Carnet ATA: FIFA 2022 Qatar

Le autorità doganali del Qatar hanno approvato l’uso del carnet ATA per l’importazione temporanea di apparecchi radiotelevisivi durante la Coppa del Mondo FIFA 2022.

Il 1° agosto 2018 il Qatar ha introdotto il Carnet ATA esclusivamente per mostre e fiere. Per facilitare l’organizzazione della Coppa del Mondo FIFA 2022, le autorità qatariane hanno ora deciso di  estendere temporaneamente il campo d’applicazione del Carnet ATA al materiale professionale del settore dei media (apparecchiature radiotelevisive). La possibilità di richiedere il Carnet ATA anche per tale materiale è valida solo durante la fase di svolgimento della Coppa del Mondo FIFA 2020, quindi da ottobre a fine dicembre 2022.

Il termine per la riesportazione sarà comunicato dai funzionari doganali del Qatar al momento dell’ingresso, tenendo conto dei tempi necessari per le formalità d’importazione e di riesportazione.

Si consiglia di indicare “Professional Equipment/FIFA World Cup 2022” nella casella C “Uso previsto della merce” sulla copertina del Carnet ATA.

Link utili:
ICC – Use of ATA Carnet approved for FIFA World Cup broadcast equipment
Ataswiss – Elenco Paesi ATA

Illusione o prospettiva?

Settimana lavorativa ridotta a quattro giorni ma con salario invariato, maggiore produttività e tutti felici e contenti. È davvero così? Il tema lanciato in Ticino in occasione del 1° maggio e ripreso con sempre più insistenza dalla parte sindacale anche nelle ultime settimane non è nuovo e la Cc-Ti se ne è già occupata più volte negli scorsi mesi. In Svizzera la discussione ha avuto origine lo scorso anno dopo la pubblicazione di uno studio islandese che magnificava i risultati dell’esperimento della durata di tre anni svolto all’interno dell’amministrazione pubblica. Ecco le riflessioni sul tema del Presidente Cc-Ti Andrea Gehri.

La proposta di ridurre l’orario lavorativo settimanale mantenendo inalterato lo stipendio dei dipendenti è indiscutibilmente una prospettiva allettante basata su buone intenzioni e nobili principi. Nulla da eccepire!

Ma, come spesso accade in situazioni del genere, le buone idee possono rivelarsi spesso non ottimali e illusorie, come ben dicono i francofoni con l’espressione “une fausse bonne idée”. È evidente che il mondo del lavoro ha conosciuto e sta conoscendo profonde trasformazioni, basti pensare allo sviluppo del telelavoro durante il periodo pandemico. Tuttavia, un’attenta analisi della questione della settimana di quattro giorni a salario invariato mette chiaramente in risalto gli aspetti più ostici e l’effettivo costo dell’eventuale provvedimento.

“Risultati sorprendenti” e “successo travolgente” in termini di salute e rendimento, queste le espressioni usate da alcuni ricercatori in merito all’esperimento islandese che ha coinvolto circa 2’500 lavoratori i cui orari d’impiego sono stati ridotti a parità di retribuzione tra il 2015 e il 2019. Esiti positivi, rivisitazione dei modelli esistenti, ecc..

Partiamo da una riflessione che è un fatto. lo studio ha valutato solo il settore pubblico, le cui peculiarità non sono certamente migliori né peggiori dell’economia privata, ma senza dubbio molto, ma molto differenti. Basti solo pensare che il pubblico non è ovviamente confrontato con la logica di mercato e della concorrenza e pertanto il costo del lavoro non rappresenta un criterio di confronto fortemente rilevante.  Quindi poco probante, tanto più, e qui vi è un secondo punto critico, che la struttura economica della repubblica nordica (basata in modo preponderante sulla pesca) difficilmente può fungere da diretto confronto per la Svizzera.

Se è vero che diverse nazioni stanno seguendo la scia di sperimentazioni analoghe, ogni caso va giudicato in maniera individuale. Evitiamo di prendere ad esempio la Francia, che dall’introduzione delle 35 ore settimanali obbligatorie ha dovuto inventarsi artifici legislativi per gestire in modo differente quelle che sono diventate numerose ore supplementari (con costi maggiorati per le aziende e una burocrazia spaventosa). Citiamo la Spagna, che ha adottato il progetto pilota delle 32 ore, ma per incentivare le imprese a parteciparvi lo Stato interviene assumendosi parte dei costi. Non propriamente una idea brillante!

In alcuni Paesi, fra cui anche la Svizzera, la settimana di quattro giorni è stata introdotta da singole aziende o determinate categorie di professioni. Qui sta il punto. Chi può adottare nuovi modelli di lavoro creativi lo fa senza esitare. È il caso di un ufficio di progettazione di software svizzero, sempre citato quale esempio, ma che per la natura della sua attività e del suo prodotto può permettersi una settimana di quattro giorni senza riduzione di salario. Anche perché i margini di guadagno e il valore aggiunto generato lo permettono, aspetti questi non scontati per altri settori economici.

Ipotizzare quindi un obbligo generalizzato è semplicemente fuori dalla realtà economica. Ognuno deve avere la facoltà di decidere, tenendo conto della realtà in cui opera. Le molte considerazioni su benessere, produttività e competizione con datori di lavoro più attrattivi ecc., vanno lasciate alle singole imprese o eventualmente alle categorie. Un diktat statale non avrebbe alcun senso e illuderebbe i lavoratori a pensare che lavorando meno si guadagna di più. Tutt’altro, lavorando meno si spenderebbe di più, senza peraltro averne le necessarie risorse o maggiorate.

Questo non significa assolutamente sminuire l’importanza del fattore salute e benessere sul posto di lavoro. Anzi! È sempre più un fattore di competitività e pragmatismo.

Ma la questione è ben più complessa e delicata di quanto alcuni abbiano interesse a dipingerla e il rovescio della medaglia poco positivo. In sostanza, misure generalizzate non sono applicabili a tutte le realtà professionali e il rischio poi che si vada incontro ad una riduzione dei giorni lavorativi ma non delle ore settimanali complessive è altrettanto elevato. Il già citato esempio francese è illuminante, visto che il cospicuo numero di straordinari rendono di fatto le 35 ore d’impiego una mera clausola formale, senza peraltro aver generato il benessere auspicato. Inoltre, la maggiore flessibilità cercata oggi da molte persone non è necessariamente legata ad uno schema fisso come quello offerto dalla settimana lavorativa ristretta. Senza dimenticare che il mantenimento intatto della rimunerazione a fronte di un tempo d’impiego ridotto porta inevitabilmente all’insorgere di un problema di costo del lavoro e al bisogno di assumere personale aggiuntivo, fattore non banale data l’attuale e ormai cronica carenza di manodopera qualificata.

