Svolta climatica impossibile senza i garagisti

I garagisti svizzeri rivestono un ruolo chiave per la mobilità di domani, cioè quella di consulenti.

La Consigliera federale e Capo del Dipartimento dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni Datec, Simonetta Sommaruga, ha iniziato il suo discorso alla giornata dei garagisti svizzeri che si è tenuta martedì 18 gennaio 2022 al Kursaal di Berna, sottolineando l’importanza del ruolo di questi ultimi. «Senza l’impegno quotidiano dei quasi 40’000 meccanici, meccatronici, garagisti e consulenti per la mobilità il passaggio a una mobilità più sostenibile per il clima sarebbe impossibile». Continuando nel suo discorso, ha rivelato poi come la politica sta attualmente preparando il terreno: «Con la nuova Legge sul CO2, il Consiglio federale vuole promuovere la diffusione delle stazioni di ricarica per i veicoli elettrici. E vuole farlo là dove mancano, ad esempio nelle abitazioni e sui luoghi di lavoro.» La Consigliera federale ha anche rivelato ai 600 rappresentanti del ramo che, con la revisione parziale della Legge sulla circolazione stradale, la Svizzera vuole definire le condizioni quadro per la guida autonoma: «Vogliamo che la Svizzera sia uno dei primi paesi al mondo a consentirla.»

Secondo Thomas Hurter, Presidente centrale dell’UPSA, gli ossequi del Governo sono un segnale chiaro: «La partecipazione della Consigliera federale Sommaruga dimostra quanto prenda sul serio il nostro ramo e la nostra causa e che ha lo stesso nostro interesse a dialogare.» Secondo Hurter, il ramo dei professionisti dell’auto è uno dei pilastri della riduzione continua del CO2 nel traffico su strada. Negli anni pre-pandemia, il trasporto privato di persone ha superato i 100 milioni di chilometri-persona. Il traffico motorizzato privato, quindi, assorbe l’80% di quelli percorsi, contro il 20% del trasporto pubblico.

Dall’intervento della Consigliera federale Simonetta Sommaruga possiamo dedurre che il Governo abbia finalmente capito quali sono gli ostacoli alla diffusione su larga scala della mobilità elettrica. Non la mancanza di modelli di vetture, che comunque continuerà a crescere nei prossimi anni, ma la mancanza di stazioni di ricarica, in particolar modo al domicilio dei cittadini o sul posto di lavoro: luoghi questi dove le auto restano ferme per la maggior parte del tempo quando non utilizzate. Installando un maggior numero di colonnine di ricarica per auto elettriche si contribuisce ad eliminare quello che oggi sembra essere il punto più critico per chi intende acquistare un veicolo totalmente elettrico: la scarsa autonomia e il tempo di ricarica della batteria.

Non disponendo di una stazione di ricarica al domicilio o sul posto di lavoro il proprietario di una vettura elettrica dovrebbe recarsi presso una stazione di ricarica pubblica, collegare la vettura e attendere che la batteria sia completamente carica. A dipendenza della capienza della batteria e della potenza della colonnina potrebbero volerci anche alcune ore. Questo è chiaramente inefficiente per un uso quotidiano. Per contro disponendo di una colonnina al domicilio la situazione risulterebbe assai diversa e per certi versi, addirittura più comoda che per le attuali vetture benzina o diesel per le quali bisogna forzatamente recarsi presso una stazione di rifornimento per fare il pieno. Con la colonnina a domicilio per fare il pieno, il proprietario del veicolo deve semplicemente ricordarsi di collegare la presa della corrente quando rientra a casa (senza quindi dover allungare il suo tragitto per andare alla stazione di servizio) impiegando non più di 30 secondi del suo tempo. Il mattino seguente ecco che la vettura è pronta con le batterie completamente cariche per percorrere altri 300 e oltre km. Lo stesso ragionamento può essere applicato, con un altro vantaggio che vedremo in seguito, disponendo di una colonnina di ricarica sul posto di lavoro. In questo caso arrivando al lavoro al mattino si può collegare la vettura alla colonnina, lasciarla collegata tutto il giorno così da avere il massimo della carica anche con un impianto non estremamente potente e ritrovarsi l’auto elettrica pronta per tornare a casa. Se poi l’elettricità che alimenta la colonnina del parcheggio al lavoro è prodotta da pannelli solari installati sul tetto della ditta, in questo caso il gioco è perfetto. Ma dicevamo di un ulteriore vantaggio per quest’ultima soluzione: caricando completamente la batteria della vettura durante il giorno, tornando a casa alla sera e collegandola ad una apposita colonnina bidirezionale, ecco che si potrebbe utilizzare la corrente immagazzinata dall’auto per alimentare le luci di casa (naturalmente mantenendo una carica sufficiente per recarsi al lavoro il giorno seguente). Tutto ciò, che oggi può sembrare utopia in effetti sarebbe perfettamente attuabile se, come dichiarato dalla Consigliera federale Simonetta Sommaruga, la rete di colonnine private venisse adeguatamente sviluppata.

Due punti restano però ancora in sospeso: l’espansione della rete di ricarica delle colonnine pubbliche, in particolare sulle autostrade, e la produzione e fornitura di energia elettrica. Se il primo è risolvibile con l’installazione di stazioni di ricarica sufficientemente potenti e in numero adeguato la produzione e fornitura di elettricità sarà la vera sfida che le istituzioni politiche dovranno affrontare e risolvere.

