Algoritmi avanzati per migliorare le supply chain

Se ne parla tanto, ma in realtà sono ancora poco utilizzate dalle aziende: parliamo dell’intelligenza artificiale e della blockchain. Eppure sono proprio queste tecnologie a migliorare nettamente la pianificazione e la gestione delle crisi nelle catene di approvvigionamento.

La pandemia e la guerra in Ucraina hanno dimostrato la rapidità con cui le supply chain globalizzate subiscono interruzioni e rotture, con conseguenze quali scaffali vuoti nei negozi da un lato e magazzini sovraccarichi nelle aziende dall’altro. La diversificazione dei fornitori aiuta, ma a lungo termine è soprattutto la trasparenza a fare la differenza: le catene di approvvigionamento sono sempre più collegate in rete e, per gestire correttamente i flussi di merci, è necessario essere in grado di controllarle in qualsisi momento e in ogni fase.

Questo obiettivo può essere raggiunto solo attraverso una digitalizzazione coerente. Due tecnologie, in particolare, sono molto utili per la filiera: l’intelligenza artificiale (IA) e la blockchain.

Quando si parla di IA, è quasi immediato pensare agli androidi, mentre in realtà si tratta di un insieme di software basati su algoritmi che replicano il ragionamento umano e sono in grado di analizzare enormi quantità di dati in tempi brevi, di migliorarsi continuamente, di prendere decisioni e in sostanza di risolvere problemi. Nell’ambito della supply chain, l’IA può analizzarne la situazione sulla base dei dati ricevuti dal suo monitoraggio digitale, fornendo quindi suggerimenti per migliorarne la logistica, facendo previsioni e creando persino piani alternativi.

Le supply chain stanno diventando sempre più complesse

La logistica può essere molto delicata. Prendiamo l’esempio degli alimenti o dei prodotti sostenibili per la cura della persona: in entrambi i casi, la base è costituita da materie prime prodotte solo a intermittenza e spesso deperibili. A complicare ulteriormente le cose vi sono le richieste dei clienti, in rapida evoluzione e personalizzate, per non parlare degli effetti a lungo termine della pandemia e della guerra in Ucraina. Tutto ciò rende le reti della supply chain estremamente complesse. Una singola persona può difficilmente tenerle sotto controllo ed anche i pianificatori logistici più esperti stanno raggiungendo i limiti delle loro capacità perché la quantità di dati generata dalle supply chain è enorme. Così, fave di cacao, carne cruda, frutta, piante medicinali, miele, latte, oli essenziali e simili rischiano di rimanere a lungo nei container e di marcire.

Attraverso gli algoritmi di intelligenza artificiale è invece possibile monitorare l’intera attività: essi riescono infatti a coordinare meglio e più velocemente i singoli processi all’interno delle catene di approvvigionamento, stimano l’evoluzione delle attività e pianificano la produzione di materie prime verificando nel contempo le scorte in magazzino e i percorsi e i tempi di consegna. Gli algoritmi tengono anche conto della durata di conservazione della merce nonché della quantità necessaria per la realizzazione del prodotto finale, rilevano inoltre molto rapidamente possibili colli di bottiglia e possono anticipare zone di interruzione, definendo punti di trasbordo meno congestionati e calcolando percorsi alternativi. Ciò consente da un lato di risparmiare tempo e dall’altro di evitare che le delicate merci trasportate deperiscano.

Facilitare il processo decisionale

È proprio in occasione di ingorghi imprevisti e/o di cambiamenti improvvisi dei tempi di attesa, che l’elaborazione rapida e fondata di scenari alternativi si rivela importante. Più dati vengono presi in considerazione, migliori sono le soluzioni – e solo l’IA può elaborare big data ad alta velocità.

Numerosi altri fattori possono inoltre entrare in gioco, primi fra tutti il rapido aumento delle richieste dei clienti, le loro nuove preferenze in merito ai prodotti e quindi il loro cambiamento nel comportamento d’acquisto. Grazie all’IA tutte queste condizioni possono essere prese in considerazione in tempo utile per adeguare tempestivamente l’approvvigionamento delle materie prime e la produzione di prodotti finiti. In breve, gli algoritmi sono in grado di fornire rapidamente ai responsabili della logistica suggerimenti e previsioni fondati che facilitano enormemente il processo decisionale.

Il trasferimento sicuro delle informazioni

La seconda tecnologia utile alle supply chain è la blockchain. La blockchain è una serie concatenata di blocchi (da cui il suo nome) carichi di informazioni, ordinati cronologicamente e la cui integrità è garantita da un algoritmo crittografico che li lega ai precedenti. Una volta inseriti all’interno dei blocchi, i dati non possono più essere modificati senza che vengano invalidati tutti i processi successivi. Molti l’associano al bitcoin e all’ambito finanziario, ma in realtà la blockchain può essere applicata a molti altri settori e si presta alla condivisione rapida, sicura, efficiente e trasparente, con tutti gli attori della filiera, delle informazioni sulla catena di approvvigionamento e sugli scenari calcolati in precedenza dall’IA.

Tracciabilità, risparmio e certezza

Quando la blockchain viene combinata con l’Internet of Things (IoT), e ad esempio con sensori che misurano le scorte di materie prime o con robot mobili e altri elementi automatizzati in magazzino, gli attori della supply chain beneficiano di tre vantaggi principali:

  • l’aumento della produttività e il risparmio di tempo e denaro: il trasferimento rapido e sicuro delle informazioni consente infatti di operare in modo efficiente in un magazzino automatizzato, con più cicli e meno errori;
  • la tracciabilità immediata: grazie alla connessione ultraveloce tra tutti i partecipanti della rete, ogni azienda ha il controllo della tracciabilità dei prodotti in tempo reale, consentendo un servizio più rapido ed efficiente per il cliente finale;
  • la possibilità di concludere degli “smart contracts” (letteralmente: contratti intelligenti), incorporando clausole contrattuali in software o protocolli informatici, che hanno la caratteristica di eseguirsi automaticamente sulla base di condizioni predeterminate dalle parti. I benefici? L’impossibilità di modificare o annullare il contratto, la trasparenza degli obblighi contrattuali e la certezza della loro esecuzione.

In sostanza: un supply chain management intelligente

L’abbiamo letto poc’anzi: un delle sfide più grandi della supply chain è quella di ottenere in tempo reale una visione trasparente e completa della filiera, così da facilitare e velocizzare il processo decisionale e assicurare un servizio efficiente nonché una consegna rapida al cliente. Tecnologie come l’intelligenza artificiale e la blockchain, combinate con l’IoT, ricoprono un ruolo chiave in termini di produttività, riduzione dei rischi, agilità, tracciabilità, fiducia e, in sostanza, nella gestione intelligente della filiera.

2035: (e)missione zero

La deadline sulla fine dei motori termici a scoppio, benzina e diesel in Europa è stata tracciata dalla Commissione Europea che con il pacchetto “Fit for 55” ha indicato la data: sarà il 2035 l’anno in cui non saranno più vendute auto a benzina, diesel, metano e pure ibride.

A questa fatidica data mancano ormai meno di 14 anni, ma molte case automobilistiche hanno deciso di anticiparla anche perché con una scadenza così ravvicinata non ha più senso investire nei motori a combustione interna e con le risorse, sempre più esigue a causa della crisi del settore automobilistico, che sono tutte investite nello sviluppo della mobilità elettrica. La notizia è quindi così eclatante? In primo luogo, i ministri dell’ambiente UE si devono ancora chinare sulla decisione e prendere posizione in merito. È possibile che vengano ancora apportate delle modifiche come, per esempio, l’apertura ai combustili sintetici o all’idrogeno come carburante per motori a scoppio. In secondo luogo, nel 2035 quanti modelli con motore a benzina o diesel saranno in listino per le varie marche? La notizia non è quindi assolutamente sconvolgente.

