Scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti.
Le vacanze sono un diritto dei dipendenti. Lo dice la legge. E questo diritto viene maturato sulla base del tempo passato al servizio dell’azienda per cui si lavora. Infatti, per un anno incompleto di lavoro, le vacanze sono date proporzionalmente alla durata del rapporto di lavoro nell’anno considerato. Fino a qui tutto chiaro. Ma cosa succede se il dipendente non lavora a causa, ad esempio, di una malattia? Nonostante l’assenza, continua a maturare i suoi giorni di vacanza per l’anno considerato?
Su questo punto il Codice delle obbligazioni prevede, a determinate condizioni, la possibilità di ridurre il diritto alle vacanze. Nel caso in cui l’impedimento al lavoro è causato da motivi inerenti alla persona del lavoratore, come malattia, infortunio, adempimento d’un obbligo legale, esercizio d’una funzione pubblica o congedo giovanile, senza che vi sia colpa da parte sua, il datore di lavoro non ha diritto di ridurre la durata delle vacanze se l’impedimento non dura complessivamente più d’un mese nel corso d’un anno di lavoro. E la riduzione scatta comunque solo dopo un successivo mese completo di assenza.
Se invece l’assenza è imputabile ad una colpa del dipendente la riduzione può scattare già dopo il primo mese completo di assenza. La situazione si complica se il dipendente è incapace al lavoro solo parzialmente, al 50% ad esempio. Come si procede in simili situazioni?
In questi casi il periodo di attesa si calcola allungandolo proporzionalmente al grado di incapacità lavorativa. Ciò significa che per avere un mese completo di assenza bisognerà attendere due mesi, essendo la persona presente al lavoro per la metà del suo tempo. E di conseguenza il diritto alle vacanze potrà essere ridotto solo dal terzo mese completo di assenza dal posto di lavoro.
La vittoria di Trump e, più in generale, il verosimile orientamento della sua amministrazione verso il prolungamento o l’intensificazione del protezionismo commerciale e il disaccoppiamento economico dalla Cina presentano opportunità e rischi per le aziende che esportano negli Stati Uniti, in particolare nei casi in cui le vendite negli Stati Uniti costituiscono quote significative delle vendite globali. Questo vale anche per gli esportatori svizzeri, visto che da ormai alcuni anni la Nazione nordamericana rappresenta il principale mercato di destinazione dell’export elvetico.
Durante la sua recente campagna, Trump si è impegnato a imporre dazi del 60% sulle importazioni dalla Cina e del 10-20% sulle importazioni provenienti dal resto del mondo. Una recente analisi di Global Trade Alert (Briefing 42, 05.11.2024), iniziativa nata come progetto di ricerca dell’Università di San Gallo e ora guidata dal St. Gallen Endowment for the Prosperity Through Trade (SGEPT), basata sulle importazioni complessive degli Stati Uniti nel 2022 (l’ultima serie completa di dati sul commercio internazionale delle Nazioni Unite), mostra che i fornitori stranieri di veicoli, motori, hardware per computer e dispositivi medici sarebbero più vulnerabili delle controparti che forniscono petrolio greggio, prodotti farmaceutici, batterie, apparecchiature per le telecomunicazioni e semiconduttori.
Anche gli esportatori svizzeri sarebbero colpiti dall’aumento dei dazi, come tutti gli altri; tuttavia, a causa delle specifiche dinamiche di mercato e della base di clienti, alcuni settori potrebbero esserlo più di altri. È il caso dell’industria farmaceutica: sebbene sia attualmente poco esposta ai dazi, l’aumento di questi tributi potrebbe avere un impatto significativo sull’intero settore a causa dei volumi esportati. Oltre ai prodotti farmaceutici, la Svizzera esporta principalmente beni di fascia alta, sofisticati e costosi, come macchinari ed elettronica, strumenti di precisione e orologi. Molte aziende svizzere, indipendentemente dall’industria in cui operano, non saranno in grado di incorporare i dazi nella loro struttura dei costi, e quindi potrebbero pensare a trasferire i costi al consumatore. Ciò comprometterebbe la loro competitività e influenzerebbe la domanda, poiché i loro clienti cercherebbero opzioni meno costose. Tuttavia, sottolineare ancora di più la qualità e l’affidabilità della tecnologia svizzera potrebbe aiutarle a giustificare i prezzi più alti derivanti dall’aumento dei dazi. Inoltre, potrebbero aumentare il valore del prodotto fornendo consulenza, manutenzione, personalizzazione e servizi che vanno oltre il prodotto stesso, rendendo più difficile per i concorrenti sostituirlo o replicarlo. Questo aumenterebbe il valore del marchio e i clienti potrebbero essere più disposti a pagare un prezzo più elevato per servizi e competenze unici.
