Fiscalità: numeri e fatti

Con questo ritmo di spesa è evidente che non ci sono imposte e tasse che bastano

La realtà economica e sociale subisce cambiamenti sempre più veloci e non solo a causa di eventi eccezionali come la pandemia. La fiscalità non fa eccezione, visto che essa deve, o dovrebbe, adattarsi all’evoluzione del contesto generale. Tuttavia, la discussione concernente le imposte (e, in parte, anche le tasse) è spesso bloccata da confronti più di stampo ideologico che concreto e pragmatico, il che ovviamente non facilita le riforme. Anche nella nostra realtà cantonale il tema appare spesso come un tabù, sul quale scontrarsi più che confrontarsi. Peccato, perché si perdono molte occasioni favorevoli di mantenere attrattivo il nostro territorio, con benefici per tutta la popolazione. Non è quindi purtroppo un caso se il Ticino oggi, nel confronto intercantonale, occupa una posizione decisamente scomoda, collocandosi fra i cantoni più esosi e meno concorrenziali per l’imposizione sulle imprese e gli alti redditi delle persone fisiche. Non a caso, è molto attesa e di fondamentale importanza la scadenza del 2025, quando l’aliquota sugli utili delle persone giuridiche dovrebbe scendere dall’8% al 5,5%, secondo quanto già deciso dal popolo.

Cristina Maderni, Vicepresidente Cc-Ti

Mutamenti rapidi del contesto nazionale e internazionale per l’imposizione delle aziende

Il Ticino, fino alla metà degli anni Novanta, “vantava” un peso fiscale
su cittadine e cittadini e aziende ben al di sopra della media nazionale.
La tendenza è stata invertita, arrivando a competere con cantoni come Zugo e Svitto. Con una fiscalità più equa, si era arrivati a pagare il 36,7% in meno d’imposte rispetto alla media nazionale. Poi altri cantoni si sono mossi più rapidamente, non in una corsa al ribasso, ma all’efficienza. Tanto che il nostro sistema fiscale cantonale ha vieppiù perso attrattività, come evidenziato da un’analisi, riferita al 2021, del Centro di competenza tributarie della SUPSI. Che ha messo in evidenza come il nostro ordinamento tributario sia rimasto fermo al palo, non più in grado di stare al passo con la concorrenza degli altri Cantoni.

Per le aziende ci ritroviamo al 24esimo posto e malgrado la diminuzione dell’aliquota sull’utile dal 9% all’8%, in vigore dal 2020, nella graduatoria generale la posizione del Ticino non è migliorata, poiché quasi tutti gli altri Cantoni nel frattempo hanno messo in campo nuove riforme. Nel 2025, quando l’aliquota sarà abbassata al 5,5%, saremo solo attorno al ventesimo posto, restando di fatto tra le regioni fiscalmente poco attrattive. Né va dimenticato che questo abbassamento di aliquota è stato accompagnato da nuovi prelievi sociali sulle aziende. Del resto, secondo un recente report della società di consulenza KPMG, nel 2022 con un tasso del 19,2% il Ticino è, assieme a Berna (21%) e Zurigo (19,7%), tra i Cantoni che tassano maggiormente le aziende; mentre Zugo (11,9%), Nidvaldo (12%) e Lucerna (12,2%) sono quelli dove si registra l’imposizione più bassa, senza che questi abbiano a registrare sconquassi sociali.

Questo è anche il risultato di discussioni troppo ideologizzate, poco aderenti ai fatti. In altri Paesi e in alcuni Cantoni anche gli schieramenti meno inclini alle riduzioni di imposte hanno spesso sostenuto una fiscalità meno oppressiva. Staccandosi quindi dal dogma degli alleggerimenti fiscali che arricchiscono le imprese e svuotano le casse dello Stato. Per confutare tale tesi, basta considerare persino i più decisi tagli alle imposte fatti in passato in Ticino, che pur riducendo la pressione fiscale mediamente del 30%, innescarono un aumento del gettito delle persone giuridiche del 39%.

