Il volto dell’albergheria ticinese

Lorenzo Pianezzi, Presidente di HotellerieSuisse e Membro UP Cc-Ti

Lorenzo Pianezzi è il volto dell’albergheria ticinese. La vocazione alla cultura dell’ospitalità Pianezzi l’ha scoperta sin da bambino, a 10 anni appena. Da allora, dopo aver acquisito una solida formazione professionale, ha maturato un’intensa carriera nella conduzione di noti hotel, che lo ha portato ai vertici cantonali e nazionali del settore turistico-alberghiero. È presidente di HotellerieSuisse Ticino, siede nell’Ufficio Presidenziale della Cc-Ti, attivo in numerose Associazioni ha anche fondato la società di gestione e consulenza per hotel “Horizon Collection”.

Da Consigliere comunale a Lugano, gruppo Centro/Ppd, si è profilato nel suo impegno per una Città con un respiro sempre più internazionale e per lo sviluppo turistico della regione. Lo stesso impegno che, con le elezioni del prossimo aprile, vuole portare in Gran Consiglio per dare anche più voce ad una componente chiave di quell’industria del turismo che rappresenta il 9,6% del Pil cantonale  e un valore aggiunto lordo di 2,1 miliardi di franchi. Con il presidente di HotellerieSuisse Ticino facciamo il punto su problemi e prospettive del settore.

L’economia sta affrontando una difficile congiuntura. Pandemia, caro energia e inflazione come hanno inciso sul comparto alberghiero? Quali effetti sul lungo periodo?

“Gli eventi degli ultimi tre anni hanno messo a dura prova tutto il settore dell’ospitalità. I rincari innescati dai costi dell’energia hanno causato e stanno causando grossi problemi agli Albergatori. Noi cerchiamo di indirizzare le nostre strutture verso tutte quelle condizioni e innovazioni che permettono di essere “a jour” con gli impianti energetici e di sensibilizzare collaboratori e clienti su un uso coscienzioso degli apparecchi che consumano energia. Essendo gli aumenti trasversali e toccando pure le materie prime,  gli effetti che possiamo attenderci in futuro saranno dei conseguenti rincari nei costi dei servizi che abitualmente eroghiamo nelle strutture ricettive”.

L’andamento dei pernottamenti si conferma positivo in primavera e in estate, tutt’altro discorso per l’inverno. Da anni si parla di una destagionalizzazione che stenta però a decollare. Perché?

“La destagionalizzazione, a livello teorico, trova grande condivisione tra i diversi attori del turismo, ma se dovessimo analizzare l’investimento della promozione in termini finanziari, vedremo probabilmente un grande gap tra gli investimenti per attrarre turismo in primavera e in estate, rispetto a quelli  per l’autunno-inverno.  Ci sono ancora regioni che non credono nella possibilità di sviluppare il turismo invernale. Per turismo invernale non intendo solo la crescita di destinazioni con impianti o sport invernali che, viste le temperature miti, a loro volta lavorano su progetti per essere anche esse attrattive 12 mesi l’anno; intendo invece lo sviluppo di una promozione atta ad incentivare il turismo da novembre a marzo. Vi sono, infatti, regioni dove in questi mesi sembra fermarsi quasi tutto… ad esempio, sul Verbano la navigazione è praticamente dismessa in inverno, diversi negozi e altri possibili attrattori chiudono in attesa del ritorno del turista, che per un’abitudine, in realtà ormai desueta per tanti ospiti, si fa coincidere col fine settimana pasquale”.

Che fare allora?

“Le precedenti generazioni di albergatori hanno sempre raggiunto risultati soddisfacenti lavorando prevalentemente da Pasqua a fine ottobre, per il resto dell’anno potevano dedicarsi alle necessarie ristrutturazioni o a prolungati periodi di riposo. Queste stesse generazioni hanno oggi più figli con cui dividere i risultati e, guardando al futuro, questi figli avranno a loro volta dei discendenti con i quali dovranno dividere i risultati. Quando questi risultati non soddisferanno più le diverse generazioni, divenute proprietarie della struttura ricettiva familiare, bisognerà decidere che investimento fare… In passato abbiamo visto strutture di questo tipo vendute e/o trasformate in appartamenti, col vantaggio di abbattere i costi di gestione. Se fossimo, invece, più lungimiranti, se vogliamo che queste strutture siano redditizie per più generazioni, ecco che abbiamo a portata di mano una stagione che turisticamente ancora non sfruttiamo appieno: l’inverno. Se desideriamo aumentare i pernottamenti, la stagione con un vero potenziale di crescita è l’autunno-inverno, d’estate non si può fare di più”.

