Strada e ferrovia, accostamento vincente

Le strade… crocevia di disquisizioni infinite del mondo moderno, sono ormai costantemente oggetto di diatribe, non solo a causa dei quotidiani bollettini sul traffico, ma anche e soprattutto quando si tratta di decidere interventi infrastrutturali per adeguamenti di capacità.

© Staatsarchiv Luzern

Purtroppo, nella discussione politica molti sono ancora ostaggi di una contrapposizione ideologica fra trasporto privato e pubblico, come se si trattasse di due entità nettamente separate e non parte dello stesso sistema. L’economia ha sempre sottolineato la necessità di considerare i vari vettori di trasporto come complementari (strada, ferrovia e pure aereo). Unitamente alla rete ferroviaria, quella stradale nazionale è essenziale per il buon funzionamento del nostro Paese. La mobilità individuale e collettiva, così come quella logistica della consegna delle merci, è possibile solo con infrastrutture ferroviarie e stradali dinamiche ed efficienti.

Un territorio che vuole essere forte economicamente deve poter contare su mezzi di trasporto diversificati e integrati. Non ci sono alternative e le scelte unilaterali hanno poco senso.
Pensiamo allo scenario auspicato da taluni “esperti” durante la campagna di votazione per la realizzazione del secondo tubo autostradale del San Gottardo: chiusura del traffico stradale e tutto il peso sulla ferrovia, persone e merci. Questo non tenendo conto dell’ovvia limitata disponibilità di tracce ferroviarie, considerata come un dettaglio, facilmente risolvibile. L’incidente che ha bloccato la galleria di base per oltre un anno dall’agosto 2023 al prossimo mese di settembre è la risposta più eloquente a questi tipi di approcci settari.

Il prossimo 24 novembre 2024 sarà un ulteriore banco di prova per un approccio “integrato” (strada e ferrovia), visto che saremo chiamati alle urne per votare sulla Fase di potenziamento delle strade nazionali 2023, oggetto di referendum. La proposta comprende sei progetti in diverse regioni della Svizzera (non in Ticino), volti a eliminare e/o ridurre i “colli di bottiglia”, migliorando il flusso del traffico sulle nostre strade nazionali. Un potenziamento più che necessario, considerata la crescita economica, l’aumento della popolazione e il conseguente incremento dei veicoli stradali a motore in Svizzera che nel 2023 erano quasi 6,5 milioni (di cui ¾ automobili, ca. 4,8 milioni di immatricolazioni), a fronte dei circa 5,7 milioni del 2013 (nel 1950 erano 147’000…).
Centrale resta una visione complessiva e integrata della mobilità per rendere più scorrevole il traffico sia per i mezzi pubblici che per il trasporto privato, facilitando notevolmente gli spostamenti sul nostro territorio ed evitando di sostare ore fermi nel traffico congestionato. Le soluzioni alternative proposte fino a oggi, come gli impianti di limitazione dinamica della velocità o le corsie dinamiche, non sono più sufficienti in molti tratti autostradali per gestire il traffico attuale e per affrontare la crescita di quello futuro. Anche se la crescita dovesse rallentare, ipotesi poco plausibile, si può legittimamente ritenere che non vi saranno diminuzioni significative rispetto allo stato attuale delle cose. I potenziamenti mirati proposti per risolvere le criticità più gravi sono pertanto assolutamente sensati e necessari.
Questa tendenza all’aumento del traffico privato si verifica malgrado l’inalterata e, anzi, crescente passione della popolazione svizzera per il trasporto pubblico, con cifre record per il numero di chilometri percorsi dalle persone, come attestato dall’Associazione svizzera per il trasporto pubblico (www.voev.ch). Certo, il trasferimento delle merci su rotaia ha ancora un potenziale di crescita, ma è illusorio pensare di risolvere tutti i problemi del traffico puntando solo su questo elemento. Per quanto riguarda il Ticino, ci sono comunque buone notizie per il trasporto pubblico: i dati confermano che i passeggeri continuano ad aumentare. Il potenziamento dell’offerta di tre anni fa sta dando i suoi frutti, con un 2023 da record e anche il 2024 si preannuncia in crescita. In ottica dei finanziamenti futuri a livello cantonale, a fine maggio è stata presentata la richiesta di stanziamento di un credito quadro per il finanziamento delle prestazioni di trasporto pubblico per il quadriennio 2025-2028, pari a 462,1 milioni di franchi, di cui 358,3 milioni a carico del Cantone e 103,8 milioni a carico dei Comuni.

Anche molte aziende si sono da tempo attivate con misure puntuali messe in campo per cercare di contenere il traffico nell’ottica di una mobilità sostenibile, attraverso iniziative come il car pooling, il car sharing, sconti per collaboratori per l’abbonamento arcobaleno o navette aziendali.

L’automobile si conferma comunque ancora il mezzo preferito dagli svizzeri per gli spostamenti quotidiani. La complementarità menzionata in precedenza permette di ponderare quale sia il mezzo di trasporto più idoneo per una determinata tratta e, spesso, l’automobile gioca ancora un ruolo cruciale. Fare in modo che il traffico scorra senza intoppi sulle autostrade significa quindi anche alleggerire le città e i comuni, verso i quali spesso si riversano i flussi rallentati sulla rete nazionale. Le code interminabili si ripercuotono infatti direttamente sulla viabilità delle strade cantonali, mettendo in difficoltà regioni intere.
I dati pubblicati a metà giugno da USTRA sono chiari: con un aumento del 22,4% rispetto all’anno precedente, gli incolonnamenti in Svizzera hanno raggiunto un valore record nel 2023, totalizzando 48’807 ore, di cui l’86,7% imputabile a problemi di congestione della rete. Numeri che confermano la necessità di un aumento della capacità della rete autostradale.

Il Ticino non è direttamente toccato dalla votazione del 24 novembre 2024, ma è importante comunque sostenere progetti infrastrutturali che ci concernono anche solo in maniera indiretta, perché è un atto di solidarietà con le altre regioni svizzere e di coerenza nell’ambito della politica dei trasporti auspicata.
Del resto, l’importanza per i ticinesi del trasporto privato è dimostrata non solo dall’elevato numero di veicoli immatricolati (324’508 nel 2022), ma anche dall’età media delle automobili, che in Ticino è di 8,9 anni a fronte dei 10 anni della media nazionale. Un parco veicoli meno “vecchio” di quello degli altri cantoni, non male per una regione considerata povera…

Per maggiori informazioni, continuare ad approfondire il tema con l’articolo «Un tempo, le strade erano un “arricchimento del paesaggio”»

«Non solo business…»

L’economia per la società

La nostra società sta vivendo una fase di cambiamenti epocali. L’innovazione tecnologica avanza a un ritmo vertiginoso, trasformando il panorama lavorativo: vecchi mestieri scompaiono, mentre nuove competenze emergono. Questo progresso tecnologico non solo rivoluziona l’economia, ma ridisegna profondamente il tessuto sociale, creando opportunità inedite ma anche nuove sfide.