Non dobbiamo poi dimenticare le origini del benessere costruito in Svizzera nel corso dei decenni, bene che tutti ci riconoscono e che molti Stati prendono come esempio. Il successo del modello svizzero è senza dubbio costituito da principi sacrosanti quali, passione nel lavoro, attitudine al sacrificio, serietà e dedizione. Vogliamo veramente metter in dubbio principi che hanno favorito il benessere generale di cui la nostra società beneficia?

Grazie alla proverbiale attitudine positiva al lavoro e alla capacità di creare valore aggiunto della sua economia, la Svizzera non teme confronti al mondo e assicura una ridistribuzione della ricchezza equilibrata e capillare a sostegno delle fasce della popolazione meno fortunate.

È quindi fondamentale lasciare ad ogni azienda la libertà di scelta in base alle proprie esigenze e disponibilità piuttosto che imporre indistintamente un rigido piano che non tiene conto minimamente delle situazioni individuali e per il quale pagheremmo tutti conseguenze importanti, al momento non quantificabili.

L’illusione della settimana lavorativa di 4 giorni con il miraggio di una maggiore produttività, migliore qualità di vita e benessere psicologico si scontra inevitabilmente con la realtà dei fatti.

Il costo del lavoro aumenterebbe sostanzialmente attraverso l’assunzione di maggior personale (ammesso che lo si trovi) e l’azienda si troverebbe inevitabilmente confrontata con costi di produzione che, in un mercato come il nostro, rischierebbe di penalizzarla fatalmente.

Se le aziende non integrassero nuovo personale, perché non ne hanno le risorse, il rischio consisterebbe nella riduzione delle attività e servizi offerti, che applicando un nuovo ritmo di lavoro si tradurrebbe in un maggiore carico di lavoro per i dipendenti, favorendo l’insorgere di ansia, stress e rischio di burnout. L’esatto contrario di quanto atteso.

Dulcis in fundo …. Il mondo d’oggi, non solo per le aziende che affrontano un mercato globale, richiede, flessibilità disponibilità e reperibilità continua, indipendentemente dall’orario. L’aspettativa del cliente si scontra innegabilmente con una settimana lavorativa ridotta, soprattutto quando viene richiesta l’interazione con un unico referente. Lavorare meno e guadagnare di più è quindi una pia illusione!

Supply chain: l’Europa cerca nuove vie e fornitori

La pandemia e la guerra in Ucraina costringono l’Europa a cambiare le rotte di trasporto delle merci e delle materie prime, e a trovare fornitori alternativi.

La filiale in Turchia è operativa: con questa notizia la società di trasporto ferroviario InterRail Group ha attirato l’attenzione del settore ad agosto. Attraverso la nuova sede turca, l’azienda con sede a San Gallo intende rafforzare le rotte commerciali non solo da e verso la Cina e l’Asia centrale, ma anche da e verso l’Europa occidentale e il Nordafrica.

Tale annuncio va visto nel contesto di tre temi di stretta attualità: se da un lato negli ultimi mesi la Cina ha allentato le maglie sulle quarantene nelle città portuali, dall’altro ci vorrà ancora del tempo per normalizzare la situazione dei container marittimi; la guerra in Ucraina acuisce i problemi di approvvigionamento; le sanzioni contro la Russia, oltre a causare una carenza di materie prime, genera problemi di connettività tra l’Asia, Cina in particolare, e l’Europa.

Quest’ultimo aspetto è più importante di quanto sembri: Ucraina e Russia sono infatti situate lungo una delle più antiche rotte commerciali del mondo, una rotta che la Cina sta rilanciando sotto il nome di Nuova via della Seta (Belt and Road Initiative, BRI) e che comprende anche il Nuovo Ponte Terrestre Eurasiatico (New Eurasian Land Bridge, NELB), una rete ferroviaria e logistica che collega la Cina all’Europa passando per il Kazakistan, la Russia e la Bielorussia. Secondo le stime della società americana di consulenza gestionale Bain & Company, nel 2021 i treni hanno movimentato circa 1,5 milioni di container tra Cina ed Europa per un valore di quasi 75 miliardi di dollari, pari a circa il 4% del commercio totale tra le parti. Questa rotta però è ora impraticabile.

Il Corridoio di Mezzo

La Cina non è solo la sede produttiva più grande al mondo e l’hub di trasporto marittimo più importante, ma controlla anche quasi l’intera catena del valore delle terre rare. Il Paese è inoltre un centro globale per la lavorazione di materie prime minerali e metalliche critiche. Mantenere un collegamento funzionante con l’Europa è pertanto di primaria importanza e il trasporto terrestre di merci – ferroviario in particolare – occupa una nicchia strategica in quanto via di mezzo tra il trasporto aereo, più caro, e il trasporto marittimo, più lento.

L’impraticabilità del NELB ha fatto emergere il Corridoio di trasporto internazionale transcaspico (Trans-Caspian International Transport Route, TITR), noto anche come Corridoio di Mezzo. Esso collega in via multimodale (treno, camion, nave) il sud-est asiatico e la Cina con l’Europa passando per il Kazakistan, il Mar Caspio, l’Azerbaigian, la Georgia e, da qui, la Turchia o il Mar Nero.

L’emergenza di questo asse est-ovest comincia a farsi notare. Ne è un esempio Maersk, compagnia danese specializzata nel trasporto di container, che già dalla primavera opera attraverso il Corridoio di Mezzo tramite soluzione bimodale treno-nave via Mar Nero trasportando principalmente merci per l’industria automobilistica, elettrodomestici e lifestyle. I tempi di trasporto sono di circa 40 giorni a fronte di 13-15 giorni per il trasporto via NELB o 8 settimane via mare. Anche l’apertura della filiale turca da parte di InterRail si inserisce in questo contesto.

Fornitori alternativi cercasi

Se la posizione dell’Europa nei confronti della Russia è chiara, è invece ambivalente per quanto riguarda la Cina. Secondo la piattaforma digitale francese di analisi dei trasporti Upply, attualmente le aziende europee operano in due modi. Parte delle aziende sta riorganizzando le proprie catene di approvvigionamento rimanendo però incentrata sul Regno di Mezzo e cercando quindi nuove vie di trasporto: in considerazione delle tensioni politiche internazionali e dell’aumento dei prezzi dell’energia, la Cina rimane pur sempre un mercato attrattivo, consente di contenere i rischi e garantisce una certa stabilità. D’altro canto, il perdurare della politica zero-Covid del Dragone e le divergenze politiche con l’Occidente, spinge invece altre aziende a cercare alternative nel Sud-Est asiatico per l’approvvigionamento di prodotti. Tale diversificazione avviene per lo più in settori con catene di approvvigionamento meno complesse e merce a basso valore aggiunto.

