Molteplici opportunità

La Scuola Manageriale della Cc-Ti è frequentata da professionisti con formazioni di base diverse fra loro e che rappresentano uno spaccato molto interessante del tessuto economico ticinese, notoriamente molto variegato. Abbiamo intervistato una partecipante dell’ultima edizione del corso “Specialista della gestione PMI”, Ilena Grasso.

Tutti i partecipanti (esponenti di piccole e grandi aziende, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi in particolare) della Scuola manageriale Cc-Ti hanno uno scopo comune, ossia integrare e migliorare le loro competenze, nell’ottica della gestione aziendale e di funzioni dirigenti. Il corso viene erogato seguendo dei contenuti tradizionali, ma applicati tenendo conto dei problemi di attualità.

Le lezioni permettono ai partecipanti di acquisire maggiori competenze che gli consentiranno di assumere nuove responsabilità in azienda, con soddisfazione personale e competenze diverse all’interno dell’ambito in cui operano. Il corso mira così a garantire competenze pragmatiche, strategiche e operative rispondendo al desiderio di acquisire una maggiore efficienza ed efficacia nella gestione aziendale. Il percorso formativo in questione risponde alle direttive del regolamento d’esame federale e è completato da casi pratici.

Nell’intervista a Ilena Grasso vogliamo raccontare il suo percorso ed evidenziare come lo “Specialista della gestione PMI” si adatti a svariati ambiti.


Ilena Grasso

Signora Grasso, il suo percorso professionale è particolare, dopo un AFC quale informatica, è diventata – sempre con un AFC – assistente di farmacia. Ora frequenta il corso Cc-Ti per diventare “Specialista della gestione PMI”. Quali sono i motivi che l’hanno spinta ad iscriversi alla Scuola Manageriale Cc-Ti?

Sostanzialmente terminato l’apprendistato in Informatica ed aver lavorato nell’ambito mi sono resa conto che la professione implicava svolgere mansioni sistematiche e con poca interazione con le persone, salvo confronti mirati per svariati progetti. Da qui sono stata portata ad una riqualifica quale assistente di farmacia, conclusa nel 2017. Per crescita professionale personale, ho optato in primis per la specializzazione di “Assistente aziendale di farmacia”. Tuttavia, il corso non ha avuto luogo in Ticino per svariati anni e una volta riproposto non ha raggiunto il numero minimo di iscrizioni per avviare il corso. Non appena ATAF ha proposto la possibilità di partecipare al corso “Specialista della gestione PMI” ho colto immediatamente l’opportunità. Una volta conosciuto il programma del corso sono stata entusiasta di poter trattare temi che potrebbero aiutare nella gestione di una farmacia.

Dopo 6 mesi di corsi circa, può tracciare un primo bilancio?

Il bilancio è sicuramente positivo, già dopo questi primi 6 mesi, posso affermare di aver applicato alcune nozioni acquisite pur avendo solo concluso due moduli del corso. Un altro aspetto interessante e non convenzionale è la composizione della classe. Formata da studenti di settori lavorativi differenti, ciò impone di trattare diversi casi di studio, permettendo di affrontare le lezioni senza la ridondanza focalizzata esclusivamente sull’ambito farmaceutico; ciò porta ad ampliare le proprie conoscenze culturali generali e stimolanti discussioni di confronto per le singole realtà.

In una farmacia le dinamiche d’interazione sono differenti rispetto ad un’azienda o al “lavoro d’ufficio”. Come applica quanto apprende sui banchi della Scuola Manageriale nel suo contesto lavorativo?

Da quanto appreso ad oggi, non riesco a riscontrare grosse differenze. A tutti gli effetti anche la farmacia è considerata un’azienda; chiaramente spesso e volentieri rispetto a una media impresa è composta da un effettivo minore. Tuttavia si è confrontati con gli stessi temi.
Dal mio punto di vista ritengo che questa formazione può giovare alle farmacie: anche un’assistente di farmacia può acquisire, ad esempio, nozioni commerciali che spesso e volentieri il titolare affida a terzi.
Questo mi sembra l’esempio più lampante ed è interessante sviluppare conoscenze nell’ambito gestionale per diventare una reale risorsa all’interno della farmacia e supportare il titolare.
Spontaneamente oggi mi viene naturale confrontare le nozioni apprese a scuola con il contesto lavorativo, per scorgere eventuali punti di miglioramento.

Consiglierebbe la Scuola Manageriale Cc-Ti ad altri professionisti?

Assolutamente sì. Le aziende contemporanee sono sempre più confrontate con la necessità di una nuova figura all’interno del proprio organico, per rivestire mansioni all’apparenza banali come social media manager o capi risorse umane e allestimenti, che richiedono impegno, creatività e tempo, essenziali al giorno d’oggi.