Andrea Gehri, Presidente Cc-Ti

Persone fisiche e alti redditi

Per le persone fisiche veleggiamo a metà classifica nel contesto nazionale, ma solo come media. Sui redditi alti siamo assai poco attrattivi, visto che per questa categoria ci attestiamo al 22° posto della classifica intercantonale, tenendo conto dell’imposizione comunale e cantonale. Considerando anche l’imposta federale diretta, il prelievo fiscale massimo in Ticino ascende al 40.6%, quasi il doppio di quello di Zugo (22.4%) e poco lontano dal cantone più esoso, cioè Ginevra (45%). Questo elemento concernente le persone fisiche più abbienti, non necessariamente milionari, va visto anche nell’ottica dell’imminente voto del prossimo mese di giugno, quando saremo chiamati ad approvare il nuovo sistema fiscale voluto a livello internazionale che prevede un’aliquota minima del 15% per le imprese. Il Ticino, con la parte di revisione del sistema fiscale che entrerà definitivamente in vigore nel 2025 sarà allineato su questo livello. Ma quale è il nesso con le persone definite “facoltose”? Semplice, con una parziale armonizzazione delle aliquote fiscali, la concorrenza fiscale si sposterà almeno in parte sulle aliquote delle persone fisiche, in altre parole soprattutto su imprenditori e dirigenti con redditi alti e medio alti. Un’imposizione pesante su queste figure, che già oggi tendono a lasciare il Ticino verso altri cantoni più attrattivi, ha indubbiamente un effetto dissuasivo anche per l’insediamento o la permanenza di imprese dirette o gestite da dirigenti e manager con qualifiche e stipendi elevati. Parliamo anche di imprenditori e manager ticinesi, non solo stranieri. Il rischio non solo di perdita di entrate fiscali, ma anche di impoverimento del tessuto economico è concreto.

Chi svuota davvero le casse del Cantone

L’evoluzione dell’onere fiscale e del gettito sull’arco dell’ultimo quindicennio indica che a svuotare le casse cantonali non sono le riforme fiscali, ma soprattutto l’aumento della spesa pubblica, balzata dai 2’893 milioni spesi nel 2006 ai 4’218 milioni del 2021. Con questo ritmo di spesa è evidente che non ci sono imposte e tasse che bastano. Del resto, rispetto alla fine degli anni ’90, il gettito annuale è aumentato di 439 milioni. Il che smentisce il mantra degli sgravi che avrebbero dissanguato l’erario, quando in realtà hanno fatto crescere, e non diminuire, il gettito fiscale.

Dal 2005 al 2019 le imposte prelevate dal Cantone sulle persone fisiche sono cresciute del 52%, quelle sulle persone giuridiche del 37%, mentre le tasse hanno registrato un’impennata del 45%. Un carico fiscale che ha impoverito i cittadini e sottratto sostanziose risorse alle imprese. Quello delle tasse è un tema che
purtroppo nel dibattito sul carico fiscale resta solitamente sottotraccia e che meriterebbe invece più attenzione, vista la crescita esponenziale delle tasse esistenti e la creazione di nuovi balzelli. Nel 2005 le tasse fruttavano alle casse cantonali 190 milioni e nel 2019 si è passati a circa 270 milioni.


Il valore in dogana: come determinarlo

Tra gli elementi essenziali della dichiarazione doganale, oltre alla classificazione doganale della merce e alla sua origine, figura anche il suo valore in dogana. Una valutazione errata del valore doganale può infatti comportare conseguenze sia sotto il profilo tributario sia sotto il profilo commerciale.

Per “valore in dogana” delle merci si intende il valore attribuito alle merci all’atto dell’importazione, al fine di applicare i dazi (da cui il termine dazi ad valorem). Tale valore costituisce anche la base per il calcolo dell’imposta all’importazione (generalmente: l’IVA) e di altri tributi, così come per la compilazione delle statistiche del commercio estero. Una valutazione non corretta del valore doganale delle merci può esporre l’azienda al pagamento di differenze daziarie, di quelle degli altri tributi e persino a sanzioni, così come a errori di valutazione in merito alle effettive opportunità di approvvigionamento dall’estero.