Dal punto di vista dei costruttori…

Per le fabbriche, a detta degli esperti del settore, tutto sommato questa decisione gioca a loro favore. Con un termine di così corto (lo sviluppo di nuove tecnologie richiede anni) e con la spada di Damocle delle prossime norme antinquinamento EURO7 assai più severe per quanto concerne le emissioni dei motori a combustione interna, si concentreranno sullo sviluppo e la produzione di auto a trazione elettrica. Allo stesso tempo ridurranno sicuramente la gamma di modelli proposti per ogni marca e passeranno alla produzione su ordinazione mettendosi alle spalle anni di sovrapproduzioni che hanno portato anche un abbassamento dei prezzi delle auto nuove vendute (vedi per esempio Km0 o promozioni importanti). Con questo cambio di mentalità, unito anche alla commercializzazione diretta online da parte dei costruttori di auto, vedranno i loro margini crescere in maniera importante. Questo non andrà però a favore dei lavoratori e, soprattutto dei subfornitori di componenti per il settore automotive. Quest’ultimo punto toccherà in maniera importante anche la Svizzera dove risiedono diverse aziende produttrici di componenti ad alto contenuto tecnologico. Per i primi si prospettano licenziamenti di massa a causa della riduzione di produzione delle fabbriche, per i secondi, grazie alla minore necessità di componenti delle auto totalmente elettriche, una drastica riduzione del lavoro con inevitabili chiusure e cessazioni di attività. Naturalmente, per esempio, in ambito di sviluppo e fabbricazione delle batterie per l’autotrazione si apriranno nuove opportunità, ma queste non saranno sufficienti per assorbire tutti gli esuberi del settore.

…e da quello dell’automobilista

Una cosa va chiarita: chi nel 2035 sarà ancora in possesso di un’auto a benzina, a diesel o a metano, potrà continuare ad usarla anche oltre questa data. Magari utilizzando carburanti sintetici oggi in fase di sviluppo che promettono una neutralità nelle emissioni di CO2 grazie al recupero della CO2 presente nell’aria. Alcune marche tra le quali Porsche e BMW stanno investendo somme importanti in questo settore. Chi nei prossimi anni dovrà acquistare una nuova automobile più ci si avvicinerà al 2035 avrà meno scelta tra modelli e motorizzazioni. Già diversi costruttori hanno annunciato che toglieranno dai loro listini ben prima del 2035 le auto benzina o diesel. Opel, per esempio, ha dichiarato apertamente che l’intera gamma di modelli sarà completamente elettrica entro il 2028. Un rischio reale sarà poi quello della sparizione quasi totale delle auto utilitarie. Costruire vetture elettriche di bassa gamma sarà poco redditizio in quanto il costo elevato delle batterie le renderebbe troppo costose e quindi invendibili. Ad andarci di mezzo potrebbe quindi essere quella parte di popolazione più debole che oggi può permettersi una vettura perché il prezzo d’acquisto è sostenibile, ma domani con l’aumento dei costi d’acquisto dovrà rinunciare ad avere una vettura in famiglia. Non va poi sottovalutato l’aspetto dell’infrastruttura di ricarica. Per poter essere utilizzata in maniera efficiente e conveniente un’auto elettrica deve poter essere ricaricata presso il proprio domicilio o presso il datore di lavoro. Affidandosi unicamente alla rete pubblica, tra l’altro oggi ancora largamente insufficiente, l’utilizzo dell’auto risulterebbe macchinoso e poco conveniente.

Dal punto di vista delle autorità politiche

La sfida più grande legata alla decisione dell’UE di vietare dal 2035 la vendita di auto a benzina o diesel spetta alle autorità politiche di ogni paese. Cominciando dall’approvvigionamento di energia elettrica. Già oggi non è più un tabù parlare di blackout elettrico, cosa succederà quando gran parte delle auto necessiteranno di una presa per la ricarica? Non meno importante sarà il potenziamento della rete di distribuzione. Anche in questo caso non siamo pronti. Collegare molte auto alla rete di distribuzione elettrica nello stesso momento comporta un picco di potenza richiesta che metterà in crisi la distribuzione di energia elettrica. La messa in funzione poi di un numero adeguato di colonnine di ricarica pubblica nei luoghi strategici come lungo le autostrade o nei parcheggi pubblici è pure un obiettivo che va perseguito iniziando già da oggi.

Uber: contratti di lavoro e prestito di personale?

Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.

Di recente il Tribunale federale si è occupato di due casi concernenti il sistema di trasporto Uber, ormai a tutti più o meno noto. Di cosa si tratta concretamente? Uber mette a disposizione un servizio di trasporto privato mediante una semplice app dello smart phone. Con questo sistema è possibile inviare una richiesta di trasporto che viene automaticamente inoltrata ad un autista ubicato nelle vicinanze del richiedente. Questo sistema mette quindi in contatto diretto passeggeri e autisti, i quali vengono avvisati tramite geolocalizzazione dell’ubicazione del cliente. Una variante di questo sistema riguarda la consegna di pasti. In questo caso il servizio concerne la consegna di un pasto preparato da un ristorante ad un cliente che rimane a casa sua. Questa seconda variante (Uber eats) implica pertanto, a differenza del semplice trasporto passeggeri, un rapporto a tre: autista, ristorante e cliente.
Le citate sentenze del Tribunale federale (2C_575/2020, 2C_34/2021) si riferiscono a situazioni venutesi a creare a Ginevra. Nel primo caso si è trattato del servizio “ordinario” di trasporto di passeggeri. Le autorità ginevrine, in questa prima fattispecie hanno valutato che il sistema Uber doveva essere qualificato alla stregua di un’impresa di trasporto ai sensi della legge cantonale sui taxi e i mezzi di traporto e come tale doveva rispettare tutti gli obblighi legali, inclusi quelli relativi alla protezione sociale e alle condizioni lavorative degli autisti. Il Tribunale federale ha confermato questa interpretazione sottolineando che tra i conducenti e Uber vengono conclusi dei veri e propri contratti di lavoro e che la relativa struttura operativa deve essere qualificata come azienda di trasporto, con tutti gli obblighi che ne conseguono. Nel caso della consegna dei pasti i giudici, trattandosi, come già indicato, di un rapporto a tre, hanno dovuto inoltre valutare se il sistema messo in atto non configurasse un prestito di personale, attività che soggiace a chiare e rigorose norme di legge. Lo stesso Ufficio cantonale ginevrino del lavoro aveva considerato in prima istanza che il servizio di consegna pasti ricadeva sotto tale definizione, nel senso che Uber metteva a disposizione dei ristoranti personale per la consegna del cibo ai propri clienti. Prestito di personale insomma, non permesso senza le necessarie autorizzazioni. Su questo punto il Tribunale federale è però giunto ad una diversa conclusione. Pur essendoci un rapporto di lavoro tra Uber eats e i singoli corrieri non vi è alcuna fornitura di personale ai ristoranti.