Per maggiori informazioni su questo percorso formativo, visitate il nostro sito web.

Certificato medico online

Con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, molte aree sono in continua evoluzione. Il settore medico, e di conseguenza i certificati medici, non fanno eccezione. È diventato possibile richiedere un certificato medico online compilando un modulo sulla piattaforma, tramite applicazioni di videoconferenza, o anche semplicemente telefonando.

La particolarità della telemedicina è che il medico non incontra fisicamente il suo paziente, il che può porre un certo numero di problemi, sia etici che legali.

Telemedicina e certificato medico online

La telemedicina gode di un ampio sostegno da parte degli assicuratori nella misura in cui può ridurre il costo di una consulenza fino a tre volte. Se questa pratica ha i suoi vantaggi, presenta anche svantaggi, a cominciare dal fatto che il medico non può esaminare il paziente personalmente, condizione importante, anzi indispensabile per stabilire una diagnosi. Pertanto, il problema più grande con tali certificati è la loro affidabilità.

Per analogia con le norme applicabili alle consultazioni telefoniche, alcuni datori di lavoro considerano ammissibile un certificato medico online solo:

  • se è rilasciato dal medico curante del collaboratore;
  • se il paziente ha ripetutamente bisogno della stessa cura.

Il certificato medico è invece molto più difficile da accettare se è rilasciato da un medico che non conosce il paziente (come in linea di principio è il caso dei certificati online) o che il paziente non consulta da molto tempo.

La dottrina ritiene che tali certificati medici, rilasciati anche per un breve periodo, debbano ritenersi nulli e quindi privi di valore.

Sulla piattaforma soignez-moi.ch, ad esempio, il paziente risponde a un questionario online, poi viene richiamato da un medico che determina con lui la diagnosi e gli rilascia una ricetta per un importo di CHF 59.-.
Attualmente, questo tipo di piattaforma viene utilizzata principalmente per ottenere una prescrizione. Il rilascio di un certificato medico di congedo per malattia rimane l’eccezione ed è ancora molto restrittivo.

Un certificato medico è accessibile su Soignez-moi.ch solo tramite la piattaforma. Il paziente deve autenticarsi ed eseguire una doppia autenticazione oltre ad un login con password per potervi accedere (identica all’e-banking). Secondo le nostre informazioni, questa piattaforma è attualmente l’unica in Svizzera ad essere certificata OCPD (rispettando quindi l’ordinanza sulla protezione dei dati) nonché GoodPriv@cy, che garantisce una certa sicurezza per quanto riguarda i documenti emessi.
Soignez-moi.ch non comunica deliberatamente in modo proattivo la possibilità di sospendere la propria occupazione professionale. Non ci sono nemmeno domande sull’attività professionale. Al fine di limitare gli abusi, Soignez-moi.ch afferma, da un lato, di essere restrittivo per quanto riguarda il rilascio di certificati medici e dall’altro di rilasciarne in linea di principio solo uno all’anno e solo per interruzioni del lavoro brevi (fino a tre o eccezionalmente cinque giorni); si consiglia ai pazienti che ritengono di necessitare di una pausa più lunga di consultare il proprio medico.
Soignez-moi.ch prevede che ogni documento trasmesso sulla piattaforma venga firmato elettronicamente utilizzando un’identità SwissSign e che il documento venga crittografato. Queste funzionalità dovrebbero impedire la modifica digitale di tale documento e consentire ai datori di lavoro di confermare la veridicità del certificato.

Il datore di lavoro ha la possibilità di chiedere a soignez-moi@hin.ch se un documento è autentico. L’indirizzo e-mail è sicuro e crittografato.
Gli ospedali della Svizzera romanda utilizzano già Soignez-moi.ch per le loro semplici emergenze.

Medgate recita:

Certificato d’inabilità lavorativa dopo una teleconsultazione
Estratto delle linee guida di Medgate

• Il medico di Medgate può certificare solo fatti che ha valutato in maniera scrupolosa e competente e che reputa veri.

• Si certifica un’inabilità lavorativa del 100%. Un’inabilità lavorativa parziale non è valutabile al telefono o via video.

• Medgate rilascia un certificato semplice d’inabilità lavorativa, usando il formulario edito dalla Comunità d’interessi svizzera medicina assicurativa (Swiss Insurance Medicine).

• Se il paziente sottostà ad un rapporto di lavoro impiegatizio, tale rapporto di lavoro deve essere non disdetto.