Di fronte a queste trasformazioni, diventa ad esempio imprescindibile ripensare il nostro sistema formativo e colmare la mancanza di manodopera qualificata in molti settori, specialmente in vista dell’imminente pensionamento della generazione dei baby boomer. La necessità di formazione continua e aggiornamento diventa essenziale per restare al passo con i tempi, mantenere la competitività in un contesto internazionale sempre più agguerrito e severo e quindi poter garantire che si possano creare posti di lavoro a beneficio di tutta la collettività.

Il ruolo delle aziende

Ma oggi il ruolo atavico delle aziende, cioè, detto in maniera diretta, ottenere profitto per poter investire e creare posti di lavoro in un’ottica “win-win” per tutti non è più considerato sufficiente.

Dalle aziende si esige un ruolo differenziato, più ampio, che favorisca anche fattori ambientali e sociali, oltre che economici. Elementi richiesti dal mercato, dalle filiere stesse, da chi valuta la propria collocazione lavorativa e dalla politica.

Connotazioni all’apparenza più complesse, ma che in realtà spesso le aziende possiedono e perseguono già, anche inconsapevolmente, nel proprio percorso etico sotto il capitolo della “Responsabilità sociale delle aziende” (o anche CSR secondo la denominazione inglese), concetto tutt’altro che nuovo o vacuo per gli imprenditori.

Nel contesto della CSR, che qualcuno a torto considera come mera operazione di marketing emergono, in realtà da tempo, molteplici comportamenti “virtuosi” (termine abusato e che non utilizziamo con piacere, ma che rende l’idea…), che dimostrano inequivocabilmente il già fattivo impegno dell’economia per la società, ben più ampio di quello tradizionale citato all’inizio del capitolo. Un’evoluzione sostanziale, purtroppo ancora troppo poco percepita nel sentire comune, come ha dimostrato la recente votazione cantonale sulla riforma fiscale. Occasione per gli oppositori alla riforma, dati i carenti argomenti, di rispolverare un noto slogan, secondo cui le aziende “rubano”. Senza distinzioni, verità assoluta tipica del pensiero unico di stampo totalitario.

Frutto d’ignoranza (nel senso etimologico del termine, cioè di mancanza di conoscenza della realtà) e/o di malafede. La campagna di votazione spiega molto ma non può giustificare tutto e le menzogne, gli attacchi personali e gli insulti si sono qualificati da soli. È di fondamentale importanza ribadire alcuni temi concreti, magari meno noti, che vedono le imprese in prima fila e spesso anche promotrici di tematiche e pratiche non direttamente legate alla loro attività di base, ma rilevanti per tutta la società, senza dimenticare comunque che il risvolto economico non può e non deve essere considerato un peccato. Del resto, anche chi continua a voler soppesare con diffidenza il mondo imprenditoriale, converrà che è meglio contare su aziende sane che prosperano e possono contribuire al benessere comune, piuttosto che su società fallimentari e a carico della collettività. A meno di credere ciecamente nel potere taumaturgico dello Stato di sostituirsi all’economia, ma questa è un’altra questione.

La responsabilità sociale delle imprese

Come detto in precedenza, questo concetto può declinarsi in molte maniere e concretizzarsi con differenti modalità. Comportamenti quotidiani, magari non immediatamente visibili, ma che hanno un risvolto rilevante sul benessere di chi lavora nell’azienda. Per far emergere questa realtà, abbiamo sviluppato, con il supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE) un modello online di rapporto di sostenibilità, accessibile tramite il link: www.ti-csrreport.ch.

Proprio per dare modo alle aziende di evidenziare, in maniera semplice e diretta, i vari ambiti nei quali il loro impegno va ben oltre quella che gli scettici chiamano pura realizzazione del profitto (che per molti resta comunque ancora e sempre “lo sterco del diavolo”). I dati sono inequivocabili: le aziende ticinesi si collocano a un livello superiore nella media nazionale e manifestano attenzione verso il tema, sulla base proprio dei valori e delle convinzioni della dirigenza stessa. Le misure concrete vanno dalla mobilità aziendale alle buone pratiche.

Ne sono state rilevate ben 138 in 32 diversi ambiti. I dati sono riferiti al periodo pre-pandemico e risultano dalla nostra inchiesta congiunturale del 2020 (link: https://www.cc-ti.ch/risultati-inchiesta-cong-2019-2020/).

Data l’accelerazione di nuove forme lavorative, come lo Smart Working, proprio da quanto vissuto durante la pandemia, i dati oggi sono senz’altro ancora superiori.

Conciliabilità tra lavoro e famiglia

Tema importante nel contesto della CSR e non si può certo dire che le aziende ticinesi non contribuiscano a questa causa. Al di là delle applicazioni pratiche nelle singole imprese, che variano ovviamente a seconda delle dimensioni aziendali e della possibilità di flessibilità organizzativa, è giusto rilevare che l’economia cantonale ha versato, negli anni fra il 2019 e il 2023, qualcosa come 91 (novantuno) milioni di franchi nell’apposito fondo cantonale creato con la riforma fisco-sociale entrata in vigore nel 2018. Mezzi destinati all’assegno parentale e alle misure sulla conciliabilità lavoro-famiglia e più particolarmente al sostegno alla spesa di collocamento dei figli, ai servizi e alle strutture di accoglienza e la sensibilizzazione delle aziende. Oltre alle misure di sostegno ai familiari curanti.

Un impegno sostanziale, fatto anche di sacrificio e consapevolezza, e quando si utilizza la parola “ladri” riferendosi alle aziende magari sarebbe opportuno ridimensionare pregiudizi e “slogan” populisti in virtù di una lettura fattuale e includente della realtà. Questo non per assolvere sempre e comunque il mondo imprenditoriale in toto, che deve assumersi determinate responsabilità. Del resto, sono gli imprenditori stessi a chiedere un certo rigore quando si tratta di dimostrare il fare impresa correttamente.