Una politica commerciale aggressiva di Trump potrebbe causare anche nuovi conflitti commerciali con la Cina, e non solo. Ciò potrebbe provocare ritorsioni da parte di altri partner commerciali, che a loro volta potrebbero colpire indirettamente la Svizzera: nel 2018, ad esempio, il tycoon ha imposto un dazio del 25% su alcuni prodotti dell’acciaio e un dazio del 10% su alcuni prodotti dell’alluminio. In risposta, l’Unione europea ha introdotto misure di salvaguardia su alcune importazioni di acciaio, e nello specifico un dazio del 25% sulle importazioni che superano determinati contingenti; questo dazio che è stato applicato anche alle importazioni svizzere.
A proposito dell’“elefante nella stanza”: la Cina è il terzo partner commerciale della Svizzera. Dal 2014 la Svizzera e il Dragone hanno un accordo di libero scambio (ALS). A settembre, il governo svizzero ha dato il via libera ai negoziati per ampliare l’ALS. Tuttavia, se le politiche di Trump dovessero portare a ulteriori restrizioni al commercio con il gigante asiatico, le aziende esportatrici svizzere che fanno affidamento su componenti cinesi potrebbero incontrare difficoltà significative. In effetti, un’indagine del 2023 del Centro di ricerca congiunturale del Politecnico di Zurigo (KOF) afferma che un quinto delle imprese industriali svizzere dipende da input essenziali provenienti dalla Cina (materie prime, componenti) in misura da moderata a forte. L’elettronica è il settore più dipendente, seguito dai comparti farmaceutico e chimico. Dall’indagine emerge che un disaccoppiamento dalla Cina sarebbe al momento insostenibile.
Da tempo la Svizzera auspica di concludere un ALS con gli Stati Uniti. La precedente amministrazione Trump si è dimostrata favorevole agli accordi commerciali bilaterali e il nuovo governo potrebbe essere interessato a raggiungere un accordo con il nostro Paese, che però sarà chiamato a gestire attentamente i rapporti con le due super potenze perché una maggiore cooperazione con l’una potrebbe condizionare le relazioni con l’altra. Allo stesso modo, le aziende svizzere che operano o vogliono operare negli Stati Uniti, in particolare quelle attive in settori sensibili, devono essere caute perché le loro operazioni con partner cinesi potrebbero influenzare loro attività negli Stati Uniti, e viceversa. In sostanza, gli esportatori svizzeri devono monitorare attentamente le regolamentazioni in vigore e quando gestiscono la doppia catena di fornitura devono assicurarsi di agire in conformità con le normative di entrambi le Nazioni. Ne derivano un aumento dei costi e della complessità, soprattutto nel caso in cui sia negli Stati Uniti sia in Cina si rendano necessari investimenti produttivi.
Poiché la nuova strategia “America first” di Trump probabilmente favorirà il reshoring delle aziende statunitensi e gli investimenti esteri nel settore manifatturiero, questa opzione sta diventando sempre più concreta. Di conseguenza, le aziende svizzere che esportano attualmente prodotti negli Stati Uniti potrebbero essere incentivate a istituire sedi produttive in loco per evitare i dazi e migliorare la loro posizione sul mercato. Tuttavia, ciò comporterebbe anche delle sfide, come gli elevati costi iniziali di investimento e operativi, la complessità delle normative e delle pratiche commerciali, la ricerca di lavoratori qualificati o l’attuazione di programmi di formazione.
Le aziende svizzere dovranno continuare ad essere innovative e attente, nonché pronte ad adottare le misure necessarie per mantenere la loro posizione nei mercati statunitensi e internazionali.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/11/ART24-Ritorno-Trump.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-11-26 08:00:002024-11-20 14:30:48Il ritorno di Trump: rischi e opportunità per l’export svizzero (e non solo)
L’industria svizzera delle tecnologie mediche è solida e importante per l’economia svizzera. Con un aumento del fatturato di oltre il 6% negli ultimi due anni, il medtech ha registrato una crescita doppia rispetto al PIL nominale in Svizzera nello stesso periodo.
«L’ottimizzazione dei processi a livello di efficienza rientra tra le competenze chiave del settore medtech svizzero. Dobbiamo assumere un ruolo di precursori nella digitalizzazione e nell’uso dell’IA, se vogliamo assicurare la concorrenzialità della produzione medtech in Svizzera, paese caratterizzato da prezzi elevati.» Adrian Hunn, Direttore di Swiss Medtech
Il settore crea un numero di posti di lavoro superiore alla media – rispetto ad altri comparti industriali -, come dimostrano i 20’000 nuovi posti di lavoro creati negli ultimi dieci anni. Nel 2023, circa 71’700 persone, di cui il 40% donne, sono stati impiegati nel settore – uno dei tassi di occupazione pro capite più alti d’Europa.
Tuttavia, questa storia di successo dell’industria medtech presenta anche delle sfide. La densità normativa e l’aumento dei costi mettono le aziende sotto forte pressione. Il Regolamento europeo sui dispositivi medici (MRD – Medical Device Regulation) grava su molte aziende medtech con costi elevati. Per gestire la MDR l’80% delle imprese ha assunto ulteriore personale e il 60% ha dovuto dirottare risorse di personale, spostandole dal settore ricerca e sviluppo. La metà delle imprese ha ridotto il suo portafoglio prodotti di, mediamente, il 20%.