Certificato medico online nell’ambito dei rapporti di lavoro

Certo, la telemedicina è una buona alternativa al tradizionale consulto con il medico curante, che risulterebbe più costoso. Tuttavia, nell’ambito dei rapporti di lavoro, un certificato medico rilasciato al lavoratore tramite telemedicina presenta un rischio concreto di essere impugnato dal datore di lavoro, il quale a sua volta chiederà una visita medica da parte del suo medico di fiducia, che potrà, alla fine, essere controproducente e portare conflitti.
Si segnala che durante l’emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus, la FMH ha ritenuto eccezionalmente accettabile il rilascio di un certificato medico previo consulto telefonico purché espressamente menzionato nel suddetto certificato. Ciò aveva lo scopo di evitare che i pazienti si recassero personalmente dal medico solo per ottenere un certificato medico, in un contesto in cui i medici erano particolarmente sollecitati e i contagi da tenere sotto strettissimo controllo.

Tuttavia, questa dichiarazione della FMH non vincola i datori di lavoro, che rimangono liberi di rifiutare tali certificati.

Consigli per i datori di lavoro

A causa dell’aumentato rischio di abuso, allo stato attuale si consiglia al datore di lavoro di inserire nel contratto di lavoro una clausola secondo la quale il certificato medico rilasciato da un medico che non ha visitato il paziente faccia a faccia non viene ritenuto valido.
Ciò può essere specificato, ad esempio, per:

  • certificati medici rilasciati a seguito di una telefonata;
  • certificati medici rilasciati sulla base di informazioni trasmesse per corrispondenza;
  • certificati medici rilasciati dopo una semplice consultazione on-line.

NOTA BENE: in questo articolo vengono citate solo due delle piattaforme presenti in Svizzera e prese quindi ad esempio, non per scelta interna, ma per struttura d’articolo e fonte dello stesso.
Fonte: WEKA, 21/03/2022 – Pierre Matile
Vedi anche:
https://www.swisscom.ch/it/magazine/digitalizzazione/ecco-perche-la-telemedicina-e-migliore-di-dottor-google/
e
https://www.soignez-moi.ch/

Ukraine Recovery Conference (URC) 2022: informazioni utili

L’Ukraine Recovery Conference (URC) si terrà a Lugano il 4 e 5 luglio 2022

La pagina dedicata sul sito dell’Autorità cantonale riassume le informazioni più rilevanti relative alle ripercussioni legate all’organizzazione della conferenza e verrà aggiornata costantemente.


LINK UTILI
PAGINA SUL SITO DEL CANTONE – URC 2022 LUGANO
“Ukraine Recovery Conference: una sfida per la sicurezza” – COMUNICATO STAMPA DELLA POLIZIA CANTONALE DEL 28.06.2022
PAGINA SUL SITO DELLA CITTÀ DI LUGANO – URC 2022
DISPOSIZIONI DELLA CITTÀ DI LUGANO SU URC2022
ZONE DI SICUREZZA – FILE DEL 20.6.2022
VIABILITÀ – FILE DEL 20.6.2022

Le lacune di sicurezza della supply chain

Le catene di approvvigionamento sono reti complicate e la loro digitalizzazione le rende vulnerabili agli attacchi: una maggiore trasparenza sulle merci da parte dei produttori e misure di controllo più severe possono aiutare.

Se in taluni ambiti (ad es. mobilità, alimentare, farmaceutico, ecc.) l’integrità e la sicurezza dei prodotti fisici vengono verificate prima della loro commercializzazione, la qualità e la sicurezza di molti prodotti digitali non sono invece garantite. La sicurezza delle supply chain per i prodotti digitali è spesso insufficiente e a causa della mancanza di informazioni trasparenti e fondate, spesso il management di un’azienda non è in grado di prendere decisioni sostenibili. È quanto si evince da un rapporto del 2019 di ICTswitzerland, l’organizzazione mantello svizzera per l’economia digitale, sulla sicurezza della supply chain.

A fine 2021, l’azienda di servizi di sicurezza cibernetica BlueVoyant ha condotto un sondaggio su larga scala sulla sicurezza informatica, coinvolgendo 1’200 dirigenti di livello C di aziende con più di mille dipendenti e sei Paesi, tra cui Germania, Austria e Svizzera. I risultati di questi tre Paesi mostrano attacchi in aumento, scarsa visibilità dei fornitori e mancanza di informazioni sulla cibersicurezza di terzi. Nell’ultimo anno, il 99% delle aziende intervistate con sede in questi Paesi è stato vittima di un attacco diretto dovuto alla vulnerabilità di terzi a livello di sicurezza e addirittura il 100% ha subito indirettamente le conseguenze negative di una violazione della sicurezza nella propria rete di fornitori. Una situazione allarmante.

Pandemia e guerra in Ucraina hanno dimostrato chiaramente che le catene di approvvigionamento internazionali devono diventare più trasparenti, cosicché le aziende possano reagire molto presto a ostacoli e interruzioni. Ciò significa che le catene di approvvigionamento devono essere maggiormente digitalizzate.