Anche HotellerieSuisse lamenta la mancanza di personale, com’è la situazione in Ticino?

“La situazione è decisamente peggiore nel resto della Svizzera. Ciò non significa abbassare la guardia, se la tendenza è la stessa, prima o poi, pure noi avremo una carenza di personale. Negli altri Cantoni ci sono strutture che non possono lavorare a pieno regime, dove parte dell’ospitalità o della ristorazione sono chiuse al pubblico per l’impossibilità di garantire il servizio a tutte le camere, di preparare e servire le pietanze per tutti i tavoli a causa della mancanza di personale. In Ticino, attualmente, c’ è una ancora leggera difficoltà nel reperire parte della manodopera stagionale indispensabile per la stagione che va da Pasqua a fine ottobre. E qui si evidenzia un altro vantaggio della destagionalizzazione: evitando picchi di ospiti concentrati in determinati mesi dell’anno, rendendo quindi l’andamento turistico interessante anche in autunno e inverno, vi sarebbe una maggiore necessità di collaboratrici e collaboratori per un periodo più prolungato rispetto alla canonica stagionalità”.

Si potrebbe fare di più a livello di formazione per promuovere le professioni alberghiere tra i giovani?

“Le professioni dell’albergheria negli ultimi 30 anni sono state spesso monopolio di stranieri che si sono trasferiti, con successi professionali e d’integrazione, nel nostro Paese. Questo ha, forse, scoraggiato le famiglie autoctone dal consigliare tali lavori ai propri figli. Ad onor del vero, va detto che la professione di cuoco non ha subito forti sbalzi numerici tra i giovani svizzeri. Questi ultimi, in generale, sono maggiormente assenti nelle professioni del ramo impiegato/a d’albergo oppure nel settore del ricevimento, dove però si può attingere ai diplomati delle Scuole di commercio. Va ricordato che alla fine di un apprendistato AFC si ha diritto ad un salario minimo di 4’369 franchi lordi, e che un certo impegno e una predisposizione per le attività alberghiere garantiscono, solitamente, una veloce ed interessante carriera”.

Abitudini e aspettative dei clienti sono molto cambiate, l’innovazione nel vostro settore è al passo con questa trasformazione o ci sono margini per migliorare?

“Vi sono sempre margini di miglioramento. Le nuove generazioni di albergatori hanno ben compreso  che le strutture vanno rinnovate almeno ogni 10 / 15 anni. In passato s’ investiva e si pretendeva che la qualità dei materiali impiegati fosse impeccabile per i 30 anni successivi. La qualità era certo impeccabile, peccato però che il design e le mode non durassero quanto potevano durare invece quei materiali, si pensi, ad esempio, all’evoluzione degli arredi. I nostri clienti, oltre a venire in Ticino, sono soliti visitare altre destinazioni nel mondo. Sappiamo bene quanto manodopera e altri costi siano inferiori all’estero rispetto alla Svizzera. Per i nostri alberghi è dunque necessaria una marcia in più, destinando parte del ricavo a continui miglioramenti strutturali per restare attrattivi e competitivi. Non da ultimo, i rincari energetici sollecitano anche gli Albergatori ad adattarsi alle nuove tecnologie per contenere i costi”.

Il turista che viene in Ticino vuole trovare anche qui un ambiente dinamico e vivere un’esperienza emozionale che magari lo spingerà a ritornare. Oltre ad eventi e manifestazioni, vuole trovare i negozi aperti negli orari più comodi per lo shopping. Ma contro la possibilità di aprire mezz’ora in più e una domenica in più è stato lanciato un referendum. Che pensa di questa opposizione?

“Sembrerebbe che il Ticino in questo caso non riesca a vedere che abitudini e costumi evolvono in continuazione. Non ci sono solo i commercianti a lavorare di domenica o la sera, cosa che nel resto del mondo, ma spesso pure negli altri Cantoni, è abitudine consolidata da decenni. Anche il nostro ospite elvetico si aspetta più elasticità nei tempi e nei giorni di apertura dei negozi. Lo shopping non è l’ unico attrattore, ma è sicuramente una componente importante di un soggiorno vacanziero”.

Cosa manca alla nostra politica turistica?