Reintegrazione professionale

Dal 2012 collaboriamo con l’Ufficio dell’Assicurazione Invalidità dell’Istituto delle assicurazioni sociali nell’ambito della manifestazione “Agiamo Insieme” (www.cc-ti.ch/agiamo-insieme-2024), momento dedicato alla reintegrazione professionale di persone con problemi di salute. Persone che hanno ricostruito con successo la propria carriera lavorativa unendo la propria resilienza e il supporto di aziende del territorio.

Questo gratificante binomio tra azienda e collaboratore viene raccontato attraverso testimonianze e video-reportage, dimostrando quanto l’impegno congiunto (persona, famiglia, azienda, economia e Istituzioni) possa essere premiante per tutti.

Una collaborazione fra pubblico e privato che dimostra come vi sia una volontà comune di andare ben oltre il solo interesse economico, ma una vera sensibilità per le persone e il territorio. Vero che la collaborazione con lo Stato in questo contesto è fondamentale, ma vedere aziende di ogni settore, dall’industria ai servizi, determinate a predisporre importanti misure non solo organizzative ma anche sostanziali, modificando gli spazi di lavoro, per agevolare i collaboratori con difficoltà a poter svolgere la propria attività lavorativa, è solo uno degli esempi che contraddice il presunto disimpegno dell’economia dalla realtà sociale.

Sentenziare è una cattiva abitudine non solo ticinese, ma sul nostro territorio siamo particolarmente abili, purtroppo, a disprezzare o sminuire quanto di buono viene fatto e ignorare scientemente iniziative di questo tipo dimostra quanto sia ancora impervio il cammino verso un confronto basato sui fatti e non sul puro confronto ideologico.

Le imprese non solo contribuiscono allo sviluppo sostenibile, ma hanno tutte le qualità e l’interesse a posizionarsi come entità innovative, responsabili e competitive sul mercato. Questo approccio olistico si allinea alle preferenze dei consumatori e alle tendenze normative in evoluzione, favorendo il successo a lungo termine. Il rispetto è molto spesso un’utopia, ma non va dimenticato che l’economia siamo tutti noi, persone e aziende costituiscono un tutt’uno. La differenza tra parlarne e sparlarne è alla base di chi siamo e vogliamo essere. Potrebbero bastare anche solo cinque minuti senza preconcetti per ricostruire un dibattito sensato, basato su cose concrete e non su basse insinuazioni.

Sostenibilità: la CSDDD europea in breve

La direttiva sulla dovuta diligenza in materia di sostenibilità delle imprese (CSDDD/CS3D), entra in vigore il 25 luglio 2024 e richiederà alle imprese con sede nell’Unione europea (UE) e alle imprese extra-UE con attività nel mercato comunitario di gestire con attenzione gli impatti sociali e ambientali lungo l’intera catena di approvvigionamento.

Dopo un lungo iter negoziale, terminato con l’approvazione finale del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 giugno 2024, la Direttiva (UE) 2024/1760 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 giugno 2024, relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità – più comunemente nota come CSDDD o CS3D – è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’UE il 5 luglio 2024 ed entra in vigore il 25 luglio 2024. Per essere pienamente applicabile, entro due anni dovrà essere recepita nel diritto nazionale degli Stati membri.

Oggetto e ambito di applicazione

La CSDDD richiederà alle imprese di adottare misure per prevenire, mitigare o ridurre al minimo gli impatti sui diritti umani e sull’ambiente che potrebbero derivare dalle attività che svolgono e dalle catene del valore a cui partecipano. Trattasi in particolare di attività a monte quali la progettazione, l’estrazione, l’approvvigionamento, la fabbricazione, il trasporto, l’immagazzinamento e la fornitura di materie prime, prodotti o parti dei prodotti e lo sviluppo del prodotto o del servizio, nonché di attività dei partner commerciali a valle, tra cui la distribuzione, il trasporto e l’immagazzinamento del prodotto, laddove i partner commerciali svolgano tali attività per l’azienda o a nome dell’azienda.

Il processo di attuazione del dovere di diligenza (due diligence) dovrà seguire le seguenti fasi:

  • integrazione della due diligence nelle politiche e nei sistemi di gestione;
  • individuazione e valutazione degli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente;
  • prevenzione e attenuazione degli impatti negativi potenziali e arresto degli impatti negativi effettivi e minimizzazione della relativa entità;
  • riparazione degli impatti negativi effettivi;
  • istituzione e mantenimento di un meccanismo di notifica e di una procedura di reclamo;
  • monitoraggio dell’efficacia della propria politica e delle misure di due diligence ogni 12 mesi; 
  • comunicazione delle proprie attività di due diligence pubblicando sul sito web una dichiarazione annuale.

Entro il 31 marzo 2027, la Commissione adotterà gli opportuni atti delegati relativi al contenuto e ai criteri per la rendicontazione.

Tempistiche di applicazione

Gli Stati membri dell’UE dovranno recepire la CSDDD nel rispettivo diritto nazionale entro il 26 luglio 2026.

Le disposizioni della direttiva saranno in seguito applicate secondo le seguenti tempistiche:

  • dal 26 luglio 2027 la CSDDD si applicherà alle aziende europee con oltre 5’000 dipendenti e un fatturato netto a livello mondiale superiore a 1,5 miliardi di euro così come ad aziende estere con un fatturato netto di oltre 1,5 miliardi di euro generato nell’UE o a società madri di un gruppo che, su base consolidata, ha raggiunto tale soglia;
  • dal 26 luglio 2028 si applicherà alle aziende europee con oltre 3’000 dipendenti e un fatturato netto a livello mondiale superiore a 900 milioni di euro così come ad aziende estere con un fatturato netto di oltre 900 milioni di euro generato nell’UE o a società madri di un gruppo che, su base consolidata, ha raggiunto tale soglia;
  • dal 26 luglio 2029 si applicherà a tutte le società europee con oltre 1’000 dipendenti e un fatturato netto a livello mondiale superiore a 450 milioni di euro, alle aziende estere con un fatturato netto di oltre 450 milioni euro generato nell’UE o a società madri di un gruppo che, su base consolidata, ha raggiunto tale soglia così come ad aziende che hanno stipulato o sono società madri di un gruppo che ha stipulato accordi di franchising o di licenza nell’UE in cambio di diritti di licenza (royalties) con società terze indipendenti, qualora tali diritti ammontino a oltre 22,5 milioni di euro nell’UE e il fatturato netto generato risulti essere superiore a 80 milioni di euro.

