Il Gruppo dei Sette ha pubblicato una guida congiunta volta ad aiutare l’industria a identificare le pratiche di elusione delle sanzioni, a proteggere la propria tecnologia, a prevenire danni reputazionali e a ridurre il rischio di responsabilità.
Per la prima volta in assoluto, lo scorso 24 settembre 2024 i Paesi del G7 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti) hanno pubblicato una guida congiunta sull’applicazione del controllo delle esportazioni.
La guida, rivolta all’industria, mira ad aiutare gli operatori economici a identificare e mitigare i rischi di elusione delle sanzioni adottate nei confronti della Russia. Nello specifico, il documento
identifica i prodotti che presentano un rischio elevato di essere dirottati verso la Russia (“Elenco comune ad alta priorità”)
elenca gli indicatori di allerta (i cosiddetti “red flag”) di potenziale evasione dei controlli delle esportazioni e/o delle sanzioni
evidenzia le migliori pratiche che l’industria può applicare per far fronte a questi indicatori, e
riporta strumenti e risorse di screening a supporto della due diligence.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/09/ART24-Guida-G7.png8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-10-03 08:00:002024-09-27 10:57:07Elusione delle sanzioni: nuova guida del G7
La Cc-Ti, nell’ambito dei servizi CSR e della piattaforma www.ti-csrreport.ch, ha concluso un progetto che ha visto gli studenti e aziende collaborare per la realizzazione di nuovi report CSR.
Insieme a SUPSI, nell’ambito del Master of Science in Business Administration con Major in Innovation Management (programma che ha l’obiettivo di preparare giovani professionisti della gestione del cambiamento in azienda dal punto di vista sia teorico, sia pratico, unendo lezioni ad esperienze progettuali concrete), la Cc-Ti ha individuato 10 aziende che si sono rese disponibili a collaborare con gli studenti che hanno frequentato il modulo “Corporate social responsibility Reporting”.
Partecipanti
Sono state coinvolte queste aziende: Borgovecchio SA vini, Caffè Chicco d’Oro, Cattaneo Impianti SA, Cippà Trasporti SA, EnerimpulsE SA, Graniti Maurino SA, Ideal-tek SA, Hockey Club Lugano, NAPP Sagl e Smart Gorla Services SA.
Scopi e metodologia
L’obiettivo era quello di fornire gli strumenti necessari per comprendere, analizzare e redigere il rapporto di sostenibilità semplificato elaborato da dalla Cc-Ti, con il supporto scientifico del-la SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE).
Gli studenti hanno dovuto redigere un rapporto di sostenibilità semplificato per un’azienda del territorio. Il rapporto di sostenibilità è considerato un tool per l’innovazione, in quanto costituisce uno strumento chiave per la pianificazione strategica del cambiamento, volto a raggiungere obiettivi aziendali di sostenibilità.
È stato quindi organizzato un incontro informativo spiegando l’utilizzo della piattaforma e il coinvolgimento fra aziende e studenti.
Il ruolo della Cc-Ti era prettamente di supporto sia per gli studenti che per le aziende. Gli studenti hanno dunque dovuto gestire i contatti con le aziende, le tempistiche e anche gli imprevisti che potevano capitare.
Gli studenti si son dimostrati sin da subito entusiasti di poter mettere in pratica le nozioni precedentemente acquisite sul tema della CSR, le aziende, dal canto loro, hanno mostrato un notevole interesse a collaborare con gli studenti, il risultato finale è stato molto positivo per tutti.
