Tour d’horizon: Vietnam

Il 2022 è stato senz’ombra di dubbio un anno complicato, segnato dagli strascichi della pandemia di COVID-19 e dalle tensioni geopolitiche internazionali, che insieme hanno causato un rallentamento dell’economia globale e, in taluni Paesi, un netto taglio delle aspettative di crescita. A dispetto di queste difficili condizioni quadro, l’economia vietnamita ha dato prova della propria solidità ed è riuscita a emergere quale mercato di forza nel panorama economico del Sud-est asiatico.

Per il Vietnam il 2022 è stato sinonimo di successo, avendo il prodotto interno lordo (PIL) nazionale registrato un aumento dell’8% rispetto all’anno precedente. Oltre alla ripresa dei consumi privati interni post pandemia, tale crescita è stata fortemente influenzata dall’ottima performance del settore manifatturiero orientato all’esportazione. Inoltre, in un contesto globale piuttosto turbolento, il Paese è riuscito a contenere il rischio legato all’inflazione, mantenendo una media annua del 3%. In termini di investimenti diretti esteri (IDE), il Vietnam è riuscito ad incrementare la propria forza attrattiva, raggiungendo un record di 27,7 miliardi di dollari, a buona dimostrazione del crescente ottimismo sulle prospettive socioeconomiche che gli investitori stranieri riservano al Paese.

In questo clima positivo le previsioni per il 2023 e 2024 continuano a parlare di crescita, benché leggermente (e, in un certo modo, fisiologicamente) più moderata. Il pronostico è quello di un incremento del PIL che dovrebbe assestarsi attorno al 6-7% – dato influenzato, almeno parzialmente, dalle continue incertezze internazionali che non lasciano immune nemmeno un Paese politicamente “defilato” come il Vietnam. Non tutto il male vien per nuocere, verrebbe però da dire, giacché le tensioni geopolitiche globali potrebbero tramutarsi in stimolanti opportunità per l’economia vietnamita. Nel contesto della strategia “Cina+1” le aziende con uno spettro d’attività internazionale sono infatti sempre più intente a diversificare le proprie catene d’approvvigionamento, volendone accrescere la resilienza e la connettività, con il chiaro obiettivo di diminuire la dipendenza da un singolo Paese. Di questa situazione il Vietnam ne ha giovato e ne sta giovando tuttora, rappresentando una delle principali destinazioni per gli investimenti esteri nel settore della lavorazione e della produzione, del commercio all’ingrosso e al dettaglio, della scienza e della tecnologia. Un accento importante va posto sulle sub-categorie tessile, semiconduttori e servizi IT – aree di grande interesse attuale per gli investitori internazionali.

Questo movimento – sia in entrata sia in uscita – è facilitato dalla posizione e conformazione geografica del Paese e dai conseguenti vantaggi in termini logistici e di trasporto. Il Vietnam non funge invero soltanto da porta d’accesso al mercato sud-est asiatico, bensì la sua lunga costa marittima di oltre 3’200 km gli permette di essere un punto critico d’appoggio per il commercio internazionale (con un accesso sia alle industrie di supporto dei Paesi vicini sia alle rotte di trasporto marittimo verso il Nord America e l’Europa). I bassi costi di produzione e la presenza di manodopera qualificata, congiuntamente al crescente numero di accordi di libero scambio con altri Paesi, nonché agli incentivi d’investimento e fiscali, rendono il Vietnam una destinazione attrattiva per tutti quelli che, internazionali o locali, intendono fare impresa. Una nota d’interesse va riservata anche al tema della struttura demografica della Nazione: i giovani rivestono la grande maggioranza dei poco meno di 100 milioni di abitanti e il dato sull’età mediana – 32,5 anni – ci riporta a valori che ricordano la situazione europea di 50 anni or sono. Ciò si traduce, da una parte, in disponibilità di abbondante forza lavoro (che, fattore interessante, possiede motivazione e un forte spirito commerciale) e, dall’altra, in un mercato di giovani consumatori di ben altre dimensioni rispetto a quelli delle realtà europee.

La strada per fare del Vietnam un attore economico di portata mondiale è ancora lunga. All’orizzonte si stagliano particolari sfide legate alle infrastrutture e al quadro giuridico-amministrativo. La crescita costante e, per certi versi, inevitabile della sua economia suggerisce tuttavia che lungo il percorso si potranno trovare opportunità interessanti, le quali verosimilmente non riguarderanno solamente i settori con un alto grado innovativo e/o speculativo, ma anche quegli ambiti industriali e commerciali che nei mercati più avanzati hanno già raggiunto il loro punto di saturazione.

Le occasioni, in altre parole, non sembrano mancare, soprattutto per chi sarà in grado di proporre un business solido e strutturato. L’errore da non commettere è, tuttavia, quello di sottovalutare le difficoltà connesse alle differenze culturali tra il Vietnam e l’Occidente: chi insiste a volerne leggere le dinamiche senza togliere gli “occhiali” occidentali, aumenta esponenzialmente il suo rischio di fallire. Solamente capendo il Vietnam e le sue persone dall’interno, sarà possibile sfruttarne a pieno il potenziale.

Autore e contatto:
Francesca Severoni
Fidinam (Vietnam) Company Limited

francesca.severoni@fidinam.ch
www.fidinam.com

Quel piatto di spaghetti che è il libero scambio

La Svizzera dispone ad oggi di una rete di 35 accordi di libero scambio (ALS) a copertura di ben 73 Paesi. In agenda ci sono negoziati sia per il rinnovo e l’aggiornamento dei trattati esistenti sia per la conclusione di nuovi accordi, come lo testimoniano i recenti colloqui per una ripresa e intensificazione delle trattative con l’India. ALS che hanno però anche dei limiti.