Le soglie indicate dovranno essere raggiunte dall’azienda per due esercizi finanziari consecutivi.

Autorità di vigilanza e sanzioni

Ogni Stato membro dell’UE istituirà un’autorità di vigilanza per verificare che le imprese rispettino gli obblighi previsti dalla Direttiva. Esse potranno avviare indagini, condurre ispezioni e imporre sanzioni, anche pecuniarie, alle aziende inadempienti. Le sanzioni pecuniarie potranno arrivare fino al 5% del fatturato netto mondiale della società in questione. Le autorità nazionali saranno coordinate a livello comunitario dalla cosiddetta “Rete europea delle autorità di vigilanza”.

Tutti i nostri diplomati

Si sono svolti fra maggio e giugno gli esami dei percorsi formativi Cc-Ti, che la nostra associazione ha proposto negli ambiti ‘leadership’, ‘vendita’ e ‘diritto del lavoro’.

La classe “ABC della Leadership”

Si tratta di corsi di formazione costituiti da più moduli interconnessi, che formano un vero e proprio approfondimento su una tematica specifica.
Al termine si sostiene un esame finale e, al superamento dello stesso, viene rilasciato un attestato di frequenza Cc-Ti.
Complimenti a tutti!

Per una prospettiva differente dal solito, vi proponiamo le impressioni di alcuni docenti, da cui si evince l’importanza dell’interazione fra i diversi attori coinvolti per il successo della formazione. Buona lettura.

PERCORSO ABC DELLA LEADERSHIP 2024

Si è concluso con l’esame finale il terzo ciclo del percorso formativo “ABC della Leadership”. Complimenti a: Federico Abbate (Valcambi SA), Cristian Amoroso (Aziende Industriali Mendrisio), Roberta Angotti Pellegatta (Ente Regionale Sviluppo Luganese), Luca Brunella (Guess Europe Sagl), Salvatore Carmeci ( Johnson Controls), Federica Cometti (Guess Europe Sagl), Alberto Costantini (FFS), Laura Dimartino (Guess Europe Sagl), Clarissa Ferrari (Città di Lugano), Corrado Francalanza (Valcambi SA), Claudio Fraquelli (Guess Europe Sagl), Simone Galletti (Frigerio SA), Massimiliano Gini (SUVA), Olga Kuligina (Guess Europe Sagl), Steven Merani (Magazzini Generali con Punto Franco SA), Fabio Meroni (Ufficio della Dogana e della sicurezza dei Confini) Stefanie Monastero (Città di Lugano), Daris Rossinelli (Aziende Industriali Mendrisio), Mattia Rovelli (Guess Europe Sagl), Akira Sugawara (Socialità Città di Lugano), Giulio Vismara (Guess Europe). Nella foto è anche presenti la relatrice Sabina Zucchiatti (manca Andrea Carlesso).

Il prossimo ciclo prenderà avvio il 24 ottobre.

I corsisti “Competenze nel diritto del lavoro”

PERCORSO COMPETENZE NEL DIRITTO DEL LAVORO 2023-2024

Anche il percorso formativo “Competenze nel diritto del lavoro” è al terzo ciclo. Complimenti a: Sabrina Cifarelli (Physio Sport Progress Sagl), Laura Corredig (CM Legal), Altea De Biasi (Sandro Vanini SA), Nicoletta Ferri (NTR Attrezzature Meccaniche SA), Alessandra Mino (SGR Compliance SA), Eliana Pastorelli (Hoyer Svizzera SA), Daniela Rossini (Helsana), Laura Zahm (Pirelli Tyre Suisse SA). Nella Foto è anche presente una delle relatrici Avv. Roberta Bazzana-Marcoli (manca Avv. Rosella Chiesa Lehmann).

Il prossimo ciclo prenderà avvio il 20 settembre.

La classe “Fitness per le vendite”

PERCORSO FITNESS PER LE VENDITE

Si è concluso il percorso formativo “Fitness per le vendite”. Complimenti a: Cristian Ballabio (Pagani Pens SA), Giorgio Bignotti (Vini e Distillati Angelo Delea SA), Fabio Cascili (Vini e Distillati Angelo Delea SA), Marco Cestari (Tyco Integrated Fire & Security Svizzera), David Delea (Vini e Distillati Angelo Delea SA), Elisa Fazio (Pagani Pens SA), Catherine Govaerts (Pagani Pens SA), Enrico Grisetti (Vini e Distillati Angelo Delea SA), Matthias Manzoni (Autors SA) Susana Martin Redon (Pagani Pens SA), Carlo Attilio Mazara (Pagani Pens SA), Michele Pagnamenta (IngEne SA), Elena Pellizzoni (Pagani Pens SA), Massimiliano Profeta (Vini e Distillati Angelo Delea SA), Tiziana Risi (Mitico Ticino SA). Nella Foto sono anche presenti i relatori Stefano Bosia e Andrea Carlesso.

Il prossimo ciclo prenderà avvio a febbraio 2025.

La parola ai docenti

Avv. Rosella Chiesa Lehmann
I corsi di formazione pongono delle sfide non solo per i partecipanti ma anche per i relatori. È infatti importante dare ai corsisti tutte le informazioni di base necessarie, ma anche formulare esempi e discutere casi affinché si possa poi applicare nella pratica quanto appreso. L’interesse dimostrato dai corsisti e le domande da loro poste, basate su situazioni puntuali, permettono di creare uno scambio di esperienze e informazioni molto interessante e stimolante per tutti i partecipanti. Grazie all’interazione anche il relatore può verificare i temi che devono essere meglio approfonditi. Le nozioni teoriche sono infatti la base necessaria per fornire gli strumenti adatti ad affrontare i casi pratici, ma è solo grazie agli esempi e alle discussioni che nascono con i partecipanti che si possono meglio comprende le esigenze e i punti da approfondire, e questo soprattutto per coloro che frequentano il corso per una riqualifica professionale e/o perché non lavorano quotidianamente nel settore HR.

