Non ingabbiamo l’economia

Qualche tempo fa è stato presentato un atto parlamentare a livello federale che si prefigge di proteggere l’economia svizzera con controlli degli investimenti. Il Consiglio federale, lo scorso 25 agosto 2021, ha definito i parametri che potrebbero essere utili per un controllo degli investimenti esteri, confermando però la sua già nota riluttanza a introdurre regole particolari. Entro fine marzo 2022 verrà posto in consultazione un progetto. Ma perché il Consiglio federale è contrario a una regolamentazione troppo restrittiva degli investimenti esteri?

Il motivo è presto detto. Una politica aperta nei confronti degli investimenti esteri è essenziale per la nostra economia e, di riflesso, per tutta la popolazione elvetica. Ciò permette infatti l’afflusso di capitali e competenze che permettono alle aziende di rimanere competitive, creare valore e mantenere i posti di lavoro. Occorre quindi grande prudenza prima di introdurre limiti troppo restrittivi, in un quadro legislativo già abbastanza severo. L’obiettivo dei controlli deve rimanere limitato a rischi e minacce per l’ordine pubblico o la sicurezza derivanti dall’acquisizione di imprese svizzere da parte di investitori esteri e particolare attenzione va a rilevamenti di aziende da parte di enti statali o parastatali esteri, che potrebbero anche portare a distorsioni della concorrenza.
Il Consiglio federale probabilmente si muoverà nel senso di prevedere una notifica e un’autorizzazione per le acquisizioni di imprese svizzere da parte di enti statali o parastatali esteri, limitando
invece questa procedura solo ad alcuni settori in caso di acquirenti privati. La SECO sarà l’autorità designata a gestire queste procedure.

Qualche anno fa avevamo già evidenziato uno studio di Avenir-Suisse (https://bit.ly/2YJjfps), che rilevava come le imprese elvetiche non dovessero essere ulteriormente protette da acquisizioni da parte di ditte estere. Anche un chiaro approfondimento di economiesuisse fornisce elementi molto utili per capire la tematica in tutte le sue sfaccettature (https://bit.ly/3DDgOE6). È chiaro che la discussione politica verta soprattutto sulla fame di acquisizione cinese, che preoccupa non poco.
A volte anche a ragione. Un “player” dai mezzi quasi illimitati può effettivamente distorcere la concorrenza oppure accaparrarsi di aziende che sono strategiche per il Paese perché fornitrici di servizi molto particolari e non sostituibili. Pensiamo alla delicatezza della questione della sicurezza informatica e di chi fornisce servizi di questo tipo.

Non va però dimenticato che vi sono già parecchi strumenti legali utilizzabili, come il diritto di espropriazione dello Stato per ragioni di sicurezza nazionale, oppure leggi puntuali nel settore immobiliare, borsistico e della concorrenza, con il controllo delle fusioni nel contesto della legge federale sui cartelli. La Svizzera in taluni ambiti è già più restrittiva di altri Paesi europei come la Germania, la Svezia e la Gran Bretagna (malgrado la Brexit).
Inoltre, va rilevato che la stragrande maggioranza degli investimenti in Svizzera ha origine nel mondo occidentale, ossia Stati Uniti, Canada e Unione Europea, tanto che circa l’80% dei capitali esteri in Svizzera ha questa provenienza. Senza dimenticare che gli investimenti diretti esteri garantiscono quasi mezzo milione di posti di lavoro in Svizzera.

Nello stesso contesto non va dimenticato il movimento inverso degli investimenti, cioè dalla Svizzera verso l’estero, perché la Svizzera esporta non soltanto beni industriali e servizi, ma anche importanti quantità di capitali, soprattutto sotto forma di investimenti diretti. Si tratta di decine di miliardi investiti da grandi aziende ma anche da molte PMI, che complessivamente occupano quasi 2 milioni di persone all’estero, con importanti ricadute in termini di crescita delle nostre aziende site in territorio elvetico e quindi di grande beneficio per la Svizzera.

Il mondo cambia ed è giusto riflettere sull’adattamento degli strumenti legali oggi esistenti. Nello specifico sarebbe però un errore fatale adottare un regime troppo rigido che ostacolerebbe i flussi di investimenti verso la Svizzera, perché questo, nel gioco della reciprocità, frenerebbe di riflesso anche la possibilità di investimenti elvetici all’estero. Inoltre, vi è un elemento a cui occorre sempre prestare attenzione, cioè che è ormai difficile trovare aziende puramente svizzere al 100%, malgrado l’immagine, la qualità e l’affidabilità siano ancora molto di stampo nazionale.
Alcuni marchi storici come Ricola, Läderach e Victorinox rimangono saldamente in mano svizzera. Pochi sanno però che la mitica Ovomaltina è in mani britanniche, l’altrettanto mitico Toblerone appartiene a un’azienda americana, mentre la Feldschlösschen è danese e la Valser è di proprietà della Coca-Cola. Senza dimenticare un pezzo di cultura svizzera come l’Aromat che è di proprietà olandese. Eppure, il carattere elvetico non è sparito, perché chi investe in questi prodotti investe in un pacchetto, fatto di qualità riconosciuta in tutto il mondo, di un modo di lavorare preciso e affidabile, per cui non vi è alcun interesse a stravolgere queste caratteristiche.

Quindi nuove regole vanno studiate, ma sempre con il tipico pragmatismo elvetico, anche perché la complessità delle strutture economiche e finanziarie oggi rende sempre più difficile stabilire a tavolino in maniera esatta certe situazioni di proprietà delle aziende e quindi l’esatta nazione di origine di determinati investimenti. Occorrerà come sempre equilibrio per trovare una via efficace
che tuteli gli interessi superiori senza ingabbiare inutilmente un’economia che deve giocoforza essere aperta per sopravvivere.

La contabilità digitale è un’opportunità da cogliere per le PMI

La contabilità, insieme alla gestione finanziaria di un’azienda, rappresenta uno dei punti chiave nella progettazione strategica e monetaria delle diverse attività a livello economico. Se ad essa allineiamo il progresso tecnologico, emergono nuove e interessanti opportunità. Quali?

Abbiamo risposto a questa domanda nel webinar del 5 ottobre scorso, organizzato dalla Cc-Ti, a cui è intervenuto John Muschietti, Direttore Fidigit SA, introdotto da Lisa Pantini, Responsabile Relazioni con i soci Cc-Ti.

Dal 1400…

La nascita della contabilità si fa risalire a Frà Luca Bartolomeo de Pacioli, frate e matematico italiano che nel quindicesimo secolo, pubblicò per primo un lavoro sulla partita doppia, pilastro fondamentale del sistema contabile contemporaneo.
L’evoluzione del sistema contabile nel tempo è illustrata nel grafico sottostante, che evidenzia le principali operazioni (imputazione, calcolazione e visualizzazione) e i relativi cambiamenti.

… fino ad oggi

Parlando di contabilità digitale si fa inevitabilmente riferimento alla moltitudine di interconnessioni esistenti fra le diverse sezioni di un’azienda. Esistono procedure e strumenti che possono andare a sostenere i processi rendendoli più snelli.

