Il certificato d’origine: dove, come, chi

L’esportazione è il processo di spedizione di beni o di merci (prodotti naturali o fabbricati) da un territorio nazionale in un Paese estero dove saranno poi venduti.

Il certificato di origine è un documento che attesta l’origine della merce, cioè il luogo in cui la merce è stata prodotta o ha subito l’ultima trasformazione sostanziale e accompagna i prodotti esportati in via definitiva verso Paesi extracomunitari, o anche comunitari, qualora l’importatore lo richieda espressamente. Il certificato di origine viene richiesto per l’”origine non preferenziale delle merci”, quando quindi, non esiste nessun accordo di libero scambio tra la Svizzera (e/o AELS, attualmente, gli Stati membri sono: Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera) e il Paese di destinazione. Non ci sono, pertanto, dei dazi preferenziali. Le regole d’origine non preferenziali sono elencate nell’Ordinanza sull’attestazione dell’origine non preferenziale delle merci (OAO) – ultima modifica il 9 aprile 2008, entrata in vigore il 1° maggio 2008 e servono alle Camere di commercio e dell’industria svizzere per il rilascio dei certificati di origine e di altre attestazioni.

Le attestazioni comprovano l’origine, il valore e il prezzo di una determinata merce. Le attestazioni di origine posso anche essere rilasciate come attestazione di origine in fattura. Queste attestazioni, oltre all’origine della merce, devono contenere informazioni che identificano, in modo preciso, la merce stessa (come ad esempio la descrizione, il numero dei pezzi, il tipo di imballaggio, ecc.). Esse vengono rilasciate solo per consegne o forniture effettive di merci e dietro presentazione di una fattura di vendita sulla quale il destinatario della merce corrisponde al destinatario della fattura. Di frequente le disposizioni giuridiche di un determinato Paese richiedono il rilascio dei certificati di origine all’importazione delle merci, in applicazione di una misura di politica commerciale antidumping, dazi/quote e contingenti. Vengono anche richiesti in occasione dell’apertura di un accreditativo, per motivi statistici o anche in occasione di appalti e offerte.

La maggior richiesta di certificati di origine avviene perché il cliente, che risiede nel Paese d’importazione, vuole assicurarsi che la merce abbia effettivamente una determinata origine, oppure perché, a sua volta, deve riesportare la merce e dunque necessita, appunto, di una prova di origine.

Il grafico illustra alcuni dei Paesi con i quali la Svizzera intrattiene rapporti commerciali nell’ambito dell’origine non preferenziale. Come potete notare i maggiori partner si trovano nella regione degli Stati Arabi del Golfo Persico (Bahrain, Kuwait, Iraq, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti). Altri due partner importanti per il nostro Paese sono la Cina e l’Egitto che, nonostante abbiano un accordo di libero scambio con la Svizzera, richiedono l’emissione del certificato di origine per ragioni politiche interne. È importante precisare che il maggior partner commerciale della Svizzera rimane, comunque, l’Unione Europea. Nelle esportazioni verso quest’ultima, l’emissione dei certificati di origine è però
ridotta: infatti, l’accordo di libero scambio, che consente uno sgravio dei dazi doganali, viene utilizzato maggiormente.
I settori per i quali vengono richiesti più di frequente i certificati di origine sono l’alta moda, il trading di materie prime (acquistate all’estero e rivendute), la farmaceutica e l’orologeria.

Le Camere di commercio e dell’industria svizzere, che, pur essendo di natura completamente privata, sono l’organo emittente dei certificati di origine e di altri documenti per l’esportazione, sono tenute a fornire alle persone e alle imprese tutte le indicazioni necessarie, in materia di origine, sulle scelte dei criteri di origine e sulle semplificazioni amministrative, con un trattamento parificato di tutti gli utenti. Anche nell’applicazione delle tasse e degli emolumenti non vi è distinzione tra l’essere affiliato a una Camera di commercio e dell’industria svizzera e il non esserlo.

Gli uffici emittenti delle Camere di commercio e dell’industria svizzere rilasciano le prove documentali a persone fisiche e giuridiche residenti nel territorio di propria competenza. Per la Cc-Ti equivale al territorio cantonale. Eccezionalmente un ufficio emittente può rilasciare delle prove documentali per un richiedente non domiciliato nella propria giurisdizione, purché vi sia l’accordo dell’ufficio emittente competente del territorio del richiedente. Può capitare che la Camera di commercio e dell’industria svizzera competente non rilasci il certificato di origine o altre prove documentali. Questo può avvenire in caso di assenza di prove di origine, o in mancanza di altri documenti come la fattura di vendita. Il richiedente è tenuto a consegnare tutti i documenti corretti per la richiesta dell’emissione di un certificato di origine, ovvero:

  • domanda di attestazione compilabile sul sito Cc-Ti (all’indirizzo www.cc-ti.ch/certificati-dorigine)
  • fattura di vendita
  • documenti del proprio fornitore per comprovare l’origine della merce.

Se tutti i documenti del richiedente sono corretti, il certificato di origine può essere rilasciato sia presso lo sportello delle Camere, sia via posta oppure richiedendolo sulla nostra piattaforma online www.certify.ch, già utilizzata con successo e praticità da molte aziende. Con questa modalità, invece di fornire le domande di attestazione e di ricevere i documenti via posta, il tutto avviene semplicemente online e i certificati e i documenti legalizzati possono essere comodamente stampati o utilizzati in PDF. La piattaforma non ha nessun costo supplementare e i prezzi delle pratiche rimangono invariati. È una modalità che non modifica il lavoro di analisi formale e materiale da parte della Cc-Ti e fornisce quindi le medesime garanzie della versione cartacea.