Sabina Zucchiatti e Andrea Carlesso
Il nostro ruolo come formatori non si limita alla mera trasmissione di conoscenze ed esperienze vissute: la base teorica si può trovare ovunque o la si può semplificare con l’AI.
La vera essenza di un apprendimento efficace risiede nell’interazione dinamica, nel vivere la situazione in prima persona, nel networking e nello scambio di esperienze tra i corsisti. Da formatori per adulti constatiamo quanto questi elementi siano fondamentali per il successo di ogni percorso formativo e come sia al tempo stesso unico proprio per la sua esclusiva dinamicità diversa in ogni aula. L’aula viene definita fin da subito un ambiente protetto in assenza di giudizio e l’interazione costante tra i corsisti e i formatori è il motore che alimenta l’apprendimento poiché i partecipanti portano con sé un bagaglio di esperienze e conoscenze pregresse. Favorire un ambiente interattivo permette ai corsisti di mettere in comune questo patrimonio e arricchisce il percorso formativo. Le discussioni aperte, i lavori di gruppo e le simulazioni sono solo alcune delle metodologie che stimolano l’interazione rivelandosi estremamente efficaci. Questo confronto non solo amplia la prospettiva di ogni corsista, ma offre anche soluzioni pratiche e innovative a problemi comuni e concrete nella conduzione delle risorse umane. In un’aula ogni partecipante è una risorsa preziosa.
E noi, come formatori, forniamo molti strumenti pratici durante tutto il percorso formativo che sono fondamentali per garantire un apprendimento efficace e duraturo. Questi strumenti permettono ai partecipanti di applicare le conoscenze teoriche in contesti reali migliorando così la loro preparazione e competenza nell’attività quotidiana. Il networking viene facilitato e incoraggiato nel nostro percorso: creare una rete di contatti professionali può aprire molteplici opportunità di collaborazione e crescita. Queste, per noi, sono le chiavi per un apprendimento efficace, duraturo e funzionale.

“Social Power” in fusioni ed acquisizioni

Fusioni ed acquisizioni aziendali: l’importanza strategica della presenza social di aziende e manager

Secondo l‘Harvard Business Review (HBR Magazine, edizione USA e Canada, Maggio-Giugno 2024, “A better approach to mergers and acquisitions”, pp. 19-23), negli ultimi 20 anni c‘è stato un notevole miglioramento nel tasso di successo dei processi di M&A (Merger and Acquisition) aziendali, inclusi quelli delle PMI.

Due decenni fa, il 70% delle fusioni o acquisizioni non raggiungeva i risultati sperati; oggi, oltre il 70% di questi processi genera il valore previsto in fase di valutazione.

Il ruolo dei social media nelle acquisizioni aziendali

Diversi fattori hanno contribuito a questo cambiamento positivo:

  • maggiore specializzazione dei valutatori aziendali
  • ricerca di partner con valori complementari
  • valutazioni che considerano non solo i numeri, ma anche il contesto e il fattore umano.

I profili social aziendali e individuali sono ora parte integrante dei parametri di valutazione.

Attraverso un‘analisi approfondita dei social media, le aziende acquirenti possono ottenere informazioni sul sentiment dei clienti, sulla gestione dei reclami, sulla notorietà del marchio e sulla fedeltà dei clienti.

Il ‘Personal Branding’ nei processi di M&A

Gli specialisti in M&A esaminano anche i profili pubblici di dipendenti ed ex dipendenti per ottenere informazioni valoriali e comportamentali.

Questo sottolinea l‘importanza per le PMI di mantenere una presenza online ben strutturata e professionale. Anche i profili individuali devono essere curati, migliorando il Personal Branding per accrescere l‘autorevolezza e il valore del proprio account.

Un recente articolo apparso su ‘Il Sole 24 Ore’ (https://bit.ly/4cdmUgq) ha evidenziato che parte del processo di selezione di figure manageriali passa attraverso l‘analisi dei profili LinkedIn dei candidati. Infatti, un recruiter su due modifica la propria opinione sul candidato dopo aver esaminato i suoi post e commenti.

Presenza social delle PMI

Le aziende più performanti affidano la gestione della propria presenza online a team di professionisti capaci di considerare tutte queste dinamiche nella formulazione e implementazione della strategia editoriale.

La pubblicazione di contenuti che riflettono l‘identità aziendale può aumentare il numero di follower interessati e migliorare il tasso di engagement, con un impatto positivo sul posizionamento e sulla brand equity.

Lo stesso vale per i professionisti che devono postare contenuti strategici e consapevoli dell‘impatto che possono avere su potenziali datori di lavoro o partner.

I social quindi, se ben gestiti, sono un tassello fondamentale che contribuisce alla definizione del valore economico dell’azienda da parte di un potenziale acquirente.


Articolo di Giuseppe Maffei, Fondatore Develed Sagl

Verde a metà…

quando la realtà è un’altra

Il greenwashing – neologismo inglese che generalmente viene tradotto come ecologismo di facciata o ambientalismo di facciata – è una pratica ingannevole adottata da alcune aziende, organizzazioni o individui che si presentano come ambientalmente responsabili o impegnati nella sostenibilità senza però attuare effettivamente cambiamenti significativi nelle loro operazioni o nei loro prodotti. Le tattiche di greenwashing possono includere l’uso di etichette fuorvianti, affermazioni vaghe o esagerate sui benefici ambientali, la messa in evidenza iniziative eco-friendly minori mentre si minimizzano pratiche più dannose per l’ambiente, e la distrazione dalle questioni ambientali attraverso campagne di marketing o PR. L’obiettivo del greenwashing è spesso quello di attirare i consumatori ambientalmente consapevoli e migliorare l’immagine pubblica di un’azienda senza compiere sforzi sostanziali verso una sostenibilità autentica.
Questa pratica può minare la fiducia nelle iniziative ambientali e rendere più difficile per i consumatori fare scelte informate sui prodotti e servizi che acquistano. Inoltre, le aziende che adottano questa pratica rischiano di compromettere la loro reputazione nel lungo termine.

Le tecniche di greenwashing possono variare e possono essere sottili o evidenti. Ecco alcune delle più comuni:

  • etichette ingannevoli: le etichette che suggeriscono che un prodotto sia “naturale” o “ecologico” senza fornire dettagli specifici sulle pratiche effettive possono essere fuorvianti.
  • affermazioni generiche: dichiarazioni vaghe come “rispettoso dell’ambiente” o “verde” senza fornire prove concrete o dettagli sulle pratiche sostenibili utilizzate.
  • spot pubblicitari suggestivi: campagne pubblicitarie che utilizzano immagini di natura o animali senza correlarle direttamente al prodotto o al servizio promosso.
  • sponsorizzazioni ambientali: finanziare eventi o organizzazioni ambientaliste per creare l’illusione di supporto alla sostenibilità, anche se l’azienda non sta effettivamente adottando pratiche eco-friendly.
  • imballaggi “verdi”: utilizzare imballaggi con colori o immagini evocative della natura senza necessariamente riflettere un impegno reale per la sostenibilità.
  • compensazione delle emissioni di carbonio: affermare di compensare le emissioni di carbonio senza ridurle effettivamente o senza trasparenza sulle pratiche utilizzate per compensare.
  • falsi marchi di certificazione: utilizzare marchi di certificazione che possono sembrare legittimi ma che non sono verificati da enti credibili o che non corrispondono effettivamente alle pratiche sostenibili.
  • ’highlighting’ di iniziative minori: mettere in evidenza piccole iniziative sostenibili, come l’utilizzo di materiali riciclati per una piccola parte di un prodotto, mentre si trascurano gli impatti ambientali più significativi.