Ma più aumenta la digitalizzazione, più aumentano le opportunità di attacchi digitali da parte degli hacker. Ciò rende necessario adottare maggiori misure di protezione digitale, come ad esempio programmi antivirus e malware specifici. Questi però da soli non sono sufficienti.

Piccole aziende con grandi lacune nella sicurezza

Il problema fondamentale non è la digitalizzazione in sé, bensì la complessità delle catene di approvvigionamento: il numero di fornitori per ogni singola azienda è infatti cresciuto a causa della pandemia e della guerra in Ucraina, rendendo la filiera sempre più difficile da gestire e da controllare. Il rischio maggiore è rappresentato dalle imprese di piccole dimensioni, ben lontane dal disporre di misure di sicurezza solide, come è invece il caso delle aziende più grandi. La verifica e la valutazione di una catena di approvvigionamento a distanza di settimane o mesi non è sufficiente per tenere testa ad aggressori agili e persistenti. Il monitoraggio continuo e la risposta rapida alle nuove vulnerabilità critiche scoperte sono essenziali per una gestione efficace del rischio informatico. Ciò include l’automazione delle analisi, l’estensione delle valutazioni di sicurezza da alcuni fornitori chiave a tutti i fornitori, l’identificazione di aree di particolare vulnerabilità e l’informazione ai propri fornitori in merito ai rischi emergenti e alle misure pratiche da adottare per correggere i problemi, conclude il rapporto di BlueVoyant.

Lavatrici e tostapane intelligenti in balia degli hacker

Quali sono quindi i fattori di rischio e le vulnerabilità tipiche? In sostanza, nell’attacco ad una supply chain, hacker e ricattatori possono manipolare i prodotti digitali o i loro componenti anche prima della loro consegna all’acquirente. Ciò avviene, ad esempio, durante lo sviluppo dei chip, la produzione o l’integrazione di altri componenti digitali e persino durante il trasporto al cliente. Gli hacker ottengono l’accesso principalmente tramite accessi non documentati, mediante le cosiddette backdoor (letteralmente “porte di servizio” che consentono di accedere da remoto ad un sistema e di controllarlo, superando le procedure di sicurezza attivate) o, se si tratta di prodotti collegati in rete, tramite malfunzionamenti impiantati e che possono essere attivati da aggiornamenti successivi alla consegna.

Questa infiltrazione diventa pericolosa se si tratta di prodotti distribuiti su larga scala, ovvero di beni di consumo digitali come computer, sensori, IoT e sistemi di controllo domestico. Lo stesso vale per televisori, lavatrici e tostapane intelligenti.

Tutti questi prodotti presentano un’interfaccia tra software e hardware e possono essere dotati di funzioni nascoste che vengono attivate a distanza quando necessario. I prodotti digitali senza dispositivi di input (mouse, schermo, ecc.) spesso non sembrano computer collegati in rete… eppure lo sono e non sono sufficientemente protetti.

Il dipendente: un rischio rilevante

In molte aziende, anche i dipendenti rappresentano un rischio per la sicurezza: è il caso quando aprono gli allegati ai messaggi di posta elettronica ricevuti da sconosciuti oppure quando effettuano grandi trasferimenti di denaro su istruzioni ricevute dai loro superiori via e-mail. Infine, possono anche divulgare inconsapevolmente informazioni aziendali sensibili chiacchierando durante il pranzo. In questo caso può essere d’aiuto una formazione specifica su argomenti rilevanti per la sicurezza aziendale e la presentazione di scenari concreti.

Ci sono poi dipendenti che spiano o manipolano deliberatamente. Un controllo del background dei dipendenti è utile per prevenire questo problema, soprattutto nel caso di collaboratori destinati ad occupare posizioni sensibili. È inoltre possibile limitare l’accesso ai dati aziendali. Infine, strumenti interni di whistleblowing dovrebbero essere attivati per consentire la segnalazione anonima di comportamenti sospetti.

Occorre prestare sufficiente attenzione anche alla cosiddetta sicurezza mobile: la verifica delle e-mail tramite cellulare, il controllo dei livelli delle scorte dal proprio tablet, l’inoltro della scansione di un carico tramite WLAN, ecc. mettono infatti in moto flussi di dati rilevanti. Tra le misure di prevenzione e protezione da adottare vi è sicuramente l’adozione di programmi di sicurezza per i dispositivi digitali mobili o ancora l’astensione dall’utilizzo di hotspot.