Possiamo citare, ad esempio: lo sviluppo dei pagamenti e l’avvento della fattura QR, che entro un anno sostituirà la polizza di versamento PVR, in attesa dell’adozione definitiva dell’e-bill.
In merito all’archiviazione delle fatture è oggigiorno possibile ricorrere ad archivi digitali a norma di legge che permettono di risparmiare spazio e costi.
L’“Employee self-service”, il cosiddetto portale dei dipendenti, consente di eseguire una pluralità di operazioni, tra cui il rilevamento ore, la manutenzione anagrafica e la visualizzazione dei differenti dossier.
Grazie al supporto dell’intelligenza artificiale, la registrazione delle spese può avvenire in tempo reale, da remoto e in modo totalmente automatico tramite smartphone. Le stesse condizioni valgono anche anche per l’electronic banking, che facilita lo svolgimento delle procedure dal proprio gestionale.
Servendosi di strumenti di Business Intelligence, i dati disponibili sui dispositivi possono essere visualizzati velocemente e in panoramica, per meglio comprendere le proprie attività e conseguentemente adottare strategie mirate.
Lo standard xBRL – non ancora utilizzato in Svizzera a differenza che in altri Paesi come, per esempio, la Germania – ha la funzione di automatizzare l’interazione fra la reportistica aziendale e le sue controparti.

Le possibilità per digitalizzare i processi interni alle aziende sono numerose e diversificate, occorre quindi iniziare a valutarle per tempo, dato il repentino progresso tecnologico. Un partner affidabile e su cui contare per una consulenza mirata è la buona strada da cui iniziare.


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Dal Ticino all’Intelligenza Artificiale: ecco Visium

Abbiamo intervistato Matteo Togninalli, Chief Operating Officer di Visium SA

La parola a Matteo Togninalli, figlio del nostro territorio e, ormai, imprenditore di successo nel mondo. Come è nato questo percorso? Un sogno partito alla grande già dal Ticino? Una passione da sempre?

Da sempre, mi sono appassionato per le scienze e la tecnologia. Al momento del liceo, ho cominciato ad interessarmi all’imprenditoria: era infatti uno dei migliori modi per facilmente diffondere nuovi progressi tecnici. Questa realizzazione fu anche il motivo che mi ha spinto verso il politecnico. La passione per le startup è poi sbocciata ai primi contatti con il mondo universitario, dopo aver partecipato a vari eventi sul campus. Fondare e far crescere una ditta è quindi diventata un’evidenza e sapevo che sarebbe stato il mio percorso dopo gli studi.

“Rendere l’Intelligenza Artificiale accessibile a tutti”, visione e/o missione della sua azienda?

Matteo Togninalli

Esattamente, Visium sviluppa programmi di intelligenza artificiale su misura per le imprese. Dal mio primo contatto con questa tecnologia, mi sono reso conto del suo enorme potenziale per gran parte delle attività economiche. Il problema è che, fino al 2016, rimaneva principalmente nelle mani delle grandi industrie internet (GAFAM) o dei laboratori universitari. Quando, durante una cena a Zurigo, Alen mi ha parlato della sua idea di renderla accessibile al resto delle imprese attraverso servizi e prodotti, mi sono immediatamente entusiasmato. Abbiamo quindi cominciato a lavorare su Visium, con l’obiettivo di creare un nuovo attore svizzero ed europeo che possa rispondere a questo bisogno sempre più marcato.

Quali i percorsi di ricerca e i successi che l’hanno resa più soddisfatto e creato sempre nuovi entusiasmi?

Il percorso di studi è stato senz’altro un momento meraviglioso. L’EPFL mi ha offerto la possibilità di soggiornare a due riprese negli Stati Uniti, dove, oltre che a legare amicizie per la vita, ho potuto osservare e prendere ispirazione dalla mentalità “can-do” americana, specie nel mondo imprenditore. Svolgere la mia tesi di master a Stanford, nel cuore della Silicon Valley, è stata la più grande opportunità che ho avuto e mi ha fortemente marcato, in particolare per le mie avventure imprenditori. In seguito, durante il dottorato, l’ETHZ mi ha permesso di viaggiare a grandi conferenze di machine learning attraverso il mondo, dove ho potuto scambiare idee con brillanti ricercatori e prendere ispirazioni per nuovi approcci tecnici. Ultimamente, poter capire le specificità di diverse industrie grazie ai progetti con i nostri clienti è affascinante. Sono quindi le discussioni e gli scambi con altre persone che mi ispirano e continuano a farlo: c’è così tanto da imparare!

Sinergie con grandi aziende e sinergie con piccole aziende. Come progettare a misura, tenendo conto del costo dell’investimento e traducendolo in successo. Quali parametri di analisi dovrebbe affrontare un’azienda per verificare la propria posizione sul mercato? A chi si rivolge Visium?

Investire in progetti di intelligenza artificiale porta sempre dei ritorni. Noi li classifichiamo in ritorno misurabile (il valore aggiunto economico), ritorno strategico (benefici legati agli obiettivi strategici e competitivi della ditta) e il ritorno in capacità (legato alla maturità tecnologica e IA dell’impresa). Anche se a volte i ritorni economici di un progetto di IA non appaiono da subito, gli altri benefici sono sempre sinonimi di progresso immediato per la ditta. Da Visium, abbiamo cominciato a lavorare con piccole e medie imprese e ora accompagniamo principalmente grandi multinazionali per imperativi di crescita. Il nostro obiettivo essendo di democratizzare l’accesso all’IA, stiamo reinvestendo i benefici per sviluppare una serie di prodotti generali e finanziariamente accessibili a tutte le imprese. Per esempio, stiamo per lanciare SalesHunter, un programma che permette ai rappresentanti di vendita di sapere quali prodotti raccomandare ai loro clienti per aumentare le loro vendite.

Dal Ticino, all’America, a Zurigo per formare un team vincente. Quali consigli e caratteristiche per i nuovi imprenditori del futuro? I know-how per questo settore? Come scegliere i compagni di viaggio (soci, collaboratori, …)?

Lanciare una ditta nel mondo informatico non è mai stato così semplice e poco costoso: le risorse abbondano e ci sono migliaia di buone idee. Quello che ci vuole, è il coraggio di lanciarsi. E spesso, è molto più facile trovare questo coraggio quando non si è soli. Sono infatti immensamente grato ad Alen e Timon, con cui continuiamo a motivarci dopo quasi 4 anni, perché sarebbe impossibile altrimenti. Quello che conta per un buon cofondatore, è trovare persone che hanno la stessa etica del lavoro e la convinzione di potercela fare, possibilmente con talenti complementari. Per i collaboratori invece, è molto importante ingaggiare persone che credano nella visione ditta e che non si scoraggeranno alle prime difficoltà. Da noi, questa qualità prevale sulle altre al momento di scegliere i candidati.

Visium è ubicata presso l’Innovation Park a Losanna e presso il Technopark a Zurigo; e mira a raggiungere i 100 collaboratori entro il 2022. Quale panorama si immagina ancora per la vostra azienda?

Vogliamo rendere Visium un vero attore internazionale nel mondo dell’IA. Sarebbe l’occasione perfetta di rimettere la Svizzera e l’Europa sulla mappa mondiale dell’IA e delle tecnologie dell’informazione, attualmente dominata dagli Stati Uniti e dalla Cina. Per fare questo, spingiamo lo sviluppo dei nostri prodotti, più facilmente esportabili, e stiamo iniziando altre collaborazioni a livello europeo.

Fuori e dentro casa: una giornata “smart”

Il neologismo Internet delle cose (IoT, acronimo dell’inglese “Internet of things”) fa riferimento all’estensione di Internet al mondo degli oggetti e dei luoghi concreti. Concetto che, fino a poco tempo fa, poteva apparire la trama avvincente di un film futuristico, oggi è invece una realtà concreta in continua evoluzione.
Cosa significa – nello specifico – vivere una giornata smart?

Possiamo incrementare le prestazioni e usufruire delle possibilità offerte dai diversi strumenti che abbiamo in uso, ottimizzando i consumi e permettendo l’integrazione di diverse funzioni interessanti che rendono la nostra vita, più “vita”.
Stare a casa, spostarsi, essere in azienda, sulla strada, in città o in un altro Paese… abbiamo oggi la possibilità di gestire al meglio i nostri progetti e i nostri itinerari.