Il Servizio Export della Cc-Ti è a disposizione per rispondere alle vostre domande. Tel. +41 91 511 51 23/29 oppure inviando un’e-mail a export@cc-ti.ch.

Obbligo per i datori di lavoro di eseguire un’analisi della parità salariale

Entro il 30 giugno 2021 i datori di lavoro che impiegano 100 o più lavoratrici o lavoratori sono tenuti a svolgere un’analisi interna della parità salariale.

Il 1° luglio 2021 ricorreranno i 25 anni dall’entrata in vigore della Legge federale sulla parità dei sessi (LPar) che sancisce il divieto di discriminazioni tra uomo e donna nelle relazioni di lavoro. Il divieto si applica in particolare all’assunzione, all’attribuzione dei compiti, all’assetto delle condizioni di lavoro, alla retribuzione, alla formazione, alla promozione e al licenziamento. Nonostante la parità salariale sia una delle discriminazioni di genere vietate dalla LPar e dall’articolo 8 della Costituzione federale, in 25 anni la Svizzera non è ancora riuscita a eliminare il divario salariale tra donna e uomo. Le cifre ticinesi mostrano infatti che le disparità salariali sono del 17.3% nel settore privato e dell’8.7% nel settore pubblico.

Lo scorso anno è entrata in vigore una modifica della Legge federale sulla parità dei sessi (LPar) che mira a migliorare il rispetto della parità salariale tra donna e uomo (art. 13a-13i LPar). Gli enti e le aziende che impiegano 100 o più collaboratrici e collaboratori sono tenuti a effettuare un’analisi interna della parità salariale entro il 30 giugno 2021.

Oltre all’analisi della parità salariale le disposizioni richiedono agli enti e alle organizzazioni di incaricare un organo indipendente di verificare l’analisi effettuata e di comunicare i risultati per iscritto al personale.


La parità salariale è iscritta nella Costituzione federale dal 1981 (art. 8 cpv. 3 Cst.). Essa è inoltre specificata nella Legge federale sulla parità dei sessi (LPar), entrata in vigore nel 1996. La parità salariale è un obbligo che si applica in tutte le relazioni di lavoro, sia nei rapporti di lavoro di diritto privato, sia in quelli di diritto pubblico.

DOCUMENTAZIONE UTILE E TOOL DI CALCOLO
Servizi giuridici del Consiglio di Stato – Parità salariale
Ufficio federale per l’uguaglianza fra donna e uomo – Analizzare la parità salariale in modo semplice e sicuro con Logib

In azienda arriva il pompiere digitale

Per anni la sicurezza informatica è stata menzionata in ogni occasione pubblica, senza però trovare poi la giusta attenzione da parte di chi, nelle sedi opportune, decide gli investimenti aziendali strategici.

È sempre stata considerata come una disciplina di secondo ordine, da ricondurre alla voce “altri ed eventuali” durante le riunioni dei consigli di amministrazione.
Insomma, qualcosa di necessario ma non così importante. Questa è la fotografia da cui partire per lasciarsi alle spalle ciò che è stato e per guardare al futuro con grande ottimismo, e soprattutto per cogliere le prossime innumerevoli opportunità. Per farlo è necessario un’inversione di marcia, che apra la strada a una nuova concezione di sicurezza informatica.

Per molto tempo gli addetti alla cybersecurity aziendale hanno cercato di convincere manager e amministratori delegati di quanto fosse importante cambiare passo, aggiornando le competenze, le strategie e anche gli strumenti. Infatti, in molte realtà permangono tutt’ora le ultime sacche di percezione che la sicurezza informatica – la cybersecurity – sia unicamente una questione di strumenti e non di processi. In particolare, in diversi la ritengono ancora una questione puramente informatica, piuttosto che un’attitudine continua e condivisa, necessaria a garantire la sicurezza dei dati e delle infrastrutture critiche di tutta la filiera produttiva. Lo scenario che ci attende nei prossimi mesi richiede quindi attenzione, e va proprio in questa direzione. È senza dubbio ricco di novità e cambiamenti ai quali non sarà più possibile abdicare.

Il primo cambiamento in atto riguarda l’approvazione da parte del Parlamento svizzero, avvenuta il 20 settembre 2020, della revisione totale della nuova legge sulla protezione dei dati (LPD). Una nuova legge che focalizza l’attenzione sulla trattazione dei dati personali, includendo implicitamente molte indicazioni strettamente legate alla sicurezza delle informazioni.

Il secondo, invece, chiama in causa l’approccio generale alla gestione della sicurezza informatica, che dal 2018 la Confederazione svizzera ha adottato a livello nazionale: il National Institute of Standards and Technology (NIST) Cybersecurity Framework (CSF). Un insieme di indicazioni riconosciute a livello internazionale e già adottate in Europa con il
GPDR, suddivise in cinque funzioni operative (recuperare, identificare, proteggere, rilevare, rispondere e recuperare), utili per le aziende e le pubbliche amministrazioni – ma anche per i privati cittadini – per misurare il proprio livello di sicurezza infrastrutturale. La visione della strategia è molto chiara: uniformare quanto più possibile, tra i Paesi comunitari e la Svizzera, la gestione della nuova cybersecurity. In questo modo si potrà usufruire di molteplici vantaggi, per esempio, 1) disporre della medesima interpretazione di trattamento del dato personale; 2) seguire il medesimo framework di riferimento per la messa in sicurezza dei dati e delle instratutture critiche. Tutto ciò assume ancor più valore per un Cantone di frontiera come il nostro.