Per raggiungere questo traguardo di un TMP (Trasporto Motorizzato Privato) completamente a emissioni locali zero ci vorrà ancora del tempo. Ma già oggi possiamo e dobbiamo agire. Una buona soluzione, per chi ne può trarre vantaggio, sono le vetture ibride e ibride plug-in. In particolare, le ibride plug-in (vetture con un motore termico e un motore elettrico alimentato da batterie che si possono ricaricare tramite una presa di corrente) possono servire da soluzione transitoria che permettono di “fare esperienza” con le propulsioni alternative da parte della popolazione e allo stesso tempo permettere di completare la rete di colonnine di ricarica. Una vettura ibrida plug-in non necessita per forza di una colonnina di ricarica dedicata, ma può essere caricata attraverso una normale presa elettrica. Richiede però rigore nel suo utilizzo ricordandosi per esempio di caricare tutti i giorni la batteria così da poter sfruttare la massima autonomia in modalità elettrica. Il giorno poi che si passerà all’automobile completamente elettrica questa procedura ci sembrerà una cosa normale.

Oggi quindi tocca alle istituzioni mantenere le promesse, alla popolazione valutare bene le sue scelte in ambito di TMP, e ai garagisti saper consigliare in modo corretto i clienti proponendo la giusta versione di propulsione.


APPROFONDISCI IL TEMA CON UN WEBINAR DEDICATO!
Il prossimo 17 marzo 2022 si svolgerà il webinar “Mobilità strategica” che approfondisce alcuni aspetti legati a quest’argomento. Le iscrizioni sono aperte!

La Corea del Sud si unisce al RCEP

Il 1° febbraio 2022, il blocco commerciale più grande al mondo è entrato in vigore anche per la Corea del Sud.

Dell’RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership) se ne è parlato molto a fine 2020-inizio 2021 dopo che è stato siglato, ma la sua entrata in vigore – il 1° gennaio 2022 – è avvenuta un po’ in sordina.

Questo accordo di partenariato economico globale regionale rappresenta circa il 30% della popolazione mondiale e il 30% del PIL globale e, oltre a mettere il Pacifico al centro del mondo, costituisce oggi il blocco commerciale più grande di sempre.

Vi hanno aderito i dieci Stati membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico ASEAB (Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar, Singapore, Thailandia e Vietnam), l’Australia, la Cina, la Corea del Sud, il Giappone e la Nuova Zelanda.

L’entrata in vigore sottotono è data dallo stato del processo di ratifica: dal 1° gennaio 2022 il RCEP si applica infatti unicamente a Brunei, Cambogia, Laos, Singapore, Thailandia, Vietnam, Australia, Cina, Giappone e Nuova Zelanda. La Corea del Sud si è unita al blocco il 1° febbraio 2022 e gli Stati rimanenti seguiranno 60 giorni dopo aver ratificato l’adesione.

Il RCEP è più che altro un accordo commerciale di prima generazione, in quanto si focalizza sulle concessioni tariffarie (oltre il 90% dei dazi saranno ridotti o eliminati a tappe) e l’armonizzazione delle regole d’origine. Esso copre però anche il commercio di servizi, gli investimenti, la cooperazione tecnica e commerciale, la proprietà intellettuale, la concorrenza e gli appalti pubblici.

È la prima volta che la Cina aderisce ad un patto commerciale multilaterale regionale, prediligendo finora accordi commerciali bilaterali. La particolarità del RCEP è però quella di essere il primo accordo di libero scambio che vede coinvolte Cina, Giappone e Corea del Sud, Paesi che non sempre hanno rapporti distesi. La grande assente è invece l’India, ritiratasi dai negoziati e la cui adesione non solo avrebbe reso ancora più ampia la portata dell’accordo, ma avrebbe anche attenuato il peso della Cina.

Questo accordo di partenariato cambia non solo il commercio con l’Asia, ma influisce anche direttamente sulle catene regionali del valore, con una potenziale riallocazione degli investimenti in risposta ai crescenti costi del lavoro in Cina e all’esigenza di differenziazione, contribuendo più in generale a rafforzare le catene globali del valore.

AVETE DOMANDE? CONTATTATECI!
Servizio commercio internazionale
T +41 91 911 51 35
internazionale@cc-ti.ch

Decisione del Consiglio federale: dazi industriali abrogati dal 1° gennaio 2024

Dal 2024 l’importazione di prodotti industriali in Svizzera non sarà più soggetta a dazio, secondo quanto deciso dal Consiglio federale il 2 febbraio 2022. Questa misura favorisce la piazza economica svizzera e la ripresa economica dopo la crisi.

Con una modifica della legge sulla tariffa delle dogane si azzerano i dazi vigenti per l’importazione di tutti i prodotti industriali. La tariffa doganale svizzera viene inoltre semplificata per ciò che concerne le voci relative a questi prodotti. Si tratta di agevolare l’importazione e permettere alle imprese di accedere ai fattori produttivi esteri a condizioni più favorevoli, rafforzando nel contempo la competitività dell’economia nazionale e delle esportazioni. Inoltre i consumatori possono acquistare a un prezzo più conveniente i beni di consumo importati.

Il Consiglio federale ha stabilito che le misure entreranno in vigore il 1° gennaio 2024: in questo modo gli oneri legati ai cambiamenti procedurali possono essere contenuti al massimo, a tutto vantaggio degli operatori economici e dell’Amministrazione. Tutti gli attori coinvolti dispongono così del tempo necessario per gli adeguamenti tecnici e organizzativi. La modifica della legge sulla tariffa delle dogane, necessaria per le misure, è stata accolta dal Parlamento nell’ottobre 2021.