Abbiamo riflettuto su questo tema e sulle sue numerose sfaccettature durante il webinar del 29 settembre scorso, organizzato dalla Cc-Ti in collaborazione con Swisscom, a cui sono intervenuti Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti; Carmen Lüthi, Formatrice Swisscom Academy; Massimo Redigolo, Head of sales autoSense e Marco Doninelli, Direttore UPSA Ticino.

Nella quotidianità…

Con l’espressione “casa smart” si fa riferimento ad un’abitazione interconnessa, il cui scopo è rendere più facile, piacevole e sicura la vita di chi vi abita.

Grazie ad una singola applicazione per smartphone e alla rete di dispositivi connessi al router tramite WiFi capaci di raccogliere, analizzare e condividere determinate informazioni è per esempio possibile accendere/spegnere luci e apparecchi elettronici, attivare e controllare impianti di sicurezza, monitorare e interagire con il proprio animale domestico, il tutto automaticamente o a distanza in qualsiasi momento con un semplice click.

…per gli spostamenti in auto

La tecnologia (come quella di Swisscom) non si limita però esclusivamente al pacchetto “smart home”, ma con la collaborazione di autoSense (ad esempio) si passa al mondo delle quattro ruote.

autoSense, infatti, fornisce i dati necessari per la creazione di una serie di servizi e vantaggi a favore degli automobilisti. Tra questi, per esempio, la possibilità di usufruire all’interno della vettura della stessa funzione WiFi di cui disponiamo a casa (senza più dover ricorrere all’attivazione dell’Hotspots), la facoltà di gestire in autonomia un diario di bordo digitale o quella di restare in contatto 7/24 con il proprio garage di fiducia che è a conoscenza di tutte le informazioni utili riguardo al veicolo anche in caso di soccorso.
In associazione con l’app Easypark, disponibile in tutta Europa e in 600 città svizzere, è inoltre possibile pagare il parcheggio con il cellulare soltanto per il tempo di sosta realmente sfruttato.

Focus sul settore automobilistico

Rispetto a qualche anno fa la scelta dell’automobile in merito all’aspetto della produzione si è notevolmente ampliata: non più solo benzina o diesel ma anche gas, ibride mild, full o plug-in ed elettriche a batteria o idrogeno. I fattori determinati da considerare al momento dell’acquisto sono molteplici come, per esempio, il numero di km percorsi giornalmente, la possibilità di cui si dispone per fare rifornimento e l’importo che si è pronti a spendere.

Oggigiorno l’elettronica non è più solo al servizio della meccanica nel processo di costruzione dei veicoli ma anche nell’ideazione e progettazione dei software.
E se è vero che al momento la vendita online di vetture rimane poco diffusa a causa della complessità del processo di configurazione, essa verrà agevolata in misura sempre maggiore dalla tendenza a costruire autoveicoli forniti di tutto (sensori, sistemi elettronici, ecc.) con la possibilità per l’acquirente di comprare e attivare comodamente dal proprio domicilio tramite un portatile i servizi che desidera.

La vettura interconnessa

Molteplici sono le applicazioni che attualmente abbiamo a disposizione per gestire da remoto l’automobile. Esse ci consentono di localizzare in qualsiasi momento la vettura, di controllarne lo stato (olio, freni, pneumatici, livello batteria, ecc.) ed eventuali malfunzionamenti (con la relativa organizzazione di servizi di manutenzione) così come di inviare a distanza dei comandi. Si stanno inoltre sviluppando delle app che permetteranno di fare diagnosi a lungo raggio (sulla base, per esempio, dei rumori prodotti dal veicolo) o valutazioni immediate di danni in caso di incidente. Si prevede poi che entro i prossimi due anni lo smartphone rimpiazzerà la chiave di accensione e che in un futuro prossimo l’automobile elettrica fungerà da accumulatore di energia per l’economia domestica. Riguardo al raggiungimento del livello sei della guida autonoma si stima invece – anche in virtù di ragioni giuridiche oltre che tecniche – un’attesa di ancora una ventina d’anni.

Informazioni utili da condividere nelle riflessioni strategiche anche per una PMI o un’azienda che deve gestire il proprio parco veicoli.

Una questione di energia

La necessità dell’approvvigionamento energetico è oggi un argomento da tenere in considerazione.
L’energia serve ad alimentare gli strumenti che utilizziamo nella nostra quotidianità (a livello professionale e personale), resi sempre più performanti ed efficaci, grazie al progresso tecnologico.
Occorre dunque che le discussioni sulle tematiche dell’energia siano condotte con riflessioni che inglobino le diverse forme di produzioni energetiche possibili, senza dimenticare il contesto.


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Le criptovalute al servizio dell’imprenditore

Non ci sono più dubbi che le criptovalute, le valute digitali emesse tramite la tecnologia blockchain, sono un fenomeno destinato a rimanere nel tempo.

In sempre più Paesi i legislatori hanno sancito le regole per l’emissione e la custodia di criptovalute; imprese del calibro di Tesla, Square e Space X hanno pubblicamente annunciato di detenere bitcoin nelle loro tesorerie e praticamente tutti gli Stati si stanno preparando all’emissione delle Central Banks Digital Currencies, ovvero le criptovalute emesse dalle banche centrali. In questo contesto sempre più imprenditori stanno scoprendo l’uso delle criptovalute per la propria attività. In questo contributo vogliamo spiegare come, anche grazie a degli esempi concreti.

Pagamento in criptovalute

Il numero di società che accettano pagamento in criptovalute continua a crescere, anche in Svizzera. Non vi è soltanto il Cantone Ticino, che ad aprile ha deciso di lanciare un progetto pilota per l’accettazione di pagamenti in bitcoin, ma anche imprese storiche, come il Grand Hotel Dolder di Zurigo, i colossi dell’e-commerce quali Digitec e Galaxus, casse malati come Atupri, rivenditori di automobili del calibro di Kessel fino ad arrivare a bar, ristoranti, macellerie, fioristi e persino studi legali. Il motivo di questa decisione è semplice: il pagamento in criptovalute è immediato e con (potenziali) costi minori rispetto a quelli generati da sistemi quali PayPal o le carte di credito, con la rosea prospettiva di abbassare ulteriormente questi costi grazie ai prossimi accorgimenti tecnici, che permetteranno anche di ridurre il consumo energetico di queste valute. Inoltre, vi sono sempre più persone che hanno una parte importante del loro patrimonio in criptovaluta e preferiscono “spendere” direttamente queste valute invece di doverle prima cambiare in denaro con corso legale. Offrire il pagamento in critpovalute permette dunque di attrarre un nuovo tipo di clientela.

Gamification del rapporto con il cliente

La gamification è quel processo che utilizza meccanismi tipici del gioco per rendere gli utenti o i potenziali clienti partecipi delle attività dell’impresa e interessarli ai servizi offerti. Tramite un token (così è chiamata una criptovaluta emessa da un terzo) un’impresa può creare un processo di gamification con il suo potenziale cliente per invogliarlo a utilizzare i propri servizi. Ad esempio, Yuh, la piattaforma finanziaria creata in joint venture da Swissquote e Postfinance, usa un token chiamato Swissqoin per remunerare le azioni svolte da propri utenti (un pagamento, un investimento, l’introduzione di nuovi clienti). Più il cliente è attivo, maggiore è il numero di token che riceve. I token sono comunque limitati in numero e dunque gli utenti più attivi avranno un vantaggio maggiore rispetto agli altri. Per dare un valore al token la società investe parte dei suoi ricavi nello Swissqoin, generando così un guadagno per i suoi utenti. Un altro esempio dell’uso dei token è quello della Città di Lugano con il LVGA token. Invece di concedere uno sconto ai titolari della Lugano Card, come fatto in passato, la città paga l’importo dello sconto in LVGA token, di fatto un token coperto in rapporto 1:1 con il franco. L’interesse della città di Lugano per questa pratica? In questo modo i vantaggi concessi ai detentori della Lugano Card possono essere spesi solo all’interno del circuito e non, ad esempio, all’estero. Questi sono solo due esempi, ma se ne possono immaginare a centinaia.

