India, il gigante su cui puntare

Con oltre 1,4 miliardi di persone, prevalentemente molto giovani (oltre la metà ha meno di 30 anni) e un’economia solida sostenuta dal governo con importanti riforme, l’India è sempre più rilevante nel panorama internazionale. Per le aziende svizzere lo sarà ancor di più con l’entrata in vigore dell’accordo commerciale e di partenariato economico (TEPA), appena concluso. In vista di quello che sarà un reale vantaggio competitivo rispetto alle aziende concorrenti estere e tenendo presente che ogni nuova opportunità comporta una determinata dose di rischio, la Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino (Cc-Ti) ha voluto fare il punto nel corso di un evento svoltosi il 22 maggio scorso in collaborazione con Allianz Trade Switzerland, Cippà Trasporti SA, M. Zardi & Co. e Switzerland Global Enterprise e che ha visto la partecipazione di Delvitech SA, presente in India con un sito produttivo, e di una quarantina di imprenditori.

Ad aprire l’evento e a fare gli onori di casa è stata Monica Zurfluh, Responsabile Commercio internazionale alla Cc-Ti, che ha ricordato i punti salienti del TEPA: un accordo che copre tutti i settori, dai prodotti industriali ai prodotti agricoli (ivi comprese le barriere tecniche al commercio, le misure sanitarie e fitosanitarie e le regole di origine valide per lo sgravio dai dazi), ai servizi (con particolari vantaggi per quelli assicurativi e finanziari), alla proprietà intellettuale, alla risoluzione delle controversie, al commercio e allo sviluppo sostenibile. Per l’84,6% delle esportazioni svizzere in India (il 95,3% per i soli prodotti industriali) i dazi doganali spariranno entro la fine dei periodi di transizione stabiliti, il 10,1% delle esportazioni beneficerà invece di concessioni parziali. L’accordo, ora sottoposto a ratifica, dovrebbe entrare in vigore nell’autunno del 2025.

La presentazione delle opportunità offerte dal mercato è stata affidata a Vijay Iyer, Trade Commissioner dello Swiss Business Hub India, l’ufficio congiunto del Dipartimento federale degli affari esteri e di Switzerland Global Enterprise, che ha rilevato come siano oltre 320 le aziende svizzere già presenti nel Paese, prevalentemente ubicate in tre aree geografiche (Delhi-Territorio della Capitale e corridoi Mumbai-Pune e Bangalore-Chennai); il 35% opera nel settore metalmeccanico ed elettrico e nell’industria di precisione e trenta aziende hanno centri di ricerca e sviluppo. Iyer ha poi illustrato le misure governative volte a rafforzare l’economia, tra cui riforme logistiche, sgravi e programmi di incentivi legati alla produzione per favorire l’arrivo di investitori esteri in ambiti specifici e promettenti. Iyer ha quindi evidenziato il potenziale di settori chiave come quello dei beni a largo consumo, della vendita al dettaglio, dei veicoli elettrici (a tal proposito è prevista una missione in India a settembre), della sanità digitale e dell’elettronica e di settori emergenti le macchine utensili, il medtech, cleantech, aerospaziale e infrastrutturale, illustrando infine le principali opzioni d’entrata sul mercato.

È toccato a Marco Arrighini, Head of Credit Management, Allianz Trade Switzerland, il compito di mettere in evidenza i rischi associati a questo mercato, citando le debolezze strutturali, come le infrastrutture inadeguate, il rischio finanziario (da monitorare), l’ambiente imprenditoriale debole seppur in lento miglioramento, la forte fuga di cervelli. L’economia indiana è tuttavia resiliente e supera il tasso di crescita medio delle economie emergenti e asiatiche, e ciò in un contesto di moderata domanda interna ed esterna. Arrighini ha poi doverosamente menzionato anche i tempi medi di incasso di un credito (75 giorni), la mancata regolamentazione dei ritardi di pagamento e un quadro normativo in materia di insolvenza frammentato e di non facile comprensione.

La parola è poi passata a Gaetano Loprieno, Consulente logistico di Cippà Trasporti SA, che ha illustrato la logistica dei trasporti e ribadito come la crisi del Mar Rosso continui a costringere le navi a circumnavigare l’Africa, allungando così i tempi e facendo esplodere i costi: oggi il transito da Genova a Nava Sheva, il principale porto container di Mumbai, è di circa 40 giorni (a fronte di 25 giorni via Mar Rosso) e il costo è quasi quadruplicato. Loprieno ha poi presentato i principali porti e aeroporti indiani e gli hub interni sui quali fare prosecuzioni fluviali o stradali e i relativi costi, per infine passare in rassegna la documentazione utile e i termini di resa (Incoterms) più appropriati.