Il terzo elemento da includere nella cesta dei cambiamenti in corso è il numero crescente di attacchi informatici, come è stato dimostrato dalle recenti statistiche pubblicate dalla Polizia cantonale.

Ecco perché, in funzione delle cinque fasi proposte dal NIST per la gestione dei rischi informatici, entra in gioco un nuovo alleato molto utile non più solo in fase repressiva, ma anche in fase preventiva: l’informatica forense.
Questo nuovo approccio consente all’azienda di impiegare le conoscenze e le competenze messe in campo dall’informatica forense per la gestione postuma di un incidente informatico, anche nella fase di definizione delle strategie di difesa cyber, rinforzandole e rendendole proporzionate e adeguate al business aziendale, più complete, resilienti e oculate per ottenere un piano di risposta agli incidenti di tipo interdisciplinare.

Un modus operandi che migliora i crismi di sicurezza di tutto il perimetro aziendale, alloccando le giuste risorse affinché che non si esauriscano con l’installazione di strumenti e piattaforme, bensì diventino processi agili costantemente attivi in ogni punto della filiera produttiva dalla progettazione alla vendita del prodotto. La somma di tutti questi elementi porta così alla luce un nuovo paradigma per la gestione della sicurezza informatica del prossimo futuro. A questo proposito però è opportuno fare chiarezza anche sulla figura professionale che dovrà occuparsi di queste attività.

Spesso in passato abbiamo parlato dell’importanza di disporre in azienda di un hacker etico, una figura tecnicamente preparata per cercare le vulnerabilità tecniche e i punti di accesso pericolosi per violare le infrastrutture critiche e impossessarsi dei dati sensibili senza commettere reati. Ma spesso la rappresentazione dell’hacker, seppur etico, ha trovato molti timori e reticenze da parte di chi, in azienda, riconduce questa figura a una persona incappucciata davanti a una serie di monitor dislocati nello scantinato di casa.

Forse è opportuno cogliere l’onda dei cambiamenti in atto, per inserire metaforicamente una nuova figura professionale, che per sua natura non spaventi. L’emblema per eccellenza di coloro che con competenza, reazione, responsabilità e disponibilità sono chiamati a risolvere problemi ed emergenze. Una figura che appartiene al mondo della sicurezza, e che posta nel mondo della cybersecurity assume le vesti del pompiere digitale.

Chissà, forse è la volta buona per cancellare definitivamente dalla voce “altri ed eventuali” la parola cybesecurity nella sua vecchia accezione, per inserirla trasversalmente come opportunità lungo tutto il piano strategico aziendale.


Articolo redatto da

Alessandro Trivilini, Responsabile del Servizio di informatica forense SUPSI e membro del Gruppo cantonale strategico CyberSicuro

Responsabilità & governance

La natura legale delle persone giuridiche è stata la controversia per antonomasia della dottrina agli albori del diritto societario.

Nel mondo occidentale ha prevalso la cosiddetta Realitätstheorie, che postula il riconoscimento della persona giuridica quale realtà sociale dotata nei limiti della legge di personalità e che agisce tramite i suoi organi per il perseguimento di determinati scopi.

L’indipendenza legale delle persone giuridiche non cancella la necessità che siano le persone fisiche a tenere il timone e a remare nella giusta direzione per assicurare il raggiungimento degli obiettivi preposti. Per questo motivo la volontà della persona giuridica viene espressa tramite i suoi organi formali e materiali, i quali con le proprie azioni provocano conseguenze legali di stampo negoziale o delittuoso. Sono dunque le persone in carne ed ossa il vero motore delle società e il nesso della responsabilità delle persone giuridiche.

Nella struttura della società anonima, il consigliere d’amministrazione è una persona fisica facente parte del Consiglio d’Amministrazione (CdA) quale organo imperativamente prescritto dalla legge. I consiglieri d’amministrazione sono quindi degli organi, che con il proprio comportamento obbligano la società. La naturale conseguenza di ciò, è che i consiglieri d’amministrazione sottostanno a norme di responsabilità amministrativa, civile e penale, affinché non agiscano senza alcun vincolo a causa della favorevole prospettiva di non dover rispondere di eventuali danni patrimoniali cagionati o atti penalmente perseguibili. La responsabilità del consigliere d’amministrazione viene quindi statuita giuridicamente e regolamentata in un “sistema-giungla” di norme di diritto pubblico, penale e civile, nel quale non sempre è facile orientarsi. Il diritto come specchio della società (law in action) si stratifica e sviluppa costantemente, in risposta ai mutamenti socio-antropologici, che nell’odierna comunità globalizzata e altamente interconnessa sono all’ordine del giorno. Il compito viene reso ulteriormente più complesso dalla struttura stessa delle fonti del diritto, che non si basa unicamente sui Codici, bensì in assenza di disposizioni giuridiche nella legge scritta, anche su consuetudine e modo legislatoris. A completare il quadro vi sono infine la dottrina e la giurisprudenza dei Tribunali.