“Il coraggio di osare di più fuori da schemi ormai datati, sia per i tempi che per usi e costumi. Il Ticino turistico è abituato ad accogliere gli ospiti prevalentemente da Pasqua a fine ottobre e pare non vedere il richiamo che arriva in particolare dal nostro mercato di riferimento: la Svizzera. Turisti elvetici che sempre più sono pronti a visitarci da novembre a marzo. Gli anni della pandemia hanno aiutato molto un primo sviluppo della destagionalizzazione, che sembra, però, aver coinvolto più i nostri ospiti, che non gli addetti ai lavori. È solo un primo passo perché è appunto una richiesta che arriva soprattutto dal consumatore, l’offerta, a parte il Luganese che ha pure grandi margini di miglioramento, invece non si è  ancora adeguata a questa nuova tendenza. Alcuni sembrano negarla o addirittura non vederla, nonostante l’aumento dei pernottamenti da gennaio a marzo, come si è visto nel 2022.

Un altro necessario rinnovamento riguarda il prodotto turistico che – ad eccezione di investimenti privati come il Fiore di Pietra, il Monte Tamaro, lo Splash & SPA, i Termali Salini o il famoso Ticino Ticket, voluto da me e dagli Albergatori che rappresento, e ottenuto grazie all’ottima collaborazione con il Consigliere di Stato Vitta e all’appoggio tecnico di Ticino Turismo -, non vede tra gli operatori un vero impegno nel proporre nuovi prodotti. Ogni anno c’è un fiorire di progetti anche interessanti, ma che per qualche strana ragione sono poi sommersi da critiche o liti da cortile, e alla fine spariscono in qualche cassetto”.

Elusione sanzioni Russia: nota delle autorità USA

Sono in aumento gli operatori che si avvalgono di intermediari per eludere le restrizioni verso la Russia. Per aiutare gli operatori economici ad individuare questi tentativi di elusione, le autorità americane hanno emanato una nota congiunta che riporta i segnali di allarme più comuni. Un documento utile anche alle aziende estere coinvolte nella riesportazione di beni o tecnologie USA o che utilizzano componenti o tecnologie di origine USA nei loro prodotti poiché assoggettate alle leggi statunitensi sul controllo delle esportazioni.

A fine gennaio, la Cc-Ti aveva segnalato l’emergenza di alcune pratiche di elusione delle sanzioni nei confronti della Russia.

Ad inizio marzo l’Office of Foreign Assets Control (OFAC) del Dipartimento del Tesoro, il Bureau of Industry and Security (BIS) del Dipartimento del commercio e il Dipartimento della giustizia (DOJ) degli Stati Uniti hanno pubblicato un’interessante nota di conformità congiunta volta a dare un giro di vite all’utilizzo di intermediari per eludere le restrizioni verso la Russia.

Nella nota, le autorità americane sottolineano come la Russia utilizzi attivamente intermediari di terze parti e/o punti di trasbordo per aggirare le restrizioni e mascherare il coinvolgimento dei cosiddetti “cittadini specialmente designati e persone bloccate” (Specially Designated Nationals And Blocked Persons, SDN) o di entità elencate nella rispettiva lista (Entity list) allo scopo di oscurare le vere identità degli utenti finali russi.

Per aiutare gli operatori economici ad individuare eventuali tattiche di evasione e ad implementare le misure di compliance appropriate, nella loro nota le autorità USA elencano una serie – non esaustiva – di segnali d’allarme (red flags):

  • utilizzo di persone giuridiche, società di comodo e accordi legali per oscurare la proprietà, la fonte dei fondi o i Paesi coinvolti, in particolare quelli sottoposti a sanzioni;
  • riluttanza di un cliente a condividere informazioni sull’utilizzo finale di un prodotto e a compilare la relativa documentazione;
  • utilizzo di società di comodo per effettuare bonifici internazionali, spesso coinvolgendo istituzioni finanziarie in giurisdizioni diverse da quella di registrazione della società;
  • rifiuto della consueta installazione, formazione o manutenzione degli articoli acquistati;
  • indirizzi IP che non corrispondono ai dati di localizzazione segnalati da un cliente;
  • modifiche dell’ultimo minuto alle istruzioni di spedizione, diverse da quelle consone del cliente o alle pratiche commerciali;
  • pagamenti provenienti da un Paese terzo o da un’azienda non menzionati nella dichiarazione di uso finale (end-user statement, modulo BIS-711) o di altro modulo applicabile;
  • utilizzo di caselle di posta elettronica personali al posto di quelle aziendali;
  • gestione di attività complesse e/o internazionali utilizzando indirizzi residenziali o comuni a più entità societarie strettamente controllate;
  • modifiche alle lettere di incarico standard che oscurano il cliente finale;
  • transazioni che comportano una modifica delle spedizioni o dei pagamenti precedentemente programmati per la Russia o la Bielorussia;
  • transazioni che coinvolgono entità con scarsa o nessuna presenza sul web;
  • instradamento degli acquisti attraverso punti di trasbordo comunemente utilizzati per reindirizzare illegalmente prodotti soggetti a restrizioni verso la Russia o la Bielorussia, come Cina (inclusi Hong Kong e Macao), Armenia, Turchia e Uzbekistan (elenco non esaustivo).