Parlando invece di materie prime, secondo un recente studio dell’Istituto di ricerca economica tedesco Ifo (nello specifico sulla dipendenza della Germania dalle importazioni di queste), è necessario intervenire per creare catene di approvvigionamento a prova di crisi soprattutto per nove cosiddetti minerali critici: cobalto, boro, silicio, grafite, magnesio, litio, niobio, terre rare e titanio. Tali minerali sono fondamentali per numerose attività industriali e particolarmente importanti per la transizione ecologica: essi vengono infatti utilizzati per esempio nelle turbine eoliche, nei pannelli fotovoltaici e nelle batterie. Queste tecnologie richiedono una grande quantità di minerali e metalli, con una domanda prevista in continua crescita nei prossimi anni. Secondo l’Ifo, Thailandia e Vietnam potrebbero produrre sempre più terre rare per l’Europa, mentre per quanto riguarda le altre materie prime critiche, oltre ad Argentina, Brasile e Stati Uniti si potrebbero prendere in considerazione anche Indonesia e India.

In Europa, Svizzera inclusa, si cerca la via della diversificazione delle fonti di approvvigionamento espandendo la cooperazione con altri Stati: la resilienza delle catene di fornitura di materie prime costituisce infatti una priorità ed è attuata attraverso non solo la diversificazione delle catene del valore, ma anche con l’aumento delle capacità estrattive nel continente ed importanti investimenti nell’economia circolare.

Libero scambio: designazione “Türkiye”

Nel quadro dell’accordo di libero scambio con la Turchia è raccomandato l’utilizzo della designazione “Türkiye”.

Nell’ambito dell’accordo di libero scambio AELS-Turchia, quest’ultima ha chiesto di utilizzare esclusivamente la designazione “Türkiye” anziché le denominazioni “Turkey”, “Türkei”, “Turquie” o “Turchia” per designare il proprio Paese anche nelle prove dell’origine redatte in inglese, tedesco, francese o italiano.

Nella sua circolare R-30 del 5 settembre 2022, l’Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini (UDSC) raccomanda pertanto agli esportatori di utilizzare sin da subito di tale designazione. Resta invariata la possibilità di utilizzare le abbreviazioni “TR” o “TUR” anziché la designazione completa.

Per quanto riguarda l’importazione in Svizzera, nelle prove dell’origine redatte nelle varie lingue ammesse è invece possibile utilizzare sia la denominazione nelle lingue summenzionate sia la designazione “Türkiye”.

Fonte: Circolare R-30 dell’UDSC del 5 settembre 2022

Egitto: spedizioni aeree solo con pre-dichiarazione ACI

Dal 1° ottobre 2022 l’obbligo di preregistrazione delle merci, denominato “Advanced Cargo Information (ACI)” e sinora applicato alle spedizioni via mare, sarà esteso anche al trasporto aereo.

Lo scorso anno, la dogana egiziana ha introdotto il sistema elettronico “Advanced Cargo Information” (ACI) al duplice scopo di semplificare e velocizzare le procedure di svincolo delle merci e di verificare esportatori e importatori attraverso un unico portale online. Questo sistema, che prevede la registrazione anticipata delle informazioni relative alle spedizioni, è stato inizialmente implementato agli invii effettuati via mare e, dopo una fase di test iniziata il 15 maggio di quest’anno, dal prossimo 1° ottobre sarà esteso definitamente anche al trasporto aereo.

Come funziona? Il sistema ACI è collegato a due piattaforme: NAFEZA e CargoX. NAFEZA è la “single window” egiziana per il commercio transfrontaliero. L’importatore egiziano vi deve registrare in anticipo i dati della spedizione in entrata al fine di ottenerne la pre-approvazione e acquisirne il numero ACID (Advance Cargo Information Declaration), ovvero un codice a 19 cifre che serve ad identificarla in modo univoco. In seguito, l’importatore egiziano deve comunicare il numero ACID all’esportatore, che a sua volta deve invece registrare i propri dati nella piattaforma blockchain CargoX (cfr. user manual CargoX per costi e istruzioni) e caricarvi i documenti necessari allo sdoganamento della merce oggetto della spedizione, quali ad esempio la fattura commerciale (comprensiva del nr. IVA dell’importatore e del nr. d’iscrizione a RC dell’esportatore), una copia della polizza di carico, il certificato d’origine, la packing list,… Tutti i documenti relativi alla spedizione devono obbligatoriamente essere muniti del numero ACID.

Le informazioni inerenti alla spedizione devono essere inserite a sistema al più tardi 48 ore prima della partenza della merce. La spedizione è sdoganata in Egitto solo se la documentazione caricata a sistema reca il nr. ACID. In caso contrario, la dogana respingerà il carico e la merce sarà restituita al mittente a spese del vettore o del suo rappresentante.

Prima pubblicazione: 18.05.2022
Ultimo aggiornamento: 01.09.2022

Energia: consultazione sulle misure previste in caso di penuria di gas

Nella sua riunione del 31 agosto 2022 il Consiglio federale ha preso visione del piano di gestione da attuare in caso di penuria di gas. Sono previste due ordinanze che introducono limitazioni d’utilizzo e divieti nonché misure di contingentamento per gli impianti a monocombustibile. I progetti di ordinanza saranno oggetto di una consultazione di tre settimane presso i Cantoni, le associazioni e altre cerchie interessate.

Fino al 22 settembre 2022 il Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca (DEFR) terrà una consultazione su due progetti di ordinanza: si tratta dell’ordinanza concernente divieti e limitazioni dell’utilizzo di gas e dell’ordinanza sul contingentamento del gas. Entro la fine di ottobre 2022 il DEFR presenterà al Consiglio federale un rapporto in merito. La consultazione ha lo scopo di informare tempestivamente gli attori coinvolti sui loro compiti e sui loro doveri nel caso in cui si verifichi una penuria di gas e di permettere alle cerchie interessate di presentare le loro richieste.

La procedura non si svolge conformemente alla legge sulla consultazione; infatti, nel caso in cui in inverno si verifichi una penuria, che alla luce della situazione geopolitica attuale non può essere esclusa, le ordinanze verrebbero adattate sulla base degli ultimi sviluppi e poi poste in vigore. Le misure verranno adeguate nella loro portata a seconda della gravità della penuria e in base all’evolversi di quest’ultima sarà possibile attuarle in maniera scaglionata.