Fonte: CF – Decisione del Consiglio federale: dazi industriali abrogati dal 1° gennaio 2024 (admin.ch)

Digital Marketing: tutte le novità

Cosa considerare per una campagna di successo?

La pandemia ha rappresentato una spinta importante per il mondo digitale.

Questo ha portato un’ulteriore crescita al settore ma ha anche contribuito a rendere il mercato online sempre più competitivo, anche perché l’utente finale si è evoluto: è più consapevole, più esigente e più “digitalizzato”, ormai abituato a sostituire l’esperienza fisica con quella virtuale. E questo vale non solo per il mondo Business to Consumer ma anche per il BtoB.

Non solo: nell’ultimo anno sono intervenuti numerosi cambiamenti sia sul fronte tecnico che su quello normativo. Di conseguenza, le piattaforme e gli strumenti di digital marketing hanno subito e subiranno degli stravolgimenti.

La strategia digitale delle aziende deve necessariamente adattarsi – e anche in fretta – a questi cambiamenti: non farlo, significherebbe ignorare un mercato che, adesso, presenta delle caratteristiche del tutto diverse rispetto a qualche mese fa. Ecco una breve carrellata di questi cambiamenti e qualche riflessione su come affrontarli al meglio.

L’evoluzione dei social

I contenuti video diventeranno i protagonisti indiscussi del mondo social: qualche mese fa, Instagram ha dichiarato che la piattaforma non sarà più  incentrata sulle foto bensì sui video brevi. Un cambio di strategia che è facile ricollegare al successo del grande rivale, TikTok. Accanto ai post, caroselli e stories appariranno quindi sempre più Reels e Video, che verranno facilmente favoriti dall’algoritmo, anche su Facebook. YouTube proseguirà la sua evoluzione verso una piattaforma più social e persino LinkedIn pare abbia in serbo più strumenti per promuovere questo i contenuti, dopo aver inaugurato, nel 2021, la figura del creator.

Ma la rivoluzione più grande è senza dubbio quella annunciata da Facebook: nell’autunno 2021 la società di Menlo Park ha cambiato nome in Meta e ha presentato al mondo il suo progetto più ambizioso, il Metaverso, una realtà virtuale evoluta che potrebbe diventare il nuovo modo di vivere e fruire la Rete tra qualche anno. È quindi opportuno seguire da vicino quest’evoluzione per farsi trovare pronti.

Digital advertising: la fine del microtargeting

Nel corso dell’ultimo anno si sono susseguiti cambiamenti che hanno ridotto l’efficacia del microtargeting, ovvero la capacità della pubblicità digitale di raggiungere pubblici altamente profilati, ottimizzando la spesa. Questi cambiamenti sono riconducibili solo in parte alla nuove normative in materia di privacy, in quanto molto spesso sono anche strategie di piattaforma vòlte al rafforzamento di una posizione di mercato (si pensi all’introduzione dell’app Tracking Transparency di Apple, che di fatto si spinge oltre quanto richiesto dal GDPR). La conseguenza però è sempre la stessa: una “mira” meno precisa dell’algoritmo pubblicitario, che impatta anche sulle amatissime pubblicità retargeting, ovvero gli annunci personalizzati che “seguono” l’utente in base ai comportamenti registrati online. Si impone quindi un cambiamento strategico: ogni caso è diverso, ma in generale meglio puntare su campagne più lunghe, pubblici più ampi e, laddove possibile, privilegiare interazioni direttamente all’interno dell’app. Per il tracciamento delle conversioni sul sito (acquisti, pagine più viste etc.) sarà opportuno integrare sistemi di tracciamento che agiscono direttamente sul server.

Il grande ritorno dell’e-mail marketing

Anche a causa dell’incertezza sul fronte pubblicitario, assistiamo a una riscoperta dell’e-mail marketing, ingiustamente passato per molto tempo in secondo piano. Un vero peccato, perché l’e-mail marketing, se ben organizzato, costituisce un canale di comunicazione privilegiato con il nostro pubblico più importante, ovvero quello che ha già dimostrato di darci fiducia e voler mantenere con noi una relazione che si protrae nel tempo. Strategie di contenuto dedicate saranno essenziali per valorizzare al meglio questa relazione e condurla verso la conversione desiderata (upselling, fidelizzazione o rafforzamento del brand).

L’arrivo di Google Analytics 4

Finalmente, assisteremo al sospirato passaggio a Google Analytics 4, l’evoluzione della piattaforma di analisi dati di Google. Cambieranno alcuni punti-cardine dell’analisi dati a cui ci eravamo abituati. Un esempio? Spariranno due metriche molto usate nei KPI di marketing: “sessioni”  (quante volte un singolo utente si connette a uno stesso sito) e “bounce rate” (percentuale di utenti che, non appena atterrati sul sito, se ne va, senza soffermarsi o navigare). Queste metriche venivano spesso prese come riferimenti per valutare l’interesse degli utenti verso i contenuti. Tuttavia, a seconda dei casi, possono risultare controverse o addirittura fuorvianti. Google propone invece il concetto alternativo di evento ovvero un’azione rilevante che l’utente compie sulla pagina e a cui può corrispondere, direttamente o indirettamente, un valore economico (es. la compilazione di un form, l’inserimento di un prodotto in wishlist, messa a carrello, finalizzazione dell’acquisto ecc.).

Di fronte a questi cambiamenti, diventa ancora più importante stabilire a priori una strategia digitale e un piano di misurazione chiaro e condiviso. Anche perché all’orizzonte se ne annunciano molti altri, che certamente potranno rappresentare delle opportunità. A patto di essere pronti a coglierle!