A seguire, Paolo Gerli, esperto in materia brevettuale dello studio M. Zardi & Co., ha affrontato il tema dei diritti di proprietà intellettuale, con focus sulla tutela dei farmaci, ambito problematico per la relativa industria elvetica, e non solo. Gerli ha esposto la grande tradizione brevettuale nel Paese, le possibilità di brevettazione in campo farmaceutico, i relativi processi nonché  i limiti della legislazione indiana e dell’accordo di libero scambio appena siglato.

A chiudere l’evento è stato Roberto Gatti, CEO di Delvitech SA, azienda ticinese che sviluppa sistemi AOI di alto livello perfezionati con l’intelligenza artificiale e volti a rilevare gli errori e a migliorare la gestione dei tempi e dei costi nella produzione di schede elettroniche. A febbraio 2022, assieme all’indiana Velankani Group, ha costituito DelvitechAI Vision Systems India Pvt Ltd. Il sito produttivo, situato all’interno del Velankani Technology Park nella Electronics City di Bangalore, è pienamente operativo dall’autunno 2023. La presenza in India è stata infine rafforzata con la creazione di nuovi uffici e una struttura dimostrativa dedicata. La testimonianza di Gatti ha messo in luce il supporto ricevuto e le difficoltà riscontrate nell’attuazione del progetto.

Approvato il regolamento UE ecodesign

Il 27 maggio, il Consiglio dell’UE ha adottato la proposta di regolamento sulla progettazione ecocompatibile, che abolisce l’attuale direttiva 2009/125/CE.

Adottato dal Consiglio dell’UE il 27 maggio, il nuovo regolamento sulla progettazione ecocompatibile (Ecodesign for Sustainable Products Regulation, ESPR) entrerà in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale europea e si applicherà 24 mesi dopo l’entrata in vigore (trattandosi di un regolamento, non necessita di leggi nazionali di recepimento).

Esso introduce nuovi requisiti quali la durabilità, la riutilizzabilità, la possibilità di miglioramento e la riparabilità dei prodotti, norme riguardanti la presenza di sostanze che ostacolano la circolarità, l’efficienza energetica e delle risorse, i contenuti riciclati, la rifabbricazione e il riciclaggio, l’impronta di carbonio e l’impronta ambientale, nonché obblighi di informazione, tra cui un passaporto digitale di prodotto (con “informazioni accurate e aggiornate”, esso consentirà ai consumatori di “fare scelte di acquisto consapevoli”).

A differenza della direttiva 2009/125/CE, che si limita a stabilire i requisiti di efficienza energetica di 31 gruppi di prodotti, il regolamento ecodesign – come viene anche chiamato – si applicherà a quasi tutte le categorie di prodotti, compresi componenti e prodotti intermedi, partendo da settori molto importanti come acciaio, ferro, alluminio, tessile (principalmente abbigliamento e calzature), mobili, pneumatici, detergenti, vernici, lubrificanti e prodotti chimici. Il nuovo regolamento introdurrà un divieto diretto di distruzione di prodotti tessili e calzature invenduti (le PMI ne saranno temporaneamente escluse) e conferirà alla Commissione il potere di introdurre in futuro divieti analoghi per altri prodotti.

Italia: plastic tax rinviata al 2026, sugar tax da luglio con aliquote ridotte

È ancora una volta “affaire à suivre” per la plastic tax, la cui entrata in vigore è ora posticipata al 1° luglio 2026. Nessuna proroga invece per la sugar tax, che entrerà in vigore a luglio, come previsto, ma con aliquote ridotte.

Le modifiche sono state inserite nell’emendamento al Decreto legge “Superbonus”.

Per la plastic tax si tratta del settimo rinvio. Come anticipato nell’articolo Italia: rinviate la plastic tax e la sugar tax – Cc-Ti del 9 novembre 2023, la tassa andrà a colpire i manufatti in plastica monouso (i cosiddetti MACSI), nell’ordine di 0.45 euro per ogni chilo di prodotti in plastica monouso venduto o acquistato.

La sugar tax, che colpisce il consumo di bevande edulcorate analcoliche (voci di tariffa 2009 e 2202) entrerà invece in vigore a luglio 2024, come previsto, ma inizialmente nella misura di 5 euro per ettolitro e a decorrere dal 1° luglio 2026 nella misura 10 euro per ettolitro nel caso di prodotti finiti e di 0,13 rispettivamente 0,25 euro per kg nel caso di prodotti predisposti ad essere utilizzati previa diluizione.

Affrontare i nuovi rischi

Di fronte ai nuovi rischi parzialmente o non coperti dalle assicurazioni tradizionali come l’assicurazione di cose e le assicurazioni RC (responsabilità civile), le compagnie di assicurazione mettono a disposizione delle imprese diverse polizze raggruppate sotto il nome generico di “assicurazioni linee finanziarie”.