Il Tribunale federale ha sottolineato che nella fornitura di tale servizio non vi era infatti alcuna trasmissione ai ristoratori del diritto di dare istruzioni ai corrieri, i quali non venivano inoltre integrati nell’organigramma del ristorante. Nessun prestito di personale quindi, e nessuna violazione della Legge federale sul collocamento e il personale a prestito.

Repubblica Dominicana, l’hub logistico dei Caraibi

La Repubblica Dominicana è conosciuta come una delle Nazioni caraibiche con le mete turistiche per eccellenza. Questo è dovuto, tra altri fattori, alle sue spiagge paradisiache, ai suoi campi da golf, al turismo interno e alla calorosa accoglienza che riceve chi visita l’isola.

Lo slogan del Paese recita “La Repubblica Dominicana ha tutto”, e non può essere altrimenti. È una Nazione insulare situata al centro dell’arcipelago dei Caraibi. Questa posizione centrale è perfetta per le aziende internazionali che cercano un accesso facilitato all’America del Nord e del Sud, in particolare gli Stati Uniti. Le aziende manifatturiere e commerciali possono raggiungere gli States in 3 giorni via mare e 2 ore di volo. Inoltre, i call center e altre attività orientate ai servizi si situano nello stesso fuso orario della costa orientale degli Stati Uniti (EST) e ciò rappresenta un vantaggio non indifferente in termini di possibilità di sviluppo del business.

L’economia della Repubblica Dominicana rende questo Stato un luogo ideale per gli investitori che desiderano ridurre i costi operativi, mitigando al contempo i rischi. In prospettiva futura, il Paese continua a impegnarsi per raggiungere l’eccellenza macroeconomica, grazie al forte sostegno del Governo e a un regime di zone franche.

Numerose aziende internazionali hanno scelto la Repubblica Dominicana come meta per lo sviluppo delle proprie attività commerciali. Secondo gli indicatori di governance della Banca Mondiale, la Repubblica Dominicana rappresenta uno dei 5 Paesi più sicuri per fare affari in America Latina.

Dopo 50 anni di regime democratico, lo Stato continua a fare progressi verso istituzioni sempre più aperte e trasparenti. Negli ultimi dieci anni, il Governo ha fatto grandi passi avanti per consolidare la stabilità attraverso misure come la riforma costituzionale, l’adesione all’“Asociación de Gobierno Abierto” (un’organizzazione internazionale il cui scopo è valutare e sviluppare meccanismi per promuovere governi “più aperti, responsabili e sensibili ai cittadini”) e iniziative anticorruzione.

La Repubblica Dominicana vanta 79 parchi industriali con zone franche che offrono servizi e infrastrutture altamente competitivi. Molti parchi sono specializzati in attività produttive di nicchia e offrono alle aziende un interessante pacchetto di incentivi fiscali, tassi agevolati e collegamenti. I vantaggi competitivi sono molto importanti e hanno consentito lo sviluppo di forti cluster in un’ampia gamma di settori industriali.

Dagli anni ‘80, ad esempio, la Repubblica Dominicana ha lavorato per posizionarsi tra i principali attori nella catena di approvvigionamento globale di dispositivi medici e di prodotti farmaceutici. La produzione di dispositivi medici rappresenta, infatti, una delle industrie di esportazione più dinamiche del Paese. Attualmente 33 produttori di dispositivi medici e prodotti farmaceutici operano nelle zone franche. Qui hanno sede cinque dei primi dieci produttori mondiali di dispositivi medici, fra cui: B Braun, Cardinal Health, Baxter Healthcare e altri. Tra i principali prodotti figurano: dispositivi per stomia, teli chirurgici e strumenti elettromedicali. Per sostenere lo sviluppo continuo, gli organi governativi delle zone franche hanno istituito un cluster di produttori di dispositivi medici che opera per difendere l’industria del settore.

Il settore dell’elettronica è progredito grazie agli ottimi servizi logistici offerti da alcuni parchi delle zone franche. Attualmente, 22 società attive nell’elettronica operano in queste piattaforme. Queste aziende possiedono capacità distinte che vanno dalla produzione di componenti intermedi all’assemblaggio di prodotti finali, e comprendono produttori a contratto e marchi prestigiosi quali Vishay o Rockwell Automation.

Calzature, tabacco, tessile, gioielleria e back office sono altri settori con grande presenza nel Paese.

I parchi logistici e le aree di attività sono stati creati o ampliati per facilitare attività come lo stoccaggio, il deconsolidamento, l’imballaggio, il riconfezionamento, l’etichettatura, la rietichettatura, la distribuzione e la riesportazione delle merci. Tra le aziende che hanno già stabilito centri logistici e/o di distribuzione nel Paese figurano: IKEA, Caterpillar, Rolex, Diageo, Evergreen, ecc..

Anche la Svizzera ha affidato la propria produzione alla Repubblica Dominicana con società dedicate principalmente ai settori farmaceutico, degli strumenti medici, del tabacco e dei suoi derivati, dei servizi logistici, del commercio e dell’industria, che globalmente generano all’incirca cinquemila posti di lavoro diretti. Al di fuori delle nostre zone franche, Nestlé o Kuehne + Nagel International hanno sfruttato le opportunità che il Paese offre in termini di collegamenti, infrastrutture e posizione strategica nella regione.

Cosa rende la Repubblica Dominicana così interessante? L’ampio sistema di infrastrutture del Paese è adatto a supportare il commercio globale. Nel 2019 il “Global Competitiveness Report”, pubblicato dal World Economic Forum, ha classificato la Repubblica Dominicana come lo Stato con l’infrastruttura di trasporti numero 1 nella regione dell’America Latina. Questa rete comprende 9 aeroporti internazionali, 12 porti marittimi e oltre 20’000 chilometri di autostrade e strade. Attualmente nella Repubblica Dominicana giungono circa 90 navi settimanali con rotte dirette verso l’America del Nord, il Centroamerica e i Caraibi, il Sud America, l’Europa e l’Asia. Si contano altresì oltre 270 voli giornalieri, con un’ottima connessione con il Nord America, l’America Centrale e l’Europa.

Il 90% circa della merce che entra ed esce dal Paese transita attraverso il trasporto marittimo. La Repubblica Dominicana ha la capacità di ricevere navi Post-Panamax (ovvero navi le cui dimensioni non permettono loro di transitare nelle chiuse del canale di Panama originale – fanno parte di questa tipologia le superpetroliere e le più grandi navi portacontainer): il parco industriale e logistico “DP World Caucedo”, ad esempio, dispone di 5 gru Super Post-Panamax.

Le aziende che cercano di espandere la loro presenza globale ritrovano nella Repubblica Dominicana uno dei loro migliori alleati.


Autore e contatto:

Litzanna Marmolejos
Ambasciata della Repubblica Dominicana in Svizzera
lmarmolejos@mirex.gob.do

Non esistono domande inutili

Chi fa domande conduce, questo è indiscutibile. Ma ciò che i dipendenti raccontano dei loro superiori durante le sessioni di formazione e coaching spesso sembra a mille miglia da questa verità.

Il Signor H. parla del suo capo, che fa costantemente domande, ma spesso H. ha l’impressione che non vengano strutturate in modo propositivo e quindi non portino a nessun esito costruttivo, per nessuno dei due.
Allora, forse, porre le “giuste” domande può rivelarsi più difficoltoso di come si possa pensare.
Facciamo un passo indietro e vediamo come si pongono i giornalisti, questi professionisti che vivono dell’arte di porre domande. Durante la loro formazione, imparano prima a porre domande e a far “aprire” le persone. Sanno che devono assolutamente trovare le informazioni chiave e che le troveranno nelle risposte degli interlocutori. Possiamo trarne ispirazione.