Queste sono solo alcune delle tecniche – purtroppo – più conosciute ed utilizzate, che vengono classificate come “greenwashing”.
È importante però, per le aziende, adottare pratiche trasparenti e responsabili per evitare di incorrere in queste “insidie”, promuovendo invece un autentico impegno verso la sostenibilità.

In conclusione, alcuni spunti di riflessione:

  • Incoraggiare una comunicazione aperta e chiara delle pratiche aziendali fornendo informazioni dettagliate sulle iniziative sostenibili adottate dall’azienda e garantire la trasparenza sulle azioni ambientali, sociali ed economiche.
  • Ottenere certificazioni credibili, cercando riconoscimenti tangibili da enti terzi affidabili che confermino le pratiche sostenibili dell’azienda, dimostrando impegno e conformità agli standard ambientali. La vostra Cc-Ti, grazie alla piattaforma ti-csrreport.ch, può sostenervi in questo ambito.
  • Sostenere le affermazioni con dati concreti, evitando asserzioni troppo generiche o esagerate e fornire prove tangibili che supportino le dichiarazioni di sostenibilità dell’azienda.

Non sarà il riconoscimento “green” ad assicurare un rafforzamento della reputazione, bensì la vera messa in atto di processi e pratiche in accordo con il rispetto per l’ambiente e con la tutela degli aspetti in ambito sostenibile.

Il brevetto svizzero “rafforzato” dalla nuova Legge Brevetti

Abbiamo il piacere di segnalare che il Parlamento ha di recente approvato una revisione della Legge Federale sui Brevetti d’Invenzione che, in previsione, entrerà in vigore nella seconda metà del 2026

© Istituto Federale della Proprietà Intellettuale di Berna. Immagine: IPI

Vi illustriamo in sintesi le modifiche principali e il loro impatto per le domande di brevetto e brevetti future/i.

Prassi corrente di svolgimento del rilascio

Il rilascio di un brevetto d’invenzione secondo l’attuale Legge prevede il deposito di una domanda di brevetto presso l‘Istituto Federale della Proprietà Intellettuale (IPI), un esame di aspetti quali la chiarezza e la sufficienza di descrizione, e una verifica che la domanda non riguardi una delle esclusioni assolute previste. Tali esclusioni evitano che siano concessi brevetti sul corpo umano o sulle sequenze (parziali) di un gene in quanto tali, oppure su invenzioni la cui utilizzazione sarebbe offensiva o contraria all’ordine pubblico o al buon costume. A superamento di tutte le obiezioni sollevate dall’IPI, la domanda è concessa.
Non vengono, invece, esaminate novità e attività inventiva (originalità) di una domanda di brevetto, poiché l’esame di tali requisiti ricade al di fuori dello spettro di indagine dell’IPI.
Ciò evidenzia un limite dell’attuale rilascio: una domanda di brevetto è concessa se è conforme ai parametri esaminati dall’IPI, anche nei casi in cui l’ambito di tutela è, a mero titolo di esempio, privo di novità alla luce di documenti già pubblici prima della data di deposito o di priorità della domanda.

Un depositante può quindi optare per una domanda di brevetto europeo per ottenere un brevetto svizzero vagliato anche nei requisiti sostanziali – e quindi dotato di presunzione di validità più forte – grazie al fatto che i brevetti europei sono validi per la Svizzera.
Malgrado ciò, tale strategia di depositare una domanda di brevetto europeo per ottenere un brevetto europeo valido in Svizzera presenta maggiori costi e una procedura di rilascio in media più lunga rispetto a un brevetto svizzero ottenuto, con esame solo parziale, attraverso il percorso di rilascio nazionale.

Le principali modifiche introdotte

A seguito della revisione approvata della Legge Federale sui Brevetti d’Invenzione, l‘IPI eseguirà una ricerca sullo stato della tecnica dell‘invenzione per ogni domanda di brevetto, in modo da segnalare documenti anteriori (vale a dire resi pubblici prima della data di deposito o di priorità della domanda di brevetto) ritenuti rilevanti per un apprezzamento di novità e/o attività inventiva delle rivendicazioni depositate.
Tale ricerca sarà resa pubblica per consentire a chiunque di verificare la validità del brevetto.
La disponibilità della ricerca creerà maggiore trasparenza e certezza giuridica sia per i depositanti, sia per terze parti.
Entrando maggiormente nello specifico, i depositanti potranno stabilire se vorranno ottenere un brevetto svizzero parzialmente esaminato (come con l’attuale procedura, senza obblighi di apportare modifiche all’ambito di tutela) ma comunque accompagnato dalla ricerca eseguita dall’IPI, oppure se richiedere un esame completo della domanda. Nell’esame completo i depositanti potranno dialogare con un Esaminatore dell’IPI per concordare modifiche alle rivendicazioni e/o alla descrizione alla luce di eventuali criticità emerse dalla ricerca.
Da notare, ciononostante, che l’esame completo di una domanda di brevetto potrà anche essere avviato su istanza di parti terze (ad esempio, di concorrenti), ma solo dopo che il depositante avrà fatto la richiesta d’esame della propria domanda. Tale meccanismo eviterà che un depositante sia costretto ad affrontare l’esame completo di una propria domanda alla quale non è più interessato.
L’opposizione amministrativa all’IPI a valle della concessione del brevetto svizzero non sarà più disponibile dato che, in sostanza, non è mai stata utilizzata dalla sua introduzione. In sostituzione all’opposizione amministrativa si aprirà la facoltà di depositare, entro 4 mesi dalla data di concessione del brevetto, un appello al Tribunale Federale Brevetti per contestare una decisione dell’IPI.
Nell’ambito della procedura di appello un terzo dovrà essere legittimato, dovendo motivare un interesse legale ad agire, per invocare carenze di novità e/o di attività inventiva alla luce di uno stato della tecnica a lui noto e/o dei documenti emersi dalla ricerca dell’IPI. Tuttavia qualsiasi terzo (pur non legittimato) potrà invocare che l’invenzione non è brevettabile in virtù delle suddette esclusioni assolute.
Da notare che l’appello depositato dal terzo non avrà effetti sospensivi sulla concessione, principalmente in modo da evitare che la procedura possa essere abusata per impedire al titolare di azionare il brevetto contro un presunto contraffattore.
Un’ulteriore novità riguarderà il regime linguistico dell’IPI, aprendo la possibilità di utilizzare la lingua inglese nella procedura di concessione, e non più le sole lingue ufficiali svizzere. Le domande saranno quindi depositabili in lingua inglese senza dover far seguire traduzioni in italiano, francese o tedesco. Tale misura consentirà un risparmio di costi, e una riduzione di possibili errori di traduzione.