L’assicurazione ’Responsabilità dei dirigenti e degli amministratori’ (nota anche come D&O)

Questa copertura protegge dirigenti e amministratori di un’impresa dai reclami di terzi (fornitori, creditori, varie azioni legali da parte di dipendenti, concorrenti o azionisti, ecc.) derivanti dalle loro decisioni e dalla loro gestione nell’esercizio delle loro funzioni o del loro mandato. Questo funziona sia per le violazioni degli obblighi legali, regolamentari e statutari, come pure per qualsiasi errore di gestione commesso per imprudenza o negligenza, per omissione, per errore, per dichiarazione inesatta, …

Sono coperte:

  • le spese legali della difesa dei dirigenti in caso di implicazione della loro responsabilità personale,
  • le conseguenze finanziarie derivanti dalla responsabilità dei dirigenti quando assicurabili, comprese le sanzioni pronunciate da un’autorità,
  • le spese legali ed eventuali conseguenze per la società.

Questa protezione considera che l’assunzione di rischi fa parte della vita quotidiana. Gli assicuratori offrono un vero supporto e prevenzione.

L’assicurazione cyber

Copre i rischi legati a un incidente informatico, che di solito mira ai dati personali e riservati di un’azienda. Le fughe di dati possono generalmente comportare sanzioni regolamentari, danneggiare gravemente l’immagine dell’azienda e mettere in discussione la sua sostenibilità. Di fronte agli effetti devastanti di un attacco informatico, le coperture proposte solitamente riguardano:

  • l’assistenza e la gestione della crisi,
  • le responsabilità legate ai dati,
  • le spese di indagine,
  • il ripristino dei dati elettronici,
  • l’interruzione della rete,
  • le spese legate alla richiesta di riscatto.

È importante notare che oggi l’assicurazione cyber offre un supporto completo in termini di prevenzione e assistenza, con il coinvolgimento di specialisti in sicurezza informatica e gestione delle crisi, nonché avvocati per assistere le vittime.

L’assicurazione contro le frodi

Inizialmente destinata alle istituzioni finanziarie, questa copertura si estende oggi a tutti i tipi di aziende, assicurando le perdite finanziarie derivanti da atti di frode interna ed esterna commessi da dipendenti o terzi, come l’appropriazione indebita, l’ottenimento o l’appropriazione criminale o fraudolenta di capitali, titoli o beni, attività tecnologiche o finanziarie.

Una necessaria presa di coscienza

È essenziale che le aziende valutino regolarmente i rischi a cui sono esposte, sviluppino piani di gestione adeguati e considerino soluzioni assicurative adeguate per limitare l’impatto sulle loro attività.

A tal fine, è consigliabile consultare un esperto assicurativo per valutare i rischi specifici legati all’ecosistema aziendale e per determinare la copertura più adatta. In questo senso, il vostro broker di fiducia può fornirvi preziosi consigli.


Fonte: Articolo a cura di Qualibroker-Swiss Risk & Care Group, apparso su “CCIG Info” nr 9 – 10.2023. Traduzione ed adattamento Cc-Ti.

Sicurezza generale dei prodotti nell’UE

Dal 13 dicembre 2024 nell’Unione europea si applicherà il Regolamento (UE) 2023/988 relativo alla sicurezza generale dei prodotti, con obblighi di conformità anche per i prodotti extra-UE.

A pochi mesi dall’attuazione del regolamento (UE) 2023/988 ricordiamo che lo stesso si applicherà in modo orizzontale ai prodotti immessi sul mercato unionale e non sottoposti a disposizioni specifiche che regolano la loro sicurezza o per gli aspetti che non sono specificamente regolati da tali disposizioni.

In aggiunta a quanto già illustrato nell’articolo “Sicurezza generale dei prodotti: nuovo regolamento UE” del 6 luglio 2023, segnaliamo che il regolamento 2023/988 amplia la cerchia dei soggetti responsabili. In particolare, stabilisce che l’obbligo generale di immettere o di mettere a disposizione sul mercato solo prodotti sicuri fa capo a tutti gli operatori economici stabiliti nell’Unione europea e intesi comeil fabbricante, il rappresentante autorizzato, l’importatore, il distributore, il fornitore di servizi di logistica o qualsiasi altra persona fisica o giuridica soggetta ad obblighi in relazione alla fabbricazione dei prodotti o alla loro messa a disposizione sul mercato” (art. 3 par. 13).