Essere preparati

Non basta, però, imparare a memoria un elenco di domande. Prima di lanciarsi, i giornalisti si preparano accuratamente sull’argomento che tratteranno e sullo scopo finale del loro colloquio. Sanno anticipatamente quali domande porre per mettere il loro interlocutore a suo agio, mostrano interesse per lui: l’intervistato si trova in un approccio corretto e rispettoso e collabora volentieri.

I giornalisti sanno anche come giocare sui punti interrogativi per mettere all’angolo qualcuno quando presumono, ad esempio, che ci sia uno “scheletro nell’armadio” (cioè informazioni importanti) e vogliono saperne di più (per i loro lettori). Bisogna affinare questo sesto senso, mostrare tatto, altrimenti l’interlocutore sfugge e si chiude.

Domande poste in modo scoordinato o non serio, senza empatia e con poca preparazione posso addirittura effettuare l’effetto contrario. Il nostro interlocutore mente, inventa, o porta il tema nella direzione a lui più affine, rendendo vano tutto il colloquio. Peccato!

Raccogliere informazioni? Sostenere? Controllare?

In qualità di dirigente e collaboratore all’interno dell’azienda, si combinano più funzioni e spesso vengono esercitate contemporaneamente. Le informazioni corrette sono alla base di una strategia vincente… tante occasioni per porre domande in modo mirato.

In qualità di responsabile gerarchico, porre domande aiuta ad assicurarsi che le informazioni circolino. La gestione di professionisti che spesso sono molto più preparati di voi nei propri campi di competenza, e che, attraverso le vostre domande, forniranno informazioni importanti, aggiornamenti sullo stato di avanzamento di un progetto, informazioni sul “polso di soddisfazione / critica” dei collaboratori, vi aiutano a verificare che gli obiettivi raggiunti siano in linea con quelli pianificati…

In qualità di specialista, potete, ponendo domande, verificare che la qualità di un prodotto soddisfi le aspettative e garantire l’efficienza del processo.

In qualità di mediatore, potete dimostrare il vostro interesse ponendo domande e quindi sottolineare l’identificazione e l’investimento riversato o percepito dai membri del team; le domande sono anche un valido strumento di gestione dei conflitti.

In qualità di coach, fare domande porterà a supportare lo sviluppo individuale dei collaboratori o colleghi. Chiedere informazioni sulle reciproche risorse personali e poi dare i giusti consigli, il giusto feedback, condividere una riflessione tempestiva.

In qualità di imprenditore, il quadro generale dell’organizzazione risulta più delineato. Un occhio più attento sul mercato e quindi più rappresentativo per la vostra azienda all’esterno. Le domande permettono di guadagnare la fiducia degli altri, sia internamente che esternamente, di rilevare aspetti fino ad allora sconosciuti all’interno dell’azienda e di stimolare il senso di responsabilità dei dipendenti.

In qualità di dipendente, fare domande consente, ad esempio, di assicurarsi che i passi siano in linea con gli obiettivi dell’azienda e di conoscere il margine di manovra rispetto ai processi innovativi e all’evoluzione della propria posizione.

Ognuno è chiamato a rivestire tanti ruoli in diversi contesti, funzioni e responsabilità: per ognuno di essi può essere molto utile porre la domanda giusta al momento giusto. È quindi essenziale prendersi il tempo necessario e adottare un atteggiamento aperto per ottenere risultati a volte anche inattesi.

Anche nella nostra pratica professionale dobbiamo esercitarci a porre le domande (anche a sé stessi) che ci permetteranno di raggiungere i nostri obiettivi nel rispetto dei nostri differenti interlocutori.

L’altro

Chi di noi potrebbe negare che non tendiamo a pensare di conoscere i dettagli delle cose prima ancora di porre le nostre domande? Sicuramente interroghiamo i nostri interlocutori, ma crediamo di conoscere già le risposte. Ascoltiamo prima noi stessi e poi gli altri… forse, e non con attenzione.

Tuttavia, in un mondo sempre più specializzato, non potremmo mai essere dei “tuttologi. Un collaboratore, un dipendente del servizio esterno, un conoscente persino, può rivelarsi la giusta persona di riferimento. In breve: scoprite cosa ha da dire ogni persona sul vostro cammino.

Apprezzare le risposte

Vedendo i giornalisti al lavoro sul piccolo schermo, possiamo chiederci se sarebbe possibile per noi fare lo stesso nella nostra pratica professionale. Alcuni giornalisti sono freddi e distanti. Il nostro sangue si congela nelle vene solo a vederli. Altri mostrano più calore umano e sembrano sinceramente interessati alla persona che stanno intervistando.
Dobbiamo aggiungere che ogni intervista ha le sue funzioni (vedi sopra). Sta a ognuno di noi definire l’obiettivo della conversazione. In generale, bisogna trovare un equilibrio tra prova di interesse e distanza professionale, tra cordialità e missione. Se avete imparato a porre davvero domande e domande reali, otterrete risposte più o meno utili. Considerate le risposte che vengono date come doni. Considerateli come una prova di fiducia da parte del vostro interlocutore. Non reagire alle risposte con delle critiche o rifiutandole (anche se a prima vista sembrano spiacevoli o diverse da quelle che vi attendevate).

Quando il tempo sta per scadere

Con l’aiuto di esercizio e autocritica, le persone sono in grado di destreggiarsi poi, tra le domande. La preparazione è la chiave per raggiungere questo obiettivo. Ma a volte dobbiamo condurre un’intervista sul posto, senza essere davvero in grado di rifletterci sopra e scandire una dinamica precisa. Oppure nuove informazioni cambiano il gioco proprio durante l’intervista. In questi casi, ci saranno molto utili alcune domande basilari e generali, purché ci limitiamo ad esse.

Un esempio:

  • Chiedi informazioni sull’obiettivo
  • Chiedi un aggiornamento
  • Chiedi (e ascolta) il parere del tuo interlocutore

Lo scopo di queste tre domande è quello di permettervi di avere successo anche in un territorio sconosciuto e poter comunque usufruire al meglio della situazione. In questo caso, ancora più che in altri contesti, è fondamentale ascoltare con attenzione.

Già gli antichi cinesi…

Già gli antichi cinesi dicevano che chi fa una domanda è stupido per cinque minuti, mentre chi non chiede rimane stupido per il resto della sua vita.


Fonte: WEKA, Equipe de rédaction, 13.6.22, adattamento Cc-Ti

L’arte della critica costruttiva e della “buona” comunicazione

Lo spirito critico, dal greco κριτικός (“che discerne”), è un atteggiamento riflessivo proprio di chi non accetta nessuna affermazione senza interrogarsi sulla sua validità e che considera una proposizione come vera solo quando è stata verificata, dove possibile, o quantomeno attentamente considerata. Quando pensiamo a una “critica”, però, spesso, questa parola assume con una connotazione negativa non considerando le sue diverse valenze: la critica può essere anche costruttiva (anzi lo dovrebbe essere) e volgere al miglioramento.

Cominciamo con un esempio: il vostro capo si avvicina chiedendo di preparare una presentazione per un incontro con un cliente. La consegnate. Poco dopo vi viene fornito un feedback, in cui si dice che non avete affrontato un punto che era considerato importante.