APPROFONDISCI IL TEMA CON UN WEBINAR DEDICATO!
Il prossimo 22 febbraio 2022, dalle 14.30-15.15, si svolgerà il webinar “Innovazione digitale 2022” che approfondisce questi aspetti e presenta il percorso formativo specifico targato Cc-Ti.

Articolo a cura di Manuela Cuadrado, Account Manager Breva Digital Communication Sagl

Come prendere le decisioni giuste?

La vita è la somma di tutte le nostre scelte (A. Camus)

Il fatto che ogni individuo prenda in un solo giorno circa 20’000 decisioni non basta per renderci tutti degli esperti in materia di prese di posizione. A dimostrazione di questo, spesso ci risulta difficile, se non quasi impossibile, compiere alcune scelte. L’ostacolo maggiore è dato dal fatto che non si può essere certi anticipatamente, se una determinata decisione sarà “buona” o “cattiva.
Per raggiungere l’obiettivo servono metodi e tecniche appropriati, e solo essendo consapevoli di come si è giunti ad una determinata conclusione, si possono trarre insegnamenti utili da una decisione sbagliata.

Alcune scelte possono essere prese con facilità perché rappresentano esclusivamente una valutazione dei vantaggi delle diverse opzioni, altre invece sono più complesse e ci mettono di fronte a conseguenze incerte, che si verificheranno secondo una data probabilità.

Nel management: il decision making

Esistono molte scuole di pensiero e diverse correnti organizzative che suggeriscono metodi decisionali efficaci ed efficienti. Non possiamo però prediligere un vero e proprio “schema” ufficiale al quale attenersi, poiché ognuno degli strumenti esistenti possiede proprietà che possono adattarsi a modelli specifici.

È possibile, invece, identificare facilmente le fasi principali del decision making, che sono alla base del processo decisionale di base. In sintesi:

  • Definizione della situazione
  • Ricerca di alternative
  • Selezione della soluzione

A livello operativo può essere arduo prendere decisioni ponderate a causa, spesso, della mancanza di tempo da dedicare all’analisi dei problemi prima ancora di trarre le soluzioni.
Una più dettagliata e schematica impostazione del processo decisionale dovrebbe prevedere:

  1. Identificazione e descrizione del problema
  2. Analisi dei fattori che causano il problema
  3. Individuazione delle possibili strategie e soluzioni
  4. Scelta della soluzione migliore
  5. Definizione del piano di azione
  6. Individuazione delle responsabilità
  7. Implementazione della soluzione
  8. Verifica dei risultati

Uno strumento utile da correlare a questo modello di decision making è sicuramente il “registro delle decisioni”. Di cosa si tratta?

È un documento (cartaceo/ elettronico) che può essere utilizzato per tracciare tutte le decisioni prese durante lo svolgimento di un progetto/nella normale routine aziendale.
Le decisioni vengono prese in vari momenti: durante le riunioni, attraverso scambi di e-mail, durante incontri e colloqui, ecc.. . Questa traccia permette di “archiviare” in modo schematizzato quando una decisione è stata presa, chi l’ha presa e sulla base di quali elementi (data della decisione, persone che hanno partecipato alla presa della stessa o l’hanno condivisa, descrizione della tematica e della decisione, ev. informazioni complementari da conoscere).

Il metodo “FORDEC”

Un’altra metodologia degna di nota è quella sviluppata dalla NASA a supporto dell’industria aerospaziale (e poi applicata anche ad altri contesti, come nel management), denominata FORDEC. Il procedimento è semplice e consiste in una lista di controllo che può essere impiegata affidabilmente anche sotto stress; circostanza in cui è notoriamente più difficile pensare lucidamente.
Ecco come funziona e le domande della check list a cui occorre dare risposta:

F = Fatti
Quali sono i fatti? È importante non sottovalutare questo punto, rappresentando accuratamente gli avvenimenti senza emettere giudizi di valore, in modo da fornire un quadro quanto più completo possibile della situazione iniziale.

O = Opzioni
Dopo aver annotato sinteticamente i fatti, bisogna pensare alle opzioni disponibili, avendo cura di non limitarsi esclusivamente a quelle ovvie. È fondamentale prendersi il tempo necessario per scrivere idee non convenzionali, che potranno successivamente sempre essere eliminate se non ritenute idonee.

R = Rischi e benefici
Ogni possibile opzione va poi contrassegnata con due frecce (una a sinistra e una a destra). Sotto quella di sinistra vanno elencati tutti i pericoli e gli inconvenienti che quella data scelta comporterebbe, a destra invece i vantaggi e le opportunità. Così facendo è possibile confrontare il rapporto rischio/beneficio di ogni possibilità, avendo una visione d’insieme che permetta di evitare una sopravvalutazione dei pericoli e una trascuratezza delle occasioni.

D = Decisioni
Una volta raccolte tutte le informazioni bisogna prendere una decisione senza procrastinare. In caso di dubbio, si può chiedere consiglio ad una persona esterna, che può valutare la situazione con maggiore obiettività e distacco.

E = Esecuzione
A questo punto si tratta di agire tempestivamente. Una volta stabilito cosa fare va definito il come, prendendo nota dei passi concreti con i quali si vuole raggiungere l’obiettivo. Nelle decisioni di gruppo occorre inoltre chiarire le responsabilità.