Un aspetto fondamentale che emerge dall’ultimo studio di settore di Swiss Medtech è la crescente importanza della digitalizzazione. Il medtech la vede come una delle sue maggiori opportunità. La trasformazione digitale sta cambiando i processi di innovazione, produzione e vendita. L’intelligenza artificiale e le soluzioni digitali contribuiscono ad aumentare l’efficienza e a garantire la posizione di leader globale dell’industria medtech svizzera.
Un altro tema importante per il settore è la sostenibilità, aspetto fondamentale per l’accesso al mercato. Clienti e investitori richiedono sempre più informazioni sulla sostenibilità, in particolare sulla protezione del clima. Il 74% delle aziende medtech è già impegnato in questo ambito e Swiss Medtech sta lavorando a una roadmap del settore per la decarbonizzazione. Questo dovrebbe rafforzare la competitività e attirare anche i giovani talenti, per i quali la sostenibilità è un criterio importante nella scelta del datore di lavoro.
Il networking internazionale gioca un ruolo decisivo per la competitività. L’UE rimane il principale partner commerciale dell’industria medtech svizzera, ma anche gli Stati Uniti e i mercati asiatici stanno acquisendo sempre più importanza. L’industria medtech svizzera ha bisogno di una politica estera ed economica che promuova relazioni commerciali stabili e affidabili con importanti mercati globali. In un contesto sempre più protezionistico, la risposta è la “diversificazione”: portare avanti nuovi accordi di libero scambio, ad esempio con il Mercosur, riprendere i negoziati per un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti e rafforzare le nostre relazioni con l’UE attraverso gli Accordi Bilaterali III – questo è l’impegno di Swiss Medtech.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/11/ART24-SMT2024-1.jpeg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-11-25 08:05:002024-11-26 14:44:25La Svizzera è un Paese medtech
Intervista con Giuseppe Perale, Presidente Swiss Medtech Ticino
Swiss Medtech Ticino ha alle spalle due intensi anni di attività? Può fare un bilancio e parlarci delle sinergie con altri comparti economici?
I primi due anni di vita di Swiss Medtech Ticino sono sicuramente stati molto intensi, caratterizzati da importanti sviluppi e iniziative volte a consolidare la nostra posizione sia a livello cantonale che nazionale. Stiamo, infatti, uscendo dalla fase di start-up e guardiamo al prossimo anno con lo spirito di continuare a crescere organicamente e, sulla scorta degli obiettivi della nostra associazione madre nazionale, consolidare il nostro ruolo tra gli attori economici di riferimento. La nostra sezione ticinese in soli due anni è passata da 13 iscritti all’importante traguardo di 50 associati, passato proprio oggi: un segno importante e tangibile della dinamicità del contesto medicale ticinese, dell’interesse verso la vita associativa e verso i temi affrontati durante i nostri eventi. Gli associati hanno infatti chiaramente espresso una forte volontà di networking sia su base locale che nazionale, confermando anche l’interesse per gli argomenti chiave del settore medtech. Dal nostro avvio, infatti, abbiamo lavorato intensamente per creare un ecosistema collaborativo, puntando su innovazione, ricerca e sviluppo, regolatorio, formazione, sviluppo di sinergie e proiezione internazionale. Nei primi due anni abbiamo organizzato 12 eventi tematici, spesso ospitati presso aziende associate, permettendo così non solo l’approfondimento specifico ma anche la conoscenza reciproca tra colleghi. Questo, grazie ad un Comitato locale estremamente attivo ed al supporto segretariale della Cc-Ti rappresentata dal Vicedirettore Michele Merazzi, ci ha permesso di sviluppare anche numerose sinergie con altri comparti economici ed industriali, laddove le nuove frontiere della ricerca tecnologica stanno facendo sfumare sempre di più i tradizionali confini settoriali. Su tutte meritano menzione l’intelligenza artificiale, la chimica, la scienza dei materiali e l’elettronica. Non mancano le collaborazioni con istituzioni accademiche e sanitarie, che ci hanno permesso di promuovere progetti comuni, spesso con il diretto coinvolgimento dei colleghi di Farma Industria Ticino, al fine di consolidare il ruolo del comparto economico delle scienze della vita nella vita del nostro Cantone. La volontà è e resta quella di fare fronte comune alle grandi sfide sistemiche e geopolitiche che colorano di tinte chiaro-scure la fase storica in cui viviamo ma che vanno affrontate uniti come imprenditori, come economia e come Paese. Pur restano le perduranti incertezze legate al sempre più caotico quadro normativo europeo per il settore medicale, i vicini conflitti, le tensioni valutarie e la carenza di personale specializzato, il bilancio resta complessivamente positivo. Si è consolidata anche la collaborazione tra Ticino e la nostra associazione madre a Berna, facilitata sicuramente dall’introduzione dell’italiano come lingua ufficiale nelle comunicazioni a tutti i livelli ma soprattutto dall’arrivo di una imprenditrice ticinese di spicco, Nicoletta Casanova, nel board nazionale.