Gli ALS hanno essenzialmente lo scopo di facilitare gli scambi tra due o più Paesi riducendo o eliminando gli ostacoli. Se il loro contenuto si è evoluto negli anni, andando a coprire settori come ad esempio i servizi, gli investimenti o ancora gli appalti pubblici, la concessione reciproca di preferenze tariffali (leggi: riduzione o abolizione dei dazi doganali) continua a rimanere un elemento centrale. Tali concessioni vengono accordate per determinati beni prodotti interamente o sufficientemente lavorati sul territorio. Non tutte le aziende beneficiano però delle possibili agevolazioni doganali, soprattutto a causa delle norme d’origine che disciplinano gli scambi preferenziali e che rappresentano un vero e proprio rompicapo: ogni ALS ha infatti le sue peculiarità e non è facile mantenere una visione d’insieme in questa matassa di regole, così complicata da essere paragonata a un piatto di spaghetti (in gergo: “spaghetti bowl”). Un intricato groviglio di norme a cui si aggiungono delle supply chain sempre più lunghe e articolate, che complicano ulteriormente la determinazione dell’origine preferenziale per quei prodotti realizzati utilizzando materie prime o componenti importati da varie parti del mondo.

Dal 1° gennaio 2024, la Svizzera abolirà i dazi all’importazione di prodotti industriali, che potranno pertanto essere importati a costi inferiori. L’origine preferenziale di tali prodotti diventa irrilevante. Si aprono nuove opportunità di approvvigionamento anche da Nazioni con le quali la Svizzera non ha concluso un ALS. Fin qui tutto bene, ma… laddove in prima battuta l’eventuale cambio da un fornitore che attualmente garantisce l’origine preferenziale a uno più economico che però non è in grado di conferire alla merce l’origine preferenziale, potrebbe apparire come un evidente risparmio sui costi di produzione, in realtà potrebbe anche rivelarsi un vero e proprio boomerang se non permetterà al prodotto finito di entrare sul mercato di destino beneficiando dello status preferenziale e dello sgravio dai dazi ad esso connesso. Mai come da inizio 2024 le aziende esportatrici saranno chiamate a monitorare e valutare attentamente i loro flussi in entrata e in uscita, così come a conoscere ed applicare correttamente regole e prove dell’origine preferenziale.

Nel contesto del libero scambio, va altresì detto che i limiti degli attuali ALS sono ben noti alle autorità svizzere: se da un lato il principale mercato di approvvigionamento e di sbocco dell’industria svizzera è l’Unione europea, vi sono altri mercati partner del libero scambio con i quali l’interscambio commerciale è in crescita e che potrebbero esserlo maggiormente se venissero adattate le regole relative al “cumulo dell’origine”, ovvero al sistema che consente ai prodotti originari di una determinata Nazione di essere ulteriormente trasformati o incorporati ai prodotti originari di un altro Paese, come se fossero originari di quest’ultimo per ottenere così l’origine preferenziale. Per quanto riguarda le aziende svizzere il cumulo è attualmente possibile con componenti e materie prime provenienti dall’UE, da Islanda, Principato del Liechtenstein, Norvegia, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Palestina, Tunisia, Turchia, Albania, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia, Isole-Faeroer, Georgia e Ucraina. Il cumulo, così come attualmente regolamentato, non è invece possibile con partner importanti come Regno Unito, Giappone, Canada, Corea del Sud o Messico, Paesi con cui anche l’UE ha degli ALS.

È quindi tempo di rivedere le possibilità di cumulo dettate dagli ALS? Sembra pensarla così la Segreteria di Stato dell’economia (SECO), che ha fatto condurre uno studio per analizzare il potenziale economico di ulteriori possibilità di cumulo negli ALS della Svizzera per quanto riguarda i prodotti industriali, esaminando in particolare l’impatto di una forma di cumulo incrociato chiamata “regionalizzazione delle norme di origine”, in cui tre o più partner comuni di libero scambio formano una zona di cumulo dell’origine. Per istituire una tale zona di cumulo bisognerebbe tuttavia modificare le norme di origine fissate nei vari ALS, cosa che richiederebbe il consenso di tutti gli Stati interessati. Nel corso dello studio sono state interpellate diverse aziende e tutte si sono dette favorevoli a ulteriori possibilità di cumulo. In questo senso ci verrebbe quindi da dire “buttate la pasta!”, ma ci limitiamo a un “affaire à suivre”, invitando nel frattempo le aziende a formarsi e informarsi continuamente su questa complessa materia.

Evento Paese EAU-KSA: retrospettiva

Su iniziativa della Camera di commercio dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino (Cc-Ti), con il supporto dei “Partner dell’Internazionale 2023” Allianz Trade Switzerland, Cippà Trasporti SA, Switzerland Global Enterprise, il polo linguistico e formativo capeggiato da Ti-Traduce e M. Zardi & Co, e con la partecipazione di Fidinam DMCC, dell’imprenditore seriale Matteo Boffa e di Pini Group, il 25 maggio scorso presso il Suitenhotel Parco Paradiso si è tenuto un evento volto a presentare alle PMI della Svizzera italiana le opportunità offerte da Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita. Una sessantina i partecipanti.