C = Controllo
Il modello FORDEC non è statico nel tempo. In caso di progetti a lungo termine, bisogna controllare periodicamente se le decisioni prese sono ancora attuali e stanno avendo l’effetto sperato. In caso contrario vanno apportate delle correzioni. Va sempre considerato che nuovi fatti coincidono con una nuova check list FORDEC.


Fonte WEKA, 2021; adattamento e sviluppo Cc-Ti

La Cc-Ti propone numerosi corsi di formazione, uno dei quali è dedicato alla tematica del ‘decision making’. Questa proposta formativa è pianificata per il mese di settembre: “Prendere decisioni difficili“. Nel nostro sito web troverete tutti i dettagli.

Reshoring, nearshoring, backshoring

…e se la supply chain puntasse invece sulla circolarità?

La ripresa in contemporanea delle attività manifatturiere dopo i vari lockdown, la forte crescita della domanda di prodotti inaccessibili durante le chiusure, i ritardi nelle consegne, il rincaro dei trasporti (leggi: aumento dei costi di noli) così come l’aumento dei prezzi delle materie prime continuano ad esacerbare lo stato di salute delle catene di approvvigionamento. Molte fonti lo affermano: i colli di bottiglia e l’esplosione dei costi dovrebbero perdurare fino a fine 2022. Allo stesso tempo, notizie di reshoring, nearshoring e persino backshoring, in particolare delle attività attualmente basate in Cina, sono all’ordine del giorno. Non tutte però sono strettamente collegate con la pandemia… anche perché le catene di fornitura non possono essere cambiate rapidamente o facilmente: qualificare nuovi fornitori richiede analisi di qualità, accordi sui diritti di proprietà intellettuale, nuove certificazioni e molte altre valutazioni.

Un sondaggio effettuato a febbraio/marzo 2020 dalla società di consulenza strategica e di ricerca Gartner, Inc. su 260 leader della catena di approvvigionamento globale ubicati nei quattro angoli del mondo, ha ad esempio evidenziato che già all’epoca il 33% degli intervistati aveva trasferito la propria attività fuori dal Regno di Mezzo o prevedeva di farlo entro il 2023.
Tali decisioni erano pertanto state prese ben prima pandemia. Un dato confermato anche da Resilinc, che si occupa di supply chain analytics e secondo la quale il 2019 aveva registrato il più alto tasso di interruzioni delle catene di approvvigionamento degli ultimi anni.
Le cause? Chiusura di fabbriche sì, ma anche cambiamenti di proprietà dovuti a fusioni e acquisizioni, eventi meteorologici estremi e disastri naturali (inondazioni, terremoti), cambiamenti normativi e, non meno importante, i conflitti geopolitici. Negli ultimi anni pre-pandemia, quindi, sempre più aziende si sono trovate a far fronte a grossi rischi e interferenze per la propria filiera.

Una ricetta miracolosa per rafforzare le proprie catene di approvvigionamento non esiste. È vero però che gli enti regolatori chiedono però sempre più spesso alle aziende di stabilire catene del valore trasparenti e di effettuare una due diligence sulla condotta sociale e ambientale dei loro fornitori – non che questo influisca sulla capacità di questi ultimi di fornire nei tempi voluti i prodotti o materiali richiesti. Allo stesso tempo, da parte dei consumatori cresce la domanda di prodotti sempre più sostenibili. In generale si constata quindi un aumento delle pressioni su sostenibilità e trasparenza. Ciò crea per le aziende nuove opportunità di mercato e potenziali benefici in materia di reputazione.
Ne conseguono però per loro anche nuovi compiti, quali ripensare in modo strategico a come affrontano, valorizzano, costruiscono e ottimizzano le catene del valore.

La pressione sulla filiera dovuta alla pandemia da un lato, le esigenze degli enti regolatori e le tendenze di consumo dall’altro… perché non prendere due piccioni con una fava e rivoluzionare quindi i propri paradigmi e il proprio modo di intendere e di fare business? E quale paradigma economico integra sostenibilità ambientale (e sociale), all’interno di una nuova strategia aziendale meglio dell’economia circolare?

L’economia circolare è un modello economico che si basa sul riutilizzo, la riparazione, il riciclaggio di prodotti e materiali: allungando il ciclo di vita dei prodotti, essa riduce il volume, la velocità e il chilometraggio dei flussi di materiali, offrendo una soluzione contro il moltiplicarsi dei colli di bottiglia nella catena d’approvvigionamento, risparmi sui costi di approvvigionamento delle risorse e una minore esposizione al rischio legato alla volatilità dei prezzi delle materie prime. In sostanza l’economia circolare risponderebbe quindi a tematiche chiave quali la continuità del business e la gestione dei rischi (ambientali e di fornitura), contribuendo altresì a rafforzare la resilienza della filiera.

Come del caso del reshoring, nearshoring o backshoring, anche l’introduzione della circolarità non è però esente da sfide e sicuramente non è un processo a breve termine, in primis perché si tratta di una trasformazione che non può essere compiuta in modo isolato: riconfigurare le supply chain significa sperimentare nuove forme di collaborazione con tutti gli attori coinvolti – ovunque essi siano ubicati ed attuare meccanismi di reverse logistics (logistica inversa o logistica di ritorno) in grado di recuperare i prodotti a fine vita. Sì, perché i prodotti vanno riprogettati, adottando materiali green e biocompatibili così come logiche di durabilità, pensando quindi fin da subito al loro reimpiego e pertanto con caratteristiche tali da permetterne lo smontaggio o la ristrutturazione.

