste risorse affinché che non si esauriscano con l’installazione di strumenti e piattaforme, bensì diventino processi agili costantemente attivi in ogni punto della filiera produttiva dalla progettazione alla vendita del prodotto. La somma di tutti questi elementi porta così alla luce un nuovo paradigma per la gestione della sicurezza informatica del prossimo futuro. A questo proposito però è opportuno fare chiarezza anche sulla figura professionale che dovrà occuparsi di queste attività.
Spesso in passato abbiamo parlato dell’importanza di disporre in azienda di un hacker etico, una figura tecnicamente preparata per cercare le vulnerabilità tecniche e i punti di accesso pericolosi per violare le infrastrutture critiche e impossessarsi dei dati sensibili senza commettere reati. Ma spesso la rappresentazione dell’hacker, seppur etico, ha trovato molti timori e reticenze da parte di chi, in azienda, riconduce questa figura a una persona incappucciata davanti a una serie di monitor dislocati nello scantinato di casa.
Forse è opportuno cogliere l’onda dei cambiamenti in atto, per inserire metaforicamente una nuova figura professionale, che per sua natura non spaventi. L’emblema per eccellenza di coloro che con competenza, reazione, responsabilità e disponibilità sono chiamati a risolvere problemi ed emergenze. Una figura che appartiene al mondo della sicurezza, e che posta nel mondo della cybersecurity assume le vesti del pompiere digitale.
Chissà, forse è la volta buona per cancellare definitivamente dalla voce “altri ed eventuali” la parola cybesecurity nella sua vecchia accezione, per inserirla trasversalmente come opportunità lungo tutto il piano strategico aziendale.
Articolo redatto da
Alessandro Trivilini, Responsabile del Servizio di informatica forense SUPSI e membro del Gruppo cantonale strategico CyberSicuro
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2021/05/ART21-pompiere-digitale.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-05-12 10:22:592021-05-12 10:23:00In azienda arriva il pompiere digitale
La natura legale delle persone giuridiche è stata la controversia per antonomasia della dottrina agli albori del diritto societario.
Nel mondo occidentale ha prevalso la cosiddetta Realitätstheorie, che postula il riconoscimento della persona giuridica quale realtà sociale dotata nei limiti della legge di personalità e che agisce tramite i suoi organi per il perseguimento di determinati scopi.
L’indipendenza legale delle persone giuridiche non cancella la necessità che siano le persone fisiche a tenere il timone e a remare nella giusta direzione per assicurare il raggiungimento degli obiettivi preposti. Per questo motivo la volontà della persona giuridica viene espressa tramite i suoi organi formali e materiali, i quali con le proprie azioni provocano conseguenze legali di stampo negoziale o delittuoso. Sono dunque le persone in carne ed ossa il vero motore delle società e il nesso della responsabilità delle persone giuridiche.
Nella struttura della società anonima, il consigliere d’amministrazione è una persona fisica facente parte del Consiglio d’Amministrazione (CdA) quale organo imperativamente prescritto dalla legge. I consiglieri d’amministrazione sono quindi degli organi, che con il proprio comportamento obbligano la società. La naturale conseguenza di ciò, è che i consiglieri d’amministrazione sottostanno a norme di responsabilità amministrativa, civile e penale, affinché non agiscano senza alcun vincolo a causa della favorevole prospettiva di non dover rispondere di eventuali danni patrimoniali cagionati o atti penalmente perseguibili. La responsabilità del consigliere d’amministrazione viene quindi statuita giuridicamente e regolamentata in un “sistema-giungla” di norme di diritto pubblico, penale e civile, nel quale non sempre è facile orientarsi. Il diritto come specchio della società (law in action) si stratifica e sviluppa costantemente, in risposta ai mutamenti socio-antropologici, che nell’odierna comunità globalizzata e altamente interconnessa sono all’ordine del giorno. Il compito viene reso ulteriormente più complesso dalla struttura stessa delle fonti del diritto, che non si basa unicamente sui Codici, bensì in assenza di disposizioni giuridiche nella legge scritta, anche su consuetudine e modo legislatoris. A completare il quadro vi sono infine la dottrina e la giurisprudenza dei Tribunali.
Non trascurabili sono pure le regole interne care al mondo aziendale, meglio note come Corporate Governance. Il consigliere d’amministrazione risponde per il suo operato nei confronti della società anche secondo principi che esulano dalla legislazione statale e che vengono definiti sulla base di presupposti strategici e operativi. Nonostante la Corporate Governance non sia emanata dal legislatore, ha un’eco giuridico, in quanto assume particolare importanza nella definizione degli obblighi di diligenza da parte del consigliere d’amministrazione. Per venire a capo dei propri diritti e obblighi anche il consigliere d’amministrazione è dunque tenuto a comprendere la regolamentazione giuridica che lo concerne, familiarizzando con norme codificate e soft law.
Le aspettative delle istituzioni e degli stakeholders riguardo i consiglieri d’amministrazione sono oggigiorno alte, indipendentemente dal contesto culturale. Questo significa che la responsabilità pretesa dai consiglieri d’amministrazione non varia a dipendenza che si tratti di una PMI o di una società di portata inter-cantonale, rispettivamente federale o internazionale. Ciò vale a maggior ragione nel contesto svizzero, nel quale le imprese sono fortemente intessute nella trama sociale e radicate sul territorio.