Anche la protezione dei dati nella supply chain è importante: lo standard minimo dovrebbe includere la crittografia di tutti i dati e delle e-mail. Si sta inoltre diffondendo lo standard di identificazione di tutti gli utenti dei dispositivi tramite caratteristiche biometriche, come le impronte digitali o la voce. Un’altra precauzione di sicurezza interna è, ad esempio, il monitoraggio regolare delle penetrazioni del firewall dall’esterno. A ciò si aggiunge la simulazione di scenari di attacco concreti e la progettazione di contromisure adeguate.

I produttori devono assumersi responsabilità

Una valutazione continua dei rischi deve essere effettuata anche con i partner esterni della catena di approvvigionamento. È necessario proteggere l’intera supply chain e i singoli fornitori, i gestori di servizi e tutti i partner di comunicazione e, idealmente, poter verificare in qualsiasi momento chi è attivo nella rete della catena di fornitura, cosa sta facendo e se l’azione è stata autorizzata.

È inoltre importante responsabilizzare i produttori di dispositivi e componenti digitali: dovrebbero documentare tutti gli account predefiniti o standard, le password, i certificati e le chiavi integrati nel prodotto e renderli accessibili. Sarebbe inoltre auspicabile che il cliente fosse in grado di effettuare il cosiddetto “reverse engineering” per verificare l’integrità e la sicurezza dell’hardware e del software di un prodotto senza violare automaticamente i diritti di proprietà intellettuale.

Protezione contro i rischi cibernetici: anche a livello nazionale

La sicurezza cibernetica assume sempre più un ruolo di prim’ordine, anche sul piano nazionale: lo conferma il recente annuncio da parte del Consiglio federale di voler trasformare il Centro nazionale per cibersicurezza (NCSC) in un ufficio federale, incaricando a tale scopo il Dipartimento federale delle finanze (DFF) di elaborare proposte relative alla sua struttura e al suo posizionamento all’interno di un dipartimento entro la fine del 2022.

Questa misura altro non fa che sottolineare ulteriormente la necessità di garantire la sicurezza della catena di approvvigionamento: infatti, la sicurezza cibernetica non deve più essere percepita come un compito isolato, bensì come un processo permanente all’interno della filiera.

Origine non preferenziale: i criteri

Per fare chiarezza, anche alla luce delle numerose richieste, il Servizio Legalizzazioni ha creato una scheda informativa sull’origine non preferenziale, con particolare riferimento ai criteri di origine. Nel documento vengono illustrate nel dettaglio le particolarità di ogni singolo criterio e il loro utilizzo.

SCARICA LA SCHEDA INFORMATIVA

Regno Unito: introdotta la plastic packaging tax

Dal 1° aprile 2022 nel Regno Unito vige una nuova tassa sugli imballaggi in plastica: essa è a carico delle aziende che producono o importano, nell’arco di 12 mesi, più di 10 tonnellate di imballaggi che contengono meno del 30% di plastica riciclata.

Per incentivare l’economia circolare e l’utilizzo di plastica riciclata nel settore del packaging, il 1° aprile scorso il governo inglese ha introdotto la plastic packaging tax (PPT), una tassa sugli imballaggi in plastica. La tassa consiste in un’aliquota di 200 sterline per tonnellata ed è applicata a chi produce o importa nel Regno Unito imballaggi in plastica che contengono meno del 30% di materiale plastico riciclato per un volume di oltre 10 tonnellate nell’arco di 12 mesi (calcolate dal momento della prima produzione o importazione dell’imballaggio).

I seguenti imballaggi sono esenti dalla tassa, indipendentemente dalla quantità di plastica riciclata in essi contenuta:

  • imballaggi in plastica fabbricati o importati per essere utilizzati nel confezionamento primario di un medicinale
  • imballaggi per il trasporto utilizzati su merci importate
  • imballaggi utilizzati come provviste per aerei, navi e ferrovie
  • componenti che hanno uno scopo ed utilizzo permanentemente diverso da quello di imballaggio.

Assoggettamento, registrazione, tassazione

Nella pratica, bisogna dapprima appurare se gli imballaggi prodotti o importati sottostanno effettivamente alla PPT ed effettuare in seguito una verifica dei quantitativi (produzione o importazione superiore a 10 tonnellate all’anno di imballaggi in plastica). Se questi sono superati o si prevede di superarli nei successivi 30 giorni, è necessario registrarsi per la PPT. Solo i produttori o importatori di imballaggi che contengono meno del 30% di plastica riciclata sottostanno tuttavia al pagamento dell’imposta. L’accertamento dell’imposta dovuta è effettuato in base a dichiarazioni trimestrali.

