Tariffa doganale: adeguamento in vigore dal 1.1.2022

Il 1° gennaio 2022, l’Organizzazione Mondiale delle Dogane (OMD) implementerà la settima edizione del suo Sistema Armonizzato (SA), apportando importanti cambiamenti alle voci di tariffa di molti prodotti.

Il Sistema Armonizzato (SA) è stato sviluppato e introdotto dall’Organizzazione mondiale delle dogane (OMD) per identificare in maniera uniforme e a livello internazionale le diverse tipologie di prodotto. Esso comprende più di 5’000 gruppi di merci; ognuno identificato da un codice a sei cifre, organizzato in una struttura logica e supportato da regole ben definite per ottenerne una classificazione uniforme. Tale codice viene comunemente chiamato “voce doganale” (o “HS code” in inglese). I singoli Paesi possono adottare ulteriori e più specifiche suddivisioni (8-12 cifre) nelle loro tariffe nazionali.

Il sistema è usato da più di 200 Paesi ed economie come base per le loro tariffe doganali, per le statistiche sul commercio internazionale nonché per gli accordi commerciali. Oltre il 98% delle merci nel commercio internazionale è classificato in termini di SA e, per restare al passo con gli sviluppi tecnologici, l’OMD aggiorna tale sistema ogni 5-6 anni. Gli Stati membri dell’OMD devono trasporre questi cambiamenti nella loro legislazione nazionale. L’attuale SA è del 2017 e l’ultima revisione del SA entrerà in vigore il 1° gennaio 2022. In Svizzera, il Consiglio federale ha dato il via libera nel giugno 2021 agli adeguamenti necessari nella tariffa nazionale (Tares).

Quest’ultima revisione risulta particolarmente critica, poiché l’OMD ha apportato ben 351 emendamenti al SA, tra cui: l’introduzione della classificazione dei rifiuti elettrici ed elettronici (e-waste), dei nuovi prodotti a base di tabacco e nicotina (sigarette elettroniche), dei veicoli aerei senza equipaggio (UAV – ovvero i droni), degli smartphone, delle stampanti 3-D (produzione additiva) e dei pannelli per schermi piatti. Vi sono, tra gli altri, anche cambiamenti per quanto riguarda i prodotti chimici (tra cui i placebo e i kit diagnostici nonché merci controllate da varie convenzioni), le fibre di vetro e le macchine per la lavorazione dei metalli. Molte nuove sottovoci sono state create per i beni a duplice impiego che potrebbero essere impiegati per un uso non autorizzato, come i materiali radioattivi e gli armadietti di sicurezza biologica, così come per gli articoli necessari per la costruzione di dispositivi esplosivi improvvisati, quali i detonatori. Gli emendamenti al SA non si limitano solo a creare nuove disposizioni specifiche per varie merci, ma includono anche spiegazioni volte ad assicurare un’applicazione uniforme della nomenclatura.

Per preparare le imprese ad applicare i cambiamenti del Sistema armonizzato in vigore dal 1° gennaio 2022, l’OMD in collaborazione con l’Organizzazione mondiale del commercio (OMD) ha messo a punto l’HS tracker, un motore di ricerca in grado di mostrare le modifiche intervenute e le motivazioni sottese all’aggiornamento. In Svizzera, l’Amministrazione federale delle dogane (AFD) ha pubblicato le modifiche sul suo sito web, compresa la “lista di concordanza” che illustra i numeri di tariffa interessati dalla revisione. Il Tares sarà aggiornato di conseguenza il 1° gennaio 2022.

L’importanza della voce di tariffa doganale e della sua corretta applicazione è spesso sottovalutata, sebbene sia una componente centrale di ogni processo di importazione ed esportazione. Ogni voce non solo determina l’importo dei dazi doganali e degli oneri doganali, ma anche gli eventuali obblighi di autorizzazioni (controllo delle esportazioni). La voce di tariffa ha inoltre un ruolo decisivo anche per determinare quale regola d’origine e della lista si applica per un determinato accordo di libero scambio. In virtù di quanto sopra esposto, le aziende sono chiamate ad agire tempestivamente e a verificare l’accuratezza delle voci doganali utilizzate per i loro prodotti per evitare ritardi nelle spedizioni e di incorrere in eventuali sanzioni.

Si ricorda infine che, in caso di dubbi, l’AFD rilascia informazioni tariffali vincolanti su richiesta. Le domande di classificazione devono essere inoltrate tramite e-mail utilizzando il questionario “40.10 Domanda di classificazione” disponibile sul sito web della stessa AFD.

Contratti collettivi per tutti?

Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.

I contratti collettivi di lavoro (CCL) rappresentano uno degli strumenti con cui le parti sociali, a volte, strutturano i reciproci rapporti e quelli tra aziende e lavoratori. È una possibilità esplicitamente prevista dal Codice delle obbligazioni. Infatti, l’art. 356 CO recita: “Mediante contratto collettivo di lavoro, datori di lavoro o loro associazioni, da una parte, e associazioni di lavoratori, dall’altra, stabiliscono in comune disposizioni circa la stipulazione, il contenuto e la fine dei rapporti individuali di lavoro tra i datori di lavoro e i lavoratori interessati”.

Già da questa definizione si evince che non tutti possono validamente sottoscrivere un CCL. In effetti la legge stabilisce che le parti ad un CCL possono essere i datori di lavoro o le loro associazioni da un lato, e le associazioni di lavoratori dall’altro lato, i sindacati per intenderci. Quindi affinché si possa parlare di CCL, il medesimo deve essere sottoscritto da un sindacato, non dai lavoratori medesimi. Questa condizione pone un importante quesito: chi sono le associazioni di lavoratori e come vengono definite?

Si tratta di una questione certamente rilevante in quanto senza un sindacato validamente riconosciuto non può essere firmato alcun CCL.

Ora, la dottrina e la giurisprudenza hanno affrontato il tema e formulato diversi criteri che permettono di valutare se un sindacato deve essere riconosciuto come parte sociale al fine di partecipare a negoziati collettivi volti a concludere un CCL. Eccone alcuni.