Le autorità americane sottolineano la necessità di sviluppare, implementare e aggiornare programmi interni di compliance su prodotti e servizi, clienti e controparti nonché aree geografiche.

Il documento è di utilità non solo per le aziende americane, ma anche per le aziende non statunitensi coinvolte nella riesportazione di beni o tecnologie americane o che utilizzano componenti o tecnologie di origine USA nei loro prodotti poiché assoggettate anche alle leggi statunitensi sul controllo delle esportazioni (le cosiddette “sanzioni secondarie”). Non meno importante, esso fornisce spunti di riflessione anche per quelle aziende estere che non sono direttamente toccate dalle regolamentazioni americane.

La Convenzione CITES celebra il suo 50° anniversario

La CITES è stata istituita il 3 marzo 1973 a Washington con l’accordo di diversi Stati. Cinquant’anni dopo, è considerata la più importante convenzione nel suo genere.

Nel frattempo ha raggiunto 184 Paesi membri e protegge dallo sfruttamento eccessivo decine di migliaia di specie di fauna e di flora, a cui se ne aggiungono sempre di nuove: in occasione dell’ultima conferenza CITES svoltasi nel novembre 2022 gli Stati membri hanno aggiunto alla Convenzione oltre 500 specie di fauna e di flora, tra cui anche numerose specie di squali e razze. La Svizzera detiene la presidenza del Comitato per gli animali e contribuisce nel suo ruolo a monitorare l’attuazione delle disposizioni di protezione.

La Svizzera ne fa parte dal 1973, anno della sua istituzione. Rappresentata dall’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria (USAV).

La Convenzione CITES

Oltre 5’000 specie animali e più di 37’000 specie vegetali sono soggette alla Convenzione CITES delle Nazioni Unite. Sono suddivisi in tre livelli di protezione (i cosiddetti allegati), a seconda del grado di pericolo. L’allegato I contiene circa 1’000 specie minacciate di estinzione e anche dal commercio internazionale. Il commercio di questi esemplari è vietato. L’allegato II elenca oltre 37’000 specie che, senza controlli commerciali, rischiano di estinguersi. In questi casi il commercio è consentito, ma solo se è dimostrabilmente sostenibile. L’allegato III contiene poco più di 200 specie per le quali un singolo Paese ritiene necessario un controllo commerciale.

Fonte: USAV
Comunicato stampa: La Convenzione CITES celebra il suo 50° anniversario (admin.ch)

Spagna: in vigore la tassa sulla plastica

Il 1° gennaio 2023 è entrata in vigore in Spagna la nuova tassa sugli imballaggi in plastica non riutilizzabili, inclusi quelli da trasporto.

Posticipata più volte, il 1° gennaio 2023 è entrata in vigore in Spagna la cosiddetta “plastic tax”, una tassa pari a € 0,45 per chilogrammo di imballaggi in plastica non riciclabili prodotti nel mercato spagnolo, acquistati nell’UE oppure importati da Paesi terzi e destinati ad essere utilizzati all’interno del mercato ispanico.

La tassa copre sia i materiali di imballaggio (vuoti) sia i prodotti confezionati ed è applicabile agli imballaggi primari, secondari e terziari. Rientrano tra i beni tassabili anche

  • i semilavorati in plastica quali film/fogli termoplastici, preforme, tappi e chiusure destinati alla produzione di contenitori in plastica non riutilizzabili;
  • i prodotti in plastica volti a facilitare la chiusura, la commercializzazione o la presentazione dei contenitori non riutilizzabili.

Sono previste eccezioni per alcuni prodotti, come gli imballaggi in plastica per i prodotti farmaceutici o altri tipi di beni sanitari e ad uso ospedaliero.

I prodotti contenenti più materiali vengono tassati esclusivamente in base al peso effettivo della plastica non riciclata. A differenza della tassa sugli imballaggi in plastica introdotta lo scorso anno nel Regno Unito (cfr. nostro articolo del 23 giugno 2022), nel caso della plastic tax spagnola non vige una soglia di contenuto riciclato minimo per determinare la tassabilità del prodotto, ma viene considerata la quantità di plastica non riutilizzabile, espressa in chili.