Un elemento su cui puntare per il futuro è sicuramente la formazione continua. Come vi state muovendo?
Come tutti i settori ad alto valore aggiunto, anche il comparto medtech svizzero soffre l’endemica carenza di personale specializzato e, a livello cantonale, questo aspetto è ulteriormente accentuato da una crescente competizione con le aziende di oltre confine, in un quadro aggravato anche dai complessi rapporti fiscali e normativi. Swiss Medtech Ticino si è attivata nel mappare le offerte educative presenti attualmente sul territorio e che sono mirate o affini al nostro settore. Una volta ultimata questa prima attività ci occuperemo ora di rendere maggiormente attrattive le formazioni da offrire ai ragazzi e alle ragazze che si avvicinano al mondo del lavoro attraverso la formazione duale. Sarà inoltre imprescindibile un incremento della collaborazione con USI e SUPSI per favorire l’interazione tra le nostre aziende e i loro studenti, in corsi di bachelor e master legati direttamente all’ambito medicale e/o ingegneristico. Un primo strumento concreto cui si sta già lavorando è pensato per i collaboratori già attivi nelle aziende medicali ticinesi e vede la creazione di una “Swiss Medtech Academy” (declinata nelle differenti regioni linguistiche della Confederazione e dunque anche in Ticino) volta proprio ad offrire dei percorsi specifici per questo settore che rappresenta una fetta sempre più importante e crescente del PIL nazionale. Grazie al ruolo del Comitato di Swiss Medtech Ticino, anche in questo ambito il nostro Cantone è all’avanguardia potendo mirare in tempi brevi ad essere il primo in Svizzera ad offrire questi percorsi dedicati. Tutto questo è reso possibile grazie agli ottimi rapporti con le nostre università e con il DECS, in particolare con la Divisione per la formazione professionale: tutte istituzioni che hanno mostrato una grande disponibilità e un forte interesse per le nostre realtà aziendali. Siamo convinti che grazie a queste fondamentali basi riusciremo a proporre tutti insieme delle formazioni all’avanguardia e a sopperire alla prevista carenza di manodopera traversale che accomuna il nostro settore con tutte le altre categorie.
Centro di competenze sulle scienze della vita. Quo vadis?
Quanto al tema dell’innovazione, cardine per il nostro settore, va sottolineato che Swiss Medtech Ticino è stata tra i fondatori del Centro di Competenze in Scienze della Vita all’interno del progetto Ticinese dello Swiss Innovation Park. In questo contesto la nostra associazione sta lavorando al consolidamento del centro di competenze, con un’ottima comunione di intenti e visione con gli altri attori istituzionali coinvolti. La risposta delle aziende associate è stata notevole e si stanno profilando le tematiche su cui incardinare il centro di competenze, in primis quella tecnologica che collega il mondo delle disabilità agli strumenti dell’intelligenza artificiale. Queste sinergie sono essenziali per creare una rete forte e coesa, che possa competere a livello globale, attrarre investimenti e promuovere l’eccellenza ticinese nel settore medtech. Continueremo a lavorare su questa strada, rafforzando la collaborazione tra pubblico e privato e supportando l’intero comparto verso una crescita robusta e innovativa.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/11/ART24-SMT2024-1.jpeg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-11-25 08:00:002024-11-22 14:56:47Swiss Medtech Ticino spegne due candeline
Lunedì 18 novembre 2024 il Gran Consiglio ha approvato l’introduzione dell’ultima forchetta salariale prevista dalla legge sul salario minimo cantonale. A partire dal 1° dicembre 2024, i salari orari minimi lordi dovranno essere compresi nella forchetta salariale CHF 20.00 – 20.50. Il decreto esecutivo che sarà pubblicato nel Bollettino ufficiale cantonale del 22 novembre 2024 precisa i salari minimi per settore economico.
A partire dal 1. gennaio 2026 i salari minimi cantonali saranno adeguati al rincaro, prendendo in considerazione la differenza dell’indice nazionale dei prezzi al consumo fra il mese di novembre 2024 e il mese di novembre 2025.
Restando a disposizione, vi preghiamo di prendere nota dei nuovi salari minimi cantonali, la cui decisione parlamentare è giunta purtroppo solo a pochi giorni dalla loro introduzione, anche se già durante l’ultima nostra comunicazione avevamo informato le aziende sulla prospettiva salariale che è poi stata approvata negli scorsi giorni dal Parlamento cantonale.
Restiamo volentieri a disposizione per un supporto dedicato.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2023/10/ART23-salario-minimo.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-11-21 14:42:052024-11-21 14:42:06Adeguamento della legge sul salario minimo cantonale
Il governo britannico annuncia l’introduzione della carbon tax a gennaio 2027 su determinati prodotti dei settori alluminio, cemento, fertilizzanti, idrogeno, ferro e acciaio, escludendo per il momento i prodotti dei settori ceramica e vetro.