Innanzitutto, il sindacato deve essere sufficientemente rappresentativo. Ciò significa che l’organizzazione deve perlomeno essere il portavoce di una minoranza di lavoratori e non di semplici individui isolati. La giurisprudenza non ha fissato soglie quantitative minime generalmente applicabili. Al riguardo è stato però precisato che un sindacato non deve rappresentare per forza un’importante minoranza di lavoratori di una singola azienda soprattutto se gode di una rappresentatività sufficiente a livello cantonale e/o federale. Oltre ad essere rappresentativo un sindacato deve essere indipendente, nel senso di tutelare liberamente i lavoratori rappresentati nei confronti del datore di lavoro, e leale. Tale condizione di lealtà implica che il sindacato sia disposto a rispettare tutti gli impegni derivanti dal CCL e, in generale, sia un partner sociale degno di fiducia nel dialogo tra le parti. È già stato stabilito che un sindacato non può essere considerato sleale solo perché si trova in lite con alcuni dei suoi affiliati, non avendo tali controversie nessuna rilevanza per il comportamento dell’organizzazione quale parte sociale.

Essendo la rappresentatività, l’indipendenza e la lealtà, principi giuridici indeterminati essi vanno applicati e concretizzati ogni volta sulla base delle singole fattispecie, tenendo conto di tutte le peculiarità del caso.

Supply chain tra collaborazioni esistenti e diversificazione

Già prima della pandemia, le guerre commerciali in atto stavano mostrando i limiti delle filiere impostate sull’utilizzo di materie prime e semilavorati provenienti esclusivamente da alcuni Paesi, la Cina in particolare, e si iniziavano a intravvedere spostamenti di produzioni a basso costo.

Le interruzioni delle forniture causate dall’emergenza Covid e la ricerca simultanea di soluzioni alternative da parte di tutte le aziende hanno poi generato sui mercati turbolenze che non si vedevano da decenni, mettendo ulteriormente in risalto non solo la grande fragilità delle supply chain ma anche le debolezze del modello just in time (metodo Toyota), volto all’abbattimento dei costi di stoccaggio e alla riduzione del rischio di obsolescenza dei prodotti.

Oggi le supply chain stanno guardando sempre più oltre la Cina. Si parla di tendenze al reshoring e nearshoring: la prima soluzione potrebbe funzionare per i prodotti con un processo di produzione altamente automatizzato, mentre la seconda può portare a tempi di consegna più brevi e a costi di distribuzione inferiori rispetto alle spedizioni dall’Asia.
Vi sono però anche altre opzioni, forse più realistiche: quella del mantenimento dei fornitori attuali rivalutandone la collaborazione e, al suo opposto, quella della diversificazione dei fornitori, postando alcune linee di prodotti dalla Cina verso altri Paesi asiatici. Nel primo caso, per una migliore gestione dell’approvvigionamento, può essere vantaggioso stringere relazioni più strette con i propri fornitori, rivedendo i termini della cooperazione, rinegoziando i minimi oppure valutando forme più costruttive di cooperazione, favorendo ad esempio l’innovazione e collaborando allo sviluppo di nuovi prodotti. Tutto ciò richiede un cambiamento di mentalità, stabilire delle priorità, ma soprattutto approfondire la conoscenza reciproca nonché migliorare e incrementare la comunicazione. In sostanza adottare un nuovo modus operandi.

Nel secondo caso, complici sia la guerra commerciale con gli Stati Uniti, sia il piano “Made in China 2025”, ovvero le ambizioni e gli investimenti della “fabbrica del mondo” per diventare una potenza hi-tech, molte aziende stanno affrontando le sfide legate alla disponibilità di materie prime e alla logistica adottando l’approccio “China+1” di diversificazione della loro filiera produttiva istituendo ad esempio canali paralleli in altre azioni asiatiche. Se si pensa che entro il 2030 due terzi della classe media mondiale sarà basata in Asia, questo da solo rimette in discussione il concetto a lungo sostenuto che il consumo avviene tipicamente in Occidente e la produzione in Oriente.
Restare in Asia con la produzione, ovvero vicino al più grande bacino di consumatori, non appare quindi del tutto fuori luogo, purché vi sia però un’adeguata diversificazione geografica dei fornitori.

Grazie a politiche a favore dello sviluppo del settore manifatturiero, incentivi fiscali per investitori esteri e investimenti in infrastrutture, diversi mercati emergenti asiatici stanno cogliendo questa finestra di opportunità e, complice anche una specializzazione settoriale che si sta venendo a creare, presentano condizioni vantaggiose per gli investitori. È il caso di Vietnam e India, ad esempio. Nel sud-est asiatico, il Vietnam è una delle destinazioni più appetibili anche per le stesse aziende cinesi e questo già prima della pandemia. Certo, in ambito infrastrutturale, il Paese è molto indietro rispetto alla Cina, ma il piano generale del Ministero dei trasporti per il 2030 relativo alle infrastrutture è ambizioso. Il Paese dispone inoltre di manodopera qualificata nei settori a maggior valore aggiunto ed è in grado di assorbire parte della produzione cinese in settori mirati, quali ad esempio l’elettronica o il tessile. Le riforme legislative attuate consentono agli stranieri di possedere proprietà e partecipazioni di maggioranza in aziende vietnamite.

Le aziende europee stanno già guardando al Paese con un occhio di riguardo, in gran parte grazie all’accordo di libero scambio entrato in vigore il 1° agosto 2020 (Svizzera/AELS sono invece ancora in fase negoziale) e alla partecipazione del Paese al Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), l’accordo economicocommerciale tra i 10 Paesi dell’ASEAN più Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, firmato il 15 novembre 2020 e finalizzato a superare le barriere commerciali in un’area in cui vive un terzo della popolazione mondiale e che rappresenta, da sola, il 30% del Pil globale. Spostandoci a ovest, nel sud dell’Asia è invece l’India a rappresentare un’opportunità per molte imprese grazie alla vasta dimensione del proprio mercato domestico, un costo del lavoro contenuto e un governo Modi che ha recentemente aperto la possibilità di investimenti diretti esteri al 100% in molti settori e che punta sullo sviluppo infrastrutturale.

Anche se i servizi continuano a ricoprire un ruolo primario nell’economia indiana e l’industria manifatturiera non è ancora riuscita ad esprimere il proprio potenziale, vi sono opportunità nell’elettronica, nella chimica e nella farmaceutica. Rispetto al Vietnam, fortemente dipendente dalla Cina in questo ambito, l’India ha inoltre una forte capacità di produzione di materie prime per varie industrie. Ad oggi è difficile capire come si ridisegneranno effettivamente le supply chain.

Le aziende attive a livello internazionale potrebbero però essere chiamate a compiere una scelta tra rafforzare le collaborazioni esistenti e diversificare.

Preparativi per una nuova Legge Brevetti svizzera

La Svizzera è uno dei Paesi più innovativi d’Europa, con il maggior numero di brevetti pro-capite. I brevetti svizzeri sono rilasciati dall’Istituto Federale della Proprietà Intellettuale (IPI) che, secondo la legge attuale, non ha il compito di valutare la novità e l’originalità dell’invenzione brevettata e pertanto svolge un esame prevalentemente formale.