L’unico modo per superare con successo questa ardua sfida che si pone ai consiglieri d’amministrazione è per mezzo della CONOSCENZA. Il presupposto del rispetto delle regole, siano esse giuridiche o aziendali, consiste nella loro comprensione. È dunque questa la responsabilità cardine del consigliere d’amministrazione, la madre di tutte le responsabilità: informarsi e apprendere i propri doveri e vincoli aggiornandosi costantemente. Far parte di un Consiglio d’amministrazione può implicare l’assunzione di responsabilità importanti. Quali sono le responsabilità degli amministratori nei confronti della loro società, degli azionisti e dei terzi?
UN CORSO SU MISURA – Essere membro di un CdA: compiti e responsabilità Nell’ambito della propria offerta formativa Cc-Ti organizza un corso dal titolo: “Essere membro di un CdA: compiti e responsabilità”. Relatori gli avvocati Reto Garzoni, Peter A. Jäggi, Samuel Maffi e Goran Mazzucchelli. In due mezze giornate formative si propone un’immersione nel diritto societario (in particolare della SA e della Sagl) partendo da un approfondimento delle nozioni di amministratore e di organo societario, per poi trattare la questione della responsabilità civile e penale, sino ad abbordare quella legata all’ambito fiscale, dell’esecuzione e fallimenti e delle assicurazioni sociali. Sono pure trattati gli aspetti assicurativi che toccano gli amministratori di società. Il corso è già in calendario per i prossimi 9 e 16 settembre 2021. Le iscrizioni sono aperte ed è possibile annunciarsi tramite questo link.
Articolo redatto da
Samuel Maffi, Cavadini Steger Gianinazzi Maffi Studio legale e notarile SNC e Sebastiano Tela, Studente di diritto Università di Lucerna
Il paniere tipo contiene una selezione fedele dei beni e servizi consumati dalle economie domestiche ed è ripartito in 12 settori di spesa («gruppi principali»). Ogni gruppo principale è ponderato in base alla sua quota nelle spese delle economie domestiche. Inoltre, la composizione del paniere tipo è utilizzata anche per il calcolo dell’inflazione. Solitamente per valutare l’evoluzione dei consumi si utilizza questo strumento.
Come è cambiato nel tempo il paniere tipo? In che modo si sono modificati i consumi? A queste domande è possibile rispondere andando a ricercare qualche dato essenziale sulla composizione del paniere tipo e su come esso sia variato nel tempo.
La primavera 2021 ha confermato i nuovi trend dei consumatori, già per altro, consolidatesi nel 2020 a causa della pandemia di COVID-19.
Come già fatto lungo il 2020, e proseguendo in questa direzione anche per il 2021, abbiamo redatto una serie di riflessioni puntuali ed approfondimenti da differenti punti di vista, per mostrare quanto sia vasta, diversificata e ricca l’economia cantonale, e quanto i singoli settori contribuiscano a comporre e far crescere il PIL cantonale (possiamo ad esempio ricordare i contributi sul settore primario e l’innovazione; l’importanza dei servizi bancari per la piazza luganese e il Ticino; l’attenzione alle HR e alla formazione continua, ecc.).
I settori, in Ticino, sono interconnessi e creano delle ‘filiere’ locali (e non), che funzionano come vere e proprie ‘catene produttive”.
Tutte le tipologie di filiera possono essere più o meno efficienti a dipendenza delle situazioni locali e dei mercati in cui operano. Tra queste catene produttive e il territorio c’è un rapporto molto stretto. Lo sviluppo delle prime può favorire o condizionare o inclinare lo sviluppo dell’altro e viceversa. Le filiere possono rappresentare il motore della crescita economica di una regione, in termini di occupazione, redditi, innovazione, formazione della manodopera e ricchezza pro capite. Un motore che gira tanto più veloce quanto più un territorio è in grado di supportare le imprese con infrastrutture moderne, servizi efficienti e agevolazioni per le attività produttive. Queste dinamiche valgono, ovviamente, anche in Ticino.
Le tendenze dimostrano quanto si preferisca orientarsi sui prodotti regionali e come, in generale, l’evoluzione dei consumi si avvalga sempre più della modalità online. Nel corso dei decenni i prodotti di riferimento sono mutati con l’evoluzione della società.
Alcuni esempi a riguardo, riferiti al ‘paniere tipo’ citato all’inizio del testo:
Il peso dell’alimentazione e bevande non alcoliche è passato dal 40.7% nel 1939 all’11.93% nel 2021.
Per indumenti e calzature la percentuale è scesa dal 15% del 1939 al 2.76 del 2021.
Per il tempo libero e la cultura la percentuale è incrementata, invece, dal 3% del 1939 al 7.48% del 2021.
Maggiori dettagli sulla composizione attuale del paniere tipo e sulla sua ponderazione per il 2021 nel grafico dell’UST, sull’Indice nazionale dei prezzi al consumo (IPC) visto in immagine all’inizio dell’articolo, scaricabile qui.
Sul nostro sito, nella rubrica ‘attualità’ è possibile rileggere differenti contributi su temi come l’innovazione e la sostenibilità, come pure visionare riflessioni sui progetti e le iniziative che la Cc-Ti porta avanti: www.cc-ti.ch/attualita Nell’area dedicata ai soci, invece, si può scaricare e leggere integralmente Ticino Business, consultando anche gli archivi che contengono tutti i numeri apparsi. Vi si accede tramite questo link www.cc-ti.ch/areasoci, inserendo nome utente e password. Per i dettagli sul login è possibile contattare Lisa Pantini, Responsabile comunicazione Cc-Ti, scrivendo a pantini@cc-ti.ch
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2021/05/ART21-consumi.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-05-11 06:44:002021-05-04 15:46:12L’evoluzione dei consumi
Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.