Come Cc-Ti possiamo senza dubbio guardare con favore a questo progetto ed al suo sviluppo, valido per sensibilizzare le aziende del territorio alle tematiche in ambito CSR e avvicinare più attori al report di sostenibilità, che ricordiamo, è utile
per comunicare il valore generato dall’impresa non solo a livello economico ma anche sociale e ambientale, dimostrando la propria affidabilità a 360° ai partner,
per consolidare l’immagine e la reputazione dell’impresa,
per integrare e sviluppare le buone pratiche, verificando e migliorando i propri parametri a livello di sostenibilità e di responsabilità sociale,
per partecipare e avvantaggiarsi nei bandi pubblici che riconoscono la premialità alle imprese socialmente responsabili.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/10/ART24-report-10-aziende.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-10-02 08:00:002024-10-01 11:23:04Il report di sostenibilità arriva a nuove aziende
Autostrada: è un tipo di via di comunicazione, progettata per agevolare la circolazione di grandi volumi di traffico veicolare ad alta velocità, in alternativa a una strada della viabilità ordinaria che non garantisce la stessa capacità di transiti e non gestisce gli stessi problemi di sicurezza. (fonte: Wikipedia)
Proprio partendo dalla definizione di autostrada che si legge in Wikipedia, la nota enciclopedia libera online fonte apprezzata di molte informazioni, e riallacciandomi all’articolo della scorsa edizione di Ticino Business dal titolo «Un tempo, le strade erano un “arricchimento del paesaggio» cercherò di fare un’analisi personale della situazione attuale.
Che le autostrade svizzere siano delle vie di comunicazione importanti è fuori dubbio. Con un minimo sfruttamento del territorio che rappresenta oggi solo il 2.7% della superficie stradale complessiva svizzera (che a sua volta rappresenta il 2% dell’intero territorio svizzero) assorbe in compenso il 45% del traffico su stradale. Anche questo secondo punto che troviamo nella definizione di autostrada viene ancora oggi pienamente confermato. Wikipedia ci ha pienamente azzeccato quindi! Non proprio, la definizione continua poi con: ad alta velocità, in alternativa a una strada della viabilità ordinaria … Ecco che qui, come si suol dire casca l’asino. Oggi percorrere le autostrade svizzere significa speso e volentieri restare fermi in colonna e percorrere lunghi tratti a velocità ridotta o in alternativa uscire dall’autostrada e percorrere strade urbane ed extraurbane che attraversano villaggi e città creando disagi ai residenti e intasando pure queste vie di comunicazione.
A questo proposito le cifre fornite da USTRA sono impietose: nel 2023 gli automobilisti svizzeri hanno trascorso 48’807 ore incolonnati in autostrada di cui 86.7% era imputabile direttamente all’intasamento delle strade. Questo corrisponde ad un aumento rispetto all’anno precedente del 22.4% a fronte di un aumento del traffico di solo l’1.5%. La spiegazione di tutto ciò sta nel raggiungimento, e spesso del superamento, della capacità di traffico delle autostrade progettate e costruite nella gran parte dei casi negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. La situazione è quindi sempre più insopportabile e sicuramente come ognuno di noi ha provato sulla propria pelle restando incolonnato per ore, richiede delle soluzioni.
La mobilità della popolazione è oggi uno dei diritti che si ritiene acquisito e che quindi difficilmente saremo disposti a rinunciarvi. Una interessante statistica pubblicata dalla rivista del TCS nella sua edizione di settembre 2024 dimostra che gli spostamenti per il tempo libero rappresentano la maggior parte del traffico seguiti, al mattino presto e alla sera dagli spostamenti per recarsi al lavoro. Viene spontaneo chiedersi come si possa intervenire per limitare i disagi dovuti agli imbottigliamenti senza però limitare la libertà di spostamento della popolazione per piacere o per dovere. Certamente lo sviluppo dei trasporti pubblici (in particolare della rete ferroviaria) è una strada che va percorsa e che la Confederazione sta portando avanti con la garanzia dei necessari investimenti grazie al fondo per il finanziamento e l’ampliamento dell’infrastruttura ferroviaria FIF, ma anche il potenziamento della reta stradale nazionale deve fare la sua parte.