Nei suoi saluti iniziali, Monica Zurfluh, responsabile del servizio Commercio internazionale della Cc-Ti, ha voluto da un lato evidenziare il ruolo della Cc-Ti nella tutela e promozione degli interessi di tutti i settori economici, anche in relazione con le loro attività internazionali, e dall’altro come l’informazione, la consulenza e la messa in rete con partner esperti, quali i Partner dell’Internazionale, siano alla base delle attività del servizio Commercio internazionale. In questo contesto, gli Eventi Paese organizzati in stretta collaborazione con i Partner dell’Internazionale vantano una lunga tradizione.

I due Paesi oggetto dell’evento rappresentano il primo rispettivamente il secondo partner commerciale della Svizzera nella regione. L’importanza di queste due Nazioni e più in generale dei Paesi del Golfo è considerevole, tanto dal punto di vista politico quanto da quello economico. Pur essendo diversi per dimensioni, forza economica e condizioni quadro, essi sono per lo più accomunati dalla forte dipendenza dal petrolio e dal gas e dalla necessità di attuare riforme economico-sociali. Dalle crisi nascono però le migliori opportunità: ecco quindi che temi quali la diversificazione, la privatizzazione, la necessità di sviluppare competenze e talenti locali, il bisogno di nuove tecnologie e innovazioni, ma anche di creare un clima favorevole agli investimenti e al business, non senza dimenticare che qualsiasi opportunità può anche sollevare problematiche e celare rischi, hanno costituito il fil rouge dell’evento.

I profondi cambiamenti in atto nella regione e le opportunità, anche settoriali, che si vengono a creare sono stati ampiamente illustrati da Abier Nasr e Larbi El Attari, rispettivamente Deputy Head e Commercial Counsellor presso lo Swiss Business Hub Middle East, l’ufficio congiunto del Dipartimento federale degli affari esteri e di Switzerland Global Enterprise (S-GE) nella regione.

A seguire, Marco Arrighini, Manager Credit Risk e responsabile della regione sud di Allianz Trade Switzerland ha tracciato una mappa dei rischi, un esercizio indispensabile per essere in grado di prendere decisioni informate.

Gaetano Loprieno, consulente logistico di Cippà Trasporti SA ha poi illustrato le principali modalità di trasporto e i più comuni termini di consegna delle merci nella regione, sottolineando altresì che dal 2014 tra AELS e GCC vige un accordo di libero scambio (l’UE non dispone ancora di tale accordo, ndr).

Il Managing Director di Fidinam DMCC Stefano Menotti ha quindi fatto il punto sugli aspetti amministrativi e fiscali da conoscere per chi opera in loco, con particolare riferimento alla tassazione diretta e indiretta, alla doppia imposizione e alla gestione delle buste paghe nei due Paesi, nonché alle condizioni offerte dalle free zone negli Emirati Arabi Uniti e dalle costituende zone economiche speciali in Arabia Saudita.

Le testimonianze sono state affidate a Matteo Boffa, giovane imprenditore ticinese e investitore a impatto, e a Umberto Ceccarelli, Innovation & Business Developer dello studio d’ingegneria Pini Group. Il primo ha illustrato come gli EAU siano terreno fertile per dar voce alle nuove generazioni che hanno idee impattanti e innovative, con un modello di business sostenibile dal punto di vista sociale, ambientale e finanziario. Il secondo ha invece ha condiviso preziosi spunti di riflessione sulla conduzione degli affari in particolare in Arabia Saudita, sottolineando la necessità di stabilire una presenza locale e di coltivare relazioni affidabili e durature.

Per i partecipanti, una sessantina, l’aperitivo a seguire è stata un’occasione preziosa per fare networking.

Un evento a 360° gradi quello del 25 maggio, senza presunzione di esaustività e completezza, ma che ha voluto dare ai presenti importanti basi di riflessione per operare su questi mercati nonché strumenti e, soprattutto, contatti utili per i necessari approfondimenti.


Partner dell’Internazionale 2023

India: un’opzione nel “China+1”

A fine marzo 2023, l’India ha presentato le sue nuove linee guida per il commercio estero. Entrata in vigore il 1° aprile 2023, per la prima volta e in deroga alla tradizione, la politica commerciale estera indiana non avrà una data limite di cinque anni, questo per consentire al governo Modi di apportarvi le modifiche necessarie in corso d’opera. Volta a favorire l’export del Paese, la FTP apre nuove opportunità anche alle aziende estere interessate ad un’alternativa alla Cina.

Riconoscendo il cambiamento del panorama del commercio globale e la necessità di una trasformazione più ampia e integrata nel panorama delle politiche commerciali del Paese, la Foreign Trade Policy 2023 indiana (FTP) introduce schemi come la remissione di dazi o imposte sui prodotti da esportazione e il rimborso di tasse e imposte statali e centrali, promuove la facilità di fare impresa e si concentra su aree emergenti come il commercio elettronico (creando, tra l’altro, zone designate con strutture di stoccaggio) e i cosiddetti “hub di esportazione”, velocizzando altresì le procedure di elaborazione e approvazione delle richieste di autorizzazione.

È il caso ad esempio dell’Advance Authorization Issuance, che consente di importare in esenzione da dazi i fattori produttivi che sono fisicamente incorporati in un prodotto di esportazione. Oltre ai fattori produttivi, sono ammessi anche i materiali di imballaggio, i carburanti, gli oli e i catalizzatori consumati/utilizzati nel processo di produzione dei prodotti di esportazione. Tramite l’Export Promotion Capital Goods (EPCG) Scheme, le aziende possono invece importare beni strumentali, come i macchinari, in esenzione da dazi se utilizzati nel processo produttivo.