Non trascurabili sono pure le regole interne care al mondo aziendale, meglio note come Corporate Governance. Il consigliere d’amministrazione risponde per il suo operato nei confronti della società anche secondo principi che esulano dalla legislazione statale e che vengono definiti sulla base di presupposti strategici e operativi. Nonostante la Corporate Governance non sia emanata dal legislatore, ha un’eco giuridico, in quanto assume particolare importanza nella definizione degli obblighi di diligenza da parte del consigliere d’amministrazione. Per venire a capo dei propri diritti e obblighi anche il consigliere d’amministrazione è dunque tenuto a comprendere la regolamentazione giuridica che lo concerne, familiarizzando con norme codificate e soft law.

Le aspettative delle istituzioni e degli stakeholders riguardo i consiglieri d’amministrazione sono oggigiorno alte, indipendentemente dal contesto culturale. Questo significa che la responsabilità pretesa dai consiglieri d’amministrazione non varia a dipendenza che si tratti di una PMI o di una società di portata inter-cantonale, rispettivamente federale o internazionale. Ciò vale a maggior ragione nel contesto svizzero, nel quale le imprese sono fortemente intessute nella trama sociale e radicate sul territorio.

L’unico modo per superare con successo questa ardua sfida che si pone ai consiglieri d’amministrazione è per mezzo della CONOSCENZA. Il presupposto del rispetto delle regole, siano esse giuridiche o aziendali, consiste nella loro comprensione. È dunque questa la responsabilità cardine del consigliere d’amministrazione, la madre di tutte le responsabilità: informarsi e apprendere i propri doveri e vincoli aggiornandosi costantemente. Far parte di un Consiglio d’amministrazione può implicare l’assunzione di responsabilità importanti. Quali sono le responsabilità degli amministratori nei confronti della loro società, degli azionisti e dei terzi?

UN CORSO SU MISURA – Essere membro di un CdA: compiti e responsabilità
Nell’ambito della propria offerta formativa Cc-Ti organizza un corso dal titolo: “Essere membro di un CdA: compiti e responsabilità”.
Relatori gli avvocati Reto Garzoni, Peter A. Jäggi, Samuel Maffi e Goran Mazzucchelli. In due mezze giornate formative si propone un’immersione nel diritto societario (in particolare della SA e della Sagl) partendo da un approfondimento delle nozioni di amministratore e di organo societario, per poi trattare la questione della responsabilità civile e penale, sino ad abbordare quella legata all’ambito fiscale, dell’esecuzione e fallimenti e delle assicurazioni sociali. Sono pure trattati gli aspetti assicurativi che toccano gli amministratori di società. Il corso è già in calendario per i prossimi 9 e 16 settembre 2021. Le iscrizioni sono aperte ed è possibile annunciarsi tramite questo link.

Articolo redatto da

Samuel Maffi, Cavadini Steger Gianinazzi Maffi Studio legale e notarile SNC e Sebastiano Tela, Studente di diritto Università di Lucerna

L’evoluzione dei consumi

Il paniere tipo contiene una selezione fedele dei beni e servizi consumati dalle economie domestiche ed è ripartito in 12 settori di spesa («gruppi principali»). Ogni gruppo principale è ponderato in base alla sua quota nelle spese delle economie domestiche. Inoltre, la composizione del paniere tipo è utilizzata anche per il calcolo dell’inflazione. Solitamente per valutare l’evoluzione dei consumi si utilizza questo strumento.

Come è cambiato nel tempo il paniere tipo? In che modo si sono modificati i consumi?
A queste domande è possibile rispondere andando a ricercare qualche dato essenziale sulla composizione del paniere tipo e su come esso sia variato nel tempo.

La primavera 2021 ha confermato i nuovi trend dei consumatori, già per altro, consolidatesi nel 2020 a causa della pandemia di COVID-19.

Come già fatto lungo il 2020, e proseguendo in questa direzione anche per il 2021, abbiamo redatto una serie di riflessioni puntuali ed approfondimenti da differenti punti di vista, per mostrare quanto sia vasta, diversificata e ricca l’economia cantonale, e quanto i singoli settori contribuiscano a comporre e far crescere il PIL cantonale (possiamo ad esempio ricordare i contributi sul settore primario e l’innovazione; l’importanza dei servizi bancari per la piazza luganese e il Ticino; l’attenzione alle HR e alla formazione continua, ecc.).

I settori, in Ticino, sono interconnessi e creano delle ‘filiere’ locali (e non), che funzionano come vere e proprie ‘catene produttive”.

Tutte le tipologie di filiera possono essere più o meno efficienti a dipendenza delle situazioni locali e dei mercati in cui operano. Tra queste catene produttive e il territorio c’è un rapporto molto stretto. Lo sviluppo delle prime può favorire o condizionare o inclinare lo sviluppo dell’altro e viceversa.
Le filiere possono rappresentare il motore della crescita economica di una regione, in termini di occupazione, redditi, innovazione, formazione della manodopera e ricchezza pro capite. Un motore che gira tanto più veloce quanto più un territorio è in grado di supportare le imprese con infrastrutture moderne, servizi efficienti e agevolazioni per le attività produttive.
Queste dinamiche valgono, ovviamente, anche in Ticino.

Le tendenze dimostrano quanto si preferisca orientarsi sui prodotti regionali e come, in generale, l’evoluzione dei consumi si avvalga sempre più della modalità online.
Nel corso dei decenni i prodotti di riferimento sono mutati con l’evoluzione della società.

Alcuni esempi a riguardo, riferiti al ‘paniere tipo’ citato all’inizio del testo:

  • Il peso dell’alimentazione e bevande non alcoliche è passato dal 40.7% nel 1939 all’11.93% nel 2021.
  • Per indumenti e calzature la percentuale è scesa dal 15% del 1939 al 2.76 del 2021.
  • Per il tempo libero e la cultura la percentuale è incrementata, invece, dal 3% del 1939 al 7.48% del 2021.