Il reparto acquisti deve lavorare con la squadra di progettazione per identificare i partner delle materie prime per le innovazioni e le tecnologie più adatte. L’approvvigionamento di materiali e tecnologie per prodotti circolari cambia quindi il processo di selezione dei fornitori influenzandone i criteri di valutazione e il modo in cui ci si relaziona con loro. Gestire e mantenere tali collaborazioni richiede tempo e risorse. La logistica inversa che ha l’impatto più diretto sulle catene di approvvigionamento è invece il ritorno dei prodotti dal consumatore finale al produttore: affinché questo modello possa funzionare, le aziende devono poter aver accesso ai loro prodotti a fine vita.
In alcuni settori la gestione della logistica di ritorno dei prodotti è già una realtà per le aziende, grazie a leggi specifiche. È il caso dei prodotti elettronici di consumo, che nell’Unione europea sono regolati dalla direttiva sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (WEEE), la quale obbliga i fabbricanti ad occuparsene a fine vita. Molte aziende di altri settori hanno invece “risolto” il problema promuovendo modelli alternativi di utilizzo, come lo sharing o il pay-peruse, che consentono loro di rientrare in possesso dei prodotti ad utilizzo terminato.

In conclusione, le attuali problematiche della supply chain rappresentano sì una sfida non indifferente per le aziende, ma anche un’opportunità per ripensare il proprio business e rendere la propria filiera più resiliente ma soprattutto più inclusiva.

Il Ticino è una risorsa fondamentale

In questi ultimi mesi molto si è parlato, e si continua a parlare, del settore medicale, soprattutto in relazione alle difficoltà che esso sta riscontrando dopo la decisione del Consiglio Federale di non concludere l’accordo quadro con l’Unione Europea. Tale decisione ha, infatti, portato con sé automaticamente la conseguenza che le aziende del settore hanno perso in un colpo solo il loro accesso fino ad allora privilegiato al mercato europeo, sbocco evidentemente fondamentale per le imprese svizzere.

In effetti, il mercato europeo per le nostre imprese è più importante di quello di Stati Uniti, Cina e Giappone messi insieme. Un posto di lavoro su tre nell’industria medtech svizzera è direttamente legato a mandati che provengono dall’UE.

Per le aziende più grandi, le difficoltà di accesso al mercato europeo sono in parte meno pesanti, poiché esse hanno già punti di riferimento fisici all’interno dello spazio dell’Unione Europea. Il problema è quindi più “facilmente” risolvibile, sebbene vi sia comunque un impatto sui costi. Per le imprese più piccole altre si tratta invece di operare scelte strategiche, ad esempio, quanto alla sede aziendale e alle decisioni sugli investimenti. Con la decisione del Consiglio federale, si complica anche la situazione per l’importazione di prodotti medicali, poiché i fornitori esteri devono soddisfare nuove disposizioni in Svizzera.

Dal punto di vista ticinese, si è parlato poco dell’impatto di tale situazione sul nostro cantone, che ha sul proprio territorio molte realtà aziendali di questo settore. Ne abbiamo parlato con Peter Biedermann, Direttore dell’associazione nazionale Swiss Medtech, che ha deciso di rafforzare la sua presenza in Ticino, proprio a voler sottolineare l’importanza strategica del nostro cantone. E con Giuseppe Perale, Professore e Presidente di Regenera SA, e futuro Presidente della neocostituita sezione cantonale di Swiss Medtech che inizierà le proprie attività nel 2022 con l’obiettivo di essere pienamente operativa nel 2023.

A tale scopo si appoggerà, come molte altre associazioni nazionali, alla Cc-Ti.

Peter Biedermann, Direttore dell’associazione nazionale Swiss Medtech

Peter Biedermann, quali sono state le evoluzioni per il settore in Svizzera in questi ultimi mesi?

In generale l’andamento del settore è leggermente migliorato, anche se non siamo ancora ai livelli di prima della pandemia. Per alcune aziende attive soprattutto nella medicina intensiva e nella diagnostica la crescita è stata importante, ma dall’altra parte la limitazione di interventi chirurgici non indispensabili in tutto il mondo ha colpito anche molti attori del settore del Medtech, riducendone le attività.

La problematica del riconoscimento automatico delle apparecchiature e dei dispositivi medicali svizzeri da parte dell’Unione Europea ha conosciuto qualche sviluppo o siamo ancora fermi?

Purtroppo, siamo molto lontani da una soluzione e il fatto che la Svizzera ora è considerato uno Stato terzo è diventato una dura realtà. Secondo le nostre stime, il mancato riconoscimento automatico della conformità dei nostri prodotti e le relative procedure per ottenere tale conformità hanno comportato, ad oggi, un costo supplementare immediato di 110 milioni di franchi per le aziende elvetiche. A questi vanno aggiunte spese amministrative ricorrenti per circa 75 milioni di franchi. È evidente che, pur non potendo quantificarla in cifre esatte, la perdita di attrattività della Svizzera a medio e lungo termine è innegabile. Questa posizione di Stato terzo e alcune regole restrittive che la Svizzera stessa ha introdotto comportano anche il grande pericolo che si verifichi una strozzatura dell’offerta già nella seconda metà del 2022. Quelli che soffriranno saranno i pazienti. Tutti fatti già segnalati mesi fa e che ora si stanno concretizzando.

La Brexit ha avuto qualche effetto sul settore?

Purtroppo, è stata ed è una complicazione in più. Non sono poche le segnalazioni secondo cui le nuove condizioni per i fornitori in Gran Bretagna iniziano a mostrare qualche effetto negativo. Anche qui vi sono problemi di riconosicmento di conformità, come del resto constatano anche aziende di altri ambiti nel contesto dell’accettazione delle regole sull’origine delle merci. Tutto questo comporta costi supplementari se non si vogliono perdere quote di mercato importanti.