I fornitori sono tenuti a specificare in fattura i quantitativi di plastica non riciclata inclusi nel prodotto e gli importatori ad indicare tali quantitativi nella dichiarazione doganale di importazione e a pagare la relativa tassa allo sdoganamento della merce.

Link utili:
Legge 7/2022 dell’8 aprile 2022 sui rifiuti e il suolo contaminato per un’economia circolare
(vedasi nello specifico il “Título VII Medidas fiscales para incentivar la economía circular” > “Capítulo I Impuestos especial sobre los envases de plástico no reutilizables”)

L’opinione puntuale

di Cristina Maderni, Vicepresidente Cc-Ti

La necessità di una riforma generale della fiscalità, programmata per il 2024, è evidente. Quali sono i punti su cui lavorare prioritariamente?

Il gruppo di lavoro creato dal DFE con la SUPSI ha identificato quattro assi principali, cioè l’imposizione del riscatto del capitale previdenziale, le deduzioni per le spese professionali, le imposte di successione e donazione, le aliquote massime dell’imposta sul reddito. Tutti i temi sono rilevanti, ma mi preme sottolineare in primis l’urgenza dell’intervento sulle imposte di successione e donazione, perché come sottolineato dall’iniziativa parlamentare da me presentata queste oggi ostacolano in maniera importante la successione aziendale, penalizzando pesantemente eventuali subentranti che non appartengono alla stretta cerchia familiare dei titolari dell’impresa. Questo è nocivo per l’economia e tutto il territorio, perché si perdono aziende e competenze.

Vi è la stessa urgenza per i residenti più facoltosi?

Sicuramente, anche perché va sottolineato che l’1% dei contribuenti (2’000 persone fisiche) versa circa il 33% del gettito fiscale totale. Pochi che pagano molto smentisce la tesi che non vi sia redistribuzione e al contempo costituisce un rischio sistemico, perché anche solo qualche partenza di simili contribuenti ha effetti immediati sulle risorse che vengono messe a disposizione dello Stato. Va da sé, che anche l’alleggerimento dell’imposizione del riscatto del capitale previdenziale, fra le più alte in Svizzera, aiuterebbe a mantenere in Ticino molti contribuenti che passano al beneficio della pensione.

Perché è importante che la riforma fiscale già approvata dal popolo entri in vigore senza riserve nel 2025?

Il discorso è simile a quello per le persone facoltose. Poche aziende pagano la maggior parte delle imposte. In effetti, 1’000 aziende versano circa il 75% del gettito totale e 270 aziende garantiscono ben il 63% dei ricavi dell’imposta sul capitale. Numeri che parlano chiaro: il sistema da questo punto di vista è fragile e va corretto per dargli stabilità e questo passa attraverso condizioni concorrenziali. Facile ridistribuire la ricchezza quando c’è, occorre anche fare sforzi non solo per produrla ma anche per mantenerla.

Fiscalità: numeri e fatti

Con questo ritmo di spesa è evidente che non ci sono imposte e tasse che bastano

La realtà economica e sociale subisce cambiamenti sempre più veloci e non solo a causa di eventi eccezionali come la pandemia. La fiscalità non fa eccezione, visto che essa deve, o dovrebbe, adattarsi all’evoluzione del contesto generale. Tuttavia, la discussione concernente le imposte (e, in parte, anche le tasse) è spesso bloccata da confronti più di stampo ideologico che concreto e pragmatico, il che ovviamente non facilita le riforme. Anche nella nostra realtà cantonale il tema appare spesso come un tabù, sul quale scontrarsi più che confrontarsi. Peccato, perché si perdono molte occasioni favorevoli di mantenere attrattivo il nostro territorio, con benefici per tutta la popolazione. Non è quindi purtroppo un caso se il Ticino oggi, nel confronto intercantonale, occupa una posizione decisamente scomoda, collocandosi fra i cantoni più esosi e meno concorrenziali per l’imposizione sulle imprese e gli alti redditi delle persone fisiche. Non a caso, è molto attesa e di fondamentale importanza la scadenza del 2025, quando l’aliquota sugli utili delle persone giuridiche dovrebbe scendere dall’8% al 5,5%, secondo quanto già deciso dal popolo.