Lo scorso 26 febbraio il Tribunale cantonale di Lucerna ha emanato una sentenza che, se confermata dal Tribunale federale, implica un’importante modifica del calcolo delle indennità per il lavoro ridotto.
In effetti, statuendo su un ricorso presentato da un esercizio pubblico, i giudici lucernesi hanno ridefinito la base di calcolo per determinare tali indennità. Rifacendosi all’art. 34 della Legge federale sull’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione e l’indennità per insolvenza (LADI) hanno ricordato che determinante, fino al limite massimo valido per il calcolo dei contributi è il salario, convenuto contrattualmente, dell’ultimo periodo salariale prima dell’inizio del lavoro ridotto. Sono compresi le indennità per vacanze e gli assegni contrattuali periodici, purché non continuino ad essere versati durante il periodo di lavoro ridotto o non costituiscano indennità per inconvenienti connessi al lavoro.
Partendo da questa norma di legge, il Tribunale ha accolto le richieste della ricorrente, nel senso di considerare nella base di calcolo anche le indennità per vacanze, elemento che fino ad allora nessuna cassa di compensazione aveva tenuto in linea di conto. Il Consiglio federale e la Seco, nella gestione della crisi pandemica, avevano infatti escluso questo aspetto dal calcolo delle indennità.
I giudici nel motivare la loro sentenza hanno sottolineato che la regola dell’art. 34 LADI non può essere modificata da una semplice ordinanza del Consiglio federale (di rango inferiore) o da direttive della Seco. Ne consegue che le indennità per lavoro ridotto vanno aumentate come sopra indicato.
Stando a quanto sopra le aziende possono pertanto chiedere un riesame del calcolo per le indennità di loro spettanza. Considerato che l’ultima parola spetterà al Tribunale federale, d’intesa con l’Unione svizzera degli imprenditori, è stato suggerito alle aziende di presentare una richiesta di riconteggio delle indennità e di sospendere contestualmente, in attesa di una decisione definitiva, la stessa procedura di riesame (cfr. newsletter Cc-Ti del 16 aprile 2021).
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2019/01/ART19-Michele-Rossi-ufficiale.jpg20193166Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-05-10 06:51:002021-05-04 13:52:15Indennità per lavoro ridotto: importante sentenza del Tribunale cantonale di Lucerna
Sono conosciute differenti ipotesi di origine di questa forma di comunicazione nel business. Una storia comunemente nota è quella di Ilene Rosenzweig e Michael Caruso, due ex giornalisti negli anni ’90. Secondo Rosenzweig, Caruso era un redattore senior di Vanity Fair e stava continuamente tentando di fasi notare dal redattore capo della sua rivista e l’unico modo che alla fine escogitò fu quello di provare a parlarle approfittando anche di brevi periodi liberi di tempo, come in un giro in ascensore.
Prende il nome dal tempo necessario per comunicare, la durata di una breve corsa in ascensore (da 30 a 60 secondi o 75 circa)
L’Elevator pitch è infatti un discorso che una persona farebbe a un investitore, per esempio, se si trovasse per caso con lui in ascensore. L’imprenditore, quindi, si troverebbe costretto a descrivere sé o la propria attività sinteticamente, chiaramente ed efficacemente per convincere l’altro ad investire su di lui, ma con i limiti di tempo imposti da una corsa in ascensore (la letteratura specialistica al riguardo fissa tale limite massimo di 5 minuti).
Si tratta di una vera competenza
Sviluppare questo tipo di competenza è sicuramente basilare e richiede una grande dedizione e tanto tanto allenamento. Si può parlare di elevator pitch sia se viene fatto durante un evento fisico, che in modalità asincrona (un’e-mail o un video).
Esistono varie tipologie di elevator pitch a seconda della durata oppure del target a cui è rivolto (consumatori, imprenditori, superiori o colleghi, …). Normalmente viene calcolato “un pitch” della durata dai 30 ai 120 secondi.
Descrive l’idea per cui una persona dev’essere in grado di presentare il proprio pensiero nel tempo di una corsa, reale o immaginaria, in ascensore.
Un breve, utile e accattivante riassunto… A volte si pensa che i pitch degli ascensori siano specifici per un’idea o un prodotto, ma si possono anche usarli per “promuoversi” come professionisti.
I professionisti dovrebbero avere sempre a disposizione un discorso accattivante in grado di fornire informazioni su sé stessi o su di un proprio progetto, che possano fornire in un breve periodo di tempo. Invece di aspettare che l’altra parte diriga la conversazione e, potenzialmente, lontano da ciò di cui si vorrebbe discutere, si può spiegare in modo assertivo ciò che si ha da offrire.
È da considerarsi come un documento da aggiornare costantemente e “sfoderare” ad ogni buona occasione, che sappia “dare valore” ad ogni vostra singola parola.
Viene valutato come un’intraprendenza positiva
Un vantaggio nell’usare questo approccio quando parlate della vostra carriera o delle vostre aspirazioni è che potete dimostrare di essere in grado di prendere l’iniziativa. In molte interazioni, come un colloquio di lavoro, questo può essere impressionante per il vostro pubblico: sarà lieto di vedere che sapete sia cosa volete, sia come chiederlo.
Essere in grado di presentarvi a qualcuno in modo convincente, può aiutarvi a prepararvi per una conversazione professionale di successo, sia che si tratti di un evento di networking, con un collega o all’inizio di un colloquio. Uno strumento per rendere le informazioni da comunicare semplici ed efficaci.