Corporate governance e finanziamento dell’impresa

La maggiore innovazione portata dalle criptovalute è probabilmente la possibilità di tokenizzare le azioni della propria società (dunque invece di avere le azioni in formato cartaceo possederle in formato digitale). La grande innovazione è la possibilità di automatizzare tutto il processo di governance dell’impresa (votazioni in assemblea, aumenti di capitale sociale, ecc..). Già oggi esistono diverse piattaforme che permettono alle società di digitalizzare la propria governace, permettendo non soltanto un risparmio di tempo, ma anche una maggiore certezza e garanzia delle decisioni prese, che sono registrate sulla blockchain, conferendo agli azionisti e agli organi un portale che permette di avere una visione generale sulle attività svolte dalla società fornendo un’importante trasparenza sulla governance societaria. Le azioni tokenizzate permettono poi alla società di raccogliere capitali tramite i mercati decentralizzati, delle vere e proprie borse gestite non da persone ma da algoritmi, che ne garantiscono il corretto funzionamento. La differenza tra questo tipo di quotazione e quella tradizione risiede nell’enorme risparmio di tempo e denaro che la quotazione in un mercato decentralizzato richiede. Se solo società ben strutturate e disposte a spendere centinaia di migliaia di franchi possono permettersi di entrare nella borsa ordinaria, la quotazione alle borse decentralizzate è alla portata di tutti e necessità solo della pubblicazione di un adeguato prospetto. Non vi sono spese da pagare, poiché si usa un algoritmo e non una borsa regolata, e non è necessario l’intervento di una banca d’affari, concedendo così a tutti la possibilità di quotare le proprie azioni e finanziare la propria impresa. È la democratizzazione della finanza, che è uno degli scopi del movimento legato alle criptovalute. Si tratta chiaramente di un mercato ancora giovane, con i rischi tipici di questa tecnologia, ma che con una liquidità di 140 miliardi di dollari non ha nulla da invidiare ai mercati tradizionali.

Automatizzazione dei processi

Le criptovalute sono considerate le valute di Internet perché sono completamente digitali e permettono, con estrema facilità e senza necessità di una conoscenza tecnica particolare, di automatizzare i processi aziendali. Questo aspetto delle criptovalute è ancora forse poco visibile, ma molto promettente. I primi esperimenti sono stati fatti con il pagamento da parte senza la necessità di un intervento umano. Ad esempio, se un aereo atterra in ritardo, l’informazione è trasmessa in automatico ad uno smart contract (una regola codificata nella blockcain) che gestisce i pagamenti dovuti a lle persone coinvolte. Un altro esempio è quello del frigorifero intelligente in grado di rilevare che il latte è finito e che ora potrà anche comprarlo autonomamente effettuando il pagamento tramite criptovalute e farlo consegnare a casa. I processi di automatizzazione con le criptovalute sono enormi, quando (non se!) tutti i pagamenti avverranno tramite la tecnologia della blockchain ricordiamo che gli Stati stanno emettendo le loro criptovalute e che pertanto questo fatto sarà reale) si potranno sviluppare algoritmi che in automatico e praticamente in tempo reale eseguiranno la contabilità, la revisione, le dichiarazioni fiscali e tanti altri oneri dell’impresa. Insomma, la blockchain e le criptovalute potranno veramente semplificare di molto la burocrazia che oggi attanaglia gli imprenditori.

L’economia del domani sarà sempre più digitale e le criptovalute avranno un grande ruolo da giocare. Per questo è importante che ogni impresa capisca da subito il loro funzionamento e colga al più presto la potenzialità di questa nuova tecnologia.


Articolo a cura di Lars Schlichting, Avvocato, LL.M., Partner Kellerhals Carrard Lugano SA

Tassare i robot?

I robot esistono da una quarantina d’anni, ma solo con l’inizio di questo secolo sono diventati una presenza sempre più diffusa nell’industria e nei servizi. Una realtà che, come succede con tutte le n nuove tecnologie, attrae e spaventa, sollevando timori, in particolare, per i suoi effetti sull’occupazione.

Paure amplificate a dismisura da un’insidiosa tecnofobia che lascia del tutto in ombra i vantaggi dell’automazione sia per le aziende che per i dipendenti, aprendo la strada a proposte che penalizzerebbero l’innovazione, invece d’incoraggiarla. Una visione allarmistica nella quale il ricorso intensivo alla robotica sostituirà progressivamente i lavoratori, creando un esercito di nuovi disoccupati. Di conseguenza diminuiranno anche le entrate fiscali per lo Stato. Dunque, non potendo più tassare questi lavoratori si dovrebbero tassare i robot, per assicurare un adeguato gettito fiscale in grado di finanziare i sistemi previdenziali e i piani d’intervento per aiutare e reinserire nel mondo del lavoro chi ha perso l’impiego.

Una soluzione sostenuta per primo da Bill Gates, il fondatore di Microsoft, rilanciata a Bruxelles dalla deputata socialista Mady Delvaux, ma bocciata dall’Europarlamento, riproposta in Francia dall’ex Ministro del PS Benoît Hamon e dettagliatamente argomentata in Svizzera nel saggio “Taxer les robots – Aider l’économie à s’adapter à l’usage de l’intelligence artificielle” di Xavier Oberson, Avvocato, Professore e fiscalista ginevrino (ospite alla prossima 104esima Assemblea Generale Ordinaria della Cc-Ti del 15 ottobre 2021).

Xavier Oberson suggerisce di tassare uno stipendio “teorico” per l’utilizzo di un robot che corrisponda al salario che l’azienda avrebbe pagato ad un dipendente. Un po’ sul modello del valore locativo che tassa un canone d’affitto teorico. Così, dal profilo delle entrate fiscali, non ci sarebbe differenza alcuna tra l’ assumere un lavoratore o impiegare un robot. Quello che a prima vista sembrerebbe “l’uovo di Colombo” della nuova fiscalità ai tempi della trasformazione digitale, è una soluzione controproducente.

Innanzitutto, bisogna sgomberare il campo dalla falsa credenza secondo cui i robot si “mangiano i posti di lavoro”. È vero piuttosto il contrario. Numerosi studi hanno ampliamente documentato che i Paesi dove più diffusi sono i robot, ad esempio Giappone, Corea e Germania, sono quelli che hanno un tasso di disoccupazione tendenzialmente più basso. Ciò che si registra invece come una costante in questi Paesi è un aumento della qualificazione necessaria per l’impiego. L’utilizzo massiccio della robotica ha, difatti, creato nuove mansioni e nuove figure professionali, anche nel nostro Paese che conta una media di 146 robot industriali ogni 10mila dipendenti, per un totale che l’anno scorso ha toccato le 422mila unità installate.