Salvo altre modalità di misura prescritte, in Svizzera le merci sono generalmente tassate secondo il peso lordo (cfr. art. 2 della Legge sulla tariffa delle dogane, LTD). Pertanto, se il valore in dogana delle merci è irrilevante dal profilo daziario (a maggior ragione per i prodotti industriali con l’abolizione dei dazi all’importazione dal 01.01.2024), tale valore resta invece importante sia per il calcolo dell’IVA e degli altri tributi sia a livello statistico.

Come determinare il valore in dogana?

La legislazione sul valore in dogana si basa sull’art. VII dell’Accordo sul valore in dogana dell’OMC e prevede i seguenti metodi di valutazione, applicabili in modo gerarchico, ossia per esclusione del metodo precedente:

  1. metodo del valore di transazione, dove con “valore di transazione” si intende il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci all’atto della vendita per l’esportazione nel paese d’importazione (cfr. art. 1 dell’Allegato 1A.9 all’Accordo che istituisce l’OMC);
  2. metodo del valore di transazione di merci identiche (cfr. art. 2);
  3. metodo del valore di transazione di merci simili (cfr. art. 3);
  4. metodo del valore dedotto, ovvero del valore basato sul prezzo unitario al quale le merci importate (o merci identiche o simili importate) sono vendute nel quantitativo complessivo maggiore a compratori non collegati ai venditori, previa deduzione dei costi aggiuntivi sostenuti per la commercializzazione (commissioni dovute o margini di utile, spese di trasporto o di assicurazione, spese di sdoganamento compresi i tributi, cfr. art. 5);
  5. metodo del valore calcolato (o ricostruito): il valore in dogana viene “ricostruito” sommando il costo o il valore delle materie prime utilizzate e dei processi di fabbricazione o di altre lavorazioni, gli utili e le spese generali (uguali a quelli solitamente presi in considerazione in analoghe condizioni di mercato), del costo o del valore di qualsiasi altra spesa (cfr. art. 6). Nota: su richiesta dell’importatore, l’ordine di applicazione degli art. 5 e 6 può eventualmente essere invertito (cfr. art. 4);
  6. metodo del valore determinato ricorrendo a mezzi ragionevoli e sulla base dei dati disponibili: questo metodo è da utilizzarsi come extrema ratio, ovvero quando non è possibile terminare il valore in dogana con nessuno dei metodi precedenti e quindi ci si basa sui dati esistenti e riscontrabili oggettivamente.

Ulteriori link utili:
Base di calcolo doganale (admin.ch)
WTO | Customs valuation gateway

Emirati Arabi Uniti: nuova procedura di legalizzazione fatture online

Gli Emirati Arabi Uniti introducono un nuovo sistema per l’attestazione elettronica delle fatture commerciali di importazione.

A partire dal 1° marzo 2023, le fatture di importazione di valore pari o superiore a AED 10’000 (ca. CHF 2’500) devono essere attestate dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale degli Emirati Arabi Uniti (MoFAIC) tramite il sistema eDAS, a cui è necessario registrarsi e dove è altresì possibile scaricare un manuale in formato PDF. L’“electronic attestation reference number” (numero di riferimento eDAS) così generato deve in seguito essere inserito nella dichiarazione doganale di importazione.

La fattura legalizzata dalla propria Camera di commercio (nel caso specifico: la Cc-Ti) e il certificato d’origine possono essere caricati al momento dell’arrivo della merce in dogana e in fase di dichiarazione doganale. Il MoFAIC riscuote una commissione di AED 150 (ca. CHF 37.50) per ogni fattura commerciale del valore uguale o superiore all’importo sopra indicato.

L’attestazione elettronica tramite eDAS va a sostituire quelle della Camera di commercio arabo-svizzera (CASCI) e della rappresentanza ufficiale emiratina in Svizzera.