La validità di un brevetto può essere decisa dal Tribunale Federale dei Brevetti ma ciò accade solo nei contenziosi. La proposta di revisione messa in consultazione nel mese di ottobre 2020 prevedeva un esame più accurato per le domande di brevetto d’invenzione e parallelamente l’istituzione di un nuovo titolo, denominato modello di utilità, rilasciato senza esame ma di durata decennale anziché ventennale. I brevetti per modello di utilità esistono in diversi Paesi, tra cui Germania e Italia.

Il 18 agosto 2021 il Consiglio Federale ha preso atto dei risultati della consultazione. È emerso il favore ad una modernizzazione della legge ma anche l’auspicio verso una soluzione flessibile, che non precluda l’ottenimento di un brevetto con esame solo formale, di durata ventennale. Considerata la consultazione, il Consiglio Federale ha introdotto alcune importanti modifiche alla proposta di revisione.

L’Istituto continuerà di regola a rilasciare i brevetti d’invenzione senza esaminare il merito tecnico, cioè i requisiti comunemente chiamati novità e attività inventiva. Si rinuncia così all’introduzione del modello di utilità. Tuttavia, chi fa domanda di un brevetto potrà ottenere, su richiesta, anche un esame approfondito dei requisiti di brevettabilità, cosa che oggi non è possibile. Inoltre, ogni domanda di brevetto sarà soggetta ad una ricerca di arte nota, che oggi è solo facoltativa. L’esito della ricerca sarà reso pubblico e comprenderà un elenco di documenti di arte nota significativi, rispetto ai quali il brevetto dovrebbe distinguersi per avere valida efficacia. Queste misure daranno maggiore certezza del diritto sui brevetti nazionali.

È anche prevista l’introduzione di una procedura di ricorso semplificata. Su ricorso, le decisioni dell’IPI dovranno essere riesaminate da un tribunale che, in prospettiva futura, sarà il Tribunale Federale dei Brevetti. Così modernizzato, il sistema nazionale si allinea a quello dei principali Paesi industrializzati e al brevetto europeo, rilasciato dopo esame da parte dell’Ufficio Europeo Brevetti di Monaco. È presumibile che la domanda di brevetto svizzero, esaminata dall’Istituto, avrà costi inferiori e procedure più snelle rispetto a quella europea, e risulterà pertanto conveniente, specialmente per le PMI con particolare focus sul territorio elvetico. Entro la fine del 2022, l’IPI preparerà un messaggio sulla revisione della legge per il Consiglio Federale.


L’intelligenza artificiale (IA) ottiene il riconoscimento di inventore

Stephen Thaler è l’ideatore di un sistema di IA noto come Dabus (dispositivo per l’avvio autonomo di esseri senzienti unificati). Dabus ha lo scopo di creare in autonomia nuove invenzioni. Alcune di queste invenzioni sono state sottoposte all’esame di svariati Uffici Brevetti, ai fini del riconoscimento del carattere innovativo ma anche -e più provocatoriamente- della legittimità di Dabus di essere riconosciuto inventore.

L’Ufficio Europeo Brevetti (UEB) ha rifiutato due domande di brevetto, nelle quali Dabus era stato indicato come unico inventore, sulla base del fatto che l’IA non ha diritti da esercitare, in quanto priva di personalità giuridica. La decisione è stata impugnata di fronte alla Corte d’appello dell’UEB ed è attualmente in attesa di verdetto. L’ufficio brevetti statunitense (USPTO) è giunto ad una conclusione simile. Tuttavia, la Corte distrettuale della Virginia, alla quale il signor Thaler ha fatto ricorso, ha concluso con termini possibilistici: “si potrebbe arrivare ad un momento in cui l’IA avrà raggiunto un livello di sofisticazione tale che sarà sostenibile identificarla con l’inventore, ma quel momento non è ancora arrivato”.

La Corte Federale Australiana ha preso una posizione nettamente contrastante con le precedenti. Ha constatato che la legge brevetti non prevede esplicitamente che l’inventore sia una persona fisica e perciò non vieta di attribuire il titolo di inventore all’IA. La decisione sarà probabilmente oggetto di dibattito poiché è auspicabile che vi sia uniformità nell’interpretazione della legge brevetti, anche a livello internazionale.

Nell’ambito del diritto d’autore, il Tribunale cinese del distretto di Shenzhen Nanshan si è pronunciato sulla protezione di un articolo giornalistico generato dal programma Dreamwriter, ritenendolo “creativo”, e riconoscendo all’ideatore del programma la titolarità dei diritti di sfruttamento economico dell’articolo. In questo modo si è inteso evitare lo sfruttamento indiscriminato dell’articolo, attribuendolo all’ideatore del programma, senza il quale l’articolo non esisterebbe.

Questo orientamento, però, non sarebbe applicabile alle opere generate in completa autonomia dall’IA – se mai possibili – dove mancherebbe un nesso causale tra soggetto umano e IA. C’è chi ritiene che, in mancanza di un nesso, l’opera sarebbe di dominio pubblico. La norma giuridica in generale, infatti, serve a regolare il comportamento tra soggetti umani, e dove manca un soggetto umano non vi sarebbe diritto.
Diventerebbe quindi determinante rilevare una connessione soggetto umano-IA, considerando la titolarità del soggetto umano sul programma o sui mezzi tecnici (hardware) che hanno consentito
all’IA di realizzare l’opera.

Al momento, l’ipotesi che l’IA sia completamente indipendentemente dalla supervisione umana è lontana. Tuttavia, è auspicabile trovare al più presto un quadro giuridico di riferimento, che prevenga frammentazione normativa, e volto a promuovere l’adozione dell’IA tramite regole comuni.


Articolo a cura di Stefano Sinigaglia, European Patent Attorney, M. Zardi & Co. SA

Quante materie consuma la Svizzera?

Ogni cittadino svizzero consuma 10 tonnellate di materiale all’anno. Se l’acciaio è quasi interamente riciclato, questa percentuale è inferiore al 10% per la plastica. Cosa possiamo fare individualmente per ridurre i nostri consumi?

Costruzioni, strade, combustibili, carburante: la Svizzera industriale utilizza enormi quantità di materie prime. Uno studio commissionato dall’Ufficio federale dell’ambiente (OFEV) stima questo consumo intorno alle dieci tonnellate pro capite all’anno, per un totale di 87 milioni di tonnellate l’equivalente di 8’700 Torri Eiffel. Quarantotto milioni di tonnellate vengono importati ogni anno e 56 milioni provengono dalla Svizzera. Quindici milioni di tonnellate provengono anche dal riciclaggio. Globalmente e provenienti da tutto il mondo arrivano in Svizzera 119 milioni di tonnellate di materie ogni anno, di cui 52 milioni rimangono in Svizzera sotto forma di infrastrutture e merci (scorte di merce).