Nella sua risposta alla consultazione sul CBAM lanciata ad inizio anno, il governo britannico ha annunciato l’introduzione di un meccanismo di adeguamento delle emissioni di carbonio alle frontiere del Regno Unito (Carbon Border Adjustment Mechanism, CBAM) a partire dal 1° gennaio 2027 e fornito le prime informazioni.
Seppur con alcune differenze, il CBAM britannico è modellato sul CBAM dell’Unione europea. La prima differenza sta nel campo d’applicazione: il CBAM britannico si applicherà solo alle importazioni di beni specifici nei settori dell’alluminio, del cemento, dei fertilizzanti, dell’idrogeno, del ferro e dell’acciaio (le merci interessate sono elencate nell’Allegato B del documento summenzionato e identificate con le relative voci HS). In questa prima fase, la ceramica e il vetro non saranno presi in considerazione. L’elettricità non rientra invece nel campo d’applicazione.
Nel periodo 2027-2030, il governo britannico adotterà un doppio approccio per quanto riguarda le emissioni incorporate: le aziende potranno utilizzare i dati effettivi o, se questi non sono disponibili, valori predefiniti. Le emissioni incorporate saranno misurate in tonnellate metriche di anidride carbonica equivalente (tCO2e) e includeranno sia le emissioni dirette dei beni CBAM sia quelle indirette. Per garantire che i prodotti importati siano soggetti a un prezzo del carbonio paragonabile a quello pagato dai produttori nazionali, l’aliquota applicata alle emissioni incorporate rifletterà il prezzo del sistema di scambio di quote di emissioni (ETS) del Regno Unito, tenendo conto di eventuali quote gratuite. L’aliquota sarà aggiornata su base trimestrale.
A differenza del CBAM dell’UE, il suo omologo britannico prevede una soglia minima di assoggettamento, pari a 50’000 sterline di merci CBAM importate su un periodo di dodici mesi.
I punti di forza e le criticità del modello economico svizzero nell’analisi del Prof. Lino Guzzella all’Assemblea Cc-Ti
L’invidiabile situazione finanziaria della Confederazione, a differenza di altri Stati europei zavorrati da un enorme debito pubblico, l’offerta formativa di ottimo livello, le condizioni quadro e, soprattutto, quella capacità d’innovazione che da anni colloca la Svizzera al primo posto nelle diverse classifiche internazionali. Con il suo intervento alla 107esima assemblea della Cc-Ti, il Professor Lino Guzzella, ha offerto un’analisi a 360 gradi del modello economico svizzero. I punti di forza, ma evidenziando anche i suoi elementi di vulnerabilità, in un quadro di forte concorrenza internazionale e di preoccupanti tensioni geopolitiche che, oltre a generare timori e incertezza, possono condizionare le sorti di un’economia che dipende fortemente dal commercio con l’estero.
Prof. Lino Guzzella
Un modello di successo, certamente, ma non acquisito per sempre, nulla è scontato, ha avvertito l’ex rettore e già presidente del Politecnico federale di Zurigo. Perciò, non bisogna mollare la presa. Anzi, visto che il nostro paese può incidere poco sugli inquietanti scenari geopolitici che stanno scuotendo le relazioni tra gli Stati, è più che mai necessario concentrare gli sforzi per salvaguardare e potenziare quei fattori propulsivi che hanno finora garantito la crescita. “Riusciremo a mantenere la nostra prosperità – ha ricordato – solo se possiamo continuare a vendere con successo i nostri prodotti e servizi sul mercato mondiale”.
A cinque anni dal suo primo intervento ad un’assemblea della Camera di commercio, il Professor Lino Guzzella con la sua analisi ha riproposto ora un’articolata visione d’insieme della situazione svizzera, con uno sguardo particolare al Ticino e alle sue potenzialità nel contesto dell’economia nazionale. In questa intervista ripercorriamo col Professor Guzzella i passaggi più importanti della sua relazione, mettendo a fuoco i temi cruciali per il futuro della Svizzera e del Cantone.
Anche se in misura minore rispetto al passato, il Prodotto interno lordo elvetico continua a crescere e le esportazioni in questi ultimi anni hanno retto i contraccolpi della forza del franco. Al confronto di molti altri paesi europei, la Svizzera sta dimostrando una notevole resilienza nel succedersi di varie crisi e crescenti tensioni internazionali. Si riuscirà a mantenere e migliorare questo trend?
“Lo spero, ma non ci sono garanzie di successo. Alcuni sviluppi geopolitici non possono essere influenzati dalla Svizzera. Per questo è ancora più importante concentrarsi sui nostri punti di forza. Si tratta di condizioni quadro politiche ragionevoli, di un uso economico delle entrate fiscali, di un sistema educativo duale che seleziona in modo meritocratico, di un’infrastruttura intatta (trasporti, energia, …) e di molto altro ancora”.
Che importanza ha il Ticino nell’economia nazionale e quali sono le sue prospettive di sviluppo? Si sono create le premesse per avere anche qui da noi un ecosistema economico forte e dinamico?