Queste macchine tecnologicamente avanzate, impiegate nelle imprese per ottimizzare e velocizzare i processi produttivi, contribuiscono, in definitiva, alla creazione di valore che viene già tassato in quanto reddito da capitale. E all’imposte dirette si aggiunge l’IVA, che viene prelevata sull’insieme del valore creato, compreso quello generato dalla robotica. Un’imposta supplementare significherebbe tassare direttamente la tecnologia, ostacolando e scoraggiando di fatto quell’innovazione che salvaguarda la competitività delle aziende. È come se in passato si fossero tassati i telai meccanici, le seghe elettriche, le ruspe o i trattori perché eliminavano posti di lavoro, senza considerare i benefici produttivi, sociali e occupazionali che ne sono poi derivati. Qualcuno ha giustamente ricordato che se negli anni ‘80 si fossero tassati i pc e i loro software, che hanno cancellato in tutto il mondo decine di milioni di impieghi, si sarebbe sicuramente frenato lo sviluppo dell’informatica e, probabilmente, anche la Microsoft di Bill Gates non sarebbe quella che è oggi.

Un equivoco sul digitale

L’idea di un’imposta specifica su queste macchine intelligenti s’inscrive nella storia di una frenesia impositiva che ha già visto proporre tasse sulle e-mail, su Internet o sulle microtransazioni finanziare, in poche parole sull’uso del digitale nella produzione di merci e servizi. Ma oggi con sistemi economici sempre più informatizzati, interconnessi e interdipendenti è arduo persino distinguere o tracciare dei confini netti tra l’economia digitale e quella tradizionale. Anzi, autorevoli studiosi sostengono che siamo già entrati nell’era post-digitale. Un’epoca in cui il “digitale” non è più solo un vantaggio competitivo, ma il requisito minimo per poter restare sul mercato, dove le fortune di un’azienda dipenderanno dalla capacità di utilizzare una molteplicità di tecnologie diversificate.

La robotica è un elemento centrale di questo “requisito minimo, ed è un settore in forte espansione. L’International Federation of Robotics ha calcolato un tasso di crescita esponenziale dei robot negli ultimi sei anni, con punte del più 30% di vendite nel 2017 a livello mondiale, rispetto all’anno precedente, per poi stabilizzarsi su un incremento annuo del 6% che dovrebbe mantenersi sino al 2030. Tentare di rallentare questo trend, usando il freno fiscale, significherebbe inceppare quel progresso tecnologico che permette di creare nuova ricchezza di cui beneficia tutta la società.
È ormai assodato che robotica e automazione accrescono la produttività delle imprese e la loro competitività internazionale. È solo grazie a questa maggiore creazione di valore che si possono ben retribuire i dipendenti, offrire nuovi posti di lavoro e contribuire alla prosperità generale. Solo garantendo, e non mortificando con nuove imposte, l’efficienza economica e la competitività delle aziende, non diminuiranno la produzione di ricchezza né le entrate fiscali per lo Stato.

Vantaggi, più che svantaggi

L’utilizzazione della robotica presenta numerosi vantaggi di cui beneficiano non solo le aziende ma anche i lavoratori. Innanzitutto, l’accresciuta competitività di un’economia rappresenta un notevole a tout soprattutto per quei Paesi, come la Svizzera, dove i costi del lavoro e degli altri oneri aziendali sono molto elevati, offrendo una risorsa risolutiva agli imprenditori per non essere costretti a delocalizzare all’estero, là dove i costi sono di gran lunga inferiori, produzione, know-how e impieghi. In secondo luogo, la presenza dei robot migliora la sicurezza e l’ergonomia sui posti di lavoro, aiutando o sostituendo del tutto i dipendenti nelle operazioni più faticose, ripetitive o pericolose. Sgravare la manodopera da questi compiti, significa liberare intelligenza produttiva, riorientando competenze ed esperienza professionale verso più avanzate e gratificanti funzioni. Non per nulla oggi si parla di “intelligenza collaborativa” tra uomo e macchine, non solo per aumentare le performances aziendali, ma come fine di un progresso tecnologico che non si sviluppa per sostituirsi all’uomo, quanto piuttosto per potenziare le sue capacità.

Un’evoluzione che con l’affermarsi del digitale e dell’intelligenza artificiale, vede nel propagarsi della “cobotica” (la robotica collaborativa) il suo sbocco naturale. Secondo un recente report di Morgan Stanley, la robotica collaborativa, che attualmente copre appena il 5% all’anno delle installazioni a livello globale, nel giro di un decennio arriverà al 17%, grazie al progressivo perfezionamento e alla riduzione dei prezzi una volta superato lo stadio di sviluppo iniziale. I cobot di nuova generazione poco ingombranti, progettati proprio per affiancare l’uomo nel lavoro, facili da installare e dal costo contenuto, sono ora accessibili anche alle piccole imprese.

Per l’economia si sta aprendo davvero la frontiera del post-digitale che richiederà condizioni quadro più avanzate per il mercato del lavoro, l’innovazione, la fiscalità, la formazione, la ricerca e le infrastrutture. Saranno queste condizioni quadro, e non le tasse, a far sì che lo sviluppo tecnologico non distrugga lavoro, e generi invece più ricchezza, nuovi impieghi e nuove professionalità.

Swissness: il marchio svizzero

Il prodotto proviene davvero dalla Svizzera se c’è scritto sull’etichetta? Solo se vengono seguite determinate regole.

Il mercato svizzero può vantarsi di avere un alto valore, sia per la qualità che per l’affidabilità, la precisione e l’esclusività. I consumatori svizzeri che vivono nel nostro Paese e all’estero sono pronti a cercare in modo meticoloso tali prodotti poiché confidano nelle caratteristiche sopracitate e, dove possibile, scelgono di acquistare solo prodotti nazionali e locali.
Lo “Swiss made” è, indubbiamente, un punto di forza per le aziende. Ci sono però delle regole da seguire per proteggere il marchio svizzero dagli abusi.
Un utile vademecum in merito.

Che aspetto ha la croce Svizzera?

Questo è chiaramente definito dalla legge: “un quadrato rosso con in mezzo una croce bianca”.

Su di un prodotto può essere raffigurato lo stemma svizzero?

No, lo stemma svizzero, ovvero la croce svizzera bianca su sfondo rosso quadrato è un’espressione del potere statale e un simbolo ufficiale protetto. Pertanto, le aziende private non sono autorizzate ad usufruirne per uso commerciale. Solo la Confederazione Svizzera può utilizzare questo stemma. Lo si può trovare, ad esempio, sul sito web della Confederazione ma non su un cartone del latte, anche se il contenuto proviene al 100% dalla Svizzera.

Esistono delle eccezioni?

Sì, esistono delle eccezioni nelle quali lo stemma può essere utilizzato da altre persone. Ad esempio, può essere mostrato in opere di riferimento o utilizzato nell’allestimento di un festival. Lo stemma può essere anche riportato su un bicchiere o una medaglia commemorativa per un determinato evento.

Sull’etichetta dei prodotti svizzeri può essere raffigurata la croce svizzera?

Solo se provengono effettivamente e in modo verificabile dalla Svizzera. Tuttavia, non si può pretendere alcun collegamento con la Confederazione Svizzera. L’etichetta di una bottiglia d’acqua può essere decorata con la croce elvetica esclusivamente se il contenuto proviene da una fonte svizzera, ma essa non può essere mostrata su un orologio proveniente dalla Cina

Esistono delle eccezioni anche per quanto riguarda la croce Svizzera?

Sì, in alcuni casi la croce elvetica non può essere utilizzata anche se il prodotto proviene effettivamente dalla Svizzera. Per esempio, nelle situazioni in cui essa potrebbe venire confusa con il simbolo della Croce Rossa. Questa regola vale principalmente per i prodotti nel campo medicale.

La croce svizzera può essere utilizzata come decorazione?

La croce svizzera può essere usata per decorare gli articoli turistici come le camicie, le giacche o le bretelle. L’acquirente non deve intendere la croce svizzera come un’indicazione di provenienza, ma bensì come un elemento decorativo; il prodotto non deve necessariamente essere stato fabbricato in Svizzera.