In Svizzera, i 40 milioni di tonnellate di calcestruzzo utilizzate rappresentano circa la metà del consumo annuo di materie. Seguono gli agenti energetici (17%) sotto forma di combustibili e carburanti, così come l’elettricità (convertita in equivalente petrolio).
L’alimentazione umana è al terzo posto (10 %). Se questo alto consumo può a prima vista sorprendere, dimostra in modo impressionante ciò che la popolazione svizzera “metabolizza” ogni anno.
La ghiaia e anche la sabbia costituiscono una parte importante del consumo di materie prime (8%).

I 15 milioni di tonnellate che rientrano ogni anno nell’economia grazie al riciclaggio consistono principalmente in cemento, asfalto, sabbia, ghiaia e acciaio. Il tasso di riciclaggio dell’acciaio raggiunge il 96% e quello del calcestruzzo l’85%, contro il 40% per legno e carta e meno del 10% per la plastica.

L’economia circolare obbedisce ai principi economici. Il riciclaggio diminuisce dove mancano gli incentivi e l’azione pubblica o economica non colma questa lacuna. Metalli tecnici rari come indio, neodimio o tantalio sono quindi oggi in gran parte persi, perché riciclarli non è redditizio. Il riciclaggio di PET, batterie o gli apparecchi di illuminazione, per i quali esistono normative ufficiali, invece, funzionano relativamente bene.

Benzina e olio combustibile

Il quadro a volte è molto diverso se confrontiamo i flussi di materiale con il loro impatto ambientale. Alla luce delle emissioni di CO2, carburanti e combustibili vengono prima di tutto: costituiscono circa la metà delle emissioni della Svizzera, seguite dal cibo umano (18%). Il cemento è nettamente dietro (3%), non lontano dall’acciaio (5%). Il tessile (4,5%), i prodotti chimici di base (4,5%), l’elettronica e anche le batterie (3,3%) hanno una quota relativamente alta di emissioni di CO2 Se consideriamo tutte le esigenze di energia non rinnovabile, le fonti energetiche (elettricità, carburanti e combustibili) generano quasi i due terzi di emissioni totali. Materie plastiche, prodotti chimici di base e l’alimentazione umana contribuiscono dal 5 al 7%.

La quota a carico dell’alimentazione emerge ancora più chiaramente se prendiamo come base la totalità del carico ambientale: passa allora al29 % e si attesta praticamente allo stesso livello di carburanti, combustibili ed elettricità (che raggiungono in totale il 31%).
I metalli, l’elettronica e la chimica di base restano molto più indietro. Il confronto tra le emissioni dirette di CO2 e l’energia “grigia” contenuta nei materiali sono interessanti. Mentre che le prime provengono dal consumo di energia, le “emissioni grigie” risultano dalla produzione dei beni in cui sono praticamente incorporate. Sembra che la produzione delle merci utilizzate in Svizzera generi tante emissioni di gas serra quanto quelle del nostro consumo energetico. Quando rappresentiamo emissioni dirette ed emissioni grigie specifiche di determinate categorie di consumo, risulta che il settore alimentare costituisce la principale fonte di emissioni (18,6 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti). A ciò fa seguito il traffico di autovetture (15,6 milioni di tonnellate) e l’industria (13,4 milioni di tonnellate).


Cosa si può fare?


Come consumatori, possiamo influenzare il consumo di materie prime fino a certo punto. Tutti hanno la possibilità di modulare i consumi in modo più consapevole e ridurne l’uso. Ci sono, tuttavia, limiti evidenti: se ognuno può, in larga misura, decidere personalmente sul proprio consumo in termini di mobilità, alloggio, cibo o abbigliamento, il campo di azione è molto più circoscritto nel caso i progetti statali o del settore privato. Abbiamo quindi un’influenza limitata sugli investimenti pubblici nella costruzione di strade, nel settore sanitario o nella fornitura di energia. Difficilmente possiamo anche condizionare la modalità e il volume di produzione nel settore privato. Pertanto, anche uno stile di vita molto rispettoso dell’ambiente e molto sostenibile non permetterà mai di ridurre le emissioni di CO2 a zero, poiché tutti gli abitanti dipendono da infrastrutture comuni come strade, scuole e ospedali.
Dove situare quindi i limiti dell’influenza di un singolo abitante?

Per trovare le risposte a questa domanda, uno studio effettuato in Svizzera nel marzo 2021 da MDPI – un editore accademico indipendente situato a Basilea – intitolato “The Influence of Consumer Behavior on Climate Change: The Case of Switzerland”, ha distinto cinque gruppi di consumatori tipici che vanno da individui molto rispettosi dell’ambiente a coloro che ne sono totalmente insensibili. L’intensità dell’impatto diretto e indiretto sull’uso delle materie è stata determinata per ciascuna area di consumo. L’impatto è diretto quando è possibile decidere personalmente quello che consumiamo. È indiretto, invece, quando si può esercitare un’influenza solo attraverso il proprio comportamento durante i processi decisionali della politica. Sembra che
anche se tutte le persone residenti in Svizzera si comportassero come il gruppo più sensibile all’ambiente, le emissioni totali di CO2 diminuirebbero solo del 16%. Al contrario, aumenterebbero del 17% se tutti adottassero le abitudini del gruppo indagato dallo studio citato poc’anzi come meno rispettoso dell’ambiente. Lo studio conclude quindi che, senza una gestione da parte di una politica ambientale attiva, le emissioni di CO2 della Svizzera non possono essere ridotte abbastanza da poter garantire il rispetto degli impegni internazionali del Paese ed evitare la crisi climatica. Il mondo politico è invitato a raddoppiare gli sforzi per sviluppare l’economia circolare.


Fonte: La Vie économique 11.2021; adattamento Cc-Ti

Export di prodotti alimentari in Cina: nuove regolamentazioni dal 1.1.2022

L’Amministrazione generale delle dogane della Repubblica popolare cinese (General Administration of Customs of the People’s Republic of China, GACC) ha revisionato la normativa applicabile all’importazione dei prodotti alimentari in Cina e dal 1°gennaio 2022 l’esportazione di prodotti alimentari in Cina dovrà sottostare a nuovi requisiti.