Negli scorsi mesi il Consiglio federale si è adoperato in vari modi per rafforzare l’approvvigionamento di gas in vista del prossimo inverno. Il settore del gas costituisce riserve di gas fisiche nei Paesi limitrofi e acquista opzioni per ulteriori forniture di gas non russo. Se ciononostante dovesse verificarsi una penuria, la Svizzera, che non dispone di una propria produzione di gas naturale né di impianti per lo stoccaggio, potrebbe intervenire sulla domanda. Un intervento in questo senso servirebbe a impedire un peggioramento della situazione dell’approvvigionamento e a evitare che si rendano necessarie misure di più ampia portata. Si tratterebbe di misure limitate nel tempo che verrebbero revocate il prima possibile.
L’Approvvigionamento economico del Paese (AEP) può ricorrere ai seguenti strumenti:

  • appelli al risparmio in caso di penuria imminente;
  • commutazione degli impianti bicombustibili al sopraggiungere di una penuria;
  • limitazioni e divieti dell’utilizzo del gas per determinati impieghi;
  • introduzione, tramite ordinanza, di contingenti per i clienti non protetti e inasprimento delle limitazioni e dei divieti.

Perdite a livello di comfort

Le limitazioni dell’utilizzo e i divieti si traducono innanzitutto in perdite a livello di comfort. Beni e servizi d’importanza vitale non devono essere compromessi. In primo piano vi sono diminuzioni della temperatura ambiente e della temperatura dell’acqua, soprattutto nei luoghi di lavoro. Le riduzioni della temperatura potrebbero essere estese anche agli ambienti abitativi. In Svizzera le economie domestiche private consumano più del 40 per cento del gas. Escluderle vorrebbe dire rinunciare a cospicui risparmi sui consumi di gas.

Clienti protetti e cessione di contingenti

Se le suddette misure dovessero rivelarsi insufficienti, è possibile ridurre il consumo di gas assoggettando al contingentamento gli impianti a monocombustibile. Anche in questo caso i provvedimenti verrebbero introdotti tramite ordinanza. Il contingentamento progressivo riguarda tutti i consumatori ad eccezione di quelli protetti, ovvero le economie domestiche private e i servizi sociali di base, cioè gli ospedali, le case per anziani e le case di cura, la polizia e i pompieri, l’approvvigionamento di acqua potabile e di energia, la depurazione delle acque di scarico, lo smaltimento dei rifiuti e la pulizia degli scambi ferroviari per evitare l’accumulo di neve o ghiaccio. Il Consiglio federale stabilisce il tasso di contingentamento al momento dell’emanazione dell’ordinanza, in base alla gravità della penuria. In linea generale il periodo di validità della misura è di un mese.

L’Organizzazione d’intervento in caso di crisi (OIC) è responsabile dell’esecuzione e del controllo del contingentamento e comunica eventuali anomalie al settore specializzato Energia dell’AEP. Le aziende interessate dal contingentamento possono scambiarsi contingenti non utilizzati mediante un pool comune. Sarebbe così possibile contenere i danni economici. L’organizzazione del commercio di contingenti è di competenza dell’economia.

Durante la consultazione verrà visionato anche il testo dell’ordinanza sulla commutazione degli impianti bicombustibili. Vista la situazione attuale, l’Esecutivo ha delegato al DEFR la messa in vigore dell’ordinanza. La commutazione degli impianti bicombustibili ad altri vettori energetici dovrebbe consentire di ridurre in tempi brevi il consumo di gas del 15-20 per cento.

Scarica la Scheda informativa
Link al Comunicato stampa del Consiglio federale

Energia: il Consiglio federale lancia una campagna di risparmio energetico

Il Consiglio federale ha deciso numerose misure volte a rafforzare rapidamente l’approvvigionamento energetico svizzero nel prossimo inverno. La campagna, avviata oggi sotto lo slogan «L’energia è scarsa. Non sprechiamola.» è destinata a integrare tali misure. Alla popolazione e agli ambienti economici viene data una serie di semplici consigli per risparmiare energia. L’obiettivo è la partecipazione volontaria di un numero possibilmente elevato di attori, così da poter evitare una situazione di penuria in Svizzera. 

La campagna è stata messa a punto dalla Confederazione, con la collaborazione di oltre 40 partner del mondo economico, della società civile e del settore pubblico. Nella sua seduta del 31 agosto 2022 il Consiglio federale è stato informato che questi partner daranno vita a un’«Alleanza risparmio energetico», che verrà gradualmente ampliata in vista del prossimo inverno.

Con l’adozione di diverse misure il Consiglio federale intende rafforzare rapidamente l’approvvigionamento energetico in Svizzera nel prossimo inverno. Tra queste misure si annovera ad esempio la costituzione di riserve supplementari nei settori del gas e dell’energia elettrica. La scorsa settimana il Consiglio federale ha inoltre deciso che, per il gas, la Svizzera dovrà perseguire un obiettivo volontario di risparmio pari al 15 per cento nel semestre invernale. In data odierna la Confederazione ha infine lanciato la sua campagna di risparmio.

«L’energia è scarsa. Non sprechiamola.»

È questo il messaggio chiave della campagna nazionale che durerà fino ad aprile 2023. I consigli di risparmio, rivolti alla popolazione e al mondo economico, illustrano come si possa risparmiare in modo molto semplice energia, ossia gas, oli combustibili, elettricità e altri vettori energetici, a casa o al posto di lavoro: abbassando la temperatura dei locali, riducendo il consumo di acqua calda, spegnendo gli apparecchi elettrici o gli impianti di illuminazione non utilizzati, oppure cucinando e utilizzando il forno domestico in modo parsimonioso.

I consigli di risparmio vengono visualizzati con immagini a raggi infrarossi che illustrano quanto rapidamente va persa energia se ci si comporta in modo noncurante. Gran parte delle raccomandazioni dovrebbero già essere note ai consumatori, anche se spesso nel quotidiano vanno dimenticate. L’obiettivo della campagna è dunque attirare nuovamente l’attenzione su di esse, in modo tale che gran parte dei consumatori le seguano e contribuiscano a prevenire una situazione di penuria in Svizzera. 

Le raccomandazioni saranno pubblicate sulla pagina web zero-spreco.ch e figureranno su manifesti, inserzioni e sui canali social media della Confederazione. In aggiunta, le organizzazioni economiche, della società civile e del settore pubblico diffonderanno le raccomandazioni sui propri canali.