Non è possibile virare su altri mercati?

Dobbiamo essere realisti. L’Unione Europea è e resta un mercato fondamentale, rappresentando quasi il 50% di tutte le esportazioni svizzere, anche se le nostre aziende votate all’esportazione devono giocoforza orientarsi pure in misura maggiore verso i mercati asiatici. Fra questi vi sono in primis la Cina ma anche i Paesi membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN), trattandosi di mercati che conoscono una crescita maggiore rispetto al continente americano o europeo.

Che ruolo svolgono le aziende ticinesi in questo contesto?

Swiss Medtech è una realtà abbastanza nuova a livello associativo e, pur raggruppando circa 700 imprese e oltre 60’000 posti di lavoro, deve ancora estendersi in modo capillare sul territorio. In Ticino sono presenti decine di aziende che lavorano direttamente o indirettamente, completamente o parzialmente nell’ambito del Medtech. Per noi è importante coinvolgerle nelle dinamiche nazionali, perché rafforza la rappresentatività del settore. E da parte delle imprese site in Ticino ci è stata più volte segnalata la necessità di creare un legame diretto con l’associazione nazionale, soprattutto per avere un accesso di prima mano e veloce alle informazioni che concernono il settore. Da qui la decisione di creare nei prossimi mesi un’antenna ticinese di Swiss Medtech. Essa, dopo una fase introduttiva nel corso di quest’anno, sarà pienamente operativa nel 2023, e sarà guidata da Giuseppe Perale, Presidente di Regenera SA e già membro di Swiss Medtech.

Perché appoggiarsi alla Cc-Ti, che sarà la sede operativa di questa antenna ticinese?

I rapporti con la Cc-Ti sono iniziati parecchi anni fa, in piena ristrutturazione del nostro settore, che ha unito due associazioni nel 2017 nell’odierna Swiss Medtech. La Cc-Ti ha già molti associati del nostro settore, ma ci apre anche la rete delle altre Camere di commercio e dell’industria in Svizzera grazie alla sua rete in tutte le regioni del paese. Con questa collaborazione possiamo raggiungere due obiettivi: sostenere le aziende ticinesi con il nostro supporto specialistico e rafforzarne la presenza nel contesto nazionale. È un passo che hanno fatto e stanno facendo diverse associazioni nazionali in collaborazione con la Cc-Ti, per cui anche noi abbiamo ritenuto interessante adottare questo modo operativo. Un’associazione di settore è certamente complementare a quelle già esistenti sul territorio e mira a rafforzare ulteriormente il tessuto economico ticinese.

Quando sarà operativa l’antenna ticinese?

Le decisioni da parte di Swiss Medtech e della Cc-Ti sono state prese, a breve vi sarà l’istituzione formale di un Comitato e poi il Vicedirettore della Cc-Ti, Michele Merazzi, che sarà anche segretario dell’associazione locale, coordinerà le prime attività che, pandemia permettendo, nel 2022 saranno soprattutto momenti informativi per gli addetti ai lavori. Ciò permetterà di calibrare le attività sulle esigenze delle aziende del settore, in modo che nel 2023 si procederà alle varie formalità che permetteranno un’operatività completa e commisurata alle specificità delle imprese ticinesi nel contesto nazionale e internazionale.

L’IVA nell’e-commerce B2C con l’UE

Come in tutto il resto del mondo, con la pandemia anche l’e-commerce nell’Unione europea (UE) è esploso. Oggi però, per molte aziende svizzere non si tratta più solo di sapere come si muovono i consumatori online e come promuovere i propri prodotti e servizi massimizzandone le vendite, ma piuttosto di impostare la propria operatività in modo corretto. Anche alla luce del nuovo pacchetto IVA per l’e-commerce lanciato il 1° luglio 2021 dall’UE: tale pacchetto ha infatti apportato cambiamenti sostanziali per quanto concerne le forniture di beni a consumatori privati (B2C), comprese quelle effettuate da aziende di Stati terzi, e introdotto regimi opzionali di gestione dell’IVA.

Nella fattispecie, il pacchetto IVA per l’e-commerce (“VAT e-commerce package”) ha esteso il regime semplificato di identificazione IVA dello sportello unico MOSS relativo ai servizi transfrontalieri di telecomunicazione, teleradiodiffusione ed elettronici (“servizi TTE”) forniti ai privati anche alle altre prestazioni di servizi così come alle vendite a distanza di merci. Sono altresì stati introdotti tre regimi opzionali:

  • il regime opzionale One-Stop-Shop UE (OSS UE) si applica sia alle vendite intracomunitarie a distanza a privati ubicati nell’UE (anche effettuate da aziende di Stati terzi) sia alle cessioni nazionali di beni a privati effettuate tramite una piattaforma elettronica;
  • il regime One-Stop-Shop non UE (OSS non UE) si applica a tutte le prestazioni di servizi erogate da aziende di Stati terzi a privati ubicati nell’UE;
  • infine, il regime Import One-Stop-Shop (IOSS) si applica alle vendite a distanza a consumatori finali ubicati nell’UE di beni importati da Paesi terzi, purché esenti da accise e di valore non superiore a EUR 150.