Obbligo di registrazione

Il decreto GACC n. 248 estende l’obbligo a tutti i produttori esteri di derrate alimentari di ottenere l’approvazione all’esportazione da parte della GACC con apposita registrazione degli stabilimenti. Attualmente, solo i produttori esteri di alimenti a base di carne, di prodotti ittici, lattiero-caseari (inclusi gli alimenti per lattanti) e nidi di uccelli commestibili sottostanno a tale obbligo. In futuro, tuttavia, in mancanza di tale registrazione, anche i prodotti alimentari di altre categorie non potranno più essere importati in Cina.

Le modalità di registrazione variano a seconda della tipologia di prodotto esportato e del grado di rischio per la sicurezza alimentare e dei consumatori. Esse sono così riassunte:

  • Registrazione raccomandata dall’autorità competente del Paese di origine
    Dagli artt. 6-8 si evince che 18 categorie di alimenti presentano un alto rischio e sono pertanto soggette alla registrazione raccomandata da parte dell’autorità competente del Paese d’origine: carne e prodotti a base di carne, budelli edibili, prodotti ittici e dell’acquacoltura, prodotti lattiero-caseari, nidi di rondine e prodotti derivati, miele e prodotti dell’apicoltura, uova e ovoprodotti, grassi e oli commestibili, pasta ripiena, cereali commestibili, prodotti dell’industria molitoria e malto; verdure fresche e disidratate, legumi secchi, condimenti, noci e semi, frutta secca, chicchi di caffè non torrefatti e fave di cacao, e alimenti dietetici speciali e alimenti a fini salutari. L’autorità competente in Svizzera è l’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria (USAV). La registrazione degli stabilimenti stranieri registrati per le seguenti quattro categorie continua ad essere valida: carne e prodotti a base di carne, prodotti ittici e dell’acquacoltura, prodotti lattiero-caseari e nidi di rondine o prodotti derivati. Per (continuare ad) esportare in Cina i loro prodotti, le aziende delle categorie summenzionate e non ancora autorizzate così come le aziende che producono derrate alimentari delle altre categorie dovranno procedere alla registrazione per il tramite dell’USAV.

    Documentazione necessaria alla registrazione:
    • lettera di raccomandazione dell’autorità competente del Paese esportatore;
    • elenco dei produttori raccomandati e delle domande di registrazione dei produttori;
    • documenti che certificano l’identificazione del produttore, quali la licenza commerciale rilasciata dall’autorità competente del Paese esportatore;
    • dichiarazione che il produttore raccomandato dall’autorità competente del Paese esportatore è conforme ai requisiti di questi regolamenti;
    • relazioni di esami/ispezioni/revisioni condotte dall’autorità competente del Paese esportatore ai produttori interessati.
  • Registrazione effettuata in autonomia
    Secondo gli artt. 9-10 gli alimenti non compresi nelle 18 categorie sopra elencate (una verifica può essere effettuata direttamente a sistema utilizzando la voce di tariffa doganale cinese del prodotto) presentano un livello di rischio inferiore e pertanto la registrazione può essere effettuata in autonomia dal produttore stesso o per il tramite del suo partner cinese o di un agente incaricato tramite il China Import Food Enterprise Registration System (CIFER system).

    Documentazione necessaria alla registrazione:
    • domanda di registrazione del produttore
    • documenti che certificano l’identificazione del produttore, quali la licenza commerciale rilasciata dall’autorità competente del Paese esportatore;
    • dichiarazione del produttore che conferma di rispettare i requisiti del regolamento in oggetto;

La domanda di registrazione del produttore deve contenere le seguenti informazioni: nome del produttore, Paese esportatore in cui il produttore è ubicato, indirizzo del sito di produzione, rappresentante legale, persona di contatto, coordinate, numero di registrazione approvato dall’autorità competente del Paese esportatore di residenza, tipo di alimento da registrare, tipo di produzione, capacità di produzione, ecc..

Qualora le informazioni relative al produttore subiscano dei cambiamenti durante il periodo di validità del certificato, il produttore è tenuto a presentare una domanda di modifica alla GACC utilizzando la stessa procedura. In caso di cambiamenti dello stabilimento di produzione, del rappresentante legale o del numero di registrazione nel suo Paese d’origine, il produttore dovrà effettuare una nuova registrazione, che invaliderà la precedente.

La validità del certificato di registrazione è di 5 anni, sarà tuttavia la stessa GACC a fornire indicazioni in merito all’inizio e alla fine del periodo di validità. Per il rinnovo del certificato di registrazione, la richiesta dovrà essere presentata tra i 3 e i 6 mesi prima della scadenza.

Infine, gli stabilimenti registrati all’estero devono includere il numero di registrazione GACC o il numero di registrazione approvato dall’autorità competente del Paese esportatore sia sull’imballaggio interno sia su quello esterno dei prodotti alimentari esportati in Cina.

Le aziende estere che hanno ottenuto il numero di registrazione GACC sono visionabili qui: 进口食品境外生产企业注册信息 (singlewindow.cn)

Etichettatura

Il decreto GACC n. 249 (traduzione non ufficiale) prevede, tra gli altri, nuovi requisiti per quanto riguarda l’imballaggio e l’etichettatura degli alimenti importati (sull’etichetta dovrà figurare il numero di registrazione GACC) e l’istituzione da parte dei produttori esteri di un sistema di controllo della sicurezza alimentare e dei servizi igienico-sanitari nonché di un sistema di valutazione dei fornitori. Requisiti più dettagliati (art. 30) sono stati introdotti per prodotti quali carne surgelata e prodotti ittici, i quali devono riportare l’etichetta in lingua cinese e inglese oppure cinese e lingua madre del Paese esportatore con le necessarie informazioni richieste. La gamma di alimenti che richiedono l’etichettatura cinese stampata sulle confezioni di vendita (e non apposta in formato adesivo) è stata inoltre ampliata.


Disclaimer: le informazioni fornite in questo documento hanno scopo puramente informativo.

Il mercato del lavoro del futuro

Il mercato del lavoro elvetico è in continua evoluzione e molteplici sono i cambiamenti in atto (condizionati anche dal COVID-1, da nuove dinamiche comunicative, dall’incalzare dello smart working, ecc.). Quali sono le conseguenze di queste trasformazioni? La carenza di manodopera qualificata lamentata dalle aziende è un fenomeno diffuso uniformemente in tutta la Svizzera o il Ticino si trova, per esempio, in una posizione diversa? È possibile pensare a delle proposte di soluzioni per questa situazione? Quali sono attualmente le figure professionali più ricercate nel nostro territorio?