Campagna di risparmio energetico comune

La campagna si inserisce nell’iniziativa di risparmio energetico invernale, preparata congiuntamente dal DATEC e dal DEFR. Alla sua elaborazione hanno partecipato un comitato consultivo e un gruppo di accompagnamento composto da oltre 40 associazioni e organizzazioni. Ai lavori hanno collaborato Cantoni, Città e Comuni, associazioni energetiche ed economiche nonché organizzazioni della società civile. Tutti questi partner saranno coinvolti anche nell’ulteriore sviluppo dell’iniziativa che, col tempo, sarà completata con nuove tematiche. Qualora si verifichi una situazione di penuria, i consigli di risparmio potranno essere sostituiti da appelli al risparmio conformemente alla legge federale sull’approvvigionamento economico del Paese.

I contenuti e i temi della campagna saranno diffusi dai partner attraverso i propri canali; i numerosi attori pubblici e privati pubblicheranno quindi le raccomandazioni secondo principi unitari, dando così maggiore visibilità alla campagna.

Alleanza risparmio energetico

Nel quadro dell’iniziativa di risparmio energetico invernale, la Confederazione e diverse organizzazioni e associazioni economiche hanno fondato l’«Alleanza risparmio energetico». Numerosi attori provenienti dal mondo economico, dalla società civile e dal settore pubblico si riconoscono pertanto in questi sforzi profusi a livello nazionale per risparmiare energia e rafforzare la sicurezza di approvvigionamento. Possono aderire all’«Alleanza risparmio energetico» tutte le organizzazioni, le cerchie interessate di economia, società civile e settore pubblico (iscrizione: www.alliance2022-23.ch). L’evento costitutivo dell’«Alleanza risparmio energetico» si svolgerà ufficialmente il 26.10.2022.

Hotline

Per domande riguardo al risparmio energetico ci si può rivolgere al numero di tel. 0800 005 005, ossia alla infoline ampliata di SvizzeraEnergia (attuazione di consigli di risparmio e domande tecniche). A questo numero troveranno risposta anche tutte le altre domande relative al risparmio energetico formulate da cittadini e attori economici.

I privati e le imprese possono rivolgersi alla hotline anche per e-mail: hotline@bwl.admin.ch.

Link utili
Info e consigli per le imprese
Comunicato del Consiglio Federale

Da ottobre il Regno Unito passa a un nuovo sistema doganale

Il Regno Unito abbandona gradualmente il sistema doganale CHIEF a favore del Customs Declaration Service (CDS). Dal 1° ottobre 2022 tutte le importazioni dovranno essere dichiarate tramite quest’ultimo. Il passaggio definitivo al nuovo sistema avverrà il 1° aprile 2023, data in cui anche le esportazioni dovranno essere gestite tramite la nuova piattaforma.

L’attuale sistema di gestione doganale delle merci importate ed esportate CHIEF (Customs Handling of Import and Export Freight), utilizzato per presentare le dichiarazioni doganali all’erario britannico (HM Revenue & Customs), ha quasi esaurito la sua funzione e a breve sarà sostituito dal nuovo servizio di dichiarazione doganale CDS (Customs Declaration Service).

Anche se quest’ultimo è già operativo per quanto riguarda le nuove registrazioni, la sostituzione vera e propria del sistema doganale CHIEF avverrà in due tappe: dal 1° ottobre 2022 CHIEF non accetterà più dichiarazioni doganali di importazione, che dovranno quindi essere presentate tramite il CDS. Le dichiarazioni doganali di esportazione dovranno invece continuare ad essere presentate in CHIEF fino al 31 marzo 2023, dopodiché dovranno essere inserite nel CDS e il vecchio sistema doganale sarà definitivamente abbandonato.

Le aziende estere che agiscono in qualità di importatori nel Regno Unito, ad es. con la stipula di una clausola Incoterms DDP, sono invitate ad informarsi tempestivamente in merito al nuovo sistema.

Link utili:
Customs Declaration Service – GOV.UK (www.gov.uk)
Subscribe to the Customs Declaration Service – GOV.UK (www.gov.uk)

Il Servizio Commercio internazionale della Cc-Ti è a disposizione per ulteriori informazioni e consigli utili.

Incoterms: checklist e flowchart in aiuto

Gli Incoterms® sono regole commerciali elaborate dalla Camera di commercio Internazionale (ICC) che definiscono la ripartizione tra venditore e compratore di obblighi, spese e rischi connessi al trasporto, allo sdoganamento e alla consegna della merce. Il presente articolo ricapitola le caratteristiche degli Incoterms® 2020 e introduce un nuovo strumento grafico, realizzato dall’ICC e di facile utilizzo, che aiuta venditore e compratore nell’identificazione della resa più adatta da includere nei loro contratti di vendita B2B.

Cosa sono gli Incoterms®?

Le clausole Incoterms® (acronimo di International Commercial Terms) sono termini contrattuali, codificati dalla Camera di Commercio Internazionale (ICC), che identificano in maniera chiara dove e quando avviene la consegna della merce, il trasferimento dei rischi di perdita o danni alla merce dal venditore al compratore e ogni altra spesa relativa alla consegna della merce. Essi disciplinano anche chi deve stipulare il contratto di trasporto della merce e l’eventuale assicurazione fino al luogo convenuto e chi si deve far carico dello sdoganamento all’esportazione e all’importazione. Queste regole sono giuridicamente vincolanti solo se espressamente concordate (idealmente a livello contrattuale) tra il venditore e il compratore.

Gli Incoterms® non regolano invece aspetti quali le condizioni di pagamento, il trasferimento della proprietà della merce, l’effetto di sanzioni o la risoluzione di controversie (es. conseguenze delle violazioni degli obblighi contrattuali, clausole di forza maggiore, legge applicabile, foro competente,…).

Negli anni, gli Incoterms® sono stati oggetto di revisione da parte della ICC, che ha voluto tenere in considerazione i mutamenti e le criticità riscontrati della prassi commerciale. L’ultima revisione è stata effettuata nel 2019 e l’ultima edizione degli Incoterms® è entrata in vigore il 1° gennaio 2020, da qui la dicitura “Incoterms®2020”.

La classificazione degli Incoterms®

Gli Incoterms® 2020 consistono in 11 regole, identificate con un acronimo di tre lettere e suddivise in quattro gruppi (secondo la lettera iniziale dell’acronimo) e in due categorie. I termini appartenenti al medesimo gruppo condividono caratteristiche simili, mentre le due categorie riguardano i mezzi di trasporto:

Di seguito vengono passati brevemente in rassegna i vari termini di resa.