Conclusioni

Le revisioni mirano a rendere il brevetto svizzero attrattivo soprattutto per PMI e inventori individuali, e ad armonizzarlo rispetto agli standard internazionali.


Articolo di Enrico Eterno, European Patent, Attorney ed European Patent Litigator, M. Zardi & Co. SA

Farmaceutica in Vietnam: incentivi fiscali e costituzione societaria

Entro il 2030, il Vietnam diventerà un centro di produzione, lavorazione e di trasferimento di tecnologie per i farmaci a marchio nell’ASEAN. Il mercato farmaceutico è aperto al 100% alla proprietà straniera e in un suo recente articolo, Fidinam Vietnam illustra brevemente la procedura di costituzione societaria e gli incentivi che si applicano a nuovi progetti d’investimento.

A ottobre 2023, il Primo Ministro vietnamita ha emanato la Decisione n. 1165/QD-TTg, con cui ha approvato la strategia nazionale per lo sviluppo dell’industria farmaceutica vietnamita fino al 2030 e la visione fino al 2045. L’obiettivo è aumentare l’accesso ai farmaci a prezzi ragionevoli e migliorare la capacità di ricerca e l’applicazione delle tecnologie disponibili per la produzione di medicinali e, in sostanza, di diventare un centro di produzione, lavorazione e trasferimento tecnologico per il settore all’interno dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN).

La strategia prevede che il settore farmaceutico vietnamita produca sia il 20% delle materie prime necessarie alla fabbricazione nazionale di farmaci sia l’80% della domanda interna e raggiunga il 70% del valore di mercato.

In questo settore, dove il 100% del capitale di un’azienda può essere straniero, le imprese estere giocano un ruolo importante e il governo vietnamita offre pertanto incentivi fiscali al loro insediamento.

In un suo articolo del 13 giugno 2024, Fidinam Vietnam, filiale vietnamita dell’omonima società di consulenza ticinese, illustra brevemente le procedure di costituzione societaria, le licenze necessarie e le forme di incentivi disponibili. L’articolo può essere visionato qui (in inglese).

Incapacità lavorativa dovuta ad una situazione conflittuale sul posto di lavoro

Nessuna protezione dalla disdetta se l’incapacità lavorativa è dovuta ad una situazione conflittuale sul posto di lavoro

Scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti.

Il codice delle obbligazioni prevede che in determinate situazioni il datore di lavoro non possa licenziare i dipendenti.

Si tratta dei cosiddetti periodi di protezione previsti dall’art. 336c CO. Secondo tale norma una disdetta è nulla se notificata quando il lavoratore è impedito di lavorare, in tutto o in parte, a causa di malattia o infortunio non imputabili a sua colpa, per 30 giorni nel primo anno di servizio, per 90 giorni dal secondo anno di servizio sino al quinto compreso e per 180 giorni dal sesto anno di servizio.

Questa protezione è stata introdotta non tanto in considerazione dello stato di salute del lavoratore al momento della ricezione della disdetta, ma perché la possibilità di ottenere un nuovo impiego alla fine del periodo di preavviso è ridotta a causa dell’incertezza dovuta alla durata della malattia.

Questa regola non è applicabile quando la malattia è a tal punto insignificante che non pregiudica la capacità lavorativa e di conseguenza non è atta ad impedire l’inizio di una nuova attività professionale. È ad esempio il caso quando l’incapacità lavorativa è riferita e limitata al posto di lavoro.

In una recente sentenza il Tribunale federale ha confermato tale giurisprudenza, precisando che, se i disturbi depressivi e di ansietà di un lavoratore sono causati da una situazione conflittuale sul posto di lavoro, non vi è alcuna protezione dalla disdetta in quanto la persona, presso un’altra azienda, è completamente abile.

Si precisa che tale situazione di conflitto era stata esplicitamente riconosciuta sia dal lavoratore medesimo che dai rapporti del medico curante. In conclusione, a tali condizioni, la persona può essere validamente licenziata.

Sentenza 1C_595/2023

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Un tempo, le strade erano un “arricchimento del paesaggio”

In autunno, gli Svizzeri voteranno sul piano di ampliamento delle autostrade.
Ma le strade veloci non sono sempre state un ostacolo nel nostro paese.
In passato la loro costruzione è stata addirittura acclamata; anche dai politici di sinistra.

© Staatsarchiv Luzern

L’anno è il 1955. Winston Churchill si dimette da Primo Ministro britannico. La Repubblica Federale della Germania Ovest diventa uno Stato sovrano. L’Unione Sovietica e sette Paesi dell’Europa orientale firmano il Patto di Varsavia. In Svizzera viene inaugurata la prima autostrada, o almeno un tratto di questa. L’inaugurazione ha avuto luogo l’11 giugno a sud di Lucerna, grosso modo dove oggi sorge la birreria Eichhof.
Era lunga circa quattro chilometri e si snodava tra Lucerna ed Ennethorw. In un supplemento speciale del quotidiano cattolico conservatore Vaterland, il titolo dell’epoca recitava: “Questa opera pioneristica segna una pietra miliare nella costruzione delle strade svizzere”. Si leggeva poi che quel giorno veniva inaugurata “l’apertura della prima linea ferroviaria Zurigo-Baden”. Il nuovo tratto autostradale non ha né guardrail né bretelle di accesso e uscita e non ci sono nemmeno limiti di velocità! In compenso, è provvista di passaggi pedonali e mezzi trainati da cavalli o biciclette vi possono circolare liberamente, come scrive Alexander Rechsteiner nel suo blog per il Museo Storico Nazionale. In quel periodo, la Confederazione non era ancora responsabile della costruzione delle strade, ma sostenne il progetto da 8 milioni di franchi nella misura del 60 %.