Cristina Maderni, Vicepresidente Cc-Ti

Mutamenti rapidi del contesto nazionale e internazionale per l’imposizione delle aziende

Il Ticino, fino alla metà degli anni Novanta, “vantava” un peso fiscale
su cittadine e cittadini e aziende ben al di sopra della media nazionale.
La tendenza è stata invertita, arrivando a competere con cantoni come Zugo e Svitto. Con una fiscalità più equa, si era arrivati a pagare il 36,7% in meno d’imposte rispetto alla media nazionale. Poi altri cantoni si sono mossi più rapidamente, non in una corsa al ribasso, ma all’efficienza. Tanto che il nostro sistema fiscale cantonale ha vieppiù perso attrattività, come evidenziato da un’analisi, riferita al 2021, del Centro di competenza tributarie della SUPSI. Che ha messo in evidenza come il nostro ordinamento tributario sia rimasto fermo al palo, non più in grado di stare al passo con la concorrenza degli altri Cantoni.

Per le aziende ci ritroviamo al 24esimo posto e malgrado la diminuzione dell’aliquota sull’utile dal 9% all’8%, in vigore dal 2020, nella graduatoria generale la posizione del Ticino non è migliorata, poiché quasi tutti gli altri Cantoni nel frattempo hanno messo in campo nuove riforme. Nel 2025, quando l’aliquota sarà abbassata al 5,5%, saremo solo attorno al ventesimo posto, restando di fatto tra le regioni fiscalmente poco attrattive. Né va dimenticato che questo abbassamento di aliquota è stato accompagnato da nuovi prelievi sociali sulle aziende. Del resto, secondo un recente report della società di consulenza KPMG, nel 2022 con un tasso del 19,2% il Ticino è, assieme a Berna (21%) e Zurigo (19,7%), tra i Cantoni che tassano maggiormente le aziende; mentre Zugo (11,9%), Nidvaldo (12%) e Lucerna (12,2%) sono quelli dove si registra l’imposizione più bassa, senza che questi abbiano a registrare sconquassi sociali.

Questo è anche il risultato di discussioni troppo ideologizzate, poco aderenti ai fatti. In altri Paesi e in alcuni Cantoni anche gli schieramenti meno inclini alle riduzioni di imposte hanno spesso sostenuto una fiscalità meno oppressiva. Staccandosi quindi dal dogma degli alleggerimenti fiscali che arricchiscono le imprese e svuotano le casse dello Stato. Per confutare tale tesi, basta considerare persino i più decisi tagli alle imposte fatti in passato in Ticino, che pur riducendo la pressione fiscale mediamente del 30%, innescarono un aumento del gettito delle persone giuridiche del 39%.

Andrea Gehri, Presidente Cc-Ti

Persone fisiche e alti redditi

Per le persone fisiche veleggiamo a metà classifica nel contesto nazionale, ma solo come media. Sui redditi alti siamo assai poco attrattivi, visto che per questa categoria ci attestiamo al 22° posto della classifica intercantonale, tenendo conto dell’imposizione comunale e cantonale. Considerando anche l’imposta federale diretta, il prelievo fiscale massimo in Ticino ascende al 40.6%, quasi il doppio di quello di Zugo (22.4%) e poco lontano dal cantone più esoso, cioè Ginevra (45%). Questo elemento concernente le persone fisiche più abbienti, non necessariamente milionari, va visto anche nell’ottica dell’imminente voto del prossimo mese di giugno, quando saremo chiamati ad approvare il nuovo sistema fiscale voluto a livello internazionale che prevede un’aliquota minima del 15% per le imprese. Il Ticino, con la parte di revisione del sistema fiscale che entrerà definitivamente in vigore nel 2025 sarà allineato su questo livello. Ma quale è il nesso con le persone definite “facoltose”? Semplice, con una parziale armonizzazione delle aliquote fiscali, la concorrenza fiscale si sposterà almeno in parte sulle aliquote delle persone fisiche, in altre parole soprattutto su imprenditori e dirigenti con redditi alti e medio alti. Un’imposizione pesante su queste figure, che già oggi tendono a lasciare il Ticino verso altri cantoni più attrattivi, ha indubbiamente un effetto dissuasivo anche per l’insediamento o la permanenza di imprese dirette o gestite da dirigenti e manager con qualifiche e stipendi elevati. Parliamo anche di imprenditori e manager ticinesi, non solo stranieri. Il rischio non solo di perdita di entrate fiscali, ma anche di impoverimento del tessuto economico è concreto.