Sono esentate dalla procedura le importazioni di beni di valore inferiore a AED 10’000, le importazioni personali, quelle provenienti da Paesi del GCC e quelle a destinazione di una zona franca, così come le merci in transito, gli invii e-commerce B2C e le importazioni diplomatiche, militari, di NGO e di organizzazioni internazionali.

La nuova procedura è già operativa a Dubai e sarà presto integrata nel sistema doganale degli altri emirati, tra cui Abu Dhabi, Sharjah e RAK.

Altri link utili:
Customs Notice No. 11/2022 (Dogana di Dubai)

Fonte: IHK Bonn/Rhein-Sieg; adattamento: Servizio Commercio Internazionale Cc-Ti

La nuova GMDSI a difesa della Svizzera italiana nelle comande militari

Si è presentata in data 13 febbraio 2023 ai media la neonata associazione “Gruppo materiale difesa e sicurezza della Svizzera italiana (GMDSI)”.

Associazione senza scopo di lucro, il GDMSI si propone di unire le forze dell’industria ticinese attiva in questo settore, per rafforzarne l’immagine, difenderne gli interessi presso le istituzioni e promuoverne la partecipazione alle operazioni di compensazione (i cosiddetti “offset”) degli acquisti militari svizzeri.

Come noto infatti, per ogni grande acquisto di nuovi sistemi d’arma esteri (in particolare di questi tempi nell’aviazione e nella difesa contraerea) i contratti prevedono degli acquisti di compensazione in Svizzera (sia diretti che indiretti, ovvero materiale militare, duale o anche puramente civile) che per legge devono essere ripartiti equamente fra le regioni linguistiche del paese.

Le aziende della Svizzera italiana, tuttavia, o non partecipano alle gare perché poco informate, o vengono regolarmente dimenticate da Berna in questa ripartizione, benché la relativa legge federale preveda che di regola il 5% della spesa debba giungere nella nostra regione.

Per questo motivo, un primo gruppo di aziende si è riunito in un comitato promotore che ha lanciato la neonata associazione, auspicando che nei prossimi mesi parecchie altre aziende interessate si uniscano a questo progetto.

Obiettivo primo è quello della circolazione dell’informazione – tutti i soci devono essere costantemente al corrente di quanto bolle in pentola in questo settore – del sostegno tecnico nelle gare di appalti e del lobbying presso le istituzioni nazionali.

Presieduto dall’on. Filippo Lombardi, il GMDSI può contare sull’appoggio del Dipartimento delle Istituzioni del Cantone Ticino, il cui sostegno è stato espresso in Conferenza stampa dal direttore On. Norman Gobbi, e della Camera di Commercio Cantone Ticino, per la quale ha preso la parola il direttore Luca Albertoni. Il segretario generale dell’Associazione è assunto dalla Swiss Communication Agency, nella persona della sig.ra Maria Luisa Bernini.

L’obiettivo è chiaro: unire gli sforzi per portare in Svizzera italiana contratti di fornitura, difendendo le capacità tecnologiche e soprattutto i posti di lavoro della regione.


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Inchiesta tematica di formazione nella logistica

La Cc-Ti si impegna, da sempre, nell’ambito della formazione.

La logistica è un tema molto importante per le aziende e stiamo pensando di ampliare la nostra offerta formativa di lunga durata su questo tema.

Tramite questo link potete accedere a un’inchiesta per l’identificazione delle esigenze e necessità presenti nel settore della logistica. Il sondaggio durerà al massimo 2-3 minuti. Saremmo lieti di ricevere un vostro riscontro entro fine febbraio 2023.

Stati Uniti: nuova normativa sui cosmetici

Il 29 dicembre 2022 è stato approvato il Modernization of Cosmetics Regulation Act of 2022 (MoCRA), che modifica in modo significativo l’attuale quadro normativo relativo ai cosmetici negli Stati Uniti: l’industria del settore è chiamata a prepararsi allo sviluppo di sistemi di farmacovigilanza, alla registrazione dei propri stabilimenti e prodotti, alle buone pratiche di fabbricazione e alla nuova autorità di richiamo obbligatorio.