Dallo schermo del telefono al colloquio di persona, vi verrà chiesto di fornire un riepilogo di chi siete, della vostra formazione e di ciò che desiderate dal prossimo lavoro. Questa sintesi “mentale” può essere una buona struttura mentre state pianificando la vostra risposta alla popolare domanda “parlami di te”.
Allo stesso modo può essere utilizzata per delineare la vostra lettera di presentazione o una dichiarazione riassuntiva professionale o, ancora, un’offerta di collaborazione azienda/azienda. Una dichiarazione di sintesi deve avere lo scopo di raccontare al lettore chi siete professionalmente, quale lavoro vi appassiona e perché siete qualificati per farlo, in un modo che vi aiuti a distinguervi dagli altri.
Quali passi sono alla base
Una presentazione personale è utile anche per il networking a un evento o durante un incontro spontaneo. Che voi siate in fila al supermercato, a un cocktail party o a un incontro professionale organizzato, la presentazione può aiutare rapidamente i nuovi contatti a capire perché dovrebbero connettersi con voi o considerarvi quando si presenta un’opportunità.
1. Iniziate presentandovi (i primi 10 secondi sono importantissimi). Assegnate delle priorità ai vostri contenuti
2. Fornite un riepilogo di ciò che fate o rappresentate. Siate preparati e attenti a rispondere alle molte domande che vi faranno, probabilmente quelle sono le cose che vogliono sentirsi dire
3. Spiegate cosa volete (create pitch di diversa durata 30 secondi, 60 secondi, 120 secondi in modo da essere sempre pronti ad affrontare ogni imprevisto)
4. Terminate con un invito all’azione (“Ha tempo per prendere un caffè? Ci possiamo sentire per un fissare un incontro? Le posso inviare una mail? …) Non dimenticate il vostro biglietto da visita.
Errori comuni
Parlate in modo naturale Suonare troppo preparato può rendere la conversazione forzata, quindi fate del vostro meglio per esprimervi con un tono colloquiale.
Rallenta Se parlaste troppo velocemente, l’ascoltatore potrebbe perdere alcune informazioni importanti. Potrebbe essere la vostra tendenza naturale a parlare velocemente o potrebbe verificarsi se vi sentite nervosi. Indipendentemente da ciò, fate uno sforzo consapevole per ridurre la velocità e incorporare questa strategia quando provate il vostro tono.
Usa un tono per la maggior parte (ma non tutte) le occasioni Potrebbe non essere necessario personalizzare la vostra presentazione per tanti diversi tipi di pubblico. È una buona idea avere una presentazione generale che potete usare in qualsiasi momento, ma dovreste provare ad adattare la vostra presentazione ogni volta che potete. Più le vostre idee sono personalizzate, più è probabile che voi otteniate un risultato positivo dalla conversazione. Mostrate il vostro profondo interesse e rispetto per il tempo dell’ascoltatore.
Facile da capire Usate un linguaggio semplice che tutto il pubblico possa capire. Ad esempio, se includete un gergo tecnico e termini specifici del settore che solo qualcuno conoscerebbe, potreste alienare un reclutatore, o chiunque altro, che non ha lo stesso livello di conoscenza. Questo può rendere difficile per loro farvi domande di follow-up e potrebbe renderli meno propensi a continuare la conversazione con voi. Salva termini di nicchia per un colloquio tecnico e rendete il vostro discorso facile da seguire per tutti.
In una realtà che corre sempre più veloce e non concede tempo, questo può essere un modo per usare il vostro tempo nel modo più opportuno, senza sprecarne neppure 30, 60,120 secondi.
L’impegno delle imprese per supportare la mobilità è accertato. Sono infatti numerose le attività delle aziende del territorio volte a favorire gli spostamenti per i tragitti ‘casa-lavoro-casa’ dei propri dipendenti, con proposte aziendali strutturate e concrete. La gestione della mobilità è fondamentale per stare al passo con l’evoluzione sociale ed economica del nostro Cantone.
Nel corso dell’ultimo lustro si sono moltiplicate azioni atte a conciliare trasporto, viabilità e vivibilità del territorio, con misure e incentivi privati e pubblici; favorendo la nascita di una consapevolezza che non vede più il binomio ‘traffico & ambiente’ come antitetico.
Fra i modelli di mobilità sostenibile vi sono proposte, per esempio, quali il car pooling, il car sharing, le navette aziendali, i park&ride spari per il territorio, ecc…
Possiamo anche citare – quale esempio – la “Centrale della mobilità” (nata una decina d’anni fa quale alternativa alle soluzioni di mobilità per il percorso casa-lavoro) che da tempo con consulenze e supporto, identifica le misure più adatte in ambito di mobilità per ogni azienda e svolge l’accompagnamento alla realizzazione delle stesse. L’attività spazia su tutto il territorio cantonale. In una decina d’anni sono state create 9’386’889 itinerari di viaggio e mezzi alternativi fra trasporto pubblico, bici, car pooling e navette aziendali.
Promuovere una mobilità aziendale con servizi di supporto alle imprese per sostenerle nella ricerca di migliori soluzioni mirate, creando sinergie e la potenziata offerta di trasporto presente sul territorio. Puntare ad una mobilità sempre più sostenibile nell’ottica di una visione d’insieme dove cooperano all’ottimizzazione della situazione più attori in modo responsabile e concertato. Come? Il sistema economico da un lato e lo Stato dall’altro. Unitamente ai Comuni e ai cittadini. Ognuno deve dare il proprio contributo in un contesto di sforzo coordinato, altrimenti le soluzioni che si possono trovare e che funzionanti in determinate realtà possono risultare incomplete, parziali o inadeguate in altre.