Chi svuota davvero le casse del Cantone

L’evoluzione dell’onere fiscale e del gettito sull’arco dell’ultimo quindicennio indica che a svuotare le casse cantonali non sono le riforme fiscali, ma soprattutto l’aumento della spesa pubblica, balzata dai 2’893 milioni spesi nel 2006 ai 4’218 milioni del 2021. Con questo ritmo di spesa è evidente che non ci sono imposte e tasse che bastano. Del resto, rispetto alla fine degli anni ’90, il gettito annuale è aumentato di 439 milioni. Il che smentisce il mantra degli sgravi che avrebbero dissanguato l’erario, quando in realtà hanno fatto crescere, e non diminuire, il gettito fiscale.

Dal 2005 al 2019 le imposte prelevate dal Cantone sulle persone fisiche sono cresciute del 52%, quelle sulle persone giuridiche del 37%, mentre le tasse hanno registrato un’impennata del 45%. Un carico fiscale che ha impoverito i cittadini e sottratto sostanziose risorse alle imprese. Quello delle tasse è un tema che
purtroppo nel dibattito sul carico fiscale resta solitamente sottotraccia e che meriterebbe invece più attenzione, vista la crescita esponenziale delle tasse esistenti e la creazione di nuovi balzelli. Nel 2005 le tasse fruttavano alle casse cantonali 190 milioni e nel 2019 si è passati a circa 270 milioni.


Il valore in dogana: come determinarlo

Tra gli elementi essenziali della dichiarazione doganale, oltre alla classificazione doganale della merce e alla sua origine, figura anche il suo valore in dogana. Una valutazione errata del valore doganale può infatti comportare conseguenze sia sotto il profilo tributario sia sotto il profilo commerciale.

Per “valore in dogana” delle merci si intende il valore attribuito alle merci all’atto dell’importazione, al fine di applicare i dazi (da cui il termine dazi ad valorem). Tale valore costituisce anche la base per il calcolo dell’imposta all’importazione (generalmente: l’IVA) e di altri tributi, così come per la compilazione delle statistiche del commercio estero. Una valutazione non corretta del valore doganale delle merci può esporre l’azienda al pagamento di differenze daziarie, di quelle degli altri tributi e persino a sanzioni, così come a errori di valutazione in merito alle effettive opportunità di approvvigionamento dall’estero.

Salvo altre modalità di misura prescritte, in Svizzera le merci sono generalmente tassate secondo il peso lordo (cfr. art. 2 della Legge sulla tariffa delle dogane, LTD). Pertanto, se il valore in dogana delle merci è irrilevante dal profilo daziario (a maggior ragione per i prodotti industriali con l’abolizione dei dazi all’importazione dal 01.01.2024), tale valore resta invece importante sia per il calcolo dell’IVA e degli altri tributi sia a livello statistico.

Come determinare il valore in dogana?

La legislazione sul valore in dogana si basa sull’art. VII dell’Accordo sul valore in dogana dell’OMC e prevede i seguenti metodi di valutazione, applicabili in modo gerarchico, ossia per esclusione del metodo precedente:

  1. metodo del valore di transazione, dove con “valore di transazione” si intende il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci all’atto della vendita per l’esportazione nel paese d’importazione (cfr. art. 1 dell’Allegato 1A.9 all’Accordo che istituisce l’OMC);
  2. metodo del valore di transazione di merci identiche (cfr. art. 2);
  3. metodo del valore di transazione di merci simili (cfr. art. 3);
  4. metodo del valore dedotto, ovvero del valore basato sul prezzo unitario al quale le merci importate (o merci identiche o simili importate) sono vendute nel quantitativo complessivo maggiore a compratori non collegati ai venditori, previa deduzione dei costi aggiuntivi sostenuti per la commercializzazione (commissioni dovute o margini di utile, spese di trasporto o di assicurazione, spese di sdoganamento compresi i tributi, cfr. art. 5);
  5. metodo del valore calcolato (o ricostruito): il valore in dogana viene “ricostruito” sommando il costo o il valore delle materie prime utilizzate e dei processi di fabbricazione o di altre lavorazioni, gli utili e le spese generali (uguali a quelli solitamente presi in considerazione in analoghe condizioni di mercato), del costo o del valore di qualsiasi altra spesa (cfr. art. 6). Nota: su richiesta dell’importatore, l’ordine di applicazione degli art. 5 e 6 può eventualmente essere invertito (cfr. art. 4);
  6. metodo del valore determinato ricorrendo a mezzi ragionevoli e sulla base dei dati disponibili: questo metodo è da utilizzarsi come extrema ratio, ovvero quando non è possibile terminare il valore in dogana con nessuno dei metodi precedenti e quindi ci si basa sui dati esistenti e riscontrabili oggettivamente.