Il Modernization of Cosmetics Regulation Act of 2022 (MoCRA), firmato dal Presidente Biden il 29 dicembre 2022, è la prima modifica della legislazione statunitense sui cosmetici effettuata a livello federale dal 1938 e allinea i cosmetici agli altri prodotti di consumo regolamentati dalla Food and Drug Administration (FDA). Le aziende cosmetiche sono assoggettate ai requisiti di registrazione degli stabilimenti produttivi e dei prodotti, alla segnalazione e alla registrazione di reazioni avverse gravi subite dai consumatori, alle buone pratiche di fabbricazione (GMP) e alla tenuta dei registri e delle prove di sicurezza. Inoltre, il MoCRA conferisce alla FDA l’autorità di ordinare un richiamo obbligatorio di un prodotto cosmetico e di sospendere la registrazione di uno stabilimento se li ritiene connessi con gravi problemi di salute.

Di seguito, e in breve, i nuovi obblighi:

  • Gli stabilimenti coinvolti nella fabbricazione o nella lavorazione di cosmetici distribuiti negli Stati Uniti devono essere registrati presso la FDA entro il 29 dicembre 2023. Per i nuovi stabilimenti vige la regola dei 60 giorni dall’inizio dell’attività. La registrazione deve essere rinnovata ogni due anni. Gli stabilimenti esteri devono avere un agente americano. Sono esentati dall’obbligo di registrazione gli stabilimenti che si limitano a etichettare, confezionare, immagazzinare o distribuire prodotti cosmetici, gli stabilimenti che producono ingredienti ma non prodotti finiti e gli stabilimenti utilizzati esclusivamente per scopi di ricerca e valutazione dei prodotti.
  • Entro il 29 dicembre 2023 la cosiddetta “responsible person” – ovvero il produttore, confezionatore o distributore il cui nome compare sull’etichetta del prodotto cosmetico – deve presentare alla FDA un elenco dei cosmetici già in commercio, compresi i suoi ingredienti (entro 120 giorni per i cosmetici commercializzati dopo tale data). L’elenco dei prodotti deve essere aggiornato annualmente.
  • La persona responsabile deve notificare alla FDA ogni reazione avversa grave collegata con l’utilizzo di un prodotto cosmetico negli Stati Uniti entro 15 giorni dal ricevimento della relativa segnalazione. È altresì tenuta a conservare ogni dossier relativo a dichiarazioni di reazione avversa per 6 anni, o 3 anni per le piccole imprese non coinvolte nella produzione o lavorazione di prodotti cosmetici.
  • La persona responsabile è tenuta a conservare i registri che attestano la sicurezza di un prodotto cosmetico con “prove adeguate”. I prodotti cosmetici che non dispongono di adeguate prove di sicurezza saranno considerati adulterati.
  • Il MoCRA introduce modifiche all’etichettatura dei prodotti: l’etichetta dovrà includere le coordinate della persona responsabile (a cui segnalare reazioni avverse), gli allergeni dei profumi, l’eventuale uso professionale.
  • La FDA è chiamata a stabilire buone pratiche di fabbricazione (GMP) per proteggere la salute pubblica e garantire che i prodotti cosmetici non siano adulterati. Una proposta di regolamentazione in tal senso dovrà essere pubblicata entro dicembre 2024, norme definitive dovranno seguire entro dicembre 2025.
  • Se la FDA ritiene che il prodotto cosmetico sia stato adulterato o sia etichettato in modo errato e che il suo utilizzo possa provocare gravi conseguenze per la salute dei consumatori, potrà richiedere alla persona responsabile un richiamo volontario del prodotto. Se la persona responsabile non vi dà seguito, la FDA può ordinare un richiamo obbligatorio. La FDA è altresì autorizzata a sospendere la registrazione di uno stabilimento.

Link utili:
Modernization of Cosmetics Regulation Act of 2022 (MoCRA), sottotitolo E “Cosmetics”, sezione 3501 e ss.