Tutti i mezzi di trasporto

  • EXW | Ex works / Franco fabbrica (luogo di consegna convenuto)
    È la resa che comporta i minori rischi e costi a carico del venditore. Il venditore effettua la consegna mettendo la merce a disposizione del compratore presso la sua sede o in altro luogo convenuto (proprio magazzino o fabbrica, ma anche un deposito, una piattaforma di distribuzione), senza che sia tenuto a caricare la merce. Il compratore organizza il trasporto, ne paga i costi, si assume i rischi di carico (anche se questi viene eseguito dal venditore nei propri locali) e fino a destinazione ed è responsabile delle procedure di sdoganamento all’export e all’import.
    Osservazioni:
    – anche se il venditore non è tenuto a caricare la merce, nella realtà succede spesso che esso lo faccia (perché dispone delle attrezzature necessarie o perché norme di sicurezza/interne impediscono l’accesso di terzi ai suoi locali). In questi casi venditore e compratore dovrebbero prevedere esplicitamente chi si assume il rischio di tale operazione;
    – in generale si raccomanda l’utilizzo della resa EXW al solo commercio nazionale: infatti, anche se le operazioni di sdoganamento sono (generalmente) a carico del compratore, il venditore rimane il soggetto responsabile, dal punto di vista doganale e fiscale (leggi: imponibilità dell’IVA), di una eventuale mancata uscita delle merci dal territorio nazionale, con il rischio di incorrere in sanzioni.
  • FCA | Free carrier / Franco vettore (luogo di consegna convenuto)
    Il venditore consegna la merce al compratore in due modi: a) se il luogo indicato è la sede del venditore (fabbrica, magazzino), allora la merce è considerata consegnata nel momento è caricata sul mezzo di trasporto messo a disposizione dal compratore; b) se invece il luogo di consegna è un luogo diverso dalla sede del venditore, la merce è considerata consegnata quando, dopo essere stata caricata sul mezzo di trasporto del venditore, raggiunge l’altro luogo indicato (si consiglia di specificare il punto esatto) ed è pronta allo scarico. Il venditore è responsabile delle formalità di sdoganamento all’esportazione, spetta invece al compratore sdoganare la merce all’importazione nel Paese di destinazione, pagare eventuali diritti di importazione ed espletare le formalità doganali d’importazione.
    Osservazioni:
    – in generale le rese Incoterms EXW e del gruppo F – e quindi anche la resa FCA – sono sconsigliabili nei casi in cui il venditore, per ottenere il pagamento della merce, debba presentare i documenti comprovanti la spedizione/consegna della stessa, ad esempio quando il pagamento tramite lettera di credito (L/C). È infatti preferibile che sia il venditore a gestire il trasporto e lo sdoganamento della merce così da disporre dei relativi documenti. In caso di L/C sarebbe quindi più opportuno che venditore e compratore concordino un termine di resa dei gruppi C o D. Tuttavia, per offrire la massima flessibilità alle parti, la resa FCA degli Incoterms 2020 introduce la possibilità di convenire un meccanismo che consenta al venditore di ricevere una polizza di carico con annotazione di messa a bordo (“bill of lading with an on-board notation”) quando consegna la merce nel luogo di consegna concordato, prima che il vettore carichi la merce sulla nave. Il venditore può così presentare i documenti alla banca e incassare il credito. Si sottolinea qui che questo meccanismo è facoltativo e potrebbe far sorgere più problemi di quanti ne possa risolvere.
  • CPT | Carriage paid to / Trasporto pagato fino a (luogo di destinazione convenuto)
    Il venditore organizza e paga le spese di trasporto fino al luogo di destinazione concordato. Il venditore effettua la consegna, e con essa il passaggio dei rischi, quando affida la merce al vettore da lui designato. Il momento del passaggio del rischio da venditore a compratore non coincide quindi con il momento del passaggio dei costi del trasporto: è pertanto necessario specificare con chiarezza il luogo di consegna e il luogo di destinazione delle merci. Il venditore è responsabile delle formalità d’esportazione, ma non ha l’obbligo di sdoganare la merce all’importazione, di pagare eventuali diritti di importazione o espletare eventuali formalità doganali all’importazione.
  • CIP (Carriage and Insurance paid to / Trasporto e assicurazione pagati fino a (luogo di destinazione convenuto)
    Il venditore organizza e paga le spese di trasporto fino al luogo di destinazione convenuto. Il venditore effettua la consegna, e con essa il passaggio dei rischi, quando affida la merce al vettore da lui designato. Il momento del passaggio del rischio da venditore a compratore non coincide con il momento del passaggio dei costi del trasporto: è pertanto necessario specificare con chiarezza il luogo di consegna e il luogo di destinazione delle merci. Il venditore è tenuto a stipulare una copertura assicurativa conforme alla Institute Cargo Clause A (All Risks, livello massimo di copertura) o simile. Il venditore è altresì responsabile delle formalità d’esportazione, ma non ha l’obbligo di sdoganare la merce all’importazione o di pagare eventuali diritti di importazione.
  • DAP | Delivered at place / Reso al luogo di destinazione (luogo di destinazione convenuto)
    Il venditore effettua la consegna della merce quando essa arriva sul mezzo di trasporto nel luogo di destinazione convenuto (terminal, magazzino, ecc.) ed è pronta per essere scaricata. Il venditore è obbligato a stipulare un contratto per il trasporto della merce fino al luogo di destinazione e si assume tutti i rischi consegnando la merce nel luogo convenuto. Esso è responsabile delle formalità d’esportazione, ma non ha l’obbligo di sdoganare la merce all’importazione, di pagare eventuali diritti di importazione o espletare eventuali formalità doganali all’importazione. Qualora il compratore non sdogani le merci all’importazione, dovrà sopportare tutti i rischi e i costi legati all’immagazzinamento della merce in attesa dello sdoganamento.
  • DPU | Delivered at place unloaded / Reso al luogo di destinazione scaricato (luogo di destinazione convenuto)
    La merce è considerata consegnata una volta scaricata dal mezzo di trasporto e messa a disposizione del compratore nel luogo di destinazione convenuto. Il venditore è obbligato a stipulare un contratto di trasporto sino al luogo di destinazione e si fa carico di tutti i rischi connessi al trasporto e allo scarico della merce. Il rischio viene trasferito una volta scaricata la merce. La resa DPU è l’unica a richiedere al venditore di consegnare la merce scaricata alla destinazione convenuta: è pertanto opportuno che esso si assicuri di essere effettivamente in grado di scaricare la merce nel luogo convenuto (ad. es. che ci siano le attrezzature adeguate). Il venditore è responsabile delle formalità d’esportazione, ma non ha l’obbligo di sdoganare la merce all’importazione, di pagare eventuali diritti di importazione o espletare eventuali formalità doganali all’importazione.
  • DDP | Delivered duty paid / Reso sdoganato (luogo di destinazione convenuto)
    La merce è considerata consegnata quando il venditore la mette a disposizione del compratore, sdoganata all’importazione e pronta per essere scaricata dal mezzo di trasporto, presso il luogo di destinazione. Il venditore è obbligato a stipulare un contratto di trasporto della merce sino al luogo di destinazione ed è responsabile dello sdoganamento non solo all’esportazione ma anche all’importazione, pagando eventuali diritti doganali sia di esportazione sia di importazione ed espletando tutte le formalità doganali. Tutti i rischi sono a carico del venditore fino al luogo di destinazione, con la merce pronta per lo scarico.
    Osservazioni:
    – si raccomanda di specificare il più chiaramente possibile il punto nel luogo di destinazione convenuto, poiché le spese e i rischi fino a tale punto sono a carico del venditore;
    – il DDP comporta il livello massimo di obbligazioni per il venditore, che oltre a pagare dazi e IVA all’importazione (con relativa registrazione doganale e fiscale nel Paese di destino) deve anche assicurarsi di disporre delle licenze necessarie per l’importazione della merce e di essere effettivamente in grado di sdoganarla.