La grande forza lavoro, i bassi costi della manodopera e, ora, il supporto del governo all’industria manifatturiera, con particolare riferimento all’industria d’esportazione, rendono l’India un’opportunità concreta nonché un’opzione valida nel contesto di una strategia di diversificazione “China+1”.

Anche la Svizzera guarda all’India con interesse, tanto che a metà maggio il Consigliere federale Guy Parmelin, insieme ad altri rappresentanti di alto livello degli Stati dell’AELS, ha incontrato a Bruxelles il ministro del commercio indiano Shri Piyush Goyal per una ripresa e intensificazione dei negoziati per un accordo di libero scambio.

Nel 2022, il commercio bilaterale di beni tra la Svizzera e l’India (totale congiunturale) ammontava a 4,3 miliardi di franchi, con un saldo commerciale positivo per l’India. Lo scorso anno la Svizzera ha esportato in India soprattutto prodotti chimici, macchinari e strumenti di precisione, importando principalmente prodotti chimici, tessili e metalli.

Grazie alle dimensioni del mercato e allo spiccato know-how in vari settori dell’alta a tecnologia, l’India offre numerose opportunità di cooperazione e di sviluppo alle imprese svizzere. Oltre 330 aziende svizzere sono già attive in questo Paese attraverso filiali o joint venture: alla fine del 2021 gli investimenti ammontavano a 7,3 miliardi di franchi.

Tra i temi oggetto delle trattative vi saranno certamente l’abbattimento dei dazi doganali all’importazione in India, la protezione degli investimenti e la tutela della proprietà intellettuale. Quest’ultimo tema tocca e preoccupa due importanti industrie, il settore MEM e quello delle scienze della vita.

Il nuovo ruolo dell’India nella catena di fornitura globale, le opportunità che si aprono per le aziende svizzere e le criticità dell’attuale sistema brevettuale indiano saranno oggetto di un webinar che si terrà il 12 giugno 2023. Per informazioni e iscrizione: WEBINAR | India as a global supply chain hub

Sì ad una fiscalità conforme al modello OCSE: per la Svizzera, per il Ticino

Il prossimo 18 giugno, i cittadini saranno chiamati alle urne su tre temi di carattere federale, tra cui la riforma OCSE per l’imposizione minima delle imprese attive a livello mondiale con un fatturato di almeno 750 milioni all’anno. Il Canton Ticino non figura tra i cantoni direttamente più toccati dalle modifiche tributarie. Ma indirettamente la riforma riveste una grande importanza per la nostra regione, per le imprese stesse e per l’erario. Per questa ragione l’Associazione imprese di famiglie (AIF), l’Associazione industrie ticinesi (AITI) e la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Canton Ticino (Cc-Ti) invitano a votare Sì alla riforma OCSE.

COMUNICATO STAMPA

Distacco di lavoratori in Italia: nuovo termine di notifica

Conformemente al decreto legislativo n. 136 del 17 luglio 2016, il datore di lavoro estero che distacca lavoratori in Italia è tenuto a notificarli preventivamente. Se in precedenza la notifica doveva avvenire entro le ore 24 del giorno precedente l’inizio del distacco, una recente modifica del decreto ne ha ora cambiato il termine.

In Italia, la direttiva 2014/67/UE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di prestazioni di servizi è stata recepita dal Decreto Legislativo 17 luglio 2016, n.136.

Secondo tale D.Lgs., i prestatori di servizi (datori di lavoro) stranieri che distaccano i propri lavoratori in Italia sono tenuti a notificare in anticipo tale distacco, indipendentemente dal fatto che questo avvenga all’interno dello stesso gruppo societario o in favore di una filiale/unità produttiva o di un altro destinatario.

Se prima la notifica doveva avvenire entro le ore 24 del giorno precedente l’inizio del distacco, una modifica del DLgs. valida dal 21 marzo 2023 ha portato questo termine a “al più tardi all’inizio” del distacco (art. 10 par. 1).

La notifica deve essere presentata tramite il portale ClicLavoro del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.

Tutelare la continuità aziendale

di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

Ben 5.500 imprese ticinesi si trovano già confrontate con il delicato problema della successione aziendale. Una fase cruciale per la sopravvivenza di migliaia di attività produttive che nei prossimi cinque, dieci anni, con il pensionamento della generazione dei baby boomers, assumerà ancora più rilevanza per la tenuta complessiva del nostro sistema economico. Una rilevanza strategica se si considerano le conseguenze negative che potrebbe avere sull’economia cantonale l’insuccesso del ricambio generazionale anche se “soltanto” per una parte di queste imprese.
Più che di “successione ”, termine che rimanda al classico trapasso ereditario di un capitale nella ristretta cerchia familiare dei discendenti diretti, come genitori/figli, sarebbe più opportuno parlare di continuità aziendale. Ossia di un passaggio che può interessare e coinvolgere parenti non stretti, quali nipoti e affini, oppure terze persone, ad esempio, dei dipendenti che potrebbero rilevare l’attività. Scelta questa che, per vari motivi, è ormai sempre più frequente, ma che purtroppo l’attuale legge tributaria penalizza fiscalmente, scoraggiando i potenziali subentranti e pregiudicando, di fatto, la prosecuzione dell’impresa stessa.
Una distorsione che la riforma generale della fiscalità, prevista per il 2024, dovrebbe correggere al fine di salvaguardare la stabilità e lo sviluppo del tessuto produttivo.