Sul suo sito web, il governo britannico fornisce indicazioni utili sui requisiti per l’applicazione della PPT, come ad es. quali imballaggi sottostanno alla PPT, la necessità effettiva di registrarsi, come calcolare il peso dell’imballaggio, quali documenti presentare, ecc: Plastic Packaging Tax – GOV.UK (www.gov.uk)

Per aiutare produttori e importatori a comprendere se i loro imballaggi sottostanno alla PPT e se essi devono effettuare o meno la registrazione alla tassa sulla plastica, l’erario britannico ha preparato due brevi guide in pdf sugli step da seguire:

In che misura la PPT tocca le aziende esportatrici svizzere?
La PPT è rivolta sia ai produttori inglesi sia agli importatori. L’azienda esportatrice svizzera è a rischio assoggettamento alla tassa dal momento in cui agisce in qualità di importatore, ad es. con la stipula di una clausola Incoterms DDP.

Vietnam: vivo interesse da parte delle aziende ticinesi

Lo scorso 21 giugno 2022, in concomitanza con la prima visita ufficiale nella città di Lugano dell’Ambasciatore del Vietnam in Svizzera Phung The Long e su iniziativa del Gruppo Fidinam, della stessa Città di Lugano e della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino (Cc-Ti), si è tenuto un evento volto a presentare alle PMI ticinesi i vantaggi e le opportunità che il “Paese dei draghi” offre agli investitori stranieri.

Dopo i saluti iniziali da parte degli organizzatori e un breve intervento dell’Ambasciatore Phung The Long, si è entrati nel vivo dell’evento con l’intervento di Phuong Thao Bui, Managing Director di Fidinam (Vietnam) Ltd, che ha innanzitutto illustrato come la sua posizione strategica nel cuore del sud-est asiatico, la scena politica stabile, l’ampia forza lavoro dai costi competitivi e l’apertura agli investimenti diretti (IDE) rendano il Vietnam una promettente destinazione in cui investire o avviare un’attività. Esperta di diritto fiscale e societario, l’avvocatessa Bui ha in seguito presentato gli incentivi offerti agli investitori esteri, i settori di interesse, il funzionamento del sistema di tassazione, il processo di costituzione di un’azienda e i costi del lavoro.

A testimoniare l’interesse nei confronti del “Paese dei draghi” la presenza in sala di una trentina di imprenditori e dirigenti d’impresa ticinesi.

La Nazione sta infatti emergendo quale valida alternativa per lo spostamento delle catene di approvvigionamento globale anche grazie alla sua ampia rete di accordi di libero scambio (ALS), tra cui accordi di nuova generazione quali l’Accordo globale e progressivo per il partenariato transpacifico (CPTPP), l’ALS con l’Unione europea, l’ALS con il Regno Unito e, più di recente, l’Accordo di partenariato economico globale regionale (RCEP): tutti accordi, questi, che aprono a chi è presente in Vietnam l’accesso a importanti mercati di sbocco e di approvvigionamento. La Svizzera sta attualmente negoziando un ALS con il Vietnam nel quadro dell’Associazione europea di libero scambio (AELS).

Gli imprenditori interessati ad approfondire l’argomento posso trovare maggiori informazioni su come avviare una presenza in Vietnam sul sito web di Fidinam Group, a questa pagina, dove è anche possibile scaricare la relativa Business Guide.

Adeguamento tariffe Servizio legalizzazioni

Modifica della struttura tariffaria dei servizi della Cc-Ti inerenti ai documenti d’esportazione e delle direttive amministrative concernenti l’Ordinanza sull’attestazione non preferenziale delle merci a partire dal 1° luglio 2022.

Come ben sapete, per conto del Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca (DEFR), la nostra Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino (Cc-Ti), rilascia certificazioni di origine non preferenziale soggette a tassa.

Su richiesta della Segreteria di Stato dell’economia (SECO) e della Sorveglianza dei prezzi (SPr), la struttura tariffaria è stata riveduta, armonizzata a livello svizzero e semplificata. Le nuove tariffe della Cc-Ti valide a partire dal 1° luglio 2022 possono essere scaricate a fondo pagina.

Vi segnaliamo inoltre l’entrata in vigore dei seguenti provvedimenti previsti dalle direttive amministrative:

  • Dichiarazione a lungo termine per l’origine non preferenziale ai sensi degli artt. 59-61 del Codice doganale dell’Unione (CDU)
    A partire dal 1° luglio 2022 saranno accettate dichiarazioni a lungo termine provenienti non solo dalla Germania ma da tutta l’UE, purché certificate da una Camera di commercio estera competente o da un’autorità analoga.
  • Aumento a CHF 2’000 dell’obbligo di presentazione della prova dell’origine per le merci (criterio di origine G):
    A partire dal 1° luglio 2022, l’attuale prassi di rinunciare alle prove dell’origine per le merci di valore non superiore a CHF 1’000 per articolo e per linea tariffale sarà modificata: essa passerà a CHF 2’000 per articolo e per linea tariffale. Il richiedente è tenuto a conservare le prove dell’origine valide e a presentarle su richiesta.