Maggiori dettagli sulla composizione attuale del paniere tipo e sulla sua ponderazione per il 2021 nel grafico dell’UST, sull’Indice nazionale dei prezzi al consumo (IPC) visto in immagine all’inizio dell’articolo, scaricabile qui.


Sul nostro sito, nella rubrica ‘attualità’ è possibile rileggere differenti contributi su temi come l’innovazione e la sostenibilità, come pure visionare riflessioni sui progetti e le iniziative che la Cc-Ti porta avanti: www.cc-ti.ch/attualita Nell’area dedicata ai soci, invece, si può scaricare e leggere integralmente Ticino Business, consultando anche gli archivi che contengono tutti i numeri apparsi. Vi si accede tramite questo link www.cc-ti.ch/areasoci, inserendo nome utente e password.
Per i dettagli sul login è possibile contattare Lisa Pantini, Responsabile comunicazione Cc-Ti, scrivendo a pantini@cc-ti.ch

Indennità per lavoro ridotto: importante sentenza del Tribunale cantonale di Lucerna

Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.

Lo scorso 26 febbraio il Tribunale cantonale di Lucerna ha emanato una sentenza che, se confermata dal Tribunale federale, implica un’importante modifica del calcolo delle indennità per il lavoro ridotto.

In effetti, statuendo su un ricorso presentato da un esercizio pubblico, i giudici lucernesi hanno ridefinito la base di calcolo per determinare tali indennità. Rifacendosi all’art. 34 della Legge federale sull’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione e l’indennità per insolvenza (LADI) hanno ricordato che determinante, fino al limite massimo valido per il calcolo dei contributi è il salario, convenuto contrattualmente, dell’ultimo periodo salariale prima dell’inizio del lavoro ridotto. Sono compresi le indennità per vacanze e gli assegni contrattuali periodici, purché non continuino ad essere versati durante il periodo di lavoro ridotto o non costituiscano indennità per inconvenienti connessi al lavoro.

Partendo da questa norma di legge, il Tribunale ha accolto le richieste della ricorrente, nel senso di considerare nella base di calcolo anche le indennità per vacanze, elemento che fino ad allora nessuna cassa di compensazione aveva tenuto in linea di conto. Il Consiglio federale e la Seco, nella gestione della crisi pandemica, avevano infatti escluso questo aspetto dal calcolo delle indennità.

I giudici nel motivare la loro sentenza hanno sottolineato che la regola dell’art. 34 LADI non può essere modificata da una semplice ordinanza del Consiglio federale (di rango inferiore) o da direttive della Seco. Ne consegue che le indennità per lavoro ridotto vanno aumentate come sopra indicato.

Stando a quanto sopra le aziende possono pertanto chiedere un riesame del calcolo per le indennità di loro spettanza. Considerato che l’ultima parola spetterà al Tribunale federale, d’intesa con l’Unione svizzera degli imprenditori, è stato suggerito alle aziende di presentare una richiesta di riconteggio delle indennità e di sospendere contestualmente, in attesa di una decisione definitiva, la stessa procedura di riesame (cfr. newsletter Cc-Ti del 16 aprile 2021).

Elevator Pitch

Sono conosciute differenti ipotesi di origine di questa forma di comunicazione nel business. Una storia comunemente nota è quella di Ilene Rosenzweig e Michael Caruso, due ex giornalisti negli anni ’90. Secondo Rosenzweig, Caruso era un redattore senior di Vanity Fair e stava continuamente tentando di fasi notare dal redattore capo della sua rivista e l’unico modo che alla fine escogitò fu quello di provare a parlarle approfittando anche di brevi periodi liberi di tempo, come in un giro in ascensore.

Prende il nome dal tempo necessario per comunicare, la durata di una breve corsa in ascensore (da 30 a 60 secondi o 75 circa)

L’Elevator pitch è infatti un discorso che una persona farebbe a un investitore, per esempio, se si trovasse per caso con lui in ascensore. L’imprenditore, quindi, si troverebbe costretto a descrivere sé o la propria attività sinteticamente, chiaramente ed efficacemente per convincere l’altro ad investire su di lui, ma con i limiti di tempo imposti da una corsa in ascensore (la letteratura specialistica al riguardo fissa tale limite massimo di 5 minuti).

Si tratta di una vera competenza

Sviluppare questo tipo di competenza è sicuramente basilare e richiede una grande dedizione e tanto tanto allenamento. Si può parlare di elevator pitch sia se viene fatto durante un evento fisico, che in modalità asincrona (un’e-mail o un video).

Esistono varie tipologie di elevator pitch a seconda della durata oppure del target a cui è rivolto (consumatori, imprenditori, superiori o colleghi, …). Normalmente viene calcolato “un pitch” della durata dai 30 ai 120 secondi.

Descrive l’idea per cui una persona dev’essere in grado di presentare il proprio pensiero nel tempo di una corsa, reale o immaginaria, in ascensore.

Un breve, utile e accattivante riassunto… A volte si pensa che i pitch degli ascensori siano specifici per un’idea o un prodotto, ma si possono anche usarli per “promuoversi” come professionisti.

I professionisti dovrebbero avere sempre a disposizione un discorso accattivante in grado di fornire informazioni su sé stessi o su di un proprio progetto, che possano fornire in un breve periodo di tempo. Invece di aspettare che l’altra parte diriga la conversazione e, potenzialmente, lontano da ciò di cui si vorrebbe discutere, si può spiegare in modo assertivo ciò che si ha da offrire.