Il 25 novembre prossimo il popolo svizzero sarà chiamato ad esprimersi sul referendum contro il Programma di sviluppo strategico (PROSTRA) delle strade nazionali che prevede un investimento di 11.6 miliardi di franchi entro il 2030 per portare a termine 5 progetti volti ad eliminare quelli che sono oggi i punti più soggetti ad imbottigliamenti dovuti al traffico veicolare.
In particolare, si tratta di adeguare le strutture del tunnel del Reno a Basilea, del tratto autostradale Wankdorf – Schönbhül – Kirberg, di quello tra Le Vengeron – Coppet -Nyon, della seconda canna del tunnel di Fäsenstaub e della terza canna del tunnel Rosenberg. In caso di bocciatura da parte del popolo di questi cinque progetti, è scontato che la situazione della viabilità non potrà che peggiorare a scapito anche delle zone circostanti che si vedranno sempre più messe sotto pressione dal traffico di aggiramento che invece che transitare sull’autostrada si sposterà sempre più sulle strade cantonali e comunali.
Un altro grosso pericolo in caso di voto contrario al referendum è che tutti i futuri progetti di completamento e adeguamento della rete di strade nazionali vengano rimandati se non addirittura cancellati con ripercussioni negative anche per il nostro cantone. Il collegamento diretto tra Locarno e Bellinzona, o altri progetti a sud delle Alpi volti a migliorare la viabilità di tutti noi, difficilmente vedrebbero la luce.
Un sì convinto è certamente la scelta giusta che i cittadini svizzeri dovranno esprimere con il voto del prossimo 25 novembre nella consapevolezza che un potenziamento della rete stradale nazionale è oggi indispensabile per garantire un futuro di prosperità e sicurezza a tutti cittadini sia automobilisti che utenti dei mezzi di trasporto pubblici.
Articolo a cura di Marco Doninelli, Responsabile mobilità Cc-Ti
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/09/ART24-si-24.11.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-10-01 08:00:002024-09-26 14:58:11Un sì convinto il 24 novembre prossimo
Scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti.
L’accordo bilaterale sulla libera circolazione delle persone concluso dalla Svizzera con l’Unione Europea prevede, tra le altre cose, pure il diritto al ricongiungimento famigliare. Ciò significa che i membri della famiglia di un lavoratore comunitario che ha un impiego in Svizzera possono trasferirsi assieme a lui. Si tratta di un cosiddetto diritto “derivato”, nel senso che traggono profitto dal diritto originario del lavoratore medesimo che si trasferisce per svolgere un’attività professionale. Il senso di tale diritto è di evitare ostacoli alla libera circolazione che, di fatto, sorgerebbero nel caso in cui il lavoratore non avesse la possibilità di iniziare una nuova attività all’estero con la propria famiglia. Detto altrimenti, il diritto derivato dei membri della famiglia serve a rendere davvero effettivo il diritto alla libera circolazione di chi si trasferisce all’estero per motivi professionali.
La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE ha ripetutamente sottolineato che il diritto derivato dei membri della famiglia sussiste anche se i medesimi non hanno la nazionalità di un paese dell’UE (questo è invece un requisito necessario per i lavoratori stessi che circolano da un paese all’altro).
Ora, il Tribunale federale si è recentemente occupato del caso della moglie tailandese di un frontaliere francese che lavorava in Svizzera, entrambi domiciliati in Francia. La moglie tailandese aveva chiesto alle autorità ginevrine un permesso quale frontaliera, motivando la domanda sulla base del diritto al ricongiungimento famigliare sancito dall’accordo bilaterale con l’UE. In sostanza la signora aveva argomentato sostenendo che lo statuto di frontaliere del marito permetteva di derivare un diritto pure a suo vantaggio a titolo di ricongiungimento famigliare.
Il Tribunale ha negato questa richiesta sottolineando che dallo statuto di frontaliero del marito, la signora non può desumere alcun diritto derivato di svolgere pure lei un’attività economica in Svizzera come frontaliera. Le disposizioni dell’accordo bilaterale sul ricongiungimento famigliare mirano infatti a consentire ai cittadini di uno stato di vivere una vita famigliare effettiva nel paese di soggiorno.