Il Servizio legalizzazioni della Cc-Ti resta a disposizione per eventuali chiarimenti (tel. 091 911 51 23/29, e-mail internazionale@cc-ti.ch).

Scarica le nuove tariffe valide a partire dal 01.07.2022

Risparmi miliardari grazie al libero scambio

Nel 2020, grazie agli accordi di libero scambio le aziende svizzere hanno risparmiato circa 2.3 miliardi di franchi svizzeri in dazi doganali sulle merci importate. È quanto si evince da un rapporto pubblicato congiuntamente dalla SECO e dall’AELS.

La Segreteria di Stato dell’economia (SECO) e l’Associazione europea di libero scambio (AELS) hanno pubblicato un’analisi dettagliata dell’impatto degli accordi di libero scambio (ALS) attualmente in vigore. Essa analizza i risparmi tariffari di cui hanno beneficiato le aziende svizzere grazie a tali accordi.

Secondo il rapporto, nel 2020 le aziende svizzere hanno realizzato risparmi sulle importazioni in Svizzera per un totale di 2.27 miliardi di franchi, una somma corrispondente all’82.9% dei risparmi ipoteticamente possibili. Il tasso di utilizzo degli ALS è stato del 68.1%. I maggiori risparmi sono stati realizzati nei settori della plastica (227 milioni di franchi), delle automobili (142 milioni) e dei macchinari (73 milioni).

Nella sola Unione europea (UE), principale partner commerciale del nostro Paese, i risparmi si sono attestati a 1.96 miliardi di franchi, pari all’89.4% dei risparmi possibili. Anche in questo caso i principali beneficiari sono stati i settori della plastica (207 milioni di franchi), delle automobili (118 milioni) e dei macchinari (62 milioni).

Si ricorda che lo scopo primario degli ALS è essenzialmente di facilitare gli scambi tra due o più Paesi riducendo o eliminando gli ostacoli migliorando altresì la competitività delle aziende. Anche se il contenuto degli ALS si è evoluto negli anni, l’abbattimento dei dazi doganali resta un elemento centrale. I Paesi partner di un ALS si concedono reciprocamente queste agevolazioni (e non le accordano ad altri Paesi) ed è per questo motivo che ogni accordo è circoscritto ai prodotti originari dei Paesi partner dello stesso, per i quali definisce le regole d’origine specifiche da rispettare. Solo se queste regole sono soddisfatte, e se le merci sono scortate da una prova dell’origine valida, l’esenzione o l’agevolazione in materia di dazi viene concessa. In ambito doganale si parla di “preferenze tariffali” e dunque di “origine preferenziale”. Nella fattispecie, se un’azienda svizzera intende beneficiare di un’agevolazione nel Paese di destinazione, deve comprovare l’origine svizzera della propria merce. Per maggiori ragguagli sul tema si rinvia all’articolo del 17 marzo 2022 “L’origine non è sempre origine”.

I risparmi di cui sopra sono stati resi possibili grazie alla rete molto sviluppata di ALS che conta, oltre alla Convenzione AELS (Associazione europea di libero scambio) e all’ALS con l’UE, ben 33 accordi di libero scambio con 43 Paesi partner.


Fonte: Comunicato stampa della SECO del 15.06.2022 – Monitoraggio degli ALS: risparmi tariffari miliardari grazie agli accordi di libero scambio (admin.ch)

Digitalizzare per arginare la recessione a collo di bottiglia

La guerra in Ucraina e la pandemia hanno compromesso massicciamente le supply chain e la situazione si è acutizzata con le recenti misure di contenimento del virus introdotte dalla Cina. Una cosa può aiutare: la digitalizzazione.

La “trasformazione digitale” è da anni un grande tema dell’economia. Per rimanere competitivi è necessario focalizzare gli investimenti digitali in risposta alle esigenze in continua evoluzione dei clienti. Molte aziende in tutto il mondo hanno già avviato la digitalizzazione della loro struttura, ma la pandemia ha evidenziato chiaramente la necessità di ulteriori sviluppi.

Come se ciò non bastasse, la guerra in Ucraina sta causando nuove massicce interruzioni delle supply chain internazionali. Le aziende sono quindi chiamate a prendere provvedimenti per disinnescare la situazione. Un mezzo efficace è sicuramente quello di individuare partnership commerciali alternative, cercando nuovi fornitori, mercati o clienti alternativi così come nuovi fornitori di servizi di trasporto e logistica.