Nuove regole per l’export di alimenti in India

L’India richiede la registrazione obbligatoria degli stabilimenti alimentari stranieri per l’importazione di alcune categorie di alimenti e posticipa l’introduzione dei certificati sanitari.

A partire dal 1° febbraio 2023, i produttori stranieri di alimenti che esportano i seguenti prodotti in India devono di registrare i propri stabilimenti presso la Food Safety and Standards Authority of India (FSSAI):

  • latte e prodotti lattiero-caseari
  • carne e prodotti a base di carne, compresi pollame, pesce e loro prodotti
  • polvere d’uovo
  • alimenti per bambini
  • nutraceutici.

A tale scopo, devono compilare il modulo di registrazione (documento Word) messo a disposizione dall’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria (USAV) e inviarlo all’autorità cantonale competente (Canton Ticino: Laboratorio cantonale), che procederà con la vidimazione e l’inoltro alle autorità svizzere e indiane di riferimento.

Si segnala inoltre che l’obbligo di utilizzo dei nuovi modelli di certificato sanitario per i prodotti animali, inizialmente previsto per il 1° gennaio 2023, è stato posticipato al 1° marzo 2023. L’esportazione di prodotti lattiero-caseari con il vecchio certificato M-2013-02 è possibile fino al 1° marzo 2023.

Link utili:
Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria (USAV): documenti relativi all’esportazione
Piattaforma per le esportazioni agricole PAE/PEA: India (FR/DE)

Da complicato a complesso: il contesto internazionale è sempre più impegnativo

Le aziende che operano a livello internazionale navigano sempre più in un labirinto di accordi commerciali, formalità amministrative e doganali, guerre commerciali, sanzioni e controlli delle esportazioni nonché di nuove e sempre più stringenti normative in ambito ESG (ovvero le questioni ambientali, sociali e di governance). Far fronte a queste sfide crescenti richiede notevoli risorse e competenze, ma le aziende del territorio possono contare sul supporto della Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino (Cc-Ti).

La Svizzera, si sa, ha concluso numerosi accordi di libero scambio grazie ai quali le PMI che operano a livello internazionale hanno l’opportunità di accedere ai mercati esteri o di importare beni strumentali e/o fattori produttivi a costi inferiori, ricavandone così un vantaggio competitivo. A causa della complessità degli accordi e della mancanza di coerenza delle norme, lo sgravio dai costi è però associato anche ad un elevato onere amministrativo sia per comprendere ed applicare correttamente le varie disposizioni e procedure sia per espletare, altrettanto correttamente, le formalità doganali.

I beni da immettere sui mercati esteri devono anche soddisfare vari requisiti amministrativi e tecnici, tra cui test e certificazioni, che possono variare da un Paese all’altro. Talvolta queste misure diventano delle vere e proprie barriere commerciali, con conseguente ulteriore onere burocratico e aumento dei costi di produzione e del tempo necessario per portare i prodotti sul mercato. Le procedure d’importazione nel Paese target si fanno sempre più complesse e sono talvolta legate a specifiche modalità di pagamento definite dai governi stessi. È il caso ad esempio delle disposizioni attuate di recente da Egitto e Argentina a causa della grave carenza di valuta estera: nel 2022, e per ben nove mesi, il primo ha imposto l’obbligo di utilizzo di lettere di credito per finanziare forniture superiori ai 5’000 dollari, con conseguente aumento dei costi di gestione delle pratiche e ritardi nello sdoganamento degli invii; di recente la seconda ha invece introdotto un sistema (tuttora in vigore) di monitoraggio e rilascio di licenze all’importazione legato ad autorizzazioni di pagamento delle fatture estere rispettivamente all’accesso al mercato dei cambi per pagamenti in valuta estera. In casi come questi, alle oggettive difficoltà che all’atto pratico le aziende si trovano a dover affrontare, si inserisce spesso la mancanza di informazioni chiare, affidabili e aggiornate sulle nuove misure introdotte dai vari Paesi e la complessità nel reperirle.