Abbiamo risposto a questi e altri quesiti nel webinar del 29 novembre scorso, organizzato dalla Cc-Ti, nel quale sono intervenuti, presentando i risultati di due studi condotti a livello internazionale e nazionale, Aldo Camuso, Regional Manager The Adecco Group Switzerland; Annalisa Job, VP Marketing and Communication The Adecco Group Switzerland; e Silvia Tosetti, Branch Director Adecco Human Resources SA; introdotti da Lisa Pantini, Responsabile Relazioni con i soci Cc-Ti.

Il mercato del lavoro è in perenne sviluppo: alcune professioni stanno cambiando, altre scomparendo, varie invece stanno nascendo.
In Svizzera, si prevede che entro il 2030 grazie alla digitalizzazione verranno creati nuovi posti di lavoro (con una quota circa del 20%), della stessa percentuale saranno però quelli che, sempre a causa dell’avvento dell’economia digitale, svaniranno.
L’invecchiamento della popolazione porterà, a sua volta, ad una riduzione di approssimativamente 500’000 persone professionalmente attive, provocando inevitabilmente una sempre maggiore carenza di competenze specifiche.

Gli studi presentati – e svolti recentemente in collaborazione con l’Università di Zurigo – hanno avuto lo scopo di identificare i cambiamenti negli atteggiamenti dei lavoratori durante il periodo pandemico e l’impatto che questo ha avuto per le aziende. Ad essere intervistate sono state 1’000 persone per 8 diversi Paesi (8’000 in totale) di età compresa tra i 18 e i 60 anni. I criteri richiesti per poter partecipare alla ricerca sono stati quelli di svolgere una professione d’ufficio, essere impiegati almeno 20 ore la settimana e aver riscontrato delle ripercussioni nella propria quotidianità lavorativa in seguito alla diffusione del Coronavirus.
I risultati ottenuti evidenziano come il 49% degli impiegati predilige l’home office, fatta eccezione per la categoria dei giovani che preferisce ampiamente la presenza in ufficio. Le aspettative espresse dagli intervistati sono state una maggiore diffusione di modelli di lavoro flessibile, l’abolizione dell’orario fisso, una formazione specifica sul digitale e una particolare attenzione verso l’intelligenza emotiva.
8 persone su 10 hanno dichiarato di essere ben organizzate nell’assolvimento da casa delle proprie mansioni senza riscontrare significative perdite di produttività ma anzi, riuscendo a svolgere la medesima mole di lavoro in meno di 40 ore settimanali.
Riguardo all’attuale e sempre più diffuso tema della salute mentale, 3 intervistati su 10 hanno ammesso che il proprio benessere psicologico è generalmente peggiorato negli ultimi 12 mesi.

Una seconda indagine, svolta con l’istituto di sociologia dell’Università di Zurigo tramite il Job Market Monitor Svizzera (SMM), indagava la questione della carenza di competenze professionali (si intende, ossia, che la domanda di lavoratori è al momento maggiore dell’offerta in determinati gruppi professionali).

Questa dinamica si ritrova sia in Svizzera che in Ticino, e comporta per i lavoratori una crescente facilità nella ricerca di un impiego e un aumento del potere contrattuale. Le aziende sono invece, di riflesso, confrontate con una seria difficoltà nel reclutamento di dipendenti qualificati, con una riduzione del potere contrattuale e con costi elevati se alcune posizioni restano scoperte.
A livello politico e finanziario, la presenza di posti vacanti rallenta la performance economica e i fondi della sicurezza sociale vengono eccessivamente sollecitati dall’alto numero di disoccupati.

Nel 2021 i profili più ricercati a livello svizzero sono stati i seguenti: professionisti nel campo dell’ingegneria (architetti, ingeneri meccanici, agronomi, ecc.), lavoratori informatici (programmatori, analisti, webmaster, ecc.), tecnici (elettrotecnici, tecnici di veicoli/aeronautica, tecnici tessili, ecc.), medici e farmacisti, esperti fiduciari (periti contabili, revisori, fiduciari, ecc.). Quelli meno richiesti invece: professionisti commerciali e amministrativi (impiegati di commercio e amministrazione, contabili, ecc.), impiegati alberghieri e dell’economia domestica (esercenti di ristoranti e alberghi, personale di cucina o servizio, ecc.), persone attive nell’ambito della pulizia, dell’igiene e della cura della persona (custodi, parrucchieri, estetiste, ecc.), lavoratori nell’industria delle costruzioni (conduttori, costruttori, meccanici, ecc.) e specialisti di commercio e vendita (cassieri, impiegati di commercio al dettaglio, ecc.).

In Ticino i settori che attualmente faticano maggiormente nel reperire mano d’opera competente sono quello informatico e tecnico (ambiti: scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), quello industriale (per funzioni specializzate), quello sanitario e dell’«Accounting & Finance» per i ruoli di analisi.
Per contro molte sono le persone interessate ad un’occupazione nell’hospitality, nei servizi alla persona, in ufficio e nell’amministrazione.

Sul territorio si è constatato che le aziende pubblicano in media meno offerte di lavoro e lo fanno con una frequenza ridotta, ciò è imputabile all’utilizzo di canali diversi rispetto ai classici annunci sui quotidiani o online (fermo restando per quelle professioni che soggiacciono all’obbligo di annuncio dei posti vacanti).

Lo sviluppo delle persone in cerca di un impiego è tuttavia simile a quello del resto della Svizzera, così come il tasso di disoccupazione di poco superiore al dato elvetico (2.7% in Ticino, 2.5% in Svizzera).


DOCUMENTAZIONE UTILE
presentazione powerpoint
– link allo studio “Indice della carenza di personale Svizzera 2021

Le smart-car, automobili intelligenti e connesse

Da telefono (phone) a smartphone. Da automobile (car) a smart-car. È possibile paragonare lo sviluppo dei telefonini a quello delle automobili?

Come vedremo di seguito sicuramente sì. Fino a qualche decennio fa con i telefoni si poteva unicamente comunicare a voce con l’interlocutore dall’altra parte del cavo (o dell’etere nel caso dei cellulari). Fino a qualche anno fa con le automobili ci si poteva spostare da un luogo all’altro. Con gli smartphone di oggi si può fare molto di più che semplicemente interagire verbalmente. Grazie a dei telefoni ricchi di sensori e sistemi di comunicazione, le diverse app che possiamo installare ci permettono di sfruttare una serie di funzioni che spaziano dalla navigazione satellitare all’accendere o spegnere la luce di casa e perfino a gestire la salute personale. Nel campo dell’automobile, ma anche in quello dei veicoli utilitari, sta avvenendo la stessa evoluzione.