È da considerarsi come un documento da aggiornare costantemente e “sfoderare” ad ogni buona occasione, che sappia “dare valore” ad ogni vostra singola parola.

Viene valutato come un’intraprendenza positiva

Un vantaggio nell’usare questo approccio quando parlate della vostra carriera o delle vostre aspirazioni è che potete dimostrare di essere in grado di prendere l’iniziativa. In molte interazioni, come un colloquio di lavoro, questo può essere impressionante per il vostro pubblico: sarà lieto di vedere che sapete sia cosa volete, sia come chiederlo.

Essere in grado di presentarvi a qualcuno in modo convincente, può aiutarvi a prepararvi per una conversazione professionale di successo, sia che si tratti di un evento di networking, con un collega o all’inizio di un colloquio. Uno strumento per rendere le informazioni da comunicare semplici ed efficaci.

Dallo schermo del telefono al colloquio di persona, vi verrà chiesto di fornire un riepilogo di chi siete, della vostra formazione e di ciò che desiderate dal prossimo lavoro. Questa sintesi “mentale” può essere una buona struttura mentre state pianificando la vostra risposta alla popolare domanda “parlami di te”.

Allo stesso modo può essere utilizzata per delineare la vostra lettera di presentazione o una dichiarazione riassuntiva professionale o, ancora, un’offerta di collaborazione azienda/azienda. Una dichiarazione di sintesi deve avere lo scopo di raccontare al lettore chi siete professionalmente, quale lavoro vi appassiona e perché siete qualificati per farlo, in un modo che vi aiuti a distinguervi dagli altri.

Quali passi sono alla base

Una presentazione personale è utile anche per il networking a un evento o durante un incontro spontaneo. Che voi siate in fila al supermercato, a un cocktail party o a un incontro professionale organizzato, la presentazione può aiutare rapidamente i nuovi contatti a capire perché dovrebbero connettersi con voi o considerarvi quando si presenta un’opportunità.

1. Iniziate presentandovi (i primi 10 secondi sono importantissimi). Assegnate delle priorità ai vostri contenuti

2. Fornite un riepilogo di ciò che fate o rappresentate. Siate preparati e attenti a rispondere alle molte domande che vi faranno, probabilmente quelle sono le cose che vogliono sentirsi dire

3. Spiegate cosa volete (create pitch di diversa durata 30 secondi, 60 secondi, 120 secondi in modo da essere sempre pronti ad affrontare ogni imprevisto)

4. Terminate con un invito all’azione (“Ha tempo per prendere un caffè? Ci possiamo sentire per un fissare un incontro? Le posso inviare una mail? …) Non dimenticate il vostro biglietto da visita.

Errori comuni

Parlate in modo naturale
Suonare troppo preparato può rendere la conversazione forzata, quindi fate del vostro meglio per esprimervi con un tono colloquiale.

Rallenta
Se parlaste troppo velocemente, l’ascoltatore potrebbe perdere alcune informazioni importanti. Potrebbe essere la vostra tendenza naturale a parlare velocemente o potrebbe verificarsi se vi sentite nervosi. Indipendentemente da ciò, fate uno sforzo consapevole per ridurre la velocità e incorporare questa strategia quando provate il vostro tono.

Usa un tono per la maggior parte (ma non tutte) le occasioni
Potrebbe non essere necessario personalizzare la vostra presentazione per tanti diversi tipi di pubblico. È una buona idea avere una presentazione generale che potete usare in qualsiasi momento, ma dovreste provare ad adattare la vostra presentazione ogni volta che potete. Più le vostre idee sono personalizzate, più è probabile che voi otteniate un risultato positivo dalla conversazione. Mostrate il vostro profondo interesse e rispetto per il tempo dell’ascoltatore.

Facile da capire
Usate un linguaggio semplice che tutto il pubblico possa capire. Ad esempio, se includete un gergo tecnico e termini specifici del settore che solo qualcuno conoscerebbe, potreste alienare un reclutatore, o chiunque altro, che non ha lo stesso livello di conoscenza. Questo può rendere difficile per loro farvi domande di follow-up e potrebbe renderli meno propensi a continuare la conversazione con voi. Salva termini di nicchia per un colloquio tecnico e rendete il vostro discorso facile da seguire per tutti.

In una realtà che corre sempre più veloce e non concede tempo, questo può essere un modo per usare il vostro tempo nel modo più opportuno, senza sprecarne neppure 30, 60,120 secondi.

Focus su una nuova mobilità

L’impegno delle imprese per supportare la mobilità è accertato. Sono infatti numerose le attività delle aziende del territorio volte a favorire gli spostamenti per i tragitti ‘casa-lavoro-casa’ dei propri dipendenti, con proposte aziendali strutturate e concrete. La gestione della mobilità è fondamentale per stare al passo con l’evoluzione sociale ed economica del nostro Cantone.

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Nel corso dell’ultimo lustro si sono moltiplicate azioni atte a conciliare trasporto, viabilità e vivibilità del territorio, con misure e incentivi privati e pubblici; favorendo la nascita di una consapevolezza che non vede più il binomio ‘traffico & ambiente’ come antitetico.