Una delle principali novità introdotte dal regolamento 2023/988 è l’equiparazione tra le vendite online e offline: i prodotti venduti su siti web ubicati al di fuori dell’UE sottostanno al regolamento se tali siti si rivolgono a consumatori europei (art. 4). Nella sua “Guida blu all’attuazione della normativa UE sui prodotti 2022”, che fa riferimento al regolamento (UE) 2019/1020 sulla vigilanza del mercato e la conformità dei prodotti, la Commissione specifica che “un’offerta di vendita è considerata destinata agli utilizzatori finali dell’Unione quando l’operatore economico interessato indirizza, con qualsiasi mezzo, le proprie attività verso uno Stato membro. Per determinare se un sito web ubicato all’interno o all’esterno dell’UE si rivolga agli utilizzatori finali dell’Unione si dovrà valutare la situazione caso per caso, tenendo conto di tutti i pertinenti fattori, quali le aree geografiche dove è possibile effettuare la consegna, le lingue disponibili utilizzate per le offerte e gli ordini, le possibilità di pagamento ecc.”. Per contro “il semplice fatto che il sito web degli operatori economici o degli intermediari sia accessibile nello Stato membro in cui l’utilizzatore finale è stabilito o domiciliato non è sufficiente”.

La scelta dell’auto non basta

Acquistare un’automobile a propulsione elettrica non significa solamente scegliere la marca, il modello, il colore e gli optional. Occorre pure preoccuparsi del sistema da utilizzare per la ricarica elettrica della batteria. Con veicolo a propulsione termica, benzina o diesel che sia, per fare il pieno di carburante ci si reca semplicemente presso una delle numerose stazioni di rifornimento sparse sul territorio e, in pochi minuti, il pieno è fatto. Con l’auto elettrica non funziona così.

O meglio, potrebbe anche funzionare in questa maniera, infatti le colonnine di ricarica pubbliche sono disponibili e ben ripartite sul territorio e quindi a disposizione per la ricarica dell’auto. Ma come sappiamo per ricaricare parzialmente o totalmente la batteria occorre più di qualche minuto e quindi il tempo che il proprietario di un’auto elettrica deve investire per fare il pieno risulterebbe non sopportabile.

Una soluzione naturalmente esiste, è pratica e addirittura impegna meno tempo per il pieno al proprietario dell’auto. È la ricarica a domicilio. Ecco che quindi, acquistando un veicolo elettrico è indispensabile pure acquistare, se non già disponibile, un sistema di ricarica da installare nel proprio box o parcheggio di casa. In questa maniera l’auto elettrica può tranquillamente essere ricaricata nei momenti in cui non viene utilizzata e il proprietario non deve preoccuparsi di investire il proprio tempo libero per fare il pieno. Naturalmente tutto questo richiede un’installazione dell’infrastruttura di ricarica adatta alle proprie esigenze e possibilità.

La situazione abitativa della popolazione svizzera è molto variegata e va dai proprietari di case unifamiliari fino agli inquilini che abitano in condomini gestiti da amministrazioni immobiliari o dai proprietari dello stabile abitativo. Ogni situazione personale richiede una soluzione specifica che non può semplicemente essere ridotta all’acquisto di una wallbox da collegare alla presa elettrica di casa. Anche in questo ambito la tecnologia ha fatto passi da gigante e il mercato offre soluzioni più o meno valide.

Innanzitutto, va specificato che utilizzare un caricatore per batteria da collegare alla normale presa elettrica di casa è assolutamente sconsigliato ed addirittura pericoloso. Le normali prese domestiche non sono progettate per sopportare dei carichi di corrente relativamente elevati e per diverse ore in modo continuato. Il rischio è quello di provocare un incendio per surriscaldamento della presa. Occorre quindi acquistare una stazione di ricarica da collegare in maniera adeguata direttamente all’impianto elettrico o comunque tramite una presa progettata a questo scopo. La scelta poi della stazione di ricarica richiede pure attenzione. Sul mercato ne esistono principalmente di due tipi: le stazioni “non intelligenti” e quelle “intelligenti”. Le prime le possiamo classificare come dei semplici fornitori di energia elettrica che si occupano di fornire sempre il massimo della corrente elettrica richiesta dal veicolo per caricare la batteria di trazione. La seconda invece prevede la possibilità di adeguare l’erogazione di corrente in base alla disponibilità offerta dall’impianto elettrico di casa senza sovraccaricarlo o di fornire maggiore potenza quando ad esempio splende il sole e l’impianto fotovoltaico genera una maggiore quantità di energia elettrica disponibile tra l’altro a costo zero.

Un altro aspetto fondamentale di questa tecnologia, se applicata in modo corretto, è quello di non sovraccaricare la rete pubblica di distribuzione dell’energia elettrica mettendo in crisi l’intero sistema di approvvigionamento. Si, perché un problema che, con il continuo aumento delle vetture con necessità di
ricarica della batteria di trazione, sarà quello del sovraccarico che, in alcuni momenti della giornata, per esempio alla sera quanto buona parte della popolazione rientra dal lavoro e approfitta di caricare la propria auto, si verificherà sempre più spesso.