Quando si può indicare il “Made in Switzerland” su un prodotto?

Solo se il prodotto proviene effettivamente dalla Svizzera. Ciò garantisce che esso contenga davvero del materiale di origine elvetica. Lo stesso discorso vale, ad esempio, per le indicazioni «Swiss made» o «Swiss Quality» e per le immagini raffiguranti il Cervino, Guglielmo Tell o Helvetia.

Scoprire un imbroglio nell’utilizzo della croce svizzera: come procedere?

Supponiamo di acquistare un orologio da un negozio svizzero online. L’orologio viene venduto come «Swiss made» e mostra una piccola croce svizzera, ma è stato constatato che è stato prodotto in Turchia. In questo caso sono possibili le seguenti misure:

  • segnalare l’abuso all’Istituto Federale della Proprietà Intellettuale (e-mail: swissnessinfo@ipi.ch). La società in questione sarà informata per iscritto del proprio comportamento illecito e delle multe che potrebbero insorgere
  • informare l’associazione di categoria (per gli orologi l’Associazione dell’industria orologiera svizzera)
  • controllare la ricevuta e leggere le modalità di reso, in Svizzera, tuttavia, non esiste alcun diritto legale per gli acquisti online
  • informarsi sui propri diritti di garanzia nei termini e condizioni generali. Se vi sono indicazioni, si applica la legge in vigore e si può richiedere il rimborso.

Quando un prodotto è originario dalla Svizzera?

Con i prodotti di origine naturale è relativamente semplice: una lattuga è originaria dalla Svizzera se è stata raccolta su territorio elvetico. La carne di manzo è svizzera se l’animale ha trascorso la maggior parte della sua vita nel territorio. Un pesce è di origine svizzera se viene pescato sul suolo nazionale. Le uova sono di origine elvetica se il pollo è stato allevato in Svizzera.

Ma cosa succede quando i prodotti naturali vengono trasformati in alimenti? In questo caso almeno l’80% del peso degli ingredienti deve provenire dalla Svizzera. Mentre per i prodotti lattiero-caseari la percentuale deve essere del 100%.

Inoltre, la fase di lavorazione che conferisce al prodotto le sue proprietà essenziali deve avvenire in Svizzera. Ad esempio: la confezione Tetra Pak del latte può raffigurare il Cervino se tutto il latte che contiene proviene dalla Svizzera. Anche la trasformazione del latte in formaggio, dunque la fase di lavorazione essenziale, deve aver avuto luogo nel nostro Paese.

Sono tuttavia possibili delle eccezioni: quando i prodotti di origine naturale non esistono in Svizzera o sono momentaneamente irreperibili, essi non vengono tenuti in considerazione ai fini della regola del 60% o 80%. Anche l’acqua come ingrediente non è compresa.

Per quanto riguarda una tavoletta di cioccolato, l’80% del peso degli ingredienti, come lo zucchero e il latte, deve provenire dalla Svizzera. La proporzione di cacao non viene inclusa provenendo da un Paese estero. Per i prodotti industriali, almeno il 60% dei costi di produzione deve essere sostenuto in Svizzera, inoltre l’attività che conferisce al prodotto le sue proprietà essenziali deve svolgersi In Svizzera.

Fonte: Beobachter 16/21, adattamento Cc-Ti

La “rivoluzione” dei dati: sfide e opportunità in ambito sanitario

In ambito sanitario, l’avanzamento tecnologico va di pari passo con il progresso della medicina e quindi persegue, quale obiettivo principale, il continuo miglioramento della salute della popolazione.

Essendo un settore estremamente regolamentato, l’evoluzione tecnologica è disciplinata dalle autorità di omologazione e controllo: Swissmedic per gli agenti terapeutici, l’Ufficio federale della sanità pubblica per i prezzi dei medicamenti e ancora, nel nostro Cantone, la Commissione cantonale per l’autorizzazione di messa in esercizio di attrezzature medico-tecniche a tecnologia avanzata o particolarmente costose.
È dunque implicito che qualsiasi innovazione debba presentare, non solo un rapporto rischio/beneficio favorevole rispetto agli standard in uso, e documentato dalla ricerca clinica, ma anche una valutazione rigorosa del suo impatto sui costi della sanità. Nel rispetto di questi principi di efficacia, adeguatezza ed economicità il nostro sistema sanitario è – grazie anche alla ricerca scientifica svolta nel nostro Paese e alla nostra capacità di adottare le tecnologie più innovative – uno dei più performanti sistemi al mondo.

Nel contesto attuale, in cui siamo tutti confrontati con la pandemia COVID-19, abbiamo l’occasione di prendere coscienza non solo dell’importanza della salute del singolo ma anche del legame con la salute pubblica. Va altresì riconosciuta la solidità del nostro sistema sanitario: anche nei tempi più difficili, e grazie ad un’ottima collaborazione tra il settore pubblico e privato, è riuscito non solo a prendere a carico i pazienti COVID-19 nelle migliori condizioni possibili (rispetto allo stato delle conoscenze del momento) ma a garantire la continuità e l’accesso alle cure a tutti i pazienti, anche non COVID-19. E, bisogna aver l’umiltà di dirlo, nei primi tempi della pandemia le conoscenze rispetto a quello che stava succedendo erano estremamente limitate. In pochissime settimane un nuovo virus, totalmente sconosciuto estremamente contagioso e purtroppo anche molto pericoloso si è diffuso in tutto il mondo. La sfida, che sembrava smisurata per la comunità medica e per la scienza, ha mobilitato enormi risorse in tutto il mondo. Una forza innovativa senza precedenti ha reso possibile l’inimmaginabile: lo sviluppo e l’immissione sul mercato di diversi vaccini in meno di un anno, aprendo una nuova era nello sviluppo di nuovi farmaci. Ed è stato possibile grazie anche alla nostra capacità a generare, analizzare, interpretare e condividere dei dati, partendo dal genoma del virus e delle sue varianti.

L’avanzamento tecnologico in ambito sanitario, come in altri diversi ambiti, è in effetti ampiamente favorito dalla rivoluzione digitale in corso. I “big data” sono entrati da tanti anni nel mondo della medicina in parallelo con lo sviluppo dell’informatica. Pensiamo a tre esempi significativi, in mezzo a tanti altri:
• l’evoluzione della tomografia computerizzata e della risonanza magnetica nella diagnostica per immagini,
• l’identificazione di numerosi nuovi marcatori tumorali – grazie ad una sempre maggior comprensione dei meccanismi fisiopatologici –
• e la mappatura del genoma umano completata 20 anni fa.

Pensiamo che adesso questi dati ci aiutano a capire lo stato di salute di una persona, ci permettono, al di là di una diagnosi, di effettuare una prognosi e di prendere una decisione terapeutica. Pensiamo anche che questi dati possono essere trasmessi ovunque nel mondo per, ad esempio, chiedere una seconda opinione o seguire un paziente nei suoi viaggi. Pensiamo infine che questi dati evolvono nel tempo e che vanno quindi archiviati e monitorati. Il grande cantiere della cartella informatizzata del paziente è in corso ed i suoi obiettivi sono chiaramente descritti nell’omonima Legge Federale: “rafforzare la qualità delle cure, migliorare i processi terapeutici, accrescere la sicurezza dei pazienti e l’efficienza del sistema sanitario, nonché promuovere l’alfabetizzazione sanitaria
dei pazienti”.