Nel futuro prossimo, ma in alcuni casi è già realtà, le automobili nuove messe in commercio disporranno di tutta una serie di sensori e accessori già installati di fabbrica, ma che, in alcuni casi, non saranno attivi. Per poterne sfruttare tutte le potenzialità, il proprietario del veicolo potrà acquistare le rispettive app dal fabbricante che, durante la notte quando il veicolo non viene utilizzato, le installerà da remoto e, come per magia, il giorno seguente saranno perfettamente funzionanti e attivate. Le app per automobili attivabili con questa tecnologia possono spaziare da svariati servizi che riguardano la vettura stessa, come ad esempio il sistema di navigazione satellitare, le sospensioni adattive, il cruise-control adattivo o i sedili riscaldabili, ma anche a servizi a sostegno del conducente e dei passeggeri come l’assistenza in caso di panne o incidente, la funzione di concierge che permette di ricercare e riservare ristoranti e Hotel o ancora la gestione della flotta di veicoli aziendali per le aziende di grandi dimensioni.

Come è stato per i telefonini, anche per le automobili, questo cambiamento epocale nel modo di pensare e quindi progettare gli oggetti porterà indubbi vantaggi per i consumatori. Da semplici mezzi di trasporto le automobili diventeranno delle estensioni delle nostre abitazioni o dei nostri uffici. Se un tempo, prima di partire per un viaggio eravamo obbligati a pianificare il percorso consultando una cartina a casa, oggi semplicemente saliamo in auto e, grazie ai comandi vocali, dettiamo l’indirizzo di destinazione alla nostra auto e in pochi secondi il percorso migliore viene calcolato e memorizzato. Se poi lo vogliamo, l’automobile stessa ci propone dei luoghi d’interesse da vistare che si trovano sulla via per la destinazione finale.
Grazie ai servizi di concierge non dovremo nemmeno preoccuparci di cercare e riservare l’Hotel, basterà chiamare il nostro assistente personale attraverso il collegamento internet della vettura e lui provvederà per noi. Se per esempio la destinazione del viaggio sarà verso l’estremo nord dell’Europa, dove le temperature sono molto basse, nessun problema, tramite l’accesso personale al portale internet collegato al nostro veicolo, possiamo acquistare per un solo mese l’opzione dei sedili e del volante riscaldati.
Il gioco è fatto: non patiremo il freddo per tutta la durata del viaggio.

Per giungere a questi traguardi il mondo dell’automobile sta attraversando una vera e propria rivoluzione come mai è avvenuto nel passato. Se un tempo lo sviluppo delle auto era prettamente legato al petrolio e all’acciaio (non che in questo momento lo sviluppo tecnico delle auto si sia fermato!) e l’informatica era al servizio della meccanica, oggi sono i programmatori di software che fanno la parte del leone nei reparti di sviluppo delle grandi fabbriche. Prova ne è la notizia apparsa sulla stampa a livello mondiale: un importante costruttore di auto giapponese ha assunto in questi ultimi mesi oltre mille ingegneri programmatori di software. Dietro a questi cambiamenti se ne nascondo altri che scopriremo nei prossimi anni. Il primo e più importante sarà la commercializzazione delle automobili nuove solo attraverso la vendita online scavalcando così i concessionari locali come li conosciamo ora. Tutto questo sarà possibile grazie appunto ad automobili costruite in maniera standardizzata dove solo colore esterno e pochi altri accessori potranno essere scelti del cliente al momento dell’ordinazione in fabbrica. Il resto, come abbiamo visto prima, potrà essere acquistato o noleggiato per un breve periodo anche in seguito come avviene con le app dello smartphone.

Il ruolo dei concessionari sarà comunque fondamentale, da venditori di automobili si trasformeranno in consulenti per l’acquisto dell’automobile corrispondente alle esigenze del cliente e in agenzie di consegna della vettura, nonché gestori di tutti i servizi ad essa connessi. L’utilizzo futuro dell’automobile non sarà quindi più limitato a solo mezzo di trasporto per andare da un luogo a all’altro, ma diventerà uno strumento polifunzionale di mobilità individuale.

Nuovo servizio dedicato al commercio internazionale

La nuova sezione “Commercio Internazionale” è operativa dal 1° dicembre 2021

Monica Zurfluh, Martina Grisoni e Giulia Scalzi

Quale associazione mantello dell’economia ticinese, la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino (Cc-Ti) tutela gli interessi di tutti i settori economici, evidentemente anche di quelli attivi in parte o totalmente nel commercio internazionale. Attualmente l’attività camerale, non solo in Ticino ma in tutta la Svizzera, è essenzialmente concentrata sull’export, con il servizio delle legalizzazioni (rilascio di certificati d’origine, di carnet ATA e CITES e vidimazione di documentazione a fini export) e un’offerta formativa finalizzata al mondo delle esportazioni. Le aziende necessitano però di un forte sostegno anche per le questioni legate alle importazioni, per cui la Cc-Ti dal 1° dicembre ha ampliato la sua attuale gamma di servizi proponendo alle aziende e associazioni affiliate un servizio di informazione e consulenza a 360° nell’ambito internazionale, che comprende quindi sia le tematiche export sia quelle import. Si tratta di una prima in Svizzera e la Cc-Ti funge da progetto-pilota per tutte le altre Camere degli altri cantoni.

La nuova sezione “Commercio Internazionale” è operativa dal 1° dicembre 2021 ed è diretta da Monica Zurfluh, la quale vanta una lunga esperienza nell’ambito dell’internazionalizzazione, grazie alla sua attività presso Switzerland Global Enterprise, avendo in particolare guidato la sede di Lugano dell’organizzazione negli ultimi 12 anni.

La sezione “Commercio Internazionale” comprende anche il collaudato servizio delle legalizzazioni con la relativa responsabile Martina Grisoni e la sua sostituta Giulia Scalzi, che da anni accompagnano le aziende negli aspetti relativi alle certificazioni.

Il nuovo servizio dedicato al Commercio internazionale sarà in particolare chiamato a

  • fornire informazioni e consulenza alle aziende e alle associazioni di categoria affiliate su tutti i temi inerenti il commercio internazionale, dalle questioni amministrative alle formalità di import ed export, dalle regole svizzere e estere sui prodotti (incl. certificazioni, standard, etichettatura ) alle autorizzazioni necessarie per le attività transfrontaliere (controlli all’esportazione, distacco di lavoratori);
  • organizzare eventi sui temi più attuali del commercio internazionale, manifestazioni di messa in rete in Svizzera e missioni economiche all’estero, così come ricevere delegazioni estere in Ticino;
  • relazionarsi con le istituzioni e le altre associazioni cantonali e nazionali allo scopo di identificare e attivare nuove forme di collaborazione.