Analizzando diversi vettori per soluzioni combinate, si prospetta oggi uno scenario interessante che vede numerose alternative valide al ‘solo’ trasporto motorizzato, con l’entrata in funzione di AlpTransit e della galleria di base del Ceneri in modo completo ad inizio aprile 2021.
Tema complesso che necessita un approccio differenziato, concertato e innovativo, che approfondiremo con diverse riflessioni nel corso dei prossimi mesi.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2021/05/art21-MOBILITa.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-05-04 13:32:222021-05-04 13:32:22Focus su una nuova mobilità
Il giro per il mondo… per quando torneremo a viaggiare e ad interfacciarci in modo “reale” e non virtuale.
Organizzeremo viaggi d’affari e accoglieremo delegazioni provenienti da Paesi stranieri. Come comportarci?
Cina
Nei contatti di business è importante arrivare puntuale agli incontri, il ritardo potrebbe essere percepito come estremamente irrispettoso. Salutare in cinese prima di iniziare la discussione è sempre apprezzato. È consigliato, inoltre, limitarsi a salutare verbalmente, invece di stringere la mano. Abbracciarsi o baciarsi non è comune in Cina, è sufficiente un leggero cenno col capo.
Giappone
Referenti e vertici dell’azienda devono essere convinti fino in fondo della fattibilità dell’operazioni, per questo occorrono anche diversi incontri. Nelle riunioni non bisogna sedersi in un posto qualsiasi. Il posto che sarà assegnato è determinato in base alla posizione nella gerarchia aziendale, è tradizione mettere il “leader” alla testa del tavolo. Se siete ospite sarete guidato fino al vostro posto. Durante la riunione verranno offerte delle bevande rinfrescanti non alcoliche. Verranno proposte ai superiori prima che ai sottoposti. Non bisogna iniziare a bere prima che del “leader” designato.
Turchia
È importante evitare di essere informali, anche se si sta sviluppando un rapporto personale. Gli incontri iniziali non si concludono quasi mai con delle decisioni, ma servono per conoscersi e discutere. Non cercare quindi di limitare la discussione solo agli affari, ma aspettarsi anche alcune domande personali. Ci si saluta con una stratta di mano tra uomini, mentre bisogna attendere che le donne tendano la mano prima di porgere la propria.
Grecia
Considerare l’importanza della società: le famiglie e gli anziani rivestono un ruolo determinante nelle gerarchie sociali. Se la puntualità non è caratteristica della cultura greca, ci si aspetta dagli stranieri che siano in perfetto orario, anche se la controparte greca potrebbe avere un ritardo.
In America Latina
È consuetudine allacciare una relazione personale prima di entrare in affari. Durante le riunioni è possibile che si parli della famiglia e di altri aspetti personali. Le small talks hanno lo scopo di conoscere il partner commerciale, farsi un’idea preliminare della persona con la quale si intende intraprendere i propri affari e costruire, possibilmente, prima un rapporto di fiducia.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2021/05/ART21-biz-etiquette2.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-05-03 16:33:052021-05-03 16:33:06Tips di ‘business etiquette’
La ‘business etiquette’ ai tempi della digitalizzazione. Videochiamate, video conferenze, corsi di formazione online e webinar, la presenza ‘fisica’ diventa virtuale. Come pure la nostra immagine, perché ci si confronta via Zoom, Teams, Skype, e ci si vede ‘solo’ in video. Esistono regole da seguire? Ci si affida ‘solo’ al buon senso? Come evitare di fare una brutta impressione?
Dinamiche mutate
Con il COVID-19 e le limitazioni dovute agli spostamenti, si è registrata un’accelerazione di meeting e assunzioni aziendali con colloqui virtuali. Un recente studio della piattaforma di recruiting online Monster – che ha coinvolto 3’100 selezionatori e oltre 7’000 dipendenti nel mondo con un focus su USA e Regno Unito – ha confermato l’incremento di queste modalità di selezione nelle risorse umane, dichiarando che almeno la metà delle assunzioni e degli inserimenti in azienda avviene ormai in maniera virtuale.
Un caso concreto
Durante un webinar la moderatrice media la sessione delle domande fra diversi partecipanti. Nello specifico una partecipante (età media, professionista nel suo ambito) si distingue dagli altri per l’ostentata sicurezza e insolenza con cui risponde ai quesiti, risultando quindi molto poco empatica. Da dove deriva quest’impressione? Si può davvero percepire in modo così tangibile? Contrariamente a quanto si può pensare, non si tratta dei contenuti delle risposte né dalle parole usate, ma dalla mimica e dalla comunicazione non verbale, che lasciano intendere una certa noia e saccenza. Il suo messaggio è chiaro: “so già tutto… questa è una perdita di tempo… sono qui perché ho dovuto… mi annoio”.
Questione di distanze
Il malumore di un partecipante o di un relatore ad una sessione in videoconferenza risalta subito all’occhio, nel vero senso del termine. Normalmente, durante un evento la distanza fisica tra i partecipanti e i relatori varia da cinque a dieci metri circa. Questo spazio protegge e garantisce, in un certo senso, un “anonimato”: se si dovesse manifestare in un’occhiataccia o un momento di noia, molto probabilmente passerebbe inosservata. Nel mondo virtuale questa distanza viene praticamente annullata, perché non ci si può nascondere, se non disattivando manifestamente la videocamera e/o silenziando il microfono (opzione questa non sempre possibile), ed è come se ogni partecipante partecipasse a tutto ciò che accade da una distanza di 20 cm. Ma c’è di più: la tecnologia e gli ingrandimenti dello schermo possibili, sempre più performanti, ci sono “nemici” perché evidenziano ancora di più incertezze, dubbi e dissensi.