Come negli altri settori, per far fronte a questa “valanga di dati” o, meglio, per coglierne i benefici, abbiamo dovuto aumentare in modo esponenziale le nostre capacità analitiche, di sintesi e d’interpretazione, grazie allo sviluppo di algoritmi specifici che permettono, ad esempio, di costruire un’immagine diagnostica o di mettere in evidenza delle anomalie – varianti – genetiche. Con questo, si sta sviluppando anche nel nostro settore, e in modo estremamente veloce, l’intelligenza artificiale. I campi di applicazione sono numerosi: cito ad esempio la ricerca clinica e lo sviluppo di nuovi farmaci, il supporto nella decisione diagnostica e/o terapeutica, la possibilità di concepire farmaci personalizzati e di produrli ad-hoc con una stampante in 3D e, non da ultimo, la telemedicina, con la possibilità di effettuare diagnosi e/o interventi chirurgici a distanza, grazie a robot capaci di adattare le proprie azioni in simbiosi con il chirurgo, intervento dopo intervento.

Se è vero da un lato che tutto questo può sembrare fantascienza, è altrettanto vero che tante di queste applicazioni sono già oggi realtà. La robotica, ad esempio, è entrata in sala operatoria da tantissimi anni come assistenza al chirurgo negli interventi di urologia, ginecologia, chirurgia addominale e otorinolaringoiatria. Esistono dei robot che permettono lo stoccaggio di dispositivi medici ed ultimamente, con la tecnologia 5G, sta aumentando la possibilità di effettuare interventi chirurgici a distanza. Un altro esempio è la medicina di precisione, o la “data driven medicine”, punto di forza dell’azienda vodese Sophia Genetics che ha sviluppato un software che, raccogliendo dati genetici e clinici di un numero crescente di pazienti, diventa sempre più “intelligente” nel capire quale terapia è più adatta ad un determinato profilo genetico (sapendo che il nostro genoma è costituito di oltre 20’000 geni) e quali sono gli effetti collaterali più probabili. Infine, cito anche l’aiuto alla decisione diagnostica in ambito radiologico – quando l’occhio del radiologo ha bisogno di un ulteriore supporto per accertare delle anomalie.

Il tema dell’avanzamento tecnologico in ambito sanitario è in sostanza piuttosto ampio, sicuramente appassionante e costantemente in fase di espansione: questa è una realtà dai numerosi risvolti positivi ma… questo non ci deve far dimenticare che la tecnologia è concepita dall’essere umano, a beneficio dell’essere umano per, specie in sanità, prendersi cura dell’essere umano!
Uno dei più grandi punti di forza nel nostro settore, e l’abbiamo visto durante questa pandemia, sono le persone.

L’intelligenza artificiale è un valido aiuto che ha già apportato e apporterà importanti cambiamenti nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura ma, ciò nonostante, non può ancora sostituirsi all’altra intelligenza, quella “emozionale”, che rimane il punto di forza e di differenziazione nella qualità della cura e nella relazione con il paziente.


Articolo a cura di Michela Pfyffer von Altishofen, Vicepresidente ACPT

Agricoltura, un equilibrio tra natura e tecnologia

Pur essendo il lavoro nei campi tra i più antichi del mondo, oggi possiamo considerare l’agricoltura uno dei settori più tecnologizzati.

Da sempre mi affascina la capacità dei produttori orticoli (e di tutti gli agricoltori) di rispettare e adeguarsi alla natura: meteorologia, tempi di crescita e sviluppo, condizioni naturali del terreno, ecc. sono tutti fattori che l’agricoltore non può cambiare perché dettati appunto dalla natura. Quello che però l’agricoltura può fare è cercare di conoscerli, prevederli e sfruttarli al meglio per favorire la qualità e la produzione. Allo stesso tempo essa permette di facilitare il lavoro dell’uomo. Ed è proprio in questi due aspetti che la tecnologia e l’innovazione investono da anni e hanno già portato a cambiare in modo importante il modo di lavorare e produrre, anche alle nostre latitudini.

Sono andata a visitare due aziende sul Piano di Magadino che negli ultimi anni hanno investito molto in tecnologia. L’azienda Agricola Mozzini produce in serra l’eccellenza dei pomodori ticinesi: tondi, ramati, cherry, datterini che da marzo a ottobre possiamo gustare sulle nostre tavole. A Roberto, il titolare, brillano gli occhi quando racconta quello che fa, risultato di tanto lavoro, ricerca e investimenti il tutto condito da tanta passione. “Leggere i fattori naturali adeguandoli nel modo migliore per favorire la crescita e lo sviluppo di piante e frutti è molto complicato perché sono parecchi e possono variare anche rapidamente”. La direzione e la forza del vento, l’umidità, l’intensità e la durata dell’insolazione, la temperatura dell’acqua e dell’aria, la concentrazione di sali minerali nel terreno, sono alcuni dei parametri che un agronomo deve conoscere e valutare.

“Attraverso vari strumenti di misurazione (tra cui una centralina meteorologica) la tecnologia ci permette di raccogliere i dati e di cercare la giusta correlazione tra essi attraverso una serie di algoritmi. L’esperienza e la conoscenza umana sono indispensabili ma l’equilibrio corretto (che varia per ogni coltura e anche per tipologia di pomodoro) è in grado di calcolarlo solo una macchina”. Per capire di cosa si tratta mi mostra lo schermo di un computer in cui si muovono continuamente dei grafici: “abbiamo una bilancia che pesa 5 m di coltura che, grazie alla costante misurazione, ci permette di vedere come si comporta l’irrigazione del terreno in modo da regolarla su tutto l’arco della giornata. Alla pianta non va bene né essere troppo bagnata né troppo asciutta, e soprattutto ha necessità diverse nei vari momenti della giornata.
Se dovessero cambiare le condizioni, vi è un monitoraggio orario e degli sms di allarme che ci permettono di intervenire tempestivamente.”
Essere sotto una struttura di vetro non rende la serra indipendente dall’ambiente circostante, e Roberto mi spiega, per esempio, l’incidenza dei raggi del sole “quest’estate caratterizzata dal brutto tempo ha comportato una mancanza di raggi solari, che hanno influito sul tempo di sviluppo e maturazione dei frutti, ma anche il periodo dell’anno influisce: sul piano di Magadino il sole in primavera e autunno spunta dalle montagne che è già intenso, la pianta va preparata a questo repentino cambiamento innalzando gradualmente la temperatura della serra”. Tutto questo non è una forzatura?

“La natura va comunque sempre rispettata, noi non rompiamo l’equilibrio naturale della pianta e per questo non riproduciamo l’estate per 12 mesi, la pianta fa un ciclo completo al termine del quale svuotiamo e disinfettiamo tutta la serra che per qualche mese resterà vuota, per poi ricominciare un nuovo ciclo. Per tanto tempo la preoccupazione è stata quella di produrre tanto piuttosto che ricercare il gusto, adesso finalmente si è tornati al vero valore: la qualità del prodotto”. Ci sarebbe ancora tanto da osservare e raccontare ma il tempo è finito e allora ci salutiamo. Non prima però che mi mostri il recupero dell’acqua che viene fatto sia per l’acqua piovana che per l’acqua di condensa perché qui non si trascura nulla!