Le possibili soluzioni per evitare blackout elettrici o limitazione della ricarica delle auto, sono principalmente due:

  • il potenziamento spropositato della rete di distribuzione dell’energia elettrica con investimenti miliardari o
  • una gestione intelligente dell’energia elettrica disponibile grazie alla ripartizione del carico e allo sfruttamento della sovrapproduzione in particolare delle fonti di energia rinnovabile.

Tra le due è sicuramente più sensato puntare sulla seconda soluzione. In questo caso ogni singolo automobilista con un piccolo investimento può dare il suo contributo installando una colonnina di ricarica intelligente e connessa e, nel prossimo futuro, con l’installazione di una colonnina bidirezionale che permette di trasformare l’auto con batteria di trazione da semplice mezzo di trasporto a powerbank per lo stoccaggio e la messa a disposizione in caso di necessità dell’energia accumulata nei momenti di sovrapproduzione.

Tornando alla considerazione iniziale e partendo dal principio che per ogni veicolo elettrico in circolazione ci deve essere una stazione di ricarica privata a disposizione, oltre alla scelta della nuova auto occorre scegliere il giusto impianto di ricarica. L’importante è non accontentarsi della prima offerta di una wallbox “stupida”, magari meno costosa, ma richiedere una consulenza tecnica professionale e lungimirante che offra soluzioni durevoli nel tempo e adattabili alle mutate esigenze di una mobilità moderna e sostenibile.


Articolo a cura di Marco Doninelli, Responsabile mobilità Cc-Ti

Blocco dell’ingresso di un centro commerciale. Nessuna coazione imputabile ai militanti per il clima

Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.

In una recente sentenza il Tribunale federale ha dovuto stabilire se una cosiddetta manifestazione per il clima implicasse responsabilità di natura penale. In concreto si è trattato del blocco durato 2 ore dell’ingresso di un centro commerciale a Friburgo.

Il Ministero pubblico ha sostenuto l’accusa per coazione nei confronti dei militanti per il clima. L’articolo 181 del Codice penale prevede che “chiunque, usando violenza o minaccia di grave danno contro una persona, o intralciando in altro modo la libertà d’agire di lei, la costringe a fare, omettere o tollerare un atto, è punito con una pena detentiva sino a tre anni con una pena pecuniaria”.

I giudici hanno pertanto analizzato in tale prospettiva la manifestazione che, come indicato, ha implicato il blocco dell’accesso al centro commerciale. In questa analisi hanno innanzitutto ricordato i principi già precedentemente sviluppati dalla giurisprudenza pertinente. In particolare, hanno ribadito che le autorità devono dar prova di una certa tolleranza nel caso di assembramenti non autorizzati ma non violenti, così da non svuotare della sua sostanza la libertà di riunione. Hanno poi rammentato che i limiti della tolleranza vanno definiti in relazione alle circostanze concrete di ogni caso e non in modo generico e generalizzato. Nella fattispecie concreta è stato possibile appurare che la manifestazione aveva comunque lasciato liberi altri accessi dello stabile permettendo in tal modo alla gente di uscire o entrare per altre vie percorrendo una deviazione di poco conto.

Stando così le cose, hanno concluso i giudici, la pressione esercitata dai manifestanti sui clienti del centro commerciale non ha raggiunto un’intensità sufficiente da arrecare una grave perturbazione alla loro libertà personale parificabile ad una coazione. A queste condizioni non sussiste pertanto alcuna responsabilità penale dei militanti per il clima come invece era stato in passato il caso in relazione al blocco di tre importanti autostrade.
(Sentenza 6B_138/2023)

Scopri il Servizio giuridico della Cc-Ti!

Sviluppo della rete autostradale: un referendum che danneggia anche il Ticino

Assieme alla rete ferroviaria, quella stradale nazionale è vitale per il buon funzionamento del nostro Paese. La mobilità individuale, quella pubblica, così come quella necessaria alla consegna delle merci, sono possibili unicamente con infrastrutture ferroviarie e stradali moderne ed efficienti.

Entrambe con importanti necessità di manutenzione e sviluppo, la rete stradale nazionale e quella ferroviaria sono oggi in più punti sovraccariche. Quella autostradale, in particolare, pur rappresentando meno del 3% delle strade in Svizzera, assorbe oltre il 40% del traffico privato e il 70% di quello delle merci su strada, garantendo in particolare anche il tragitto tra i grandi centri di smistamento ferroviari e i destinatari.