Solo trasporto marittimo, fluviale o lacustre

  • FAS | Free alongside ship / Franco lungo bordo (porto d’imbarco convenuto)
    La merce è considerata consegnata quando il venditore la mette a disposizione sottobordo della nave (ad es. sulla banchina o la chiatta) designata dal compratore nel porto d’imbarco. Il rischio di perdita o di danni alla merce passa quando la merce è sottobordo della nave e il compratore sopporta tutte le spese da tale momento in avanti. Il venditore non è obbligato a stipulare un contratto di trasporto. È responsabile delle formalità d’esportazione, ma non ha l’obbligo di sdoganare la merce all’importazione, di pagare eventuali diritti di importazione o espletare eventuali formalità doganali all’importazione.
  • FOB | Free on board / Franco a bordo (porto d’imbarco convenuto)
    La merce è considerata consegnata quando il venditore mette a disposizione la merce a bordo della nave scelta dall’acquirente nel porto d’imbarco. Il venditore è tenuto a sostenere i costi relativi all’imbarco della merce a bordo della nave e allo sdoganamento della merce per l’esportazione, ma non ha l’obbligo di stipulare un contratto per il trasporto fino al luogo di destinazione né di sdoganare la merce all’importazione, di pagare eventuali diritti di importazione o espletare eventuali formalità doganali all’importazione Il rischio di perdita o di danni alla merce passa quando la merce è a bordo della nave e il compratore sopporta tutte le spese da tale momento in poi.
  • CFR | Cost and Freight / Costo e nolo (porto di destinazione convenuto)
    La merce è considerata consegnata quando il venditore la mette a disposizione a bordo della nave nel porto d’imbarco. Il rischio di perdita o di danni alla merce passa quando essa è a bordo della nave. Il venditore è obbligato a stipulare un contratto per il trasporto della merce sino al luogo di destinazione. Questa regola presenta due punti critici, perché il passaggio del rischio e il trasferimento delle spese avvengono in luoghi diversi.
  • CIF | Cost, insurance and freight / Costo, assicurazione e nolo (porto di destinazione convenuto)
    La merce è considerata consegnata quando il venditore la mette a disposizione a bordo della nave nel porto d’imbarco. Il rischio di perdita o di danni alla merce passa quando essa è a bordo della nave. Il venditore è obbligato a stipulare un contratto di trasporto e una copertura assicurativa conforme alla Institute Cargo Clause C o simile (copertura minima). Qualora il compratore desideri avere una maggiore protezione assicurativa dovrà accordarsi espressamente con il venditore o stipulare contratti assicurativi aggiuntivi. Questa regola presenta due punti critici, perché il passaggio del rischio e il trasferimento delle spese avvengono in luoghi diversi.

Per l’applicazione corretta degli Incoterms® si suggerisce di utilizzare la seguente struttura (o struttura simile):

[regola Incoterms® scelta] [Porto, luogo o punto convenuto], Incoterms® 2020

es. CPT Singapore Airport, Incoterms® 2020

Scegliere la resa: ecco un aiuto pratico

La scelta dell’Incoterms® è oggetto di negoziazione tra venditore e compratore, che devono individuare la resa più idonea rispetto non solo alla tipologia di merce da consegnare e al tipo di trasporto da utilizzare per la sua consegna, ma anche alla volontà e alla capacità di ognuna delle parti di sostenere determinati costi e rischi nonché di svolgere determinati compiti.

Come scegliere la regola Incoterms® corretta in un contratto di vendita B2B? Il termine di resa proposto dalla controparte risponde anche alle proprie esigenze specifiche?

La ICC ha predisposto una checklist e due diagrammi di flusso che, attraverso alcune domande chiave, portano venditore da un lato e compratore dall’altro a riflettere sui vari aspetti delle transazioni commerciali e a capire quindi quale resa Incoterms® si applica al loro caso specifico. Il documento, disponibile in inglese e in formato pdf, può essere scaricato qui.






Per comodità, di seguito sono riportati il diagramma di flusso per la scelta dell’Incoterms da parte del venditore:

e il diagramma di flusso per la scelta dell’Incoterms® più idoneo da parte del compratore:

Si consiglia di utilizzare checklist e flowchart assieme al testo ufficiale delle Regole Incoterms® 2020.

La pubblicazione Incoterms® 2020 in italiano/inglese può essere acquistata presso la Cc-Ti al costo di CHF 70.- per i soci / CHF 82.- per i non soci, spese di spedizione escluse. Ordinazioni tramite e-mail a internazionale@cc-ti.ch.

Disclaimer: la panoramica qui sopra fornita è a scopo esclusivamente informativo e non ha presunzione di esaustività e completezza.

Quale futuro per la tracciabilità dei dati?

Negli ultimi mesi, i garanti della privacy europei sembrano aver dichiarato guerra ai sistemi di tracciamento che consentono di monitorare i risultati delle attività digitali. In particolare, a Google Analytics, la piattaforma di analisi che permette di analizzare le visite ai siti web, secondo alcune interpretazioni violerebbe il GDPR (Regolamento Europeo per la Tutela dei Dati personali).

Il Regolamento, è bene ricordarlo, riguarda anche le imprese svizzere perché si concentra sull’utente che naviga il sito. Quindi se un’azienda australiana, svizzera o canadese fa una campagna di web marketing in cui tratta dati di cittadini UE, è soggetta al GDPR quanto un’azienda italiana, francese o tedesca. Le imprese ticinesi sono particolarmente coinvolte, perché la maggioranza di esse (in particolare quelle legate ad accoglienza e turismo) si rivolge anche al pubblico italiano. Ed è proprio l’Italia ad essere tra i maggiori protagonisti di questa vicenda, che rischia di destabilizzare molte attività digitali già in corso e rendere decisamente più complesse quelle a venire.