Mi sposto di poco più di un chilometro e trovo Christian Bassi, titolare della omonima azienda, con lui voglio capire come programma quotidianamente il lavoro sui campi. Per farlo mi fa sedere accanto a lui su un modernissimo trattore. All’esterno della cabina è installato un GPS, strumento fondamentale per gestire i suoi 12 trattori e gli operai che li devono utilizzare. “Ogni mattina ognuno sale sul trattore e sullo schermo trova già inseriti i dettagli del lavoro che deve svolgere. Il GPS permette di indentificare il campo su cui lavora ogni trattore, di cui conosce i confini e ogni linea retta.
A seconda del tipo di lavoro che deve essere fatto imposto il tipo di guida. All’autista è chiesto dallo schermo di identificarsi e di specificare che tipo di macchinario si attacca al veicolo e per svolgere quale lavoro. Se, per esempio, è un aratro mi servirà definire a che profondità voglio arare, se invece è una seminatrice dovrò specificare cosa sto seminando e definire la distanza e la quantità di semina”. Il computer memorizza tutti questi dati e fa svolgere correttamente il lavoro alla macchina “ma le condizioni ottimali le acquisisci con l’esperienza” il mezzo è solo uno strumento per svolgere il tuo lavoro. “E l’esperienza è facilitata dal sistema informatico che mi permette di avere una reportistica che mi aiuta a capire cosa ho sbagliato o come migliorare.” Mi porta così nella sua cabina di comando, un ufficio con un grande computer. “Il GPS calcola per esempio la pendenza di ogni singolo angolo di terreno, quindi posso sapere che in caso di forti piogge su un determinato scoscendimento avrò un problema di ristagno d’acqua, oppure che in quella striscia di terra non è cresciuta l’insalata perché il trattore è passato troppo veloce con la semina.” Oltre al GPS mi mostra che la zappatrice ha una telecamera ottica per sarchiare il terreno senza toccare la coltura che sta crescendo. Capisco quindi quanto questi trattori e la loro tecnologia facilitano la gestione e il lavoro, e possano renderlo meno logorante e più efficiente.

Saluto anche Christian che salutandomi mi fa vedere il nuovo logo dell’azienda che punta tutto sul prodotto, perché alla fine quello che dà soddisfazione è poter offrire sulle tavole ticinesi un prodotto buono e genuino.


Articolo a cura di

Alice Croce, Presidente Federazione Ortofrutticola Ticinese (FOFT)

Le fiduciarie ticinesi fra tecnologia e tradizione

L’opinione di Cristina Maderni, Vice Presidente Cc-Ti, Presidente Ordine dei Commercialisti del Cantone Ticino e Presidente FTAF

In un interessante articolo di recente pubblicazione (“Platform operating model for the AI bank of the future”, 18 maggio 2021),  MCKinsey & Company afferma che “il cuore di una banca basata sull’intelligenza artificiale resta pur sempre nella relazione con il cliente”. Il riferimento al rischio che l’intelligenza artificiale possa spersonalizzare e universalizzare i servizi finanziari è qui  evidente.

Nessuna affermazione potrebbe essere più vera, anche riferita al settore fiduciario e ai criteri con cui noi imprenditori del  comparto implementiamo e utilizziamo nuove piattaforme e tecnologie.

La tesi che desidero di seguito sostenere è, infatti, che le fiduciarie ticinesi non si devono lasciare sfuggire le opportunità di efficienza promesse dal processo di trasformazione digitale, ma che nel contempo devono restare fedeli al proprio modello di business, basato sul contatto diretto e sul rapporto di fiducia personale.

Il fiduciario ticinese, ad oggi siamo oltre 1’500, è, ed è stato, negli anni cosciente che la trasformazione digitale non è un mito, ma un fatto che lo riguarda da vicino. È da tempo, infatti, che il settore investe non solo in sistemi e in processi, ma anche in formazione e in talento, quindi, in conoscenze che permettano ai suoi protagonisti di interpretare e di utilizzare con profitto le soluzioni che le nuove tecnologie propongono loro.

Siamo coscienti che la tecnologia rimodella tutte le istituzioni finanziarie, comparto fiduciario incluso, rendendole sempre più interdipendenti, che causa incertezze, ma anche crea opportunità. Del  resto, la stessa Confederazione ritiene che la digitalizzazione sia un fattore competitivo vitale per la piazza finanziaria svizzera a 360 gradi, e incoraggia il processo.
Noi fiduciari seguiamo con interesse il miglioramento dei servizi che i settori bancario e assicurativo ci offrono come risultato del proprio processo di trasformazione digitale. Il settore finanziario  ritiene con ragione di avere davanti a sé grandi spazi per migliorare le proprie competenze digitali. I continui progressi conseguiti sono sotto l’occhio dell’intera clientela privata e aziendale, che sempre più li apprezza dopo l’esperienza del confinamento. Le fiduciarie ne traggono giovamento in quanto controparti strategiche del sistema bancario: migliorano il flusso informativo e documentale, la velocità di esecuzione, la gestione dei rischi.

Anche nel settore fiduciario, il processo di digitalizzazione è in corso ed è ben lungi dall’essere terminato. Gli investimenti e i modelli sono evidentemente diversi, da rapportare alla dimensione delle imprese fiduciarie, in media non superiore a cinque dipendenti. L’impatto è comunque simile: il processo stimola l’efficienza aziendale e schiude la prospettiva di sviluppare nuovi prodotti e mercati. Modifica, di conseguenza, lo scenario competitivo e paventa dei rischi, che vanno riconosciuti e mitigati. Presuppone competenze e richiede disponibilità ad investire.

È anche grazie alla capacità di investire in formazione e in efficienza operativa che noi fiduciari abbiamo saputo superare con successo un decennio difficile per la finanza internazionale, rendendo le nostre strutture agili e performanti. Sappiamo che il servizio che la nostra clientela ci richiede, si chiama: competenza, fiducia ed empatia. Armi competitive che come già esposto in apertura non devono andare perse in quella omogeneità di soluzioni che le economie di scala, consentite dalla digitalizzazione, portano con sé in altri settori. Noi non miriamo necessariamente ad aggiungere il “robo-advisory” alla nostra offerta di servizi.
Non puntiamo, se non per fasce basse di clientela, a focalizzarci su quei programmi “intelligenti” che  tentano di sostituirsi alla consulenza umana. Certo, le fiduciarie “online” esistono, offrono un  prodotto definito che nel tempo si ritaglierà una propria quota di mercato. Ma il cliente che ricerca soluzioni complesse e confidenziali continuerà a seguire le vie tradizionali della “fiducia” e del contatto diretto.

Qui sta la nostra forza, qui dobbiamo capitalizzare. Questi sono i motivi per cui non prevediamo per il futuro di dover subire una vera concorrenza diretta da parte delle “Big Tech”, né di chi le emula. Gli operatori digitali presentano alcuni punti di forza, ma la gran parte della clientela apprezza altri fattori e teme fughe di informazioni e incursioni nei sistemi da parte dell’hackeraggio e del  ransomware. Non a caso, Boston Consulting Group segnala la ritrosia delle istituzioni finanziarie ad utilizzare  intensamente le soluzioni offerte dal Cloud, contrariamente a quanto fanno altre organizzazioni ugualmente mature sotto il profilo digitale.

Nel nostro modo di porci sul mercato, la sicurezza, quindi anche la “cybersecurity” è un fattore chiave. Mi siano concesse due considerazioni finali. La prima è che, nel settore fiduciario, la  trasformazione digitale non ha fino ad oggi causato né un forte processo di concentrazione, né una contrazione nei posti di lavoro, che con orgoglio noi fiduciari constatiamo avere mantenuto stabili pur in un decennio di grandi cambiamenti. La seconda è che l’attenzione alle variabili tecnologiche crea volontà di confronto, intensifica l’importanza delle associazioni dei fiduciari e della loro federazione, che insieme promuovono formazione, sinergia e dibattito.

Il futuro è oggi: noi fiduciari ne siamo coscienti. Adattiamo le nostre piattaforme, investiamo nella creazione di competenze digitali al nostro interno. Non cessiamo tuttavia di basare la nostra azione sulle nostre capacità individuali e di gruppo, e sulla fiducia che il cliente ci concede. Una fiducia che è costruita sulla competenza personale e non sulla velocità di un sistema esperto.