Nel breve volgere degli ultimi 10 anni, malgrado i chilometri percorsi da tutti i veicoli siano aumentati soltanto del 5,3%, le ore di colonna complessive sono raddoppiate (+ 100%), raggiungendo le 40’000 ore in coda all’anno. E la tendenza, con l’aumento previsto della popolazione e il sempre crescente bisogno di mobilità, tanto su strada, quanto su ferrovia, è di un incremento esponenziale, con quindi l’elevata probabilità che il traffico, in più punti congestionato sulla rete autostradale, alla stessa stregua di quella ferroviaria, si riversi sulle strade cantonali e comunali, all’interno degli agglomerati.
Ora, se i necessari investimenti nella ferrovia (garantiti a livello nazionale dal fondo per il finanziamento e l’ampliamento dell’infrastruttura ferroviaria, FIF, approvato in votazione popolare nel 2014) non vengono attaccati per motivi ideologici, raccogliendo quindi il giusto consenso, quelli per il buon funzionamento delle strade nazionali e la risoluzione dei problemi di traffico negli agglomerati (pure garantiti da un fondo federale, FOSTRA, anch’esso approvato dal popolo nel 2017) devono invece, non di rado, superare lo scoglio di posizioni contrarie per principio.

L’ultimo in ordine di tempo è il referendum lanciato da associazioni ambientaliste capeggiate dall’Associazione traffico e ambiente (ATA) e sostenuto da PS e Verdi contro il programma di sviluppo (la cosiddetta “fase di potenziamento 2023”) della rete stradale nazionale concernente cinque progetti maturi per il decongestionamento di tratte correntemente interessate da ingorghi con il conseguente traffico parassitario che si riversa sulle strade di quartiere degli agglomerati limitrofi e quindi con la conseguenza di maggiori rumori, pericoli e inquinamento, che i progetti in questione si propongono invece di migliorare.

Nello specifico, si tratta della costruzione della terza galleria nel tunnel del Rosenberg a San Gallo, della seconda galleria nel tunnel di Fäsenstaub a Sciaffusa, del tunnel del Reno a Basilea, di una corsia supplementare per senso di marcia sul tratto Wankdorf-Schönbühl-Kirchberg a Berna, così come tra Le Vengeron, Coppet e Nyon, nei Cantoni di Ginevra e Vaud.

Dal canto suo, il referendum in questione costituisce una posizione di principio, contro “nuovi investimenti nelle strade”, che – se accolta – verrà replicata con la medesima motivazione ideologica (“basta investire nelle autostrade”) e determinerà il posticipo di tutta la pipeline dei progetti previsti in futuro sangallesi, sciaffusani, basilesi, bernesi, vodesi e ginevrini non lasceranno ovviamente che altri passino davanti ai loro già maturi adesso), fra cui, in coda, ci sono anche quelli che concernono il Cantone Ticino, collegamento A2-A13 (Bellinzona-Locarno) in testa.
Quest’ultimo è attualmente in fase di affinamento da parte dell’Ufficio federale delle strade (USTRA), che ha ripreso in buona parte quanto era stato elaborato dal Cantone Ticino per accelerare i tempi. Il risultato confluirà nel progetto generale che dovrà essere approvato dal Consiglio federale e poi inserito definitivamente in uno dei prossimi (si confida il prossimo) programma di sviluppo della rete nazionale con un orizzonte realizzativo per ora previsto al 2040.

Sostenere il referendum in questione, per il quale si andrà al voto il prossimo autunno, oltre che impedire il decongestionamento di importanti arterie stradali e la messa in sicurezza delle strade secondarie su cui il traffico intasato sempre più devierebbe, vuol quindi pure dire mettere a repentaglio i nostri interessi cantonali e segnatamente la realizzazione, finalmente, del collegamento autostradale tra Bellinzona e Locarno, così come altri futuri progetti anche a sud delle Alpi.


Articolo a cura di Simone Gianini, Consigliere nazionale, Presidente ACS Sezione Ticino

Sanità del futuro: tra innovazione tecnologica e diritti individuali

L’orizzonte della tecnologia sanitaria si allarga, cancellando i confini tra fisico e digitale e inaugurando un’era in cui il nostro corpo diventa un’interfaccia vivente.

Immagine generata da Open AI (DALL.E)

Dispositivi indossabili e impianti interni ci circondano, monitorando movimenti e battiti cardiaci con precisione, anticipando un futuro dove le nostre funzioni biologiche interagiscono direttamente con il mondo digitale. Questo non è solo in concetto di fantascienza ma l’alba dell’Internet of Bodies (IoB), una rivoluzione tecnologica che si annuncia tanto impattante quanto la scoperta del DNA.