Il fattore umano

Per un imprenditore la decisione di ritirarsi, di passare la mano non comporta solo problemi fiscali, legali o finanziari, c’è, infatti, una componente emotiva altrettanto importante. L’impresa è il frutto del lavoro di una vita, a volte di più generazioni. È il risultato non solo della creatività imprenditoriale, del coraggio di rischiare e mettersi personalmente in gioco, è anche la testimonianza concreta di una dedizione tenace, di sacrifici e, spesso, di consapevoli rinunce nei momenti difficili. Un impegno costante che porta a identificarsi giorno per giorno e sempre di più con la propria azienda, i collaboratori, i fornitori, i clienti, con il territorio e la comunità locale, attraverso molteplici legami sviluppati e consolidati nel corso del tempo.
Negli imprenditori si radica un gagliardo senso di responsabilità ed è, perciò, inevitabile il timore di non poter garantire una scelta adeguata nell’avvicendamento, di compromettere la visione e il futuro dell’azienda.
La continuità, la crescita e i posti di lavoro, restano gli obiettivi principali anche nella transizione, come ha evidenziato lo studio dell’ottobre scorso sulla “Trasmissione aziendale in Ticino” elaborato dal Gruppo Multi SA. Obiettivi centrali ovviamente anche per chi riprende l’impresa.
In questo passaggio assai complesso sono molteplici le sfaccettature legate al fattore umano, alla proprietà, al management, all’organizzazione interna e alla corretta gestione dei rapporti con i collaboratori, sommate alle diverse problematiche inerenti alle questioni fiscali, legali e finanziarie.
Ma è proprio il fattore umano a risultare spesso decisivo, visto che spesso sono le emozioni a dettare il ritmo delle discussioni, soprattutto se fra familiari. Ad esempio, una delle questioni di attrito è spesso il ruolo in azienda di chi cede l’attività. Può, vuole, deve continuare ad avere un ruolo come consulente o è meglio che lasci campo libero a chi gli succede? Questione che, come molte altre, non ha una risposta univoca né standard ma richiede non di rado periodi lunghi di valutazioni, trattative, ecc. È praticamente imprescindibile, in casi del genere, ricorrere all’aiuto di terzi esterni, che abbiano una visione oggettiva della situazione. Anche perché, ed è abbastanza naturale, chi è direttamente coinvolto tende ad esempio a sovrastimare il valore della propria azienda.

Una scelta difficile

Va detto che l’89% delle 39mila imprese attive in Ticino è costituito da piccole realtà che hanno meno di dieci dipendenti e nelle quali la figura del titolare spesso ha un ruolo dalle molte sfaccettature (competenze tecniche, gestione dell’azienda, acquisizione di clienti, ecc.), il che rende complessa l’operazione di trovare alternative valide che possano garantire una successione indolore. Si potrebbe dire che non è mai troppo presto per pensare a tali questioni, perché indugiare troppo aumenta il rischio di compromettere la continuità aziendale. Va detto però che, rispetto al passato, vi è meno l’aspetto di sottovalutazione del problema, quanto piuttosto la reale mancanza di alternative all’interno della famiglia o all’interno dell’azienda.
In effetti, sino a una ventina di anni fa la trasmissione dell’azienda in famiglia era un processo quasi automatico, poi lentamente è mutato. A partire dal 2010 si è rilevata una discontinuità crescente a continuare l’attività della famiglia da parte dei parenti prossimi, i quali scelgono di intraprendere professioni / carriere che di discostano nettamente da quelle dei genitori.
Il fenomeno rispecchia una chiara tendenza nazionale che fotografa un aumento progressivo delle trasmissioni aziendali come forme miste di proprietà, come operazioni di management buyout o di acquisizione/fusione.
Un orientamento sempre più marcato di cui dovrebbe tener conto l’annunciata revisione cantonale della fiscalità per rimuovere quegli ostacoli, in particolare di natura fiscale, che oggi frenano la cessione agli eredi non diretti o a terze persone, mettendo in pericolo la sopravvivenza dell’impresa stessa.
Una riflessione seria e ancora più pressante se si considera che delle migliaia di aziende ticinesi che nel decennio prossimo dovranno affrontare il ricambio generazionale, una parte consistente non ha in famiglia un possibile successore.

Un correttivo necessario

La società cambia con esigenze e peculiarità in continuo aggiornamento. Le norme tributarie non devono ignorare questo cambiamento che è fisiologico dei tempi.
Non si può più guardare alla successione d’impresa come ad un automatico e usuale passaggio di capitale tra parenti stretti. La possibile assenza di questa opportunità non deve rappresentare una minaccia per la continuità aziendale. Con le norme in vigore oggi, il passaggio del testimone tra eredi diretti non presenta problemi particolari. Diverso a favore di nipoti, affini o terze persone. In questi casi il carico fiscale è talmente gravoso da rendere troppo pesante e/o poco attrattivo accettare la successione o la donazione, con il conseguente rischio di chiusura dell’impresa.
Questo passaggio deve diventare ed essere considerata un’opportunità di rinnovamento imprenditoriale e di salvaguardia dei posti di lavoro, come hanno sottolineato con un’iniziativa parlamentare Cristina Maderni, Gran consigliera e Vicepresidente della Cc-Ti, e il presidente del PLR Alessandro Speziali. I due deputati hanno proposto una riduzione dell’onere fiscale pari al 75%, rispetto al sistema attuale, nei casi in cui la successione avvenga al di fuori della cerchia familiare più stretta.
Un alleggerimento fiscale che renderebbe più attuabile il passaggio a figure in grado di assicurare la prosecuzione dell’impresa, e molto spesso, va sottolineato, si tratta proprio di collaboratori interni o persone già attive nella propria filiera. Che dispongono quindi anche di competenze atte a garantire una nuova fase aziendale. Chi si assume il rischio di proseguire un’attività imprenditoriale, di lavorare per consolidarla e implementarla con nuove idee e progetti, va pertanto incoraggiato e non dissuaso con una fiscalità troppo elevata.
Sarebbe peccato non fare un salto di qualità anche a livello legislativo, perché c’è il concreto rischio di sfilacciare il tessuto economico del Cantone. Aziende sane che spariscono per mancanza di condizioni idonee a una loro ripresa non sono un danno solo per i diretti interessati, ma anche per tutto il territorio, con perdita di know-how, impieghi, gettito fiscale, ricadute sociali, ecc. Pena la perdita di competitività del cantone. Se può essere di “consolazione ”, il problema della continuità aziendale è comune a tutta la Svizzera (e anche a molti paesi europei) e alcuni cantoni si sono già mossi per cercare di rimediare al problema almeno sul piano fiscale. Del resto, la revisione del diritto successorio a livello federale ha già introdotto alcuni elementi di flessibilità che potrebbero essere utili anche in ambito aziendale e altre proposte legislative ancora più mirate sulle imprese sono in fase di elaborazione.