La critica

Se la mancanza sollevata nel feedback non è chiara o non la condividete, diventa costruttivo per entrambe le parti, cercare di comprendere con domande puntuali e condivisione di pensiero le reali priorità che dovevano venire espresse nel compito che era stato affidato.
Attuare poi quanto appreso renderà il lavoro più confacente alle esigenze aziendali.
Allo stesso tempo, il dirigente è tenuto ad esprimersi con modalità proattive chiare. Solo un reciproco rispetto e obiettivo comune potranno dare il risultato sperato.

Una “cattiva” gestione della critica può portare rapidamente alla nascita di un conflitto. Accettare le critiche è difficile per la maggior parte delle persone, sia professionalmente, sia socialmente. Occorre focalizzare la critica in un’ottica positiva. Spesso, permette di imparare e crescere.
François de La Rochefoucauld (scrittore e filosofo francese, 1613 – 1680) affermò: “pochi sono tanto saggi da preferire un benefico biasimo a una lode traditrice”.

Oltre a presentare il problema in modo propositivo, la critica costruttiva dovrebbe essere formulata quale spunto di miglioramento alla persona alla quale è rivolta.
Accade di frequente che le persone si sentano attaccate, anche se la critica voleva essere costruttiva, e considerano ogni osservazione come un attacco personale.
Un ottimale scambio di opinioni tiene conto di tutte queste, appunto, criticità.

Come accettare la critica costruttiva?

  • La persona e l’azione: la critica non è diretta contro di voi, ma riguarda un fatto o una situazione specifica. Quindi si consiglia di cambiare prospettiva e guardare il problema in modo obiettivo.
  • Ascoltare attentamente ciò che viene detto dal vostro interlocutore prima di reagire.
  • Essere riconoscenti: ringraziate l’interlocutore per i suoi suggerimenti e considerate quanto esposto come un supporto alla risoluzione di un problema comune.
  • Chiedere precisazioni: porre domande. Verificare di aver compreso correttamente la critica. Spesso i problemi sorgono solo a causa di incomprensioni.
  • Non difendersi: non giustificare il vostro punto di vista, ma spiegare con calma perché si è agito in un determinato modo.

La buona notizia: si può imparare

Quando si ricevono delle critiche, è consigliabile assicurarsi che “il linguaggio del corpo” non manifesti un rifiuto a priori. Evitate di incrociare le braccia sul petto e di alzare le ciglia, ancora prima di porvi in ascolto.
Se le argomentazioni del vostro interlocutore saranno comprensibili e convincenti, si potranno accettare con più facilità le critiche enunciate e attuare la proposta di miglioramento, qualora si presenti l’opportunità. Il confronto tra i metodi di gestione del problema/compito consentirà di trovare la soluzione ottimale per entrambi le parti.

Come formulare la critica costruttiva?

  • Non lasciarsi trasportare dalle emozioni: anche se qualcosa vi infastidisce, prendere tempo prima di criticare.
  • Restare obiettivi: rivolgere sempre le critiche alla situazione e non all’interlocutore.
  • Evitare i tormentoni: quando si esprime una valutazione, evitare parole come: sempre, spesso, ogni volta.
  • Mostrare comprensione: nella critica, occorrerebbe tener conto dell’altra persona, esprimendosi in modo appropriato (dicendo, ad esempio, “capisco il tuo punto di vista/argomento/approccio)”.
  • Presentare la critica in modo positivo: invece di affermare “non mi piace la tua idea“, si potrebbe cambiare prospettiva affermando: “grazie per averci esposto la tua idea. Non abbiamo ancora approfondito questo aspetto e quanto detto ci permette di abbracciare altri punti di vista”.

Relativizzare e difendersi dalle critiche ingiustificate

Può accadere che le critiche siano ingiustificate, quindi prive di fondamento. È possibile che la persona criticata accetti comunque la critica, come pure che affronti attivamente e, se necessario, vi si opponga. Ad esempio, se una persona è criticata ma non è la causa del problema, la critica è ingiustificata e questa forma di critica non è produttiva.
Chi accetta tacitamente tali situazioni rischia di diventare il “capro espiatorio” per tutte le problematiche future che possono occorrere.

Accettare una critica significa chiarire i punti erroneamente messi in discussione. È importante restare sempre al livello dei fatti e frenare le proprie emozioni. Difendersi o difendere la propria posizione, però, non significa “contrattaccare” nello stesso verso di chi ha mosso la critica.
Alcuni punti di cui tener conto:

  • Respirare: non reagire immediatamente ed emotivamente alle critiche, ma cercare di calmarsi per un momento.
  • Cercare un interlocutore: si può risolvere la discussione con chi ha mosso la critica o è meglio rivolgersi a una terza persona? Essa potrebbe fungere da mediatore.
  • Giustificare la decisione: spiegare in dettaglio e oggettivamente perché la critica è giunta al destinatario sbagliato.
  • Non essere ostinati: se si è arrabbiati a seguito di una critica, non è opportuno bloccare tutto ciò che l’interlocutore ha da dire sulla sua giustificazione.
  • Reagire in tempo: un chiarimento rapido può prevenire ulteriori critiche ingiustificate. In una situazione del genere, la gestione della critica è messa a dura prova, soprattutto se la capacità critica del proprio interlocutore non è particolarmente sviluppata.
  • Non portare rancore: la capacità di critica è caratterizzata anche dal fatto che si continui a lavorare con qualcuno, anche se si sono ricevute critiche in maniera ingiustificata.

Ma allora… è una questione di comunicazione?

La maggior parte delle persone si considera un buon ascoltatore. In realtà, gran parte delle persone non sanno ascoltare. L’entusiasmo per le proprie idee e la voglia di comunicarle non permette un vero ascolto e, quindi, non migliora la conversazione. Osservate se, in una conversazione, mostrate più entusiasmo per ciò che sentite o per i vostri pensieri. La maggior parte delle volte la voglia di parlare impedisce un ascolto attento. Seguire attivamente una conversazione è faticoso, richiede concentrazione e non porta una soddisfazione così immediata rispetto alla reazione immediata delle parole dette a fiume su di un argomento che ci sta a cuore.

Per diventare buoni ascoltatori, occorre sapere come porsi e come prestare attenzione. Uno dei metodi che si possono mettere in atto consiste nel non reagire immediatamente a ciò che viene detto, ma creare uno spazio di riflessione. Ciò impedirà ai pregiudizi o ad altre abitudini di pensiero di determinare una reazione impulsiva, che magari potrà rivelarsi errata per l’occasione. Allo stesso modo, una breve pausa può offrire l’opportunità di estrapolare dal discorso informazioni preziose, che altrimenti potrebbero andare perse. Superare le abitudini che si fossilizzano nella comunicazione interpersonale richiede degli sforzi. Quindi provate ad ascoltare attentamente il vostro interlocutore.

È utile porsi domande: sto davvero ascoltando per imparare qualcosa di nuovo o sto solo cercando una conferma della mia opinione?
Un buon indizio è la volontà di conoscere posizioni opposte. Se non si mostra una predisposizione all’ascolto attivo, almeno in linea di principio, la nostra comunicazione risulterà imparziale e chiusa.
Anche in azienda valgono gli stessi principi, per migliorare la comunicazione interna con i dipendenti occorre sviluppare ed “allenare” l’ascolto attivo.

Manifestare partecipazione per la vita dei collaboratori, valorizzare i loro interessi, renderli partecipi: 3 azioni di ascolto e coinvolgimento che incrementano la motivazione e la soddisfazione del team.