Un’altra tematica che occupa e preoccupa sempre più le aziende è quella del controllo delle esportazioni, volto ad impedire non solo la proliferazione di materiale di armamento e di beni a duplice impiego, ma anche di tecnologie critiche. Il tema è stato portato alla ribalta dall’attuazione di vari regimi sanzionatori nei confronti della Russia, alcuni dei quali anche di natura extra-territoriale, e dalla cosiddetta “guerra dei chip” tra Stati Uniti e Cina. Nel primo caso, i regimi sanzionatori diversi pongono sfide e rischi non facili da affrontare per le nostre imprese, che si devono interfacciare con la normativa straniera per comprenderne gli impatti ed evitare rischi e conseguenze dagli effetti anche devastanti. Nel secondo caso, invece, l’intensificarsi della competizione tra Stati Uniti e Cina per la supremazia tecnologica espone le catene di approvvigionamento a scosse create da restrizioni alle esportazioni e da altre barriere non tariffarie attuate da entrambe le Nazioni. Le imprese non possono rinunciare all’accesso a questi mercati strategici, ma il progressivo disaccoppiamento tra i due Stati mette in discussione i loro modelli di sviluppo, costringendole ad attuare ed effettuare controlli all’esportazione nonché a segmentare la propria offerta e i propri processi. In questo caso non si tratta più solo di decidere se operare in un Paese piuttosto che nell’altro, ma di come operare in un Paese affinché non vi siano riscontri negativi nell’altro.

Da ultimo, ma non meno importante, le aziende sono chiamate anche a conformarsi a nuove e complesse normative ambientali e sociali sui prodotti che fabbricano e acquistano e che, talvolta, richiedono la creazione di sistemi per la tracciabilità delle merci. È il caso, ad esempio, delle nuove normative sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio entrati recentemente in vigore in diversi Paesi europei o anche della cosiddetta “carbon tax alla frontiera”, che l’Unione europea introdurrà ad ottobre 2023 e che imporrà alle aziende di documentare, comunicare e, se del caso, pagare una carbon tax sulle emissioni di gas serra associate a diverse tipologie di merci energivore e inquinanti introdotte nel mercato unionale.

In sostanza, ogni Paese in cui un’azienda opera rappresenta un rischio di compliance: leggi e regolamenti vengono modificati anche con breve preavviso e con poca o nessuna notifica, nonché con ammende in caso di mancata conformità. A fronte di tale complessità, solo chi padroneggia le regole del commercio internazionale, si informa adeguatamente e adatta rapidamente la propria strategia può ottenere un prezioso vantaggio strategico e competitivo rispetto alla concorrenza. È qui che si inserisce la Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino: con i suoi servizi di informazione puntuale, consulenza mirata, formazione ed eventi nei vari ambiti del commercio con estero, la Cc-Ti è partner e interlocutore privilegiato delle aziende del territorio ad essa associate.

Frontalieri e fiscalità-1° febbraio 2023

IMPORTANTE INFORMATIVA

Lo scorso 23 dicembre vi abbiamo informati che l’Accordo amichevole concluso con l’Italia nel giugno 2020 sul telelavoro dei frontalieri non verrà prorogato e che il regime speciale in materia fiscale decadrà quindi il prossimo 1° febbraio 2023.
Ieri l’Autorità fiscale italiana ha precisato che i frontalieri italiani che continueranno in modalità di telelavoro perderanno lo statuto fiscale di frontaliere. Il regime dei frontalieri viene riservato ai soggetti che quotidianamente (e non, quindi, in modo saltuario) si recano all’estero per svolgere il proprio lavoro.
Per mantenere tale statuto è quindi necessario che la persona non lavori nemmeno un giorno completo dal proprio domicilio.
In caso contrario il frontaliere rischia di essere tassato in Italia per l’intero reddito conseguito in Svizzera.
Per quanto riguarda le aziende, inoltre, rimane aperta pure la questione relativa all’assoggettamento al fisco italiano, a determinate condizioni, quale stabile organizzazione.