Una strategia di sostegno

Come detto, la trasmissione aziendale è un processo molto articolato, a volte difficoltoso perché presenta problemi diversi non sempre di immediata soluzione. Lo studio del Gruppo Multi, a distanza di dieci anni da un’analoga ricerca, ha confermato, infatti, che ancora oggi una fetta non irrilevante di aziende arriva in ritardo a questo appuntamento: “Il 63% delle imprese con un orizzonte di successione entro i due anni e il 70% di quelle con un orizzonte tra i tre e cinque anni non ha ancora definito una forma di successione, vendita o di liquidazione”.
Tuttavia, va ribadito che, a differenza del passato, vi è meno “impreparazione ” ma una crescente difficoltà a trovare soluzione idonee. Del resto, se la forma della successione in famiglia è tuttora prevalente, essa però è in calo, mentre crescono le modalità di partecipazione da parte di collaboratori interni o la necessità di cercare in acquirenti esterni. Ciò comporta un aumento della necessità di consulenze tecniche puntuali, soprattutto per quel che riguarda gli aspetti legali, fiscali e la quantificazione del valore dell’impresa, operazioni sempre molto complesse e di lunga durata.
Per questo motivo è anche molto importante intervenire già a livello di formazione delle nuove leve, potenzialmente interessate a rilevare un’azienda. Accompagnare queste persone e fornire loro gli strumenti corretti affinché possano essere pronti al momento giusto è fondamentale tanto quanto il sostegno a chi, per scelta o per altri motivi, cede l’azienda. Mira in questa direzione la proposta multidisciplinare dei percorsi formativi della Cc-Ti. Oltre a moduli specifici, il percorso formativo “Specialista della gestione PMI con attestato federale”, ad esempio, prepara chi è già attivo in azienda a riprendere la conduzione di un’impresa di piccola e media grandezza. Interessante è il fatto che attualmente circa il 30% dei partecipanti che frequenta questo corso ha il preciso obiettivo di subentrare alla guida dell’azienda di famiglia oppure di rilevare l’impresa in cui lavora.

Un tema rilevante, al centro di una serie di quattro eventi a cadenza settimanale con inizio il 16 maggio, promossi dalla Cc-Ti in collaborazione con UBS. Testimonianze personali, considerazioni tecniche e riflessioni, aiuteranno a far emergere le principali difficoltà che si presentano al momento di pensare alla continuità dell’azienda. Con l’aiuto degli esperti in materia verranno messe in luce alcune delle tante possibili soluzioni per affrontare questa delicata fase.

Frontalieri e fiscalità

Informazioni importanti

Lo scorso 4 maggio la Camera dei deputati italiana ha approvato l’accordo tra Roma e Berna sulla fiscalità dei frontalieri. 

Il testo ritorna per l’adozione definitiva al Senato.  La procedura di ratifica sta quindi giungendo al termine.  Si concluderà, verosimilmente a breve termine, con lo scambio ufficiale di note diplomatiche tra Svizzera e Italia, attestanti l’avvenuta ratifica. Contemporaneamente sono stati adottati emendamenti sull’imposizione del telelavoro dei frontalieri e sull’eliminazione della Svizzera dalla black list delle persone fisiche. Anche su questo fronte entreranno quindi in vigore, al termine dell’iter parlamentare, importanti modifiche.  Sarà nostra premura informarvi al riguardo in modo tempestivo.

Come vi abbiamo recentemente già comunicato il nuovo accordo fiscale introduce un sistema di imposizione dei frontalieri differente. I frontalieri verranno suddivisi in attuali e nuovi. Ai frontalieri attuali continuerà ad applicarsi il sistema fiscale che conosciamo oggi, ossia una tassazione esclusiva in Svizzera (alla fonte), con il riversamento all’Italia dei cosiddetti ristorni da parte delle autorità fiscali elvetiche. Per contro i nuovi frontalieri oltre all’imposizione in Svizzera, diventeranno soggetti fiscali anche in Italia, e avranno pertanto a loro carico un’imposizione fiscale accresciuta.

Sono considerati frontalieri attuali ai sensi del nuovo Accordo le persone che alla data della ratifica svolgono oppure che tra il 31 dicembre 2018 e la data della ratifica hanno svolto un’attività di lavoro dipendente nell’area di frontiera.

Il nuovo accordo verrà applicato dal 1° gennaio 2024. Ma attenzione, già la conclusione della procedura di ratifica, che avverrà con la comunicazione ufficiale da parte italiana alla Svizzera, implica però degli effetti nel 2023.