Ulteriori link utili:
Base di calcolo doganale (admin.ch)
WTO | Customs valuation gateway

Emirati Arabi Uniti: nuova procedura di legalizzazione fatture online

Gli Emirati Arabi Uniti introducono un nuovo sistema per l’attestazione elettronica delle fatture commerciali di importazione.

A partire dal 1° marzo 2023, le fatture di importazione di valore pari o superiore a AED 10’000 (ca. CHF 2’500) devono essere attestate dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale degli Emirati Arabi Uniti (MoFAIC) tramite il sistema eDAS, a cui è necessario registrarsi e dove è altresì possibile scaricare un manuale in formato PDF. L’“electronic attestation reference number” (numero di riferimento eDAS) così generato deve in seguito essere inserito nella dichiarazione doganale di importazione.

La fattura legalizzata dalla propria Camera di commercio (nel caso specifico: la Cc-Ti) e il certificato d’origine possono essere caricati al momento dell’arrivo della merce in dogana e in fase di dichiarazione doganale. Il MoFAIC riscuote una commissione di AED 150 (ca. CHF 37.50) per ogni fattura commerciale del valore uguale o superiore all’importo sopra indicato.

L’attestazione elettronica tramite eDAS va a sostituire quelle della Camera di commercio arabo-svizzera (CASCI) e della rappresentanza ufficiale emiratina in Svizzera.

Sono esentate dalla procedura le importazioni di beni di valore inferiore a AED 10’000, le importazioni personali, quelle provenienti da Paesi del GCC e quelle a destinazione di una zona franca, così come le merci in transito, gli invii e-commerce B2C e le importazioni diplomatiche, militari, di NGO e di organizzazioni internazionali.

La nuova procedura è già operativa a Dubai e sarà presto integrata nel sistema doganale degli altri emirati, tra cui Abu Dhabi, Sharjah e RAK.

Altri link utili:
Customs Notice No. 11/2022 (Dogana di Dubai)

Fonte: IHK Bonn/Rhein-Sieg; adattamento: Servizio Commercio Internazionale Cc-Ti

La nuova GMDSI a difesa della Svizzera italiana nelle comande militari

Si è presentata in data 13 febbraio 2023 ai media la neonata associazione “Gruppo materiale difesa e sicurezza della Svizzera italiana (GMDSI)”.

Associazione senza scopo di lucro, il GDMSI si propone di unire le forze dell’industria ticinese attiva in questo settore, per rafforzarne l’immagine, difenderne gli interessi presso le istituzioni e promuoverne la partecipazione alle operazioni di compensazione (i cosiddetti “offset”) degli acquisti militari svizzeri.

Come noto infatti, per ogni grande acquisto di nuovi sistemi d’arma esteri (in particolare di questi tempi nell’aviazione e nella difesa contraerea) i contratti prevedono degli acquisti di compensazione in Svizzera (sia diretti che indiretti, ovvero materiale militare, duale o anche puramente civile) che per legge devono essere ripartiti equamente fra le regioni linguistiche del paese.

Le aziende della Svizzera italiana, tuttavia, o non partecipano alle gare perché poco informate, o vengono regolarmente dimenticate da Berna in questa ripartizione, benché la relativa legge federale preveda che di regola il 5% della spesa debba giungere nella nostra regione.

Per questo motivo, un primo gruppo di aziende si è riunito in un comitato promotore che ha lanciato la neonata associazione, auspicando che nei prossimi mesi parecchie altre aziende interessate si uniscano a questo progetto.

Obiettivo primo è quello della circolazione dell’informazione – tutti i soci devono essere costantemente al corrente di quanto bolle in pentola in questo settore – del sostegno tecnico nelle gare di appalti e del lobbying presso le istituzioni nazionali.

Presieduto dall’on. Filippo Lombardi, il GMDSI può contare sull’appoggio del Dipartimento delle Istituzioni del Cantone Ticino, il cui sostegno è stato espresso in Conferenza stampa dal direttore On. Norman Gobbi, e della Camera di Commercio Cantone Ticino, per la quale ha preso la parola il direttore Luca Albertoni. Il segretario generale dell’Associazione è assunto dalla Swiss Communication Agency, nella persona della sig.ra Maria Luisa Bernini.

L’obiettivo è chiaro: unire gli sforzi per portare in Svizzera italiana contratti di fornitura, difendendo le capacità tecnologiche e soprattutto i posti di lavoro della regione.


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