INFORMATIVE PRECEDENTI:
www.cc-ti.ch/calendario/frontalieri-e-fiscalita/
www.cc-ti.ch/normative-diverse-in-vigore-dal-2023/
www.cc-ti.ch/info-veicoli-aziendali/

Sanzioni: pratiche di elusione e responsabilità

Diverse richieste di aziende con sede in Turchia o negli Emirati Arabi Uniti, interessate a prodotti attualmente oggetto di misure restrittive nei confronti della Russia, fanno emergere lo spettro dell’elusione delle sanzioni.

Nei mesi scorsi ci sono state segnalate richieste da parte di aziende turche ed emiratine interessate all’acquisto di merci attualmente sottoposte a sanzioni se destinate al mercato russo. L’ipotesi più accreditata è che tali aziende rivendano in seguito le merci alla propria clientela russa, forti del fatto che i loro rispettivi Paesi non hanno imposto sanzioni nei confronti di tale Stato. Per le aziende svizzere si prospetta un rischio elevato di elusione delle sanzioni attualmente in vigore nei confronti della Russia, e nello specifico dell’Ordinanza del 4 marzo 2022 che istituisce provvedimenti in relazione alla situazione in Ucraina.

Infatti, l’ordinanza del 4 marzo prende esplicitamente in considerazione l’ipotesi di bypassare i divieti per il tramite dell’export indiretto e lo vieta espressamente con formulazioni tipo “sono vietati la vendita, la fornitura, l’esportazione e il transito di… destinati a persone fisiche o giuridiche o organizzazioni / a destinazione della Federazione Russa o per un uso nella Federazione Russa”.

Nel dubbio, si consiglia di richiedere alla controparte estera una dichiarazione di utilizzo finale (end user declaration), tramite la quale questa dichiara da un lato la destinazione d’uso e dall’altro se la merce viene rispedita. Stesso dicasi nel caso in cui il partner risieda in Svizzera o in un altro Paese, ma chiede di spedire la merce direttamente al suo cliente ubicato in Turchia o negli Emirati Arabi Uniti.

Nel commercio estero, in base al principio della responsabilità individuale, è compito dell’azienda esportatrice effettuare le opportune verifiche (in gergo: controllo delle esportazioni) e ciò significa essenzialmente di essere in grado di rispondere alle domande “cosa?”, “chi?”, “dove?”, “a che scopo?”:

  • cosa si intende esportare: il prodotto figura in un elenco delle merci di cui è limitata o vietata l’esportazione?
  • chi è coinvolto: le parti coinvolte figurano in un elenco di persone fisiche e/o giuridiche sanzionate?
  • dove si vuole esportare: il Paese di destino è sottoposto a sanzioni o embarghi?
  • a che scopo: come viene impiegato il prodotto (in ambito civile vs. in ambito militare)?

Fermo restando che l’ente ultimo di riferimento è la Segreteria di Stato dell’economia SECO, il servizio Commercio internazionale della Cc-Ti è volentieri a disposizione per i primi chiarimenti.

Si attira qui l’attenzione sul fatto che il mancato rispetto degli obblighi specifici in materia di controlli all’esportazione comporta rischi reali per le aziende: oltre al fermo della merce in dogana e al relativo sequestro, parliamo anche di danni reputazionali e, non da ultimo, di sanzioni amministrative e penali. Infatti, secondo la legge sugli embarghi (LemB, RS 946.231), le violazioni delle misure coercitive emanate dal Consiglio federale (leggi: sanzioni) sono perseguibili. Le pene massime sono 1 anno di detenzione o una multa fino a 500’000 franchi; in casi gravi 5 anni di detenzione e una multa fino a 1 milione di franchi. Anche il mero tentativo e la complicità sono punibili, così come se il reato è commesso per negligenza. Il perseguimento di eventuali violazioni della LemB spetta alla SECO nel quadro del diritto penale amministrativo.

Chi è ritenuto responsabile? Secondo la LemB, alle infrazioni commesse nelle aziende è applicabile l’articolo 6 della legge federale sul diritto penale amministrativo e la responsabilità delle violazioni è sia della persona fisica che l’ha commessa, sia del management dell’azienda.