Infatti, tutti i frontalieri che inoltreranno una richiesta di permesso in Svizzera e che si annunceranno all’autorità fiscale ticinese dopo tale data saranno considerati “nuovi frontalieri” e quindi, da gennaio 2024, saranno imposti fiscalmente secondo il nuovo sistema. In altre parole, la conclusione della procedura di ratifica nel 2023 sarà già concretamente determinante per la definizione dei “nuovi frontalieri”.

Rendiamo quindi attenti che per poter beneficiare del periodo transitorio riservato ai cosiddetti frontalieri attuali i datori di lavoro e i collaboratori devono inoltrare la richiesta di permesso  G prima della conclusione della procedura di ratifica che, come indicato, si trova attualmente  in dirittura di arrivo.






EAU: imposta sull’utile delle società dal 01.06.2023

Con l’esercizio finanziario che inizierà il 1° giugno 2023, per la prima volta le società degli Emirati Arabi Uniti (EAU) saranno tenute a pagare l’imposta sull’utile.

Il 9 dicembre 2022, il Ministero delle Finanze degli EAU ha pubblicato il Federal Decree-Law No. 47 of 2022 on the Taxation of Corporations and Businesses (pdf) introducendo per la prima volta un’imposta federale sull’utile delle persone giuridiche: essa entrerà in vigore per gli esercizi finanziari a partire dal 1° giugno 2023 (dal 1° gennaio 2024 per chi segue l’anno solare). La legge è stata integrata da 158 domande frequenti.

In sostanza, a partire giugno, le aziende emiratine e le società straniere con una stabile organizzazione negli EAU (es. una sede, una filiale o un ufficio) e con un reddito imponibile superiore a 375’000 AED (circa 95’000 EUR / 100’000 CHF) dovranno pagare un’aliquota base dell’imposta sull’utile del 9%. Per supportare le piccole imprese e le start-up, il reddito imponibile al di sotto di questa soglia sarà invece soggetto a un’aliquota dello 0%.

Il decreto-legge introduce anche il concetto di “Qualifying Free Zone Person” (QFZP), definito in senso lato come una società o una filiale registrata in una zona franca che, benché assoggettata alla corporate tax potrà beneficiare di un’aliquota dello 0% sui redditi cosiddetti “qualificati”.

La nuova imposta non si applicherà invece alle imprese che operano nell’estrazione di risorse naturali, alle entità governative e paragovernative, così come a enti di pubblica utilità o di beneficienza, fondi pensioni e fondi di investimento qualificati.

Ulteriori informazioni:

Corporate Tax​ – Ministry of Finance – United Arab Emirates (mof.gov.ae)

Explanatory Guide for Federal Decree-Law – Ministry of Finance – United Arab Emirates (mof.gov.ae)

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Dieci domande e risposte sulle auto elettriche

Marco Doninelli, Responsabile mobilità Cc-Ti

Ci sono molti pregiudizi nelle discussioni sulle auto elettriche. Dieci domande che gli interessati all’acquisto di una BEV (Battery Electric Vehicle) sottopongono spesso ai venditori d’auto con le relative risposte che ricevono.

Perché sempre più fabbricanti d’auto concentrano la produzione solo su automobili a trazione elettrica?

Le auto elettriche sono più efficienti: qualsiasi sia la fonte di produzione dell’elettricità, queste la sfruttano in modo più efficiente. Durante l’uso su strada non generano emissioni nocive migliorando così il bilancio del carbonio e contribuiscono a rispettare i limiti di legge in materia di produzione di CO2. Nei diversi studi condotti, viene messo in dubbio che considerando la produzione delle batterie e la produzione di energia elettrica tramite centrali a carbone, sull’arco di tutta la vita dell’automobile questa sia effettivamente più ecologica di un’automobile con motore a combustione. Tuttavia, considerando il mix di produzione dell’elettricità più verde come quello del nostro paese, risultano senza dubbio più ecosostenibili.

Si sente sempre più parlare di possibili, o meglio probabili, blackout elettrici. Le auto a trazione elettrica contribuiscono a peggiorare la situazione?

È molto improbabile. Secondo l’Ufficio federale dell’energia (UFE), nel 2021 in Svizzera, il fabbisogno di energia elettrica per le auto elettriche corrispondeva unicamente allo 0,4% del fabbisogno complessivo nazionale. Considerando scenari futuri, con incrementi del consumo di elettricità per la mobilità elettrica di oltre un terzo, ipotizzando cioè che tutte le auto saranno elettriche, secondo i fornitori di energia svizzeri il fabbisogno globale di elettricità aumenterebbe unicamente del 10-20%.

Le auto elettriche sono maggiormente soggette al rischio d’incendio?

Assolutamente no. Purtroppo, alcuni media denunciano che le auto elettriche bruciano con maggiore frequenza rispetto alle auto tradizionali. Questa affermazione non è corretta, anzi possiamo tranquillamente affermare, in base a diversi studi, che questo succede assai raramente. Una cosa è invece corretta: l’incendio di un’auto elettrica, in particolare della batteria, è più difficile da domare. Un altro mito da sfatare è quello delle esplosioni di batterie in stile Hollywoodiano, pura fantascienza.

Se dovessi trovarmi con la mia auto elettrica in un ingorgo per diverso tempo utilizzando il riscaldamento dell’abitacolo, rischio di rimanere con la batteria completamente scarica?