In questo contesto, emergono innovazioni rivoluzionarie come Neuralink, che promette di amplificare le nostre capacità cognitive mediante un’interfaccia diretta tra cervello e computer. Quest’epoca di confini sempre più sfumati tra biologia e tecnologia porta sfide inedite per la nostra privacy e identità personale, specialmente nel settore sanitario dove l’IA sta già trasformando la precisione diagnostica e ottimizzando i trattamenti. L’IA, unita alle potenzialità dell’IoB di fornire monitoraggi in tempo reale e terapie personalizzate attraverso l’analisi di dati biologici, getta le fondamenta per un approccio alla cura sempre più preciso e personalizzato. Tuttavia, è essenziale riconoscere che, al di là dell’automazione e della precisione dei dati, il giudizio finale spetta sempre all’esperto clinico, il cui ruolo rimane centrale e insostituibile nel processo decisionale clinico.

Questo nuovo paradigma di salute digitale solleva interrogativi critici su privacy, etica, sicurezza e proprietà dei dati personali, richiedendo una riflessione profonda su come navigare le acque di questa rivoluzione tecnologica senza compromettere i diritti fondamentali dell’individuo. Queste sfide si fanno ancor più pressanti di fronte all’emergere di tecnologie pionieristiche quali Neuralink, che quest’anno ha inaugurato una nuova era con l’impianto del primo dispositivo BCI (Brain Computer Interface) su un paziente, spostando i confini del possibile verso ambiti un tempo considerati pura fantascienza. In questo scenario emergente che si spinge alle frontiere dell’etica, si comincia a delineare una distinzione tra gli esseri umani “1.0”, ovvero quelli non modificati o potenziati tecnologicamente, e gli “umani 2.0”, individui che incorporano tecnologie avanzate per estendere le proprie capacità fisiche e cognitive.

Questa dicotomia solleva questioni etiche fondamentali, interrogandoci su cosa significhi veramente essere umani in un’epoca di profonda trasformazione digitale.

La “Cognizione Collettiva”, un concetto che descrive una nuova forma di intelligenza e di connessione tra individui mediata dalla tecnologia, ad esempio, sta diventando una realtà sempre più tangibile, richiedendo una riflessione critica sul nostro futuro collettivo. Nell’affrontare questa accelerazione dell’innovazione tecnologica, le normative come la LPD, il GDPR e l’EU AI Act sono state create e adattate per cercare un equilibrio tra il progresso tecnologico e la tutela dei diritti individuali. Introducendo standard elevati per la gestione dei dati personali, in particolare quelli sensibili come i dati sanitari, queste leggi riflettono il tentativo di armonizzare l’avanzamento tecnologico con i principi etici e sociali, enfatizzando
l’importanza di adottare approcci come il “privacy by design” e il “privacy by default”.

Questi principi non rappresentano solo una risposta alle complessità etiche emergenti, ma diventano parte integrante dell’innovazione responsabile, puntando a un rispetto completo della persona. All’interno del settore sanitario, questa evoluzione normativa si traduce in un cambiamento importante nell’approccio al trattamento dei dati sensibili, stimolando un’avanzata collaborazione tra pazienti, professionisti sanitari e legislatori. La pratica medica si adatta non solo agli obblighi normativi ma rafforza la fiducia, elevando strumenti come il consenso informato oltre la mera burocrazia per migliorare trasparenza e protezione dei diritti nell’era digitale. In questo contesto, l’Internet of Bodies, l’intelligenza artificiale e le interfacce cervello-computer (BCI) catalizzano la transizione verso cure mediche altamente personalizzate, richiedendo norme
che superino la mera conformità burocratica per favorire un’innovazione etica e centrata sull’individuo.

Così, l’avanzamento legislativo, guidato dalle sfide poste dalle nuove tecnologie
sanitarie, emerge non solo come risposta alle necessità di conformità ma come componente fondamentale di un futuro dove ogni innovazione tecnologica è al servizio del benessere collettivo, preservando i valori fondamentali di rispetto e dignità personale.


Articolo di Baroum Mrad MLaw, CAS-DPO HSG, Data Protection Officer, EOC

Registrazione dell’orario di lavoro: chi può essere dispensato?

La legge svizzera impone alle aziende di mettere in atto un sistema di registrazione della durata del lavoro e comporta, in modo generale, un obbligo per i lavoratori di registrare il loro tempo di lavoro. Di seguito verrà spiegato quali sono i collaboratori che non devono sottostare a questa norma o che lo sono parzialmente e come procedere per rinunciare alla registrazione dell’orario di lavoro o per mettere in atto una registrazione semplificata.

Quadro normativo

La legge sul lavoro (art 46 LL) impone al datore di lavoro di mettere a disposizione delle autorità di sorveglianza i registri o i giustificativi contenenti le informazioni necessarie all’esecuzione di questa legge e delle relative ordinanze. L’ordinanza 1 relative alla legge sul lavoro (art 73 OLL1) precisa che i registri e i giustificativi devono indicare la durata quotidiana e settimanale del lavoro fornito (lavoro compensativo e supplementare incluso), le coordinate temporali (ore di inizio e fine del lavoro), gli orari e la durata delle pause di una durata uguale o superiore alla mezz’ora.