Fortunatamente si può affermare l’arte dell’ascolto può essere appresa. Un primo passo è chiedersi, durante una conversazione, se si è attenti all’interlocutore dinnanzi a noi. Se ci stiamo pensando… la risposta è: non abbastanza!
È utile iniziare dal contesto privato ed “osservarsi” quanto si ascolta durante un pasto con amici. Stabilire un primo obiettivo, come, ad esempio, cercare di ascoltare per almeno l’80% del tempo. In questo modo ci si esercita prestando attenzione all’impulso di intervenire interrompendo l’altra persona, restando in ascolto, appunto.
Anche se si affrontano temi seri (problemi personali, ecc.) è importante restare concentrati sull’altro: si tende, spesso, a imporre le proprie esperienze su quelle degli altri e poi a dare consigli frettolosamente.
Tre termini fondamentali sono compassione e comprensione, ma anche moderazione: ciò si traduce nel mettersi sullo stesso piano dell’interlocutore, porre domande se qualcosa non è chiaro, mantenere il contatto visivo, non prendere sul personale le critiche, osservare le emozioni.

Attenzione al multitasking!

Il multitasking (ossia lo svolgere più attività più o meno contemporaneamente) non solo può rendere meno efficienti, ma danneggia anche il ruolo di uditore. Per restare concentrati sul soggetto, si comincia in modo progressivo, come ad esempio non rispondendo insieme a un’e-mail mentre si parla al telefono. Si dovrebbe prestare sempre attenzione al proprio interlocutore, per valorizzarlo, per mostrare empatia, per comprendere a fondo il suo messaggio.

Panoramica delle critiche positive e negative

Fonte: WEKA 3-4.2022, adattamento Cc-Ti

Molteplici opportunità

La Scuola Manageriale della Cc-Ti è frequentata da professionisti con formazioni di base diverse fra loro e che rappresentano uno spaccato molto interessante del tessuto economico ticinese, notoriamente molto variegato. Abbiamo intervistato una partecipante dell’ultima edizione del corso “Specialista della gestione PMI”, Ilena Grasso.

Tutti i partecipanti (esponenti di piccole e grandi aziende, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi in particolare) della Scuola manageriale Cc-Ti hanno uno scopo comune, ossia integrare e migliorare le loro competenze, nell’ottica della gestione aziendale e di funzioni dirigenti. Il corso viene erogato seguendo dei contenuti tradizionali, ma applicati tenendo conto dei problemi di attualità.

Le lezioni permettono ai partecipanti di acquisire maggiori competenze che gli consentiranno di assumere nuove responsabilità in azienda, con soddisfazione personale e competenze diverse all’interno dell’ambito in cui operano. Il corso mira così a garantire competenze pragmatiche, strategiche e operative rispondendo al desiderio di acquisire una maggiore efficienza ed efficacia nella gestione aziendale. Il percorso formativo in questione risponde alle direttive del regolamento d’esame federale e è completato da casi pratici.

Nell’intervista a Ilena Grasso vogliamo raccontare il suo percorso ed evidenziare come lo “Specialista della gestione PMI” si adatti a svariati ambiti.


Ilena Grasso

Signora Grasso, il suo percorso professionale è particolare, dopo un AFC quale informatica, è diventata – sempre con un AFC – assistente di farmacia. Ora frequenta il corso Cc-Ti per diventare “Specialista della gestione PMI”. Quali sono i motivi che l’hanno spinta ad iscriversi alla Scuola Manageriale Cc-Ti?

Sostanzialmente terminato l’apprendistato in Informatica ed aver lavorato nell’ambito mi sono resa conto che la professione implicava svolgere mansioni sistematiche e con poca interazione con le persone, salvo confronti mirati per svariati progetti. Da qui sono stata portata ad una riqualifica quale assistente di farmacia, conclusa nel 2017. Per crescita professionale personale, ho optato in primis per la specializzazione di “Assistente aziendale di farmacia”. Tuttavia, il corso non ha avuto luogo in Ticino per svariati anni e una volta riproposto non ha raggiunto il numero minimo di iscrizioni per avviare il corso. Non appena ATAF ha proposto la possibilità di partecipare al corso “Specialista della gestione PMI” ho colto immediatamente l’opportunità. Una volta conosciuto il programma del corso sono stata entusiasta di poter trattare temi che potrebbero aiutare nella gestione di una farmacia.

Dopo 6 mesi di corsi circa, può tracciare un primo bilancio?

Il bilancio è sicuramente positivo, già dopo questi primi 6 mesi, posso affermare di aver applicato alcune nozioni acquisite pur avendo solo concluso due moduli del corso. Un altro aspetto interessante e non convenzionale è la composizione della classe. Formata da studenti di settori lavorativi differenti, ciò impone di trattare diversi casi di studio, permettendo di affrontare le lezioni senza la ridondanza focalizzata esclusivamente sull’ambito farmaceutico; ciò porta ad ampliare le proprie conoscenze culturali generali e stimolanti discussioni di confronto per le singole realtà.

In una farmacia le dinamiche d’interazione sono differenti rispetto ad un’azienda o al “lavoro d’ufficio”. Come applica quanto apprende sui banchi della Scuola Manageriale nel suo contesto lavorativo?

Da quanto appreso ad oggi, non riesco a riscontrare grosse differenze. A tutti gli effetti anche la farmacia è considerata un’azienda; chiaramente spesso e volentieri rispetto a una media impresa è composta da un effettivo minore. Tuttavia si è confrontati con gli stessi temi.
Dal mio punto di vista ritengo che questa formazione può giovare alle farmacie: anche un’assistente di farmacia può acquisire, ad esempio, nozioni commerciali che spesso e volentieri il titolare affida a terzi.
Questo mi sembra l’esempio più lampante ed è interessante sviluppare conoscenze nell’ambito gestionale per diventare una reale risorsa all’interno della farmacia e supportare il titolare.
Spontaneamente oggi mi viene naturale confrontare le nozioni apprese a scuola con il contesto lavorativo, per scorgere eventuali punti di miglioramento.

Consiglierebbe la Scuola Manageriale Cc-Ti ad altri professionisti?

Assolutamente sì. Le aziende contemporanee sono sempre più confrontate con la necessità di una nuova figura all’interno del proprio organico, per rivestire mansioni all’apparenza banali come social media manager o capi risorse umane e allestimenti, che richiedono impegno, creatività e tempo, essenziali al giorno d’oggi.

Per maggiori informazioni su questo percorso formativo, visitate il nostro sito web.

Certificato medico online

Con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, molte aree sono in continua evoluzione. Il settore medico, e di conseguenza i certificati medici, non fanno eccezione. È diventato possibile richiedere un certificato medico online compilando un modulo sulla piattaforma, tramite applicazioni di videoconferenza, o anche semplicemente telefonando.

La particolarità della telemedicina è che il medico non incontra fisicamente il suo paziente, il che può porre un certo numero di problemi, sia etici che legali.

Telemedicina e certificato medico online

La telemedicina gode di un ampio sostegno da parte degli assicuratori nella misura in cui può ridurre il costo di una consulenza fino a tre volte. Se questa pratica ha i suoi vantaggi, presenta anche svantaggi, a cominciare dal fatto che il medico non può esaminare il paziente personalmente, condizione importante, anzi indispensabile per stabilire una diagnosi. Pertanto, il problema più grande con tali certificati è la loro affidabilità.