Fra i modelli di mobilità sostenibile vi sono proposte, per esempio, quali il car pooling, il car sharing, le navette aziendali, i park&ride spari per il territorio, ecc…

Possiamo anche citare – quale esempio – la “Centrale della mobilità” (nata una decina d’anni fa quale alternativa alle soluzioni di mobilità per il percorso casa-lavoro) che da tempo con consulenze e supporto, identifica le misure più adatte in ambito di mobilità per ogni azienda e svolge l’accompagnamento alla realizzazione delle stesse. L’attività spazia su tutto il territorio cantonale. In una decina d’anni sono state create 9’386’889 itinerari di viaggio e mezzi alternativi fra trasporto pubblico, bici, car pooling e navette aziendali.

Promuovere una mobilità aziendale con servizi di supporto alle imprese per sostenerle nella ricerca di migliori soluzioni mirate, creando sinergie e la potenziata offerta di trasporto presente sul territorio. Puntare ad una mobilità sempre più sostenibile nell’ottica di una visione d’insieme dove cooperano all’ottimizzazione della situazione più attori in modo responsabile e concertato. Come? Il sistema economico da un lato e lo Stato dall’altro. Unitamente ai Comuni e ai cittadini. Ognuno deve dare il proprio contributo in un contesto di sforzo coordinato, altrimenti le soluzioni che si possono trovare e che funzionanti in determinate realtà possono risultare incomplete, parziali o inadeguate in altre.

Analizzando diversi vettori per soluzioni combinate, si prospetta oggi uno scenario interessante che vede numerose alternative valide al ‘solo’ trasporto motorizzato, con l’entrata in funzione di AlpTransit e della galleria di base del Ceneri in modo completo ad inizio aprile 2021.

Tema complesso che necessita un approccio differenziato, concertato e innovativo, che approfondiremo con diverse riflessioni nel corso dei prossimi mesi.

Tips di ‘business etiquette’

Il giro per il mondo… per quando torneremo a viaggiare e ad interfacciarci in modo “reale” e non virtuale.

Organizzeremo viaggi d’affari e accoglieremo delegazioni provenienti da Paesi stranieri. Come comportarci?

Cina

Nei contatti di business è importante arrivare puntuale agli incontri, il ritardo potrebbe essere percepito come estremamente irrispettoso. Salutare in cinese prima di iniziare la discussione è sempre apprezzato. È consigliato, inoltre, limitarsi a salutare verbalmente, invece di stringere la mano. Abbracciarsi o baciarsi non è comune in Cina, è sufficiente un leggero cenno col capo.

Giappone

Referenti e vertici dell’azienda devono essere convinti fino in fondo della fattibilità dell’operazioni, per questo occorrono anche diversi incontri.
Nelle riunioni non bisogna sedersi in un posto qualsiasi.
Il posto che sarà assegnato è determinato in base alla posizione nella gerarchia aziendale, è tradizione mettere il “leader” alla testa del tavolo. Se siete ospite sarete guidato fino al vostro posto. Durante la riunione verranno offerte delle bevande rinfrescanti non alcoliche. Verranno proposte ai superiori prima che ai sottoposti. Non bisogna iniziare a bere prima che del “leader” designato.

Turchia

È importante evitare di essere informali, anche se si sta sviluppando un rapporto personale. Gli incontri iniziali non si concludono quasi mai con delle decisioni, ma servono per conoscersi e discutere. Non cercare quindi di limitare la discussione solo agli affari, ma aspettarsi anche alcune domande personali.
Ci si saluta con una stratta di mano tra uomini, mentre bisogna attendere che le donne tendano la mano prima di porgere la propria.

Grecia

Considerare l’importanza della società: le famiglie e gli anziani rivestono un ruolo determinante nelle gerarchie sociali. Se la puntualità non è caratteristica della cultura greca, ci si aspetta dagli stranieri che siano in perfetto orario, anche se la controparte greca potrebbe avere un ritardo.

In America Latina

È consuetudine allacciare una relazione personale prima di entrare in affari. Durante le riunioni è possibile che si parli della famiglia e di altri aspetti personali. Le small talks hanno lo scopo di conoscere il partner commerciale, farsi un’idea preliminare della persona con la quale si intende intraprendere i propri affari e costruire, possibilmente, prima un rapporto di fiducia.

La tua immagine dice chi sei

La ‘business etiquette’ ai tempi della digitalizzazione. Videochiamate, video conferenze, corsi di formazione online e webinar, la presenza ‘fisica’ diventa virtuale. Come pure la nostra immagine, perché ci si confronta via Zoom, Teams, Skype, e ci si vede ‘solo’ in video. Esistono regole da seguire? Ci si affida ‘solo’ al buon senso? Come evitare di fare una brutta impressione?

Dinamiche mutate

Con il COVID-19 e le limitazioni dovute agli spostamenti, si è registrata un’accelerazione di meeting e assunzioni aziendali con colloqui virtuali. Un recente studio della piattaforma di recruiting online Monster – che ha coinvolto 3’100 selezionatori e oltre 7’000 dipendenti nel mondo con un focus su USA e Regno Unito – ha confermato l’incremento di queste modalità di selezione nelle risorse umane, dichiarando che almeno la metà delle assunzioni e degli inserimenti in azienda avviene ormai in maniera virtuale.

Un caso concreto

Durante un webinar la moderatrice media la sessione delle domande fra diversi partecipanti. Nello specifico una partecipante (età media, professionista nel suo ambito) si distingue dagli altri per l’ostentata sicurezza e insolenza con cui risponde ai quesiti, risultando quindi molto poco empatica.
Da dove deriva quest’impressione? Si può davvero percepire in modo così tangibile? Contrariamente a quanto si può pensare, non si tratta dei contenuti delle risposte né dalle parole usate, ma dalla mimica e dalla comunicazione non verbale, che lasciano intendere una certa noia e saccenza. Il suo messaggio è chiaro: “so già tutto… questa è una perdita di tempo… sono qui perché ho dovuto… mi annoio”.