L’importanza della comunicazione non verbale
Nell’ambito della comunicazione possiamo riconoscere ed approfondire alcuni aspetti che la completano e la caratterizzano: il linguaggio del corpo, le microespressioni, la prossemica, la cinesica, il contatto visivo, … Nell’era della digitalizzazione e con l’avvento del crescente numero di videconferenze alcuni di questi aspetti vengono amplificati.
Ci siamo mai fermati a riflettere su cosa comunichiamo? Non a livello verbale, ma con i nostri gesti, le nostre emozioni, le espressioni del nostro volto. Chi interagisce con noi riceve due segnali: il primo è quello verbale che porta il messaggio della nostra comunicazione, il secondo conferma, sottolinea, smentisce, evidenzia, ecc. ciò che diciamo a parole, e lo fa con tutta una serie di “piccolezze” insite nel nostro modo di essere: come ci muoviamo, come ci esprimiamo, le nostre espressioni ed emozioni, ecc.. A livello professionale, nello studio, l’approfondimento di alcuni di questi parametri può essere un valido supporto nella “decodifica” dei messaggi che l’interlocutore che abbiamo dinanzi ci sta inviando. Così facendo possiamo essere agevolati nella lettura e, ad esempio, nella trattativa o negoziazione di un accordo, in un colloquio di assunzione, durante un evento, in una compravendita, e così via.
Già Charles Darwin, ideatore della teoria dell’evoluzione, ha approfondito le sue intuizioni sull’origine delle specienel trattato “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali”, sostenendo, nel 1872, che le espressioni facciali avessero la ragione evoluzionistica di aiutare gli altri ad adattarsi all’ambiente circostante.
Da allora la ricerca scientifica in quest’ambito è proseguita, concentrandosi sulle emozioni e la loro espressione, con strumenti di analisi e decodifica sempre più precisi. In questo senso anche le videoconferenze non fanno eccezione, anche se possiamo decodificare “solo” alcuni aspetti della comunicazione non verbale e non la totalità.
Una «business etiquette» per l’era digitale
Se dovessimo delineare una sorta di ‘vademecum’ di cui tener conto per delle video call (sia che si tratti di webinar, di riunioni o di colloqui) fluenti ed efficienti, ecco a cosa occorrerebbe prestare attenzione:
Preparazione: sia che si tratti di un colloquio o di una riunione, il virtuale esige un’attenta preparazione per non dilungare eccessivamente i tempi di svolgimento.
Prove di connessione: familiarizzare in anticipo con gli strumenti virtuali permette di non arrivare impreparati ed essere colti alla sprovvista in caso di problemi tecnici.
Normalmente tutti dovrebbero connettersi in video, vedere il proprio interlocutore e farsi vedere è molto importante per permettere una corretta connessione non verbale, avendo l’accortezza di silenziare il microfono quando non è il loro turno di parlare.
È richiesta una maggiore concentrazione per le riunioni online: il nostro sguardo deve mantenersi attivo verso lo schermo, così da “connettersi” con gli altri partecipanti.
Puntualità nella connessione: chi non ha mai vissuto i 3-5 minuti di silenzio ‘imbarazzante’ aspettando che tutti si connettessero?
Ambiente professionale: anche se siamo in smartworking un minimo di rigore è richiesto. Evitiamo disordine nell’ambiente circostante, rumori, sfondi non pertinenti, altre persone nella stanza. Attenzione alla luminosità, per non risultare in un video troppo buio o eccessivamente chiaro. Lo stesso discorso vale per l’abbigliamento, che deve essere adeguato, la scelta deve essere uguale a quella che avreste adottato in presenza.
Strumenti utili
Ribattezzate ‘soft skills’, sono quelle abilità cognitive, relazionali e comunicative che permettono all’individuo di interagire al meglio con gli altri. Fra queste, nel contesto di questo articolo, possiamo citare la «learning agility», ossia la capacità che permette alle persone di affrontare situazioni nuove o impreviste, di imparare a utilizzare nuovi strumenti, affinare e sviluppare le proprie competenze con modalità diverse da quelle apprese sino a questo momento.
Una competenza che vale la pena, senza dubbio, di allenare.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2021/05/ART21-biz-etiquette.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-05-03 16:29:312021-05-03 16:29:32La tua immagine dice chi sei
C’era una volta un Paese chiamato Svizzera che, pur non coltivando una sola pianta di cacao, diventa leader mondiale del cioccolato. Riflessioni su materie prime e sostenibilità.
Per risalire alle radici di questa storia di successo bisogna compiere un passo indietro e tornare tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. La Svizzera, localizzata nel cuore del Continente europeo, per ragioni riconducibili alle ridotte dimensioni del Paese, così come per motivi climatici e di scarsità di materie prime locali, dovette prevedere un metodo per coprire i propri fabbisogno primari importando cereali per la popolazione ed esportando in cambio prodotti di allevamento principalmente tra Italia e Francia.