Ma cosa è successo esattamente? Ecco una breve analisi. Il 9 giugno scorso il garante della Privacy Italiano ha emesso un provvedimento con cui sembra considerare illegale Google Analytics. La pietra dello scandalo è la denuncia contro una nota società che pubblica contenuti editoriali sul web, “rea” di aver raccolto e trasferito i suoi dati a Google LLC “in assenza delle garanzie previste dal capo V del GDPR”. Si tratta del paragrafo che disciplina i trasferimenti di dati verso “Paesi terzi” ovvero al di fuori dello spazio economico europeo: in sintesi, sono ammessi solo se il Paese ricevente garantisce un livello di protezione adeguato a quello europeo. I Paesi considerati conformi al GDPR sono elencati in una lista ufficiale, che include anche la Svizzera. Ma, incredibile a dirsi, gli USA sono considerati “non adeguati”. La patria delle più importanti aziende digitali attive a livello globale, da cui sono partite le maggiori innovazioni, non è più considerata compliant dal 16 luglio 2020, quando, con la sentenza Schrems II, la Corte di Giustizia Europea ha dichiarato invalido l’accordo Privacy Shield che regolamentava il traffico di dati tra Europa e Stati Uniti. L’accordo, in vigore dal 2016, succedeva a Safe Harbour, a sua volta affossato nel 2015 in seguito alla sentenza Schrems I.

Cosa ha portato a una decisione così radicale? Le leggi statunitensi, in primis il Patriot Act, concedono ampia discrezionalità alle agenzie di intelligence, come CIA, NSA o FBI: in caso di sospetta minaccia per la sicurezza nazionale, possono esaminare i dati contenuti nei server di qualunque azienda che abbia sede negli Stati Uniti, anche se appartengono a cittadini stranieri, e senza autorizzazione da parte di un tribunale. Questo, in teoria, significherebbe avere accesso a informazioni molto delicate, come lo stato di salute, l’orientamento sessuale o politico, il credo religioso, ma anche abitudini alimentari, situazione sentimentale, genitorialità, ecc.. L’apprensione di Bruxelles è comprensibile: il Patriot Act è stato duramente contestato anche in patria, e per questo “addolcito” nel corso degli anni, ma senza scardinare i punti più controversi.

Questa situazione ha portato a uno stallo geopolitico che dura da due anni. La soluzione sembra ancora lontana, nonostante l’“accordo di principio” ottimisticamente annunciato la scorsa primavera da Joe Biden e Ursula Von Der Leyen.

In questo contesto, la decisione dei garanti europei sembra voler spingere al raggiungimento di un’intesa. A farne le spese è però l’intera economia digitale, a cominciare proprio dalle Big Tech. Già lo scorso febbraio, Meta (nuovo nome della holding che include Facebook e Instagram) aveva scritto un’accorata lettera alla Sec, l’autorità statunitense di vigilanza per il mercato e la borsa valori, lamentando che in assenza di una nuova regolamentazione per il flusso dei dati tra Europa e Stati Uniti, «non saremo più in grado di offrire alcuni dei nostri prodotti e servizi più importanti, compresi Facebook e Instagram in Europa, fatto che influirebbe materialmente e negativamente sulla nostra attività, sulla nostra condizione finanziaria e sui risultati delle nostre operazioni» (frase riportata da varie fonti stampa tra cui il noto blog di tecnologia Mashable).

Google non è rimasto a guardare. Consapevole che la piattaforma Google Analytics presentava dei limiti tecnici per la compliance al GDPR, ha lavorato al rilascio di una nuova versione, completamente rinnovata e potenziata, pronta per essere compliant: Google Analytics 4. La nuova release, se correttamente configurata, permetterebbe di continuare le attività di tracciamento nel rispetto della normativa. Ma solo se viene raggiunto un accordo politico tra Washington e Bruxelles: se non fosse così, il mero utilizzo di piattaforme e software Made in USA che comportano passaggio di dati a server sul territorio statunitense potrebbe diventare passibile di sanzione. Quindi non solo Google Analytics: il problema si porrebbe anche, a titolo d’esempio, per gli spazi cloud come Google Drive, Dropbox, Microsoft One Drive; per soluzioni di marketing automation come Hubspot; per programmi di messaggistica come Whatsapp; e per tutti i social media, incluso Linkedin!

Un bel problema per chiunque lavori o promuova la sua attività attraverso il Web. Le Big Tech statunitensi hanno conquistato una posizione di mercato pressoché dominante e la loro adozione diventa una specie di scelta obbligata, dal momento che non esistono competitor europei in grado di tenergli testa. Come alternativa a Google Analytics viene spesso citato Matomo, software di tracciamento tedesco che è stato indicato come possibile alternativa anche dal severissimo CNIL, il garante francese. Un ottimo strumento, indubbiamente, ma che non può eguagliare la potenza di fuoco di una suite di strumenti digitali creata da una delle tech companies più potenti del pianeta.

Quindi, cosa fare? La soluzione non è certamente tornare a penna e calamaio. Possiamo invece vedere in questa complessa situazione un’opportunità: se non abbiamo ancora iniziato a rivedere i nostri processi digitali in funzione della nLPD e del GDPR, è arrivato il momento di farlo. Soprattutto se il nostro mercato trascende i confini svizzeri. Si tratta di un cambiamento da non sottovalutare: non si tratta di inserire un banner sul sito ma di rivedere completamente i metodi di raccolta e trattamento dati online e offline. Un percorso in cui è meglio farsi affiancare da un legale specializzato in materia, e in cui tutta l’azienda deve sentirsi pienamente coinvolta. Le decisioni in materia non potranno più essere delegate interamente a terzi (per esempio, le web agency) ma andranno prese intorno ai tavoli aziendali. Anche per questa ragione, la formazione sui temi del digitale deve diventare una priorità: per prendere le decisioni giuste, è indispensabile una conoscenza approfondita della materia. Una conoscenza vista però dalla parte dell’impresa, che trascende i tecnicismi e si concentra maggiormente sugli aspetti strategici, organizzativi e anche legali, oltre che sulle opportunità di mercato.


I corsi sul marketing digitale organizzati dalla Cc-Ti seguono proprio questa prospettiva. Consultate il calendario dei prossimi appuntamenti formativi. In particolare con l’inizio dell’autunno ripartirà un ciclo formativo denominato “Digital marketing dalla teoria alla pratica: percorso formativo di 5 moduli“. Le iscrizioni sono già aperte!

Articolo a cura di Manuela Cuadrado, Account Manager Breva Digital Communication Sagl