Registrazione semplificata

Nel quadro della registrazione semplificata (art 73 b OLL1) solo la durata giornaliera del lavoro fornito deve essere presa in considerazione: non è dunque necessario precisare i periodi di lavoro e di risposo, eccezion fatta per il lavoro domenicale e notturno. È altresì possibile creare un sistema di registrazione semplificata per i collaboratori che possono determinare in modo autonomo una parte significativa del loro orario lavorativo.
Secondo la SECO (Segretaria di Stato per l’Economia) i lavoratori che potrebbero sottostare a questa misura sono coloro che possiedono una flessibilità tale da organizzare e fissare almeno un quarto dei loro orari di lavoro (valore indicativo). L’esistenza di orari flessibili non è sufficiente.

Il criterio è soddisfatto quando gli orari fissati non sorpassano il 75% del tempo di lavoro totale e quando l’autonomia del lavoratore non è limitata da altre esigenze (es. riunioni obbligatorie o viaggi d’affari).

Al fine di instaurare la registrazione semplificata occorre concludere un accordo collettivo con i rappresentanti dei lavoratori dell’azienda (commissione del personale) o con un sindacato (oppure in mancanza di ciò con la maggioranza dei lavoratori dell’azienda).
Questo accordo deve indicare:

  • quali categorie di lavoratori sottostanno alla registrazione semplificata;
  • prevedere disposizioni particolari per garantire il rispetto della durata del lavoro e del tempo di riposo (es. blocco delle e-mail durante la notte e la domenica);
  • una procedura paritaria che permetta di verificare il rispetto dell’accordo.

Nelle aziende che impiegano meno di 50 dipendenti è possibile concludere un accordo individuale per iscritto. Quest’ultimo deve menzionare le disposizioni relative alla durata del lavoro e del riposo. Inoltre, l’azienda deve organizzare un colloquio di fine anno sul carico di lavoro e registrarne il contenuto. Anche se un accordo è stato concluso, il datore di lavoro è tenuto a fornire uno strumento adeguato alla registrazione dell’orario di lavoro, perché i dipendenti restino liberi di registrarlo.

Rinuncia alla registrazione

È consentita la rinuncia alla registrazione dell’orario di lavoro se sono soddisfatte cumulativamente quattro condizioni (art. 73a OLL1). Innanzitutto, la rinuncia deve essere stipulata in un contratto collettivo di lavoro (CCL), sottoscritto dalle parti sociali. Questo CCL deve essere sottoscritto dalla maggioranza delle organizzazioni rappresentanti i lavoratori, in particolare nell’azienda o nel settore, e prevedere misure specifiche per garantire la tutela della salute e assicurare il rispetto della durata del riposo fissata dalla legge. Deve includere, inoltre, l’obbligo del datore di lavoro di designare un responsabile o un servizio interno che si occupi delle questioni relative alla durata del lavoro. In secondo luogo, i lavoratori interessati devono disporre di grande autonomia nel loro lavoro e poter fissare, nella maggior parte dei casi, il proprio orario di lavoro. In terzo luogo, questi dipendenti devono ricevere uno stipendio annuo lordo superiore a CHF 120’000.- (ev. bonus inclusi) o la quota corrispondente in caso di lavoro a tempo parziale. In quarto luogo, deve essere concluso un accordo scritto individuale con ciascun dipendente dove viene indicata la rinuncia alla registrazione del proprio orario di lavoro. Questo accordo è revocabile ogni anno. In caso di rinuncia alla registrazione dell’orario di lavoro, il datore di lavoro deve mettere a disposizione delle autorità gli accordi individuali di rinuncia nonché un registro dei lavoratori che hanno rinunciato alla registrazione della durata del loro lavoro.

Quadri superiori e/o dirigenti

I lavoratori che ricoprono una posizione dirigenziale non sono soggetti alla normativa alla legge sul lavoro sul lavoro (art. 3 lett. d LL) e quindi non sono assoggettati all’obbligo di registrazione dell’orario di lavoro. Sono considerati tali i soggetti che, in ragione della loro posizione e responsabilità e date le dimensioni dell’azienda, dispongono di un significativo potere decisionale, o sono in grado di influenzare fortemente le decisioni importanti riguardanti, in particolare, la struttura, l’attività commerciale e lo sviluppo di un’azienda o di una parte di azienda (art. 9 OLL1). La nozione di “alta funzione dirigenziale” è interpretata in modo restrittivo dalla giurisprudenza (v. sentenza del Tribunale Federale ATF 126 III 337 c. 5).


Fonte: articolo di Kathia Pauchard, apparso su “ECHO”, rivista della Camera di commercio e dell’industria di Friborgo, nr 1, marzo 2024. Traduzione ed adattamento Cc-Ti.