Cominciò così a sfruttare gli spazi a propria disposizione per rafforzare il settore agricolo e quello manifatturiero, iniziando così un processo import-export. Alla fine del XIX secolo si compì un nuovo passo, molto importante per lo sviluppo della Confederazione, ossia l’introduzione della rete ferroviaria, con riferimento in particolare al traforo del San Gottardo. Quest’importante investimento infrastrutturale collegò il Paese alla rete europea dove si posero le basi per una piccola economia “aperta”. Da qui, l’importazione e l’approvvigionamento di beni essenziali quali derrate alimentari, materie prime ed energetiche iniziò a svilupparsi. Anche se in Svizzera non cresce il cacao, il cioccolato è divenuto il simbolo del nostro Paese. Essendo priva di materie prime, la Svizzera le importa, le lavora, ed esporta quindi i semilavorati e i prodotti finiti in tutto il mondo.
La storia continua con l’eredità di imprenditori brillanti quali Daniel Peter, Alexander Cailler e Henri Nestlé, grazie ai quali si inaugurò una produzione su larga scala di vari prodotti derivati sia dal cioccolato, che dal caffè e dal latte. Di fatto questi nomi, si affermano ben presto come un simbolo mondiale di scoperta e innovazione rappresentano oggigiorno colossi dell’industria alimentare. I pionieri del cioccolato e del latte non avrebbero avuto questo successo se non grazie ad un commercio libero tra i diversi Paesi. Questa ascesa fu resa possibile essenzialmente per due ragioni. Da un lato, le ottime relazioni con Paesi terzi permisero agli imprenditori svizzeri di instaurare rapporti di scambi commerciali con numerose altri Stati assicurandosi un approvvigionamento delle materie prime necessarie al confezionamento del prodotto. Dall’altro lato, giocarono un forte ruolo anche la crescente urbanizzazione delle città e di conseguenza l’aumento della domanda. Oltre a ciò, ferrovie e navi favorirono l’abbattimento dei costi di trasporto delle merci nonché un aumento nella velocità di trasporto. Anche sul nostro territorio, nel nostro piccolo Ticino, conosciamo ora nomi eccellenti ed aziende affermate che assicurano e confermano la tradizione, quali Chocolat Stella SA, Chocolat Alprose SA, Domani Food SA, LATI SA e Agroval SA, ad esempio.
Per un piccolo Paese che non dispone delle premesse favorevoli per uno sviluppo autonomo, le relazioni con l’estero hanno sempre rivestito un’importanza fondamentale. Esportando beni e servizi, esso si procura la valuta necessaria per importare i generi di cui è sprovvisto o che non è in grado di produrre. Considerato l’aumento delle esportazioni-importazioni e parallelamente l’aumento anche delle prestazioni del settore terziario tra servizi bancari, assicurativi, investimenti e di turismo, la Svizzera impara così ad essere un forte intermediario di transazioni invisibili ma molto proficue. L’espansione del settore continua anche durante e dopo le due guerre mondiali. Società estere, tutt’ora esistenti legate al commercio di petrolio, cotone, di spedizione, ecc., hanno trovato nel nostro Paese, caratterizzato da una politica stabile, dalla neutralità e da una moneta forte la sede adatta per i propri commerci. Questo ha portato a una forte espansione del settore. Comincia così la lunga tradizione della compravendita di materie prime. Tale commercio è importante e proficuo non solo per la Svizzera ma anche per il resto del mondo: in modo molto semplice ha permesso un equo scambio commerciale tra Paesi che vantano di materie prime in eccesso sul proprio territorio, Paesi che ne possiedono poche o che ne sono completamente privi.
C’era una volta una tazza di caffè…
Anche una gran parte del commercio del caffè mondiale viene elaborato direttamente o indirettamente attraverso la Svizzera. Le esportazioni di caffè superano ampiamente quelle di prodotti alimentari tradizionalmente associati alla Svizzera, ad esempio, il cioccolato o il formaggio.
Nel 1975 il padre delle capsule di caffè Eric Favre – ingegnere vodese, a quel tempo impiegato nel reparto confezionamento di Nestlé – dopo un viaggio a Roma insieme alla moglie allo scopo di cercare spunti, si mette a lavorare all’invenzione che oggi ha aperto la strada a un oggetto divenuto ormai irrinunciabile: la capsula da caffè.
Serviranno dieci anni di persistenza da parte di Favre e il volto di George Clooney per dar vita al boom mondiale del caffè in capsula chiusa, che oggi tutti conosciamo. La ricerca costante e importantissima della sostenibilità dei prodotti ha dato, inoltre, un valore aggiunto indispensabile anche e specialmente, guardando al futuro.
Una curiosità: quale è il modo meno impattante per far nascere una tazza di caffè? Stimando una media per famiglia, uno studio ha preso in considerazione tutti gli aspetti del ciclo di vita di una tazza di caffè: dall’estrazione, la coltivazione completa del chicco, dall’acqua consumata, l’uso del suolo, trasporto, produzione e dalla lavorazione di tutte le materie prime fino alla fine del ciclo di vita di tutti i componenti, trasporto, produzione, lavorazione delle materie prime e l’imballaggio. Oggi le persone sono sempre più preoccupate e attente all’impronta ecologica di qualsiasi attività. Sempre di più, ci si interroga sull’uso delle risorse nel processo di produzione e sull’impatto dopo l’uso. Per quanto possa sembrare singolare, è il modo in cui consumiamo il caffè con il modo in cui viene coltivato che genera il maggiore impatto ambientale e non, come spesso si pensa, dalla sua produzione o l’imballaggio, nel caso citato, la scelta dell’alluminio. Questa è solo una riflessione su come una semplice tazza caffè possa avere così svariati aspetti economici ed ambientali servendosi di diversi processi di studio per realizzarla in modo più intelligente, ed è solo una piccola fetta di ciò che il commercio di materie prime offre.