“Il Ticino ha già un vivace ecosistema dell’innovazione, sia nei settori tradizionali (moda, turismo, ecc.) sia in quelli più recenti (biomedicina, sistemi energetici, microelettronica, ecc.). I due centri universitari, USI e SUPSI, che dispongono di eccellenti reti nazionali e internazionali, ne sono il fulcro. L’asse Ticino-Zurigo, che sta assumendo un peso sempre più importante, svolge un ruolo particolare in questo ambito”.
La Svizzera si è confermata ancora al primo posto nelle più accreditate classifiche internazionali per l’innovazione. Quali sono le ragioni di questa affermazione?
“Queste classifiche vanno sempre trattate con cautela e, inoltre, riflettono solo il passato. Ma sì, la Svizzera ha fatto molte cose bene, ad esempio non ha perseguito una politica industriale eccessiva, ma ha sostenuto la ricerca di base e i progetti pilota. È stato importante che alle imprese esistenti e a quelle nuove fosse concessa una grande libertà per partecipare con successo al mercato globale. Altrettanto importante è stato il sistema di istruzione duale, che ha permesso ai giovani di entrare nel mondo del lavoro in base alle loro capacità”.
Quali sono i punti deboli che potrebbero compromettere la forza economica del paese, guardando anche all’industria europea hi- tech che arranca, schiacciata dal peso degli Usa, della Cina e dell’India?
“La Svizzera è fortemente dipendente dal commercio estero, da cui dipende quasi la metà del nostro PIL e quasi nessun altro paese ha beneficiato della globalizzazione quanto la Svizzera. Possiamo mantenere la nostra prosperità solo se possiamo continuare a vendere con successo i nostri prodotti e servizi sul mercato mondiale. Questo costringe le aziende a cercare nicchie redditizie in cui competere. Ciò richiede agilità, contatto costante con i clienti e personale eccellente. E, naturalmente, un’abile gestione degli sviluppi geopolitici, che rappresentano una sfida importante soprattutto per le piccole imprese”.
L’economia mondiale è in fase di rallentamento, alcuni parlano di stagnazione secolare, altri di trappola della crescita. Cosa pensa al proposito?
“È una domanda difficile. Da un lato, possiamo vedere dall’esempio della Germania, che non ha avuto crescita economica per cinque anni, come regioni economiche un tempo di successo possano ristagnare. Dall’altro lato, gli Stati Uniti hanno sviluppato un enorme dinamismo nello stesso periodo, ottimizzando le aree di business esistenti e sviluppandone di completamente nuove. Tutto dipende dall’atteggiamento di base di una società: vuole essere il più egualitaria possibile ed è avversa al rischio, oppure accetta le disuguaglianze e gli approcci fallimentari? Solo il secondo approccio può portare sempre nuovi successi”.
Secondo un recente studio di Google Svizzera, entro il 2050 l’intelligenza artificiale generativa potrebbe favorire un aumento del PIL elvetico fino all’11%, pari a qualcosa come 80-85 miliardi di franchi all’anno. Eppure, si guarda agli sviluppi dell’IA con timore.
“Innanzitutto, sarei cauto con le previsioni troppo ottimistiche. Le reti neurali generative aumenteranno certamente la produttività assumendo compiti cognitivi di routine. Quanto siano grandi questi guadagni di efficienza resta da vedere. C’è poi la questione della regolamentazione: ancora una volta, questa varia molto da regione a regione. Come ogni nuovo strumento creato dall’uomo, anche le reti neurali comportano dei rischi. La regolamentazione è una cosa, ma sarà ancora più importante formare le persone affinché possano utilizzare i nuovi strumenti in modo sensato”.
La recente crisi energetica ha dimostrato che un approvvigionamento di energia sicuro e, tendenzialmente, ad emissioni zero è una condizione imprescindibile per lo sviluppo del paese. Quali sono le prospettive al riguardo?
“I paesi che forniscono agli abitanti e all’industria energia affidabile e a prezzi accessibili hanno successo anche dal punto di vista economico. Per la Svizzera sarà fondamentale fornire circa il 50% in più di energia elettrica nel 2050, soprattutto da fonti domestiche. Ma questo non sarà possibile con le misure presentate nel 2017”.
Per compensare i tagli dei contributi alle Università, il Parlamento federale ha deciso di triplicare le tasse per gli studenti stranieri che frequentano i nostri Politecnici. Come giudica questa decisione? Non si rischia di rendere la Svizzera meno attrattiva per quei giovani talenti di cui abbiamo sempre più bisogno?
“L’USI dimostra che la differenziazione delle tasse universitarie non deve necessariamente andare a scapito delle università. Tuttavia, un eventuale aumento delle tasse deve essere abbinato a corrispondenti offerte di borse di studio per i talenti eccezionali”.
In un mondo in cui tutto, produzione, costumi, società, cambia rapidamente, qual è oggi la missione dell’Università?
“In realtà si tratta sempre della stessa cosa: consentire ai giovani di pensare in modo critico e creativo, di apprendere in modo indipendente per essere in grado di plasmare il futuro in modo responsabile”.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/10/CC-Assemblea-2024-Generico-16_9-1-1.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2024-11-19 07:17:002024-11-18 11:17:42Concentrazione sui nostri punti di forza
La Commissione europea ha pubblicato una guida completa volta a chiarire il Regolamento sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili.