La “Berner Marsch” viene suonata per Grauholz

In generale, la costruzione di autostrade in Svizzera è iniziata relativamente tardi. Nel 1950 circolavano solo 147’000 automobili. In seguito, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, questo numero è aumentato in modo significativo grazie alla crescente prosperità, moltiplicandosi per tre volte e mezzo nel giro di dieci anni.
Nel Paese si sente quindi un’atmosfera di rinnovamento. Le autostrade sono viste come un motore economico, un segno di progresso e di sviluppo tecnico. Un degrado della natura? Al contrario. Nel 1955, il “Vaterland” si compiaceva del “tracciato armonioso” della nuova superstrada, che aveva “veramente arricchito il paesaggio”. Oggi questo tratto di strada fa parte della rete europea tra Amsterdam e Roma, conosciuta come E35. Qualche anno dopo, si sente dire la stessa cosa. “L’autostrada si inserisce perfettamente nel magnifico paesaggio bernese”, disse allora l’ex consigliere federale Hans Peter Tschudi (†) nel 1962 a proposito della Grauholz bernese. La „Berner Marsch“ viene suonata e poco dopo viene aperta al traffico la Strada Nazionale 1, oggi la A1. Ecco come la NZZ descrisse l’evento. Il socialista H.P. Tschudi è convinto che “le opere dell’uomo non danneggino l’immagine della nostra patria”.

“Kölliken ringrazia per l’autostrada”

Naturalmente, anche all’epoca si levarono voci critiche. Nel complesso, tuttavia, prevaleva uno stato d’animo positivo quando si trattava di costruire strade. Sui ponti si possono ad esempio leggere frasi come “Kölliken ringrazia per l’autostrada”. Gli appartamenti che si affacciavano sulle autostrade poterono persino essere affittati a prezzi particolarmente vantaggiosi: è quanto sostiene di aver scoperto il comico Mike Müller, che nel 2015 ha sviluppato il tema dell‘A1 in un progetto teatrale.
Il governo federale diventa responsabile per la costruzione di autostrade solo dal 1960. Questo cambiamento è stato preceduto nel 1956 da un’iniziativa popolare presentata dall’ACS e dal TCS, il cui scopo era migliorare la rete stradale. L’iniziativa prevedeva tra l’altro che la metà di tutte le entrate derivanti dall’imposta sugli oli minerali e sui carburanti doveva essere utilizzata per costruire strade per la circolazione delle automobili. Nel 1958, una controproposta della Confederazione fu accettata con l’85% dei voti favorevoli.
Negli anni successivi vennero fatti grandi investimenti: si aggiungevano continuamente nuovi tratti e, giusto in tempo per l’esposizione nazionale Expo 64, la Svizzera francese ebbe la sua prima autostrada con il tratto tra Ginevra e Losanna. La maggior parte delle autostrade fu invece costruita tra il 1965 e il 1975. Nel 1980, oltre l’80% della rete autostradale era già a quattro corsie. Le opere fondamentali di questo periodo furono l’apertura del tunnel del San Bernardino alla fine del 1967 e, naturalmente, il tunnel stradale del Gottardo, completato il 5 settembre 1980 dopo dieci anni di lavori.

Limiti di velocità? Neanche per sogno

Con l‘aumento del traffico, aumenta anche il numero di vittime della strada. Nel 1970 si contarono 1’700 vittime della circolazione. La ragione principale fu la mancanza di barriere anticollisione centrali e di limiti di velocità. All’inizio degli anni ‘60, il Consiglio federale non era ancora favorevole all’introduzione di limiti di velocità sulle autostrade. L’attuale limite massimo di velocità di 120 km/h è in vigore solo dal 1985, mentre prima, su alcuni tratti, era possibile viaggiare anche a 130 km/h. Resta il fatto che il numero di vittime della strada è costantemente diminuito dopo il triste primato del 1970. Secondo l’Ufficio federale di statistica, il numero di vittime nel 2023 si attesta a 236. Oggi la rete stradale nazionale si sviluppa su 2’254 chilometri. Negli ultimi anni la stessa ha subito una serie di adeguamenti della capacità a causa di vari colli di bottiglia che hanno causato lunghi ingorghi: i principali sono la terza canna del tunnel di Baregg (2004), l’allargamento a sei corsie del tratto di A1 tra Härkingen e Wiggertal (2015) e l’apertura della terza canna del Gubrist (2023). La tangenziale ovest con il tunnel dell’Uetliberg (2009) è particolarmente importante per la regione di Zurigo.

La rete autostradale è sull’orlo del collasso

Per quanto importanti per il trasporto di merci e persone, le autostrade svizzere sono oggi giorno molto contestate, come dimostra il referendum contro il progetto del loro ampliamento. La situazione è che dal 2010 “il numero di ore passate fermi in colonna sulle strade nazionali è più che raddoppiato, e questo a causa degli ingorghi causati da sovraccarico delle infrastrutture”, come evidenziato dall’Ufficio federale di statistica sul suo sito web. In concreto, nel 2022, gli svizzeri hanno trascorso quasi 40’000 ore bloccati in ingorghi.
Rispetto al 2021, questo rappresenta un aumento del 23 %. Le ragioni sono chiare: negli ultimi anni la Svizzera è diventata ancora più attraente come luogo in cui vivere e lavorare, e la popolazione è quindi in crescita. Alla fine di giugno 2023, in Svizzera vivevano più di nove milioni di persone. Nel 1995 erano ancora solo sette milioni. La rete autostradale oggi non riesce a tenere il passo con questa crescita demografica. A titolo di confronto, dal 1990 è cresciuta solo del 25%, mentre nello stesso periodo il volume di traffico è aumentato del 130%.
Riuscite ad immaginare di poter viaggiare da Berna a Zurigo il lunedì sera senza trovarvi almeno una volta in una colonna di veicoli? È impossibile.
È così che la storia della rete stradale nazionale svizzera ha avuto un inizio entusiasmante, che per lungo tempo ha permesso alla Svizzera di crescere economicamente, ma che nel frattempo è diventato uno dei pomi della discordia per la politica che si esprime sul tema in modo assai emotivo. Una cosa deve essere chiara: la scelta che saremo chiamati fare non riguarda l’ampliamento della rete autostradale. Si tratta semplicemente di salvarla dal collasso.