Per analogia con le norme applicabili alle consultazioni telefoniche, alcuni datori di lavoro considerano ammissibile un certificato medico online solo:

  • se è rilasciato dal medico curante del collaboratore;
  • se il paziente ha ripetutamente bisogno della stessa cura.

Il certificato medico è invece molto più difficile da accettare se è rilasciato da un medico che non conosce il paziente (come in linea di principio è il caso dei certificati online) o che il paziente non consulta da molto tempo.

La dottrina ritiene che tali certificati medici, rilasciati anche per un breve periodo, debbano ritenersi nulli e quindi privi di valore.

Sulla piattaforma soignez-moi.ch, ad esempio, il paziente risponde a un questionario online, poi viene richiamato da un medico che determina con lui la diagnosi e gli rilascia una ricetta per un importo di CHF 59.-.
Attualmente, questo tipo di piattaforma viene utilizzata principalmente per ottenere una prescrizione. Il rilascio di un certificato medico di congedo per malattia rimane l’eccezione ed è ancora molto restrittivo.

Un certificato medico è accessibile su Soignez-moi.ch solo tramite la piattaforma. Il paziente deve autenticarsi ed eseguire una doppia autenticazione oltre ad un login con password per potervi accedere (identica all’e-banking). Secondo le nostre informazioni, questa piattaforma è attualmente l’unica in Svizzera ad essere certificata OCPD (rispettando quindi l’ordinanza sulla protezione dei dati) nonché GoodPriv@cy, che garantisce una certa sicurezza per quanto riguarda i documenti emessi.
Soignez-moi.ch non comunica deliberatamente in modo proattivo la possibilità di sospendere la propria occupazione professionale. Non ci sono nemmeno domande sull’attività professionale. Al fine di limitare gli abusi, Soignez-moi.ch afferma, da un lato, di essere restrittivo per quanto riguarda il rilascio di certificati medici e dall’altro di rilasciarne in linea di principio solo uno all’anno e solo per interruzioni del lavoro brevi (fino a tre o eccezionalmente cinque giorni); si consiglia ai pazienti che ritengono di necessitare di una pausa più lunga di consultare il proprio medico.
Soignez-moi.ch prevede che ogni documento trasmesso sulla piattaforma venga firmato elettronicamente utilizzando un’identità SwissSign e che il documento venga crittografato. Queste funzionalità dovrebbero impedire la modifica digitale di tale documento e consentire ai datori di lavoro di confermare la veridicità del certificato.

Il datore di lavoro ha la possibilità di chiedere a soignez-moi@hin.ch se un documento è autentico. L’indirizzo e-mail è sicuro e crittografato.
Gli ospedali della Svizzera romanda utilizzano già Soignez-moi.ch per le loro semplici emergenze.

Medgate recita:

Certificato d’inabilità lavorativa dopo una teleconsultazione
Estratto delle linee guida di Medgate

• Il medico di Medgate può certificare solo fatti che ha valutato in maniera scrupolosa e competente e che reputa veri.

• Si certifica un’inabilità lavorativa del 100%. Un’inabilità lavorativa parziale non è valutabile al telefono o via video.

• Medgate rilascia un certificato semplice d’inabilità lavorativa, usando il formulario edito dalla Comunità d’interessi svizzera medicina assicurativa (Swiss Insurance Medicine).

• Se il paziente sottostà ad un rapporto di lavoro impiegatizio, tale rapporto di lavoro deve essere non disdetto.

Certificato medico online nell’ambito dei rapporti di lavoro

Certo, la telemedicina è una buona alternativa al tradizionale consulto con il medico curante, che risulterebbe più costoso. Tuttavia, nell’ambito dei rapporti di lavoro, un certificato medico rilasciato al lavoratore tramite telemedicina presenta un rischio concreto di essere impugnato dal datore di lavoro, il quale a sua volta chiederà una visita medica da parte del suo medico di fiducia, che potrà, alla fine, essere controproducente e portare conflitti.
Si segnala che durante l’emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus, la FMH ha ritenuto eccezionalmente accettabile il rilascio di un certificato medico previo consulto telefonico purché espressamente menzionato nel suddetto certificato. Ciò aveva lo scopo di evitare che i pazienti si recassero personalmente dal medico solo per ottenere un certificato medico, in un contesto in cui i medici erano particolarmente sollecitati e i contagi da tenere sotto strettissimo controllo.

Tuttavia, questa dichiarazione della FMH non vincola i datori di lavoro, che rimangono liberi di rifiutare tali certificati.

Consigli per i datori di lavoro

A causa dell’aumentato rischio di abuso, allo stato attuale si consiglia al datore di lavoro di inserire nel contratto di lavoro una clausola secondo la quale il certificato medico rilasciato da un medico che non ha visitato il paziente faccia a faccia non viene ritenuto valido.
Ciò può essere specificato, ad esempio, per:

  • certificati medici rilasciati a seguito di una telefonata;
  • certificati medici rilasciati sulla base di informazioni trasmesse per corrispondenza;
  • certificati medici rilasciati dopo una semplice consultazione on-line.

NOTA BENE: in questo articolo vengono citate solo due delle piattaforme presenti in Svizzera e prese quindi ad esempio, non per scelta interna, ma per struttura d’articolo e fonte dello stesso.
Fonte: WEKA, 21/03/2022 – Pierre Matile
Vedi anche:
https://www.swisscom.ch/it/magazine/digitalizzazione/ecco-perche-la-telemedicina-e-migliore-di-dottor-google/
e
https://www.soignez-moi.ch/

Ukraine Recovery Conference (URC) 2022: informazioni utili

L’Ukraine Recovery Conference (URC) si terrà a Lugano il 4 e 5 luglio 2022

La pagina dedicata sul sito dell’Autorità cantonale riassume le informazioni più rilevanti relative alle ripercussioni legate all’organizzazione della conferenza e verrà aggiornata costantemente.


LINK UTILI
PAGINA SUL SITO DEL CANTONE – URC 2022 LUGANO
“Ukraine Recovery Conference: una sfida per la sicurezza” – COMUNICATO STAMPA DELLA POLIZIA CANTONALE DEL 28.06.2022
PAGINA SUL SITO DELLA CITTÀ DI LUGANO – URC 2022
DISPOSIZIONI DELLA CITTÀ DI LUGANO SU URC2022
ZONE DI SICUREZZA – FILE DEL 20.6.2022
VIABILITÀ – FILE DEL 20.6.2022

Le lacune di sicurezza della supply chain

Le catene di approvvigionamento sono reti complicate e la loro digitalizzazione le rende vulnerabili agli attacchi: una maggiore trasparenza sulle merci da parte dei produttori e misure di controllo più severe possono aiutare.

Se in taluni ambiti (ad es. mobilità, alimentare, farmaceutico, ecc.) l’integrità e la sicurezza dei prodotti fisici vengono verificate prima della loro commercializzazione, la qualità e la sicurezza di molti prodotti digitali non sono invece garantite. La sicurezza delle supply chain per i prodotti digitali è spesso insufficiente e a causa della mancanza di informazioni trasparenti e fondate, spesso il management di un’azienda non è in grado di prendere decisioni sostenibili. È quanto si evince da un rapporto del 2019 di ICTswitzerland, l’organizzazione mantello svizzera per l’economia digitale, sulla sicurezza della supply chain.