Trasparenza della supply chain

Una vera soluzione a lungo termine, tuttavia, si trova soprattutto nella trasparenza: quanto più un’azienda è a conoscenza della disponibilità, delle condizioni e della posizione delle merci ordinate, tanto più tempestivamente può reagire a nuovi rischi e ad eventi imprevisti.

Il vero mezzo per aumentare realmente la trasparenza della catena di approvvigionamento è la digitalizzazione, che consente la trasmissione in tempo reale e la registrazione automatica delle informazioni relative allo stato delle consegne. Gli algoritmi predittivi supportano la pianificazione e il controllo delle catene di approvvigionamento o, nel caso di eventuali deviazioni dai propri piani, l’identificazione e l’implementazione di alternative.

Pertanto, le tecnologie più familiari di altri settori devono essere applicate anche alla logistica: parliamo di big data e predictive analytics nonché di algoritmi per il machine learning e l’intelligenza artificiale al fine di costruire modelli predittivi capaci di ottimizzare produzione e distribuzione o di prevedere disservizi lungo la filiera (con la possibilità di intervenire tempestivamente per prevenirli), di realtà virtuale e atavar digitali non solo per la simulazione di crisi ma anche quale strumento per la formazione o per abilitare interventi di manutenzione da remoto, di robot da magazzino e di sistemi automatizzati per i processi di stoccaggio, così come di interfacce di programmazione di applicazioni (API) per la condivisione delle informazioni raccolte con i vari partner della filiera. In questo contesto, e a garanzia della sicurezza, dell’inalterabilità e dell’univocità delle informazioni, ad acquisire sempre maggiore strategicità è la blockchain, che permette altresì di tracciare la trasformazione e il trasporto di materie prime, lavorati e prodotti finiti lungo tutta la supply chain.

Per consentire questo tipo di collegamento in rete, la tecnologia dei sensori è di fondamentale importanza. Solo grazie ad essa è possibile registrare e trasmettere la posizione, lo stato, i movimenti e persino il rumore delle merci: questa è la base per l’applicazione dell’Internet delle cose (IoT). Per essere efficiente, l’elaborazione di questa immensa quantità di dati dei sensori deve essere effettuata dal cloud computing.

Il 5G è di grande importanza

Lo sviluppo verso catene di fornitura digitalizzate può essere notevolmente accelerato dall’introduzione del 5G. Questa potente rete mobile, che esiste dal 2019, consente una trasmissione dei dati significativamente più veloce. Ciò è di particolare importanza per l’IoT, perché i dati possono circolare più rapidamente non solo all’interno dell’azienda, ma anche e soprattutto all’interno dell’intera catena di approvvigionamento.

Secondo il Diplomatic Council, un think tank delle Nazioni Unite, il successo della digitalizzazione della supply chain di Tesla potrebbe servire da modello: il produttore di auto elettriche ha infatti reso il suo software così flessibile di fronte alla crisi globale dei chip che le auto con chip diversi e altri componenti più grandi possono essere prodotte ad hoc a seconda della disponibilità del materiale.

Allo stesso tempo, il think tank delle Nazioni Unite avverte che le carenze globali di approvvigionamento e di materiali continueranno ad aumentare. È probabile che si verifichi una carenza dei prodotti più semplici, come alcune viti o parti in plastica, con conseguenti difficoltà per ampi settori dell’ingegneria meccanica e dell’impiantistica. Senza una digitalizzazione coerente, queste sfide non potranno essere superate.

In sostanza, con la guerra in Ucraina, le sanzioni internazionali nei confronti della Russia e la politica “zero Covid” della Cina, l’economia mondiale si trova ora in una sorta di recessione a collo di bottiglia.

Blocchi in Cina, IA e realtà virtuale

La Cina è un importante fornitore di chip, alluminio, prodotti chimici e materie prime come le terre rare e dispone del principale snodo planetario delle navi portacontainer (Shanghai). La sua politica di isolamento e di chiusure regionali hanno esacerbato le strozzature esistenti, congestionato il già trafficato scalo marittimo e in sostanza scatenato una nuova ondata di caos sulle catene di approvvigionamento a livello globale. Se la situazione dovesse persistere e si dovessero verificare ulteriori blocchi regionali, importanti supply chain internazionali potrebbero essere paralizzate.

È proprio in questo contesto che possono entrare in gioco le tecnologie dell’intelligenza artificiale e della realtà virtuale: grazie all’analisi dei big data corrispondenti, è possibile anticipare le tendenze e simulare possibili scenari non solo su come si svilupperà la crisi, ma anche allo scopo di prevedere la domanda e di conseguenza adeguare l’allocazione degli asset. Così facendo, le aziende avranno a disposizione piani d’azione alternativi e saranno in grado di ottimizzare i vari processi che alimentano la filiera.