No. In inverno, un’auto elettrica ferma in colonna consuma da 0,5 a 3,0 kWh per il riscaldamento, un’auto con motore a combustione da 0,5 a 1,5 litri all’ora di carburante. Un’auto con motore a combustione potrebbe quindi riscaldare per 20-60 ore considerando un serbatoio da 60 litri pieno a metà. Un’auto elettrica per 10-60 ore (vale a dire più o meno lo stesso periodo di tempo) con una batteria da 60 kWh carica a metà.

L’autonomia e la disponibilità di colonnine di ricarica non sono sufficienti?

Istintivamente verrebbe da dire di no, obiettivamente invece assolutamente sì. L’autonomia cresce costantemente in maniera positiva: oggi vanta tra i 300 e i 500 chilometri, a volte anche di più. Consideriamo comunque che in Svizzera la percorrenza media giornaliera è di 32 chilometri, quindi nettamente inferiore all’autonomia consentita. Per quello che riguarda le stazioni di ricarica oggi se ne contano ben 7’000 in Svizzera delle quali 600 sono a carica rapida. Comunque, la rete di ricarica va ampliata ulteriormente ed è quanto si sta facendo.

Quali sono i costi di gestione di un’auto elettrica?

Questi dipendono essenzialmente dalla fonte di approvvigionamento dell’energia elettrica per la ricarica e dalla tariffa di acquisto della stessa oggi e in futuro con i probabili aumenti di costo che si prospettano. Anche la scelta di caricare le batterie durante il giorno con la tariffa più alta o durante la notte con la tariffa più bassa e la fonte di provenienza della stessa mista o verde, hanno un’influenza sui costi. Attualmente la ricarica notturna a casa costa da tre a sei franchi per una percorrenza di 100 chilometri, questo considerando anche le perdite in fase di ricarica. Usufruendo di stazioni di ricarica rapida a corrente continua, una ricarica per la stessa percorrenza può costare quanto un pieno di benzina. Per compensare poi il costo superiore di un’auto elettrica rispetto a un’auto a benzina, è necessario ammortizzarlo con l’utilizzo su più anni. Oggi giorno però alcuni modelli di auto elettrica sono già più a buon mercato di modelli analoghi con potenti motore a combustione. In questo caso i costi “supplementari” della mobilità elettrica risultano notevolmente inferiori.

Le materie prime necessarie per la fabbricazione delle batterie sono scarse (terre rare) e a volte la loro estrazione avviene in condizioni disumane, è vero?

Contrariamente a quanto si crede, le terre rare non sono né così rare né indispensabili per la fabbricazione di una batteria. Nei motori elettrici queste sono effettivamente presenti, ma si cerca sempre più di sostituirle con altri materiali. Il litio, è vero, rischia di scarseggiare perché è difficile da estrarre. In questo caso l’UE, entro il 2030, punta compensare il 30% di quello estratto con il riciclo dalle batterie esauste. In molti Paesi, compreso il nostro, sono in fase di sperimentazione impianti pilota per il riciclo delle batterie per l’autotrazione.

Purtroppo, invece, il cobalto, ad esempio, che proviene dal Congo presenta una situazione socialmente delicata. Questo nonostante l’importante lavoro profuso per delle catene di approvvigionamento “sostenibili”. È anche probabile che la situazione rimanga complicata anche in futuro.

Quanto costa una wall-box (stazione di ricarica) per la ricarica domestica di auto elettriche?

Se per le auto ibride plug-in (auto ibride con possibilità di ricarica della batteria tramite presa di corrente) è possibile, in caso di necessità, utilizzare una presa domestica, per le auto totalmente elettriche è indispensabile avere a disposizione una wall-box montata a parete e collegata tramite un impianto elettrico specifico. Questo a causa dei consumi elevati di corrente, prolungati nel tempo e della potenza richiesta maggiore (protezione antincendio). Queste installazioni non sono sempre possibili per gli inquilini di un condominio che non ricevono il permesso da parte dei proprietari degli immobili di modificare l’impianto elettrico dello stabile. Le case automobilistiche, i fornitori di energia elettrica e altri operatori del settore, offrono diversi generi di wall-box con costi che variano da alcune centinaia fino a poche migliaia di franchi. A questi vanno poi aggiunti i costi di installazione, che possono variare a seconda delle modifiche necessarie all’impianto elettrico di casa, da 1’500 a 3.500 franchi.

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi delle auto elettriche che normalmente non vengono considerati?

L’assenza del cambio marcia e di rumore del motore, la notevole coppia motrice che spinge fin da subito in maniera importante e decisa, fanno sì che le auto elettriche siano più fluide, silenziose e veloci. Per queste auto poi, in estate o in inverno, l’abitacolo può essere raffreddato o riscaldato a distanza e preventivamente con l’ausilio di un’app installata sul proprio cellulare. Per contro, un punto a sfavore delle auto elettriche è che in inverno, a causa dell’utilizzo del riscaldamento e delle basse temperature esterne l’autonomia effettiva diminuisce di circa il 15-35%. Questa situazione tende però a migliorare con i miglioramenti tecnologici.

Devo preoccuparmi che la tendenza verso una mobilità totalmente elettrica possa invertirsi?

La probabilità è assai remota. La benzina, il gasolio e il gas rimarranno probabilmente preponderanti più a lungo del previsto a causa dell’evoluzione della situazione energetica, ma i carburanti sintetici (e-fuel) potrebbero essere la via da seguire per rendere il parco veicoli circolante più rispettoso dell’ambiente. Ci sarà poi anche l’idrogeno. In ogni caso, nei prossimi anni la maggior parte delle nuove auto immatricolate sarà alimentata ad energia elettrica con batteria. Questo anche perché i legislatori e le case automobilistiche europee guardano al 2035.