In sostanza, l’OSS e l’IOSS semplificano gli obblighi in materia di IVA consentendo ai prestatori di servizi e ai fornitori di merci di

  • registrarsi elettronicamente ai fini IVA in un unico Stato membro;
  • dichiarare l’IVA tramite un’unica dichiarazione elettronica ed effettuare un unico pagamento dell’IVA dovuta su tutte le cessioni di beni e prestazioni di servizi realizzati nell’UE;
  • collaborare con l’amministrazione fiscale dello Stato membro nel quale sono registrati per l’OSS/IOSS, anche se le loro vendite avvengono in più Stati membri dell’UE.

Anche le aziende svizzere che effettuano prestazioni di servizi o vendita a distanza di merci a clienti privati nell’UE possono quindi, a seconda dei casi, optare per la registrazione opzionale ad uno dei regimi sopra indicati. Che impatto ha per loro il nuovo pacchetto IVA sull’e-commerce? Come devono gestire concretamente l’IVA sulle loro vendite a distanza o su prestazioni di servizi online a cittadini europei?

A supporto delle aziende associate, il servizio Commercio internazionale ha redatto una breve scheda che sintetizza la tematica e le problematiche. La scheda vuole essere a scopo esclusivamente informativo e non ha pretese di esaustività né vuole fornire parere legale o altro tipo di consulenza professionale.

Il trattamento corretto dell’IVA europea è infatti un tema complesso e si presta pertanto ad un approfondimento individuale. In questo contesto si segnalano innanzitutto i seguenti momenti formativi proposti dal servizio Formazione puntuale:

Le aziende associate che necessitano di una consulenza mirata possono inoltre contattare il servizio Commercio internazionale, che sarà lieto di fornire il necessario supporto in collaborazione con il suo esperto di fiducia. Tale consulenza è a pagamento.

La scheda informativa è disponibile nell’Area soci > Internazionale. Cliccare qui per recuperare i dati di accesso.

Libero scambio con Albania e Serbia: applicabili le norme della Convenzione PEM riveduta

La Convenzione PEM si applica nel traffico delle merci di origine preferenziale nel quadro degli accordi di libero scambio (ALS) all’interno della zona di cumulo paneuromediterranea. Soggetta a revisione, la Convenzione riveduta non ha potuto sinora essere adottata poiché alcune Parti contraenti ne hanno rifiutato il testo. La maggioranza delle Parti, tra cui la Svizzera, ha tuttavia deciso di applicare transitoriamente le regole rivedute su base bilaterale. Dal 1° gennaio 2022 le norme rivedute possono essere applicate anche nel libero scambio tra AELS e Albania e AELS e Serbia. 

L’applicazione bilaterale transitoria della Convenzione PEM consente alle imprese degli Stati contraenti di beneficiare delle norme rivedute nel commercio bilaterale finché la Convenzione PEM riveduta non verrà ufficialmente adottata.

L’ordinamento provvisorio ha introdotto semplificazioni amministrative quali l’abolizione della prova d’origine EUR-MED e l’uniformazione delle regole di lista. Durante il periodo di transizione, le aziende possono decidere autonomamente se applicare le norme d’origine della Convenzione attuali o le norme d’origine rivedute. Esse devono tuttavia determinare quali norme sceglieranno prima di calcolare l’origine e utilizzare le rispettive prove d’origine.

Le prove d’origine rilasciate sotto le norme transitorie vanno infatti distinte dalle prove d’origine rilasciate conformemente all’attuale Convenzione PEM: il certificato di circolazione delle merci EUR.1 deve includere nella casella 7 la dicitura in inglese «TRANSITIONAL RULES»; anche la dichiarazione di origine d’origine va adeguata: “L’esportatore delle merci contemplate nel presente documento (autorizzazione doganale n. ..…) dichiara che, salvo indicazione contraria, le merci sono di origine preferenziale……. conformemente alle norme di origine transitorie.”
Inoltre, le prove dell’origine hanno ora una validità di dieci mesi.

Oltre che negli accordi di libero scambio tra AELS e Albania e tra AELS e Serbia, la Svizzera applica le norme transitorie anche nell’accordo di libero scambio con l’UE (dal 1° settembre 2021) e nella Convenzione AELS (dal 1° novembre 2021), cf. Matrix

DOCUMENTI UTILI 

AVETE DOMANDE? CONTATTATECI!
Servizio commercio internazionale
T +41 91 911 51 35
internazionale@cc-ti.ch

SECO: indagine sull’uso degli accordi di libero scambio nell’export

Ogni anno, circa 400 milioni di franchi di dazi doganali sono riscossi sui prodotti esportati dalla Svizzera verso i Paesi con i quali esistono accordi di libero scambio. Perché ciò avviene? La Segreteria di Stato dell’economia (SECO) vorrebbe approfondire questa questione e conta sull’aiuto delle aziende esportatrici svizzere.

La SECO ha lanciato un sondaggio sull’utilizzo degli accordi di libero scambio (ALS), tramite il quale vuole chiedere agli esportatori svizzeri quali sono le sfide legate agli ALS. L’obiettivo è quello di capire meglio come gli ALS conclusi dalla Svizzera sono utilizzati dalle aziende esportatrici e come il loro uso può essere ulteriormente semplificato.

Il questionario può essere compilato sia in francese sia in tedesco su https://seco.limequery.com/388298?lang=fr

Termine: 31 gennaio 2022

Tempo di compilazione: 5-15 minuti, a seconda della situazione specifica dell’azienda.

Si consiglia di far compilare il sondaggio direttamente dai collaboratori che si occupano delle esportazioni in particolar modo riguardo agli accordi di libero scambio.

Ulteriori ragguagli sono disponibili sul sito della SECO: Utilità degli accordi di libero scambio (admin.ch)