A fine 2021, l’azienda di servizi di sicurezza cibernetica BlueVoyant ha condotto un sondaggio su larga scala sulla sicurezza informatica, coinvolgendo 1’200 dirigenti di livello C di aziende con più di mille dipendenti e sei Paesi, tra cui Germania, Austria e Svizzera. I risultati di questi tre Paesi mostrano attacchi in aumento, scarsa visibilità dei fornitori e mancanza di informazioni sulla cibersicurezza di terzi. Nell’ultimo anno, il 99% delle aziende intervistate con sede in questi Paesi è stato vittima di un attacco diretto dovuto alla vulnerabilità di terzi a livello di sicurezza e addirittura il 100% ha subito indirettamente le conseguenze negative di una violazione della sicurezza nella propria rete di fornitori. Una situazione allarmante.

Pandemia e guerra in Ucraina hanno dimostrato chiaramente che le catene di approvvigionamento internazionali devono diventare più trasparenti, cosicché le aziende possano reagire molto presto a ostacoli e interruzioni. Ciò significa che le catene di approvvigionamento devono essere maggiormente digitalizzate.

Ma più aumenta la digitalizzazione, più aumentano le opportunità di attacchi digitali da parte degli hacker. Ciò rende necessario adottare maggiori misure di protezione digitale, come ad esempio programmi antivirus e malware specifici. Questi però da soli non sono sufficienti.

Piccole aziende con grandi lacune nella sicurezza

Il problema fondamentale non è la digitalizzazione in sé, bensì la complessità delle catene di approvvigionamento: il numero di fornitori per ogni singola azienda è infatti cresciuto a causa della pandemia e della guerra in Ucraina, rendendo la filiera sempre più difficile da gestire e da controllare. Il rischio maggiore è rappresentato dalle imprese di piccole dimensioni, ben lontane dal disporre di misure di sicurezza solide, come è invece il caso delle aziende più grandi. La verifica e la valutazione di una catena di approvvigionamento a distanza di settimane o mesi non è sufficiente per tenere testa ad aggressori agili e persistenti. Il monitoraggio continuo e la risposta rapida alle nuove vulnerabilità critiche scoperte sono essenziali per una gestione efficace del rischio informatico. Ciò include l’automazione delle analisi, l’estensione delle valutazioni di sicurezza da alcuni fornitori chiave a tutti i fornitori, l’identificazione di aree di particolare vulnerabilità e l’informazione ai propri fornitori in merito ai rischi emergenti e alle misure pratiche da adottare per correggere i problemi, conclude il rapporto di BlueVoyant.

Lavatrici e tostapane intelligenti in balia degli hacker

Quali sono quindi i fattori di rischio e le vulnerabilità tipiche? In sostanza, nell’attacco ad una supply chain, hacker e ricattatori possono manipolare i prodotti digitali o i loro componenti anche prima della loro consegna all’acquirente. Ciò avviene, ad esempio, durante lo sviluppo dei chip, la produzione o l’integrazione di altri componenti digitali e persino durante il trasporto al cliente. Gli hacker ottengono l’accesso principalmente tramite accessi non documentati, mediante le cosiddette backdoor (letteralmente “porte di servizio” che consentono di accedere da remoto ad un sistema e di controllarlo, superando le procedure di sicurezza attivate) o, se si tratta di prodotti collegati in rete, tramite malfunzionamenti impiantati e che possono essere attivati da aggiornamenti successivi alla consegna.

Questa infiltrazione diventa pericolosa se si tratta di prodotti distribuiti su larga scala, ovvero di beni di consumo digitali come computer, sensori, IoT e sistemi di controllo domestico. Lo stesso vale per televisori, lavatrici e tostapane intelligenti.

Tutti questi prodotti presentano un’interfaccia tra software e hardware e possono essere dotati di funzioni nascoste che vengono attivate a distanza quando necessario. I prodotti digitali senza dispositivi di input (mouse, schermo, ecc.) spesso non sembrano computer collegati in rete… eppure lo sono e non sono sufficientemente protetti.

Il dipendente: un rischio rilevante

In molte aziende, anche i dipendenti rappresentano un rischio per la sicurezza: è il caso quando aprono gli allegati ai messaggi di posta elettronica ricevuti da sconosciuti oppure quando effettuano grandi trasferimenti di denaro su istruzioni ricevute dai loro superiori via e-mail. Infine, possono anche divulgare inconsapevolmente informazioni aziendali sensibili chiacchierando durante il pranzo. In questo caso può essere d’aiuto una formazione specifica su argomenti rilevanti per la sicurezza aziendale e la presentazione di scenari concreti.

Ci sono poi dipendenti che spiano o manipolano deliberatamente. Un controllo del background dei dipendenti è utile per prevenire questo problema, soprattutto nel caso di collaboratori destinati ad occupare posizioni sensibili. È inoltre possibile limitare l’accesso ai dati aziendali. Infine, strumenti interni di whistleblowing dovrebbero essere attivati per consentire la segnalazione anonima di comportamenti sospetti.

Occorre prestare sufficiente attenzione anche alla cosiddetta sicurezza mobile: la verifica delle e-mail tramite cellulare, il controllo dei livelli delle scorte dal proprio tablet, l’inoltro della scansione di un carico tramite WLAN, ecc. mettono infatti in moto flussi di dati rilevanti. Tra le misure di prevenzione e protezione da adottare vi è sicuramente l’adozione di programmi di sicurezza per i dispositivi digitali mobili o ancora l’astensione dall’utilizzo di hotspot.

Anche la protezione dei dati nella supply chain è importante: lo standard minimo dovrebbe includere la crittografia di tutti i dati e delle e-mail. Si sta inoltre diffondendo lo standard di identificazione di tutti gli utenti dei dispositivi tramite caratteristiche biometriche, come le impronte digitali o la voce. Un’altra precauzione di sicurezza interna è, ad esempio, il monitoraggio regolare delle penetrazioni del firewall dall’esterno. A ciò si aggiunge la simulazione di scenari di attacco concreti e la progettazione di contromisure adeguate.

I produttori devono assumersi responsabilità

Una valutazione continua dei rischi deve essere effettuata anche con i partner esterni della catena di approvvigionamento. È necessario proteggere l’intera supply chain e i singoli fornitori, i gestori di servizi e tutti i partner di comunicazione e, idealmente, poter verificare in qualsiasi momento chi è attivo nella rete della catena di fornitura, cosa sta facendo e se l’azione è stata autorizzata.

È inoltre importante responsabilizzare i produttori di dispositivi e componenti digitali: dovrebbero documentare tutti gli account predefiniti o standard, le password, i certificati e le chiavi integrati nel prodotto e renderli accessibili. Sarebbe inoltre auspicabile che il cliente fosse in grado di effettuare il cosiddetto “reverse engineering” per verificare l’integrità e la sicurezza dell’hardware e del software di un prodotto senza violare automaticamente i diritti di proprietà intellettuale.

Protezione contro i rischi cibernetici: anche a livello nazionale

La sicurezza cibernetica assume sempre più un ruolo di prim’ordine, anche sul piano nazionale: lo conferma il recente annuncio da parte del Consiglio federale di voler trasformare il Centro nazionale per cibersicurezza (NCSC) in un ufficio federale, incaricando a tale scopo il Dipartimento federale delle finanze (DFF) di elaborare proposte relative alla sua struttura e al suo posizionamento all’interno di un dipartimento entro la fine del 2022.

Questa misura altro non fa che sottolineare ulteriormente la necessità di garantire la sicurezza della catena di approvvigionamento: infatti, la sicurezza cibernetica non deve più essere percepita come un compito isolato, bensì come un processo permanente all’interno della filiera.