Il 18 luglio scorso, nell’Unione europea (UE) è entrato in vigore il Regolamento (UE) 2024/1781 sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili (ESPR). Il regolamento Ecodesign, come viene comunemente chiamato, ha l’obiettivo di migliorare la sostenibilità ambientale dei prodotti e a tal proposito introduce criteri di progettazione quali la durevolezza, la riciclabilità, l’impronta ambientale e la riutilizzabilità degli stessi e l’uso del “passaporto digitale” quale strumento di trasparenza e tracciabilità lungo tutta la filiera produttiva.
Il regolamento disciplina praticamente tutti i prodotti immessi sul mercato o messi in servizio nell’UE e non solo i prodotti di consumo. Esistono solo poche esclusioni, quali ad esempio i prodotti alimentari, i mangimi, e i medicinali. La Commissione europea dovrà stabilire i requisiti specifici per i diversi prodotti, dopodiché i produttori e i Paesi dell’UE avranno 18 mesi di tempo per conformarvisi. Tra i primi prodotti a dover essere regolamentati figurano ferro e acciaio, alluminio, prodotti tessili, mobili, pneumatici, detersivi, vernici, lubrificanti, prodotti chimici, prodotti connessi all’energia, prodotti delle TIC e altri dispositivi elettronici (cfr. art. 18 par. 5). Il relativo atto delegato non entrerà in vigore prima del 19 luglio 2025.
Per rispondere ai quesiti più frequenti, a fine settembre la Commissione europea ha pubblicato un documento con 171 FAQ che affrontano un’ampia gamma di argomenti e, nello specifico, chiariscono termini, ambito di applicazione, tempistiche di attuazione, interazione con altri regolamenti (come ad esempio il regolamento sui rifiuti di imballaggio e il REACH) e, non meno importante, le questioni legate al commercio dei prodotti (passaporto digitale, etichettatura, verifica e conformità, implicazioni per gli operatori economici di Paesi terzi,…).
Dal 1° gennaio 2025 al 31 dicembre 2025, all’interno della zona PEM continueranno verosimilmente ad applicarsi due serie di norme: la vecchia (attuale) Convenzione PEM e le norme rivedute (le odierne norme transitorie). Il possibile e sempre più probabile slittamento dell’attuazione della Convenzione PEM riveduta è dovuto alla lungaggine delle procedure legislative di aggiornamento degli accordi di libero scambio con alcuni Paesi. Lo comunicano in una nota congiunta l’Ufficio federale delle dogane e della sicurezza dei confini (UDSC) e la Segreteria di Stato dell’economia (SECO).
Dal 1° gennaio 2025 le norme rivedute della Convenzione PEM si applicheranno automaticamente alla Convenzione AELS e agli accordi di libero scambio (ALS) Svizzera/AELS con l’UE, l’Albania, la Bosnia-Erzegovina, la Georgia, il Montenegro, la Macedonia del Nord, la Serbia e la Turchia.
Gli ALS con Egitto, Israele, Giordania, Libano, Striscia di Gaza e Cisgiordania, Marocco, Tunisia, Ucraina e Isole Faroe non hanno invece ancora potuto essere aggiornati e la lunghezza delle procedure amministrative in questi Paesi sta rendendo evidente che non tutti questi accordi potranno essere modificati entro la fine del 2024. Senza aggiornamento gli accordi continueranno a sottostare alla vecchia (attuale) Convenzione PEM.
L’attuazione della Convenzione PEM riveduta sarà verosimilmente posticipata al 1° gennaio 2026 e nel caso di ALS non aggiornati entro tale data, il cumulo con i relativi Paesi partner sarà interrotto.
L’UDSC e la SECO continueranno a fornire informazioni sugli ultimi sviluppi attraverso note informative e circolari. La matrix sarà aggiornata di conseguenza.
A fine settembre, la Svizzera ha conquistato il primo posto del “Global Innovation Index (GII)” dell’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI) per la sua capacità di innovare: è il 14° anno consecutivo che il nostro Paese si posiziona in testa a questa classifica che valuta la capacità delle singole Nazioni di convertire gli input dell’innovazione in risultati concreti come brevetti e beni tecnologicamente avanzati. Fanno seguito Svezia e Stati Uniti. La Cina si è attestata all’11° posto, diventando uno dei Paesi ad aver scalato più velocemente la classifica negli ultimi 10 anni. Molti degli indicatori del GII sono tuttavia presentati in base alla popolazione o al prodotto interno lordo del Paese: se si considerano gli investimenti complessivi, gli Stati Uniti si confermano il maggior investitore in ricerca e sviluppo (R&S).