Questione di distanze

Il malumore di un partecipante o di un relatore ad una sessione in videoconferenza risalta subito all’occhio, nel vero senso del termine.
Normalmente, durante un evento la distanza fisica tra i partecipanti e i relatori varia da cinque a dieci metri circa. Questo spazio protegge e garantisce, in un certo senso, un “anonimato”: se si dovesse manifestare in un’occhiataccia o un momento di noia, molto probabilmente passerebbe inosservata.
Nel mondo virtuale questa distanza viene praticamente annullata, perché non ci si può nascondere, se non disattivando manifestamente la videocamera e/o silenziando il microfono (opzione questa non sempre possibile), ed è come se ogni partecipante partecipasse a tutto ciò che accade da una distanza di 20 cm. Ma c’è di più: la tecnologia e gli ingrandimenti dello schermo possibili, sempre più performanti, ci sono “nemici” perché evidenziano ancora di più incertezze, dubbi e dissensi.

L’importanza della comunicazione non verbale

Nell’ambito della comunicazione possiamo riconoscere ed approfondire alcuni aspetti che la completano e la caratterizzano: il linguaggio del corpo, le microespressioni, la prossemica, la cinesica, il contatto visivo, …
Nell’era della digitalizzazione e con l’avvento del crescente numero di videconferenze alcuni di questi aspetti vengono amplificati.

Ci siamo mai fermati a riflettere su cosa comunichiamo? Non a livello verbale, ma con i nostri gesti, le nostre emozioni, le espressioni del nostro volto. Chi interagisce con noi riceve due segnali: il primo è quello verbale che porta il messaggio della nostra comunicazione, il secondo conferma, sottolinea, smentisce, evidenzia, ecc. ciò che diciamo a parole, e lo fa con tutta una serie di “piccolezze” insite nel nostro modo di essere: come ci muoviamo, come ci esprimiamo, le nostre espressioni ed emozioni, ecc.. A livello professionale, nello studio, l’approfondimento di alcuni di questi parametri può essere un valido supporto nella “decodifica” dei messaggi che l’interlocutore che abbiamo dinanzi ci sta inviando. Così facendo possiamo essere agevolati nella lettura e, ad esempio, nella trattativa o negoziazione di un accordo, in un colloquio di assunzione, durante un evento, in una compravendita, e così via.

Già Charles Darwin, ideatore della teoria dell’evoluzione, ha approfondito le sue intuizioni sull’origine delle specie nel trattato “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali”, sostenendo, nel 1872, che le espressioni facciali avessero la ragione evoluzionistica di aiutare gli altri ad adattarsi all’ambiente circostante.

Da allora la ricerca scientifica in quest’ambito è proseguita, concentrandosi sulle emozioni e la loro espressione, con strumenti di analisi e decodifica sempre più precisi.
In questo senso anche le videoconferenze non fanno eccezione, anche se possiamo decodificare “solo” alcuni aspetti della comunicazione non verbale e non la totalità.

Una «business etiquette» per l’era digitale

Se dovessimo delineare una sorta di ‘vademecum’ di cui tener conto per delle video call (sia che si tratti di webinar, di riunioni o di colloqui) fluenti ed efficienti, ecco a cosa occorrerebbe prestare attenzione:

  • Preparazione: sia che si tratti di un colloquio o di una riunione, il virtuale esige un’attenta preparazione per non dilungare eccessivamente i tempi di svolgimento.
  • Prove di connessione: familiarizzare in anticipo con gli strumenti virtuali permette di non arrivare impreparati ed essere colti alla sprovvista in caso di problemi tecnici.
  • Normalmente tutti dovrebbero connettersi in video, vedere il proprio interlocutore e farsi vedere è molto importante per permettere una corretta connessione non verbale, avendo l’accortezza di silenziare il microfono quando non è il loro turno di parlare.
  • È richiesta una maggiore concentrazione per le riunioni online: il nostro sguardo deve mantenersi attivo verso lo schermo, così da “connettersi” con gli altri partecipanti.
  • Puntualità nella connessione: chi non ha mai vissuto i 3-5 minuti di silenzio ‘imbarazzante’ aspettando che tutti si connettessero?
  • Ambiente professionale: anche se siamo in smartworking un minimo di rigore è richiesto. Evitiamo disordine nell’ambiente circostante, rumori, sfondi non pertinenti, altre persone nella stanza. Attenzione alla luminosità, per non risultare in un video troppo buio o eccessivamente chiaro.
    Lo stesso discorso vale per l’abbigliamento, che deve essere adeguato, la scelta deve essere uguale a quella che avreste adottato in presenza.

 Strumenti utili

Ribattezzate ‘soft skills’, sono quelle abilità cognitive, relazionali e comunicative che permettono all’individuo di interagire al meglio con gli altri. Fra queste, nel contesto di questo articolo, possiamo citare la «learning agility», ossia la capacità che permette alle persone di affrontare situazioni nuove o impreviste, di imparare a utilizzare nuovi strumenti, affinare e sviluppare le proprie competenze con modalità diverse da quelle apprese sino a questo momento.

Una competenza che vale la pena, senza dubbio, di allenare.