Questa nuova organizzazione interna permetterà di utilizzare al meglio le sinergie con gli altri servizi camerali, in particolare il già menzionato Servizio legalizzazioni, l’ambito della formazione puntuale e quello delle Scuole che portano all’ottenimento di diplomi (Scuola manageriale e Scuola dell’export) e il Servizio giuridico. Rimane invariata la collaborazione con Switzerland Global Enterprise, che rimarrà partner privilegiato nel contesto internazionale e i cui servizi continueranno ad essere complementari e sussidiari alle attività della Cc-Ti. Laddove possibile, le azioni comuni verranno rafforzate.


Contatto: Servizio Commercio internazionale – Monica Zurfluh, Responsabile, T +41 91 911 51 35

Commesse pubbliche, conterà anche la responsabilità sociale

Anche la responsabilità sociale delle imprese entrerà in conto fra i criteri utilizzati per stilare la classifica dei migliori offerenti nell’ambito della Legge sulle commesse pubbliche. Il Consiglio di Stato, infatti, ha approvato le modalità di applicazione della premialità relativa al criterio della responsabilità sociale delle imprese (CSR) nella Legge sulle commesse pubbliche (LCPubb).

La Responsabilità Sociale di Impresa “RSI” si sta infatti sempre più configurando anche come un fattore di competitività delle aziende e di attrattività del territorio e l’Amministrazione cantonale intende supportare le imprese in questo percorso. La Cc-Ti che fa parte del Gruppo CSR Ticino e condivide questo obiettivo. Si impegna anche nella sensibilizzazione verso i propri associati attraverso l’offerta di diversi strumenti operativi a supporto delle aziende.

Da oltre un anno la Cc-Ti ha messo online, a disposizione dei suoi associati, il “Formulario di autovalutazione”, strumento che permette alle PMI di valutare la propria attitudine per rapporto ai temi della sostenibilità. Oltre 200 imprese del nostro territorio hanno utilizzato questo strumento, ottenendo un primo riscontro rispetto al grado di sostenibilità della loro impresa. Il formulario è gratuito e disponibile per le aziende affiliate nell’area soci sul nostro sito (accesso diretto tramite questo link: www.cc-ti.ch/areasoci).

Da gennaio 2022, inoltre, la Cc-Ti metterà online uno strumento attraverso il quale le aziende potranno redigere, data un’impostazione grafica e tematica, il proprio “Rapporto di sostenibilità” in modo semplificato ed integrarlo con i 30 indicatori scelti dal Consiglio di Stato, pronto da stampare.

Nel “Rapporto di sostenibilità” le aziende potranno descrivere le loro “buone pratiche” in tema di
• Governance,
• Mercato,
• Risorse umane,
• Rapporti con la comunità
• e Tutela dell’ambiente.


Il punteggio massimo ottenuto nei criteri di aggiudicazione della CSR peserà per un 4% rispetto alla ponderazione degli altri fattori presi in esame per l’aggiudicazione.

Si procederà da gennaio 2022 con una fase di test pilota interna all’Amministrazione cantonale, che coinvolgerà la Divisione delle costruzioni del Dipartimento del territorio e la Sezione della logistica del DFE e le relative commesse, a partire da quelle concernenti le opere da impresario costruttore. Successivamente avverrà l’estensione graduale a tutte le tipologie di commesse. La Cc-Ti organizzerà quindi degli eventi formativi e informativi dedicati alle associazioni di categoria e alle aziende per spiegare i principi e i metodi di compilazione del “Rapporto di sostenibilità” e della scheda riassuntiva degli indicatori.

L’inserimento della CSR nella legislazione sulle commesse pubbliche è un esempio concreto di applicazione dello sviluppo sostenibile in ambito pubblico, che si pone come obiettivo la sensibilizzazione delle imprese nei confronti della responsabilità economica, sociale e ambientale del loro operato.

Nel prossimo numero di Ticino Business presenteremo lo strumento di compilazione del “Report di sostenibilità facilitato” e tutte le relative istruzioni per compilarlo.

Il CAS in CSR SUPSI

Per le imprese che fossero interessate ad approfondire il tema, nel mese di febbraio prenderà il via la quarta edizione del Certificate of Advanced Studies in Responsabilità sociale delle imprese (CSR) promosso dalla SUPSI. Il corso transfrontaliero è riservato a 30 imprese e si pone l’obiettivo di formare manager nell’ambito della sostenibilità in grado di promuovere una strategia all’interno delle loro imprese, valorizzando le buone pratiche e redigendo il rapporto di sostenibilità. Il corso ha una durata di 120 ore, con lezioni sia in presenza che a distanza. Alcuni dei temi trattati, all’interno dei moduli, riguarderanno: l’evoluzione del concetto di responsabilità sociale d’impresa; la mappatura degli stakeholder, il codice etico, compliance, risk management, la catena della fornitura e diritti umani, la gestione delle materie prime, i nuovi sistemi di produzione, eco design, l’economia circolare, le certificazioni, il welfare aziendale, la work life balance, il diversity management, le relazioni con la comunità, i progetti con associazioni, il volontariato d’impresa, la gestione dell’energia, dei rifiuti e dei trasporti, la mobilità aziendale, la strategia e gli strumenti di comunicazione, il rapporto di sostenibilità.

Le lezioni saranno articolate in una parte frontale e in un laboratorio con lo svolgimento di esercitazioni, con testimonianze da parte di imprese, associazioni ed esperti del settore. Le iscrizioni sono aperte fino alla fine del mese di dicembre. Per informazioni: cliccare qui.

Sostegno alla formazione

Tra le misure previste dal Consiglio di Stato, per il periodo 2021-2023, al fine di promuovere ulteriormente l’ambito della responsabilità sociale delle imprese rientra anche l’introduzione di un sostegno diretto alle imprese che intendono investire nella formazione di un responsabile aziendale CSR. Possono accedere al contributo tutte le aziende con sede nel Cantone Ticino che intendono formare un proprio responsabile in CSR. Il sostegno finanziario può essere concesso per la frequentazione di percorsi formativi in CSR quali CAS (Certificate of Advanced Studies), DAS (Diploma of Advanced Studies), MAS (Master of Advanced Studies) e/o formazioni certificate equivalenti. Nella “Direttiva per il sussidiamento della formazione di responsabile aziendale CSR” edita dal DFE viene spiegata la procedura da seguire per effettuare la richiesta di contributo finanziario.

Gianluca Pagani, CSR Manager della Cc-Ti, è a disposizione di tutte le aziende interessate per consulenze o informazioni (pagani@cc-ti.ch).