C’era una volta, un’economia circolare…
Il bene delle materie prime, il bisogno che ha l’uomo verso di esse. Dobbiamo soffermarci brevemente sull’uso quotidiano che le caratterizza. Basta guardare tutto ciò che abbiamo attorno, tutto ciò che addirittura indossiamo. Tutto viene prodotto da materiali diversi ma collegati tra loro da un commercio globalizzato.
La globalizzazione ha moltiplicato le relazioni transfrontaliere fra i governi, i gruppi sociali e gli attori dell’economia. Le relazioni internazionali sono diventare sempre più fitte e intense. Un intreccio, che evoca, al contempo, la vulnerabilità legata agli sviluppi esterni, e che descrive non sole le interrelazioni economiche e sociali, ma anche quelle politiche e culturali, senza peraltro trascurare mai le vulnerabilità ecologiche. Tracce di Svizzera nel mondo e del mondo in Svizzera. La politica di sviluppo e la cooperazione allo sviluppo devono fornire una risposta alle sfide che questo Paese è chiamato ad affrontare in loco e a livello globale. Infatti, un Paese fortemente integrato sul piano internazionale come la Svizzera ha grandi possibilità di contribuire a definire l’assetto della globalizzazione.
Per le imprese esposte alla globalizzazione, l’espansione all’estero è una strategia di sopravvivenza e non rappresenta un elemento di concorrenza con l’esportazione dalla Svizzera, bensì uno stimolo. Infatti, agli investimenti effettuai all’estero fanno seguito le forniture di bene d’investimento svizzeri, pezzi di ricambio, tecnologie e prestazioni di consulenza. La Terra ci offre moltissime risorse essenziali; l’aria, l’acqua, il legno, il petrolio, i minerali, ecc.. Molte materie prime sono però limitate, difficilmente accessibili o hanno bisogno di tempo per rigenerarsi. Tutti noi, perciò, dobbiamo utilizzarle in modo adeguato: non dobbiamo sprecarle. In Svizzera le superfici arabili non sono sufficientemente estese e le condizioni climatiche non idonee alla produzione di tutte le derrate alimentari consumate. L’acquisto di derrate all’estero ha dunque tradizione. In questo modo sfruttiamo più terreno di quanto non ne abbiamo a disposizione. Grazie al solo commercio di prodotti agricoli con i Paesi in via di sviluppo, la superficie arabile risulta più che raddoppiata. Inoltre, per via dei nostri consumi utilizziamo indirettamente acque e altre risorse naturali nei Paesi d’esportazione. Ciò non vale solo per i prodotti alimentari, ma anche per l’elettronica d’intrattenimento, l’abbigliamento, l’energia e tant’altro ancora. Inoltre, per approntare questi beni e assicurarne lo smaltimento occorrono ulteriori risorse.
Ma dentro le aziende?
Il benessere dei propri collaboratori, i legami con il territorio e l’ambiente. Questi sono tre fattori strategici la cui salvaguardia è fondamentale per l’esistenza dell’impresa stessa. È qui che subentra la RSI, Responsabilità Sociale di Impresa, che offre la visione di un modello business al quale tutte le imprese ed uffici possono far riferimento per poter modificare la loro filosofia in modo da avere un impatto positivo sul mercato del lavoro e potersi affermare come leader in questo spazio di crescita umanitaria e ambientale.
Alla Cc-Ti
Questi aspetti devono andare di pari passo. Qui comprendiamo il perché la responsabilità sociale gioca un ruolo importante ed aiuta di fatto a mantenere e a gestire al meglio gli assi fondamentali. Una gestione consapevole dell’impatto si traduce in migliori relazioni esterne, una buona reputazione, ispirazione innovativa e rischi meglio gestiti.
La Cc-Ti è da sempre molto impegnata nella responsabilità sociale con consulenze o corsi mirati, ad esempio, per gli associati cercando di garantire e solidificare una formazione sociale virtuosa. Ricordiamo che nel nostro team annoveriamo un CSR Manager, nella persona di Gianluca Pagani, a vostra disposizione per qualsiasi supporto (Tel. +41 91 911 51 36, pagani@cc-ti.ch; altri dettagli visitando il nostro sito e leggendo questo articolo).
Il settore delle materie (sezione Ticino) prime ha il proprio segretariato presso la Camera di commercio e dell’industria con l’associazione Lugano Commodity Trading Association (LCTA). Questo settore offre lavoro a circa 35’000 persone e genera il 3.8 percento del prodotto interno lordo. Il Ticino, in questo ramo si posiziona al terzo posto in ordine di importanza dopo Ginevra e Zugo; con 120 aziende e oltre 900 impiegati. A livello federale le aziende del settore delle materie prime vengono rappresentate dall’associazione mantello STSA, Swiss Trading and Shipping Association mentre a livello regionale, da oltre dieci anni la LCTA rappresenta le aziende in Ticino. Oltre che garantire un sostegno e uno sviluppo delle aziende affiliate, la LCTA in collaborazione con l’Università di Lucerna e l’associazione regionale ZCA, Zug Commodity Association si impegna a fornire una formazione mirata del settore per dipendenti che vogliono intraprendere un nuovo percorso formativo.
Fonte: pubblicazione “La Svizzera e il mondo”, 2007, R. Gerster
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2021/04/ART21-materie-prime.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-04-08 14:26:572021-04-08 14:26:58C’erano una volta le materie prime
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