La Cina sta però mettendo sempre più in discussione il dominio tecnologico degli USA. Lo conferma il rapporto biennale “State of US Science & Engineering”(Stato della scienza e dell’ingegneria degli Stati Uniti) presentato al Congresso degli Stati Uniti dall’agenzia governativa americana National Science Board (NSB): nel 2021, l’anno più recente incluso nel rapporto, con 806 miliardi di dollari investiti in R&S, sia pubblica sia privata, gli Stati Uniti mantenevano ancora un buon vantaggio sulla Cina (che a sua volta aveva investito “solo” 668 miliardi di dollari), ma ora questo vantaggio si sta erodendo rapidamente.
Esiste poi un’altra classifica, meno nota, realizzata dal think tank australiano Australian Strategic Policy Institute (ASPI), il “Critical Technology Tracker”(localizzatore di tecnologie critiche). Secondo questa classifica, la Cina detiene ora il primato mondiale nella ricerca tecnologica in nove settori critici su dieci e continua ad aumentare il suo vantaggio sugli Stati Uniti: questi ultimi sono leader solo in 7 delle 64 tecnologie considerate critiche, mentre il Dragone guida le altre 57, prevalentemente in campi come la difesa, lo spazio, l’energia, l’ambiente, l’intelligenza artificiale (IA), le biotecnologie, la robotica, la cibernetica, l’informatica, i materiali avanzati e le aree chiave della tecnologia quantistica.
Lo studio dell’ASPI valuta anche il potenziale monopolio della ricerca in questi settori. Il numero di tecnologie considerate “ad alto rischio” di potenziale monopolizzazione è aumentato da 14 a 24. Nell’attuale contesto geopolitico è preoccupante il fatto che molte delle nuove tecnologie considerate ad alto rischio abbiano applicazioni nella difesa e che il Paese di Mezzo sia leader in tutti questi ambiti, oltre a ottenere nuovi risultati nei sensori quantistici, nel calcolo ad alte prestazioni, nei sensori gravitazionali, nei lanci nello spazio e nella progettazione e fabbricazione di circuiti integrati avanzati (produzione di semiconduttori).
Detto ciò, la performance della Cina nella ricerca non riflette ancora il dominio nello sviluppo tecnologico che, come abbiamo visto, rimane in mano agli Stati Uniti: il gigante asiatico è infatti in ritardo su questo fronte. È comunque opportuno sottolineare che nell’ambito del piano “Made in China 2025” volto a rafforzare l’autosufficienza del Paese e a trasformarlo in una potenza economica globale, il Dragone sta investendo molto nelle sue capacità produttive sovvenzionando proprio ambiti chiave come l’industria IT di nuova generazione (circuiti integrati, software ad uso industriale, equipaggiamenti di telecomunicazione), la robotica, l’aviazione e i settori aerospaziale e navale. Gli Stati Uniti seguono attentamente questi progressi e ad inizio settembre hanno introdotto nuovi controlli sulle esportazioni di tecnologie importanti verso lo Stato asiatico nel tentativo di limitargli l’accesso a tecnologie avanzate, come le apparecchiature per la produzione di chip, i computer e i componenti quantistici.
Che ne è degli altri Paesi nell’attuale competizione per le tecnologie critiche? Per 45 delle 64 tecnologie esaminate, l’India figura nella Top5 subito dopo gli Stati Uniti e la Cina, emergendo come centro chiave dell’innovazione ed eccellenza della ricerca globale, soprattutto in diverse aree essenziali e in rapida evoluzione dell’IA, come l’analisi avanzata dei dati, gli algoritmi di IA, gli acceleratori hardware, l’apprendimento automatico, la progettazione e la fabbricazione di circuiti integrati avanzati, l’elaborazione del linguaggio naturale e l’IA avversaria. Dal canto suo, il Regno Unito è uscito dalla Top5 per otto tecnologie e ora si colloca tra i primi 5 Paesi per 36 tecnologie, contro le 44 dello scorso anno. Il Paese ha perso terreno in particolare nelle tecnologie di rilevamento, materiali avanzati e spazio. Nel suo complesso, l’Unione europea continua invece ad essere competitiva: sebbene nessuno degli Stati membri occupi singolarmente la prima posizione nelle tecnologie critiche (la Germania è la più forte, nella Top5 in 27 aree), il blocco europeo è leader in due aree tecnologiche (sensori di forza gravitazionale e satelliti di piccole dimensioni) e figura al secondo posto in 30. Un risultato in linea anche con il più recente rapporto Draghi, che riconosce lo spazio come un settore strategico chiave per il futuro della competitività europea. La rivalità tecnologica tra Stati Uniti e Cina, insieme all’importanza strategica crescente delle tecnologie critiche, ha creato una situazione geopolitica in cui l’Europa dovrebbe (o meglio, deve) svolgere un ruolo più attivo e assertivo, riducendo altresì la sua dipendenza dalle due superpotenze. La domanda che dovrebbe essere posta è: l’Europa sarà in grado di mobilitare la volontà politica e gli investimenti necessari per raggiungere questo obiettivo?
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/10/ART24-Innovazione-ricerca-sviluppo-tecnologico.jpg8541280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-10-22 08:00:002024-10-21 09:18:41Innovazione e ricerca e sviluppo tecnologico: quo vadis?
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