Tenuto conto che i frontalieri non trasferiscono la propria residenza, e quindi nemmeno la loro vita famigliare, nel paese in cui lavorano, non possono invocare le disposizioni sul ricongiungimento.
In conclusione, non è data la possibilità di concedere a un cittadino extra UE un diritto derivato da quello del coniuge UE di esercitare pure lui un’attività lucrativa in Svizzera come frontaliere.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2019/01/ART19-Michele-Rossi-ufficiale.jpg20193166Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-09-30 08:00:002024-09-26 14:49:01La moglie extra UE di un frontaliere UE non ha il diritto acquisito di lavorare in Svizzera
Lo scorso mese di giugno la Cc-Ti ha organizzato un evento intitolato “AI-volution: il futuro è oggi”, che ha riunito una quarantina di partecipanti, che hanno potuto discutere del tema dell’intelligenza artificiale e delle tendenze nell’ambito delle HR e della gestione aziendale, con un occhio di riguardo ai risvolti a livello legale che si dovranno fronteggiare. Vi proponiamo di seguito alcune considerazioni dei due relatori dell’evento, il Prof. Andrea Martone, Director Research & Studies Von Rundstedt – Svizzera e Roberta Bazzana-Marcoli, Avvocato, Titolare dello studio RBLegal.
Riflessioni “a ruota libera” su come l’AI sta cambiando i modelli di gestione delle HR
Immaginate di lavorare con un collega robot; non è fantascienza, ma la quotidianità di molte imprese, in cui i sistemi di Intelligenza Artificiale (AI) rispondono a domande, gestiscono le richieste di ferie, organizzano riunioni e monitorano le scadenze dei progetti. Se però il robot, non è un collega, ma assume i poteri di capo l’idea sembra ancora più sorprendente, magari anche disturbante. In realtà già oggi, molti lavoratori operano alle dipendenze di un’intelligenza non umana: pensate agli autisti di un servizio di taxi le cui corse sono regolate da un algoritmo o ai cassieri di un supermercato, che sono chiamati alla postazione di lavoro da un sistema automatizzato di controllo delle code. Un capo robot può analizzare le prestazioni in tempo reale, offrire un feedback immediato e personalizzato e prendere decisioni basate su dati concreti piuttosto che su intuizioni soggettive. Ciò nonostante, l’assenza di empatia e intelligenza emotiva rappresenta una sfida significativa per l’AI sia in ruoli operativi che in ruoli di leadership. La capacità di comprendere le sfumature delle interazioni umane, di creare fiducia e di gestire conflitti richiede competenze che attualmente solo gli esseri umani possiedono. Lavorare con un robot richiede un adattamento culturale: l’AI arriva fino ad un certo punto, poi deve intervenire l’uomo; è fondamentale vederla come uno strumento complementare, piuttosto che un sostituto del lavoro umano. La cultura e la comunicazione interna giocano un ruolo cruciale nel dissipare paure e pregiudizi legati all’automazione.
Ora però vorrei proporvi alcune considerazioni sulla gestione delle risorse umane: accettereste che il vostro direttore del personale fosse un robot? Oggi l’AI è in grado di fare ragionamenti logici sempre più complessi, così, anche i processi di gestione del personale possono essere condotti da “soggetti pensanti” di natura non umana. nonostante siano, per loro natura, molto delicati, perché vanno a toccare direttamente la vita dei lavoratori e le loro sensibilità personali (come giudichereste essere licenziati da un robot?). Non penso di esaurire l’argomento nelle poche righe di questo articolo, ma vorrei condividere alcune riflessioni sulle tendenze prevalenti.
La selezione del personale è una delle aree in cui l’AI sta avendo maggiore impatto. Innanzitutto, può intervenire sul dimensionamento degli organici, attraverso l’analisi predittiva dei fabbisogni: in questo modo, al posto di lunghe trattative con i vari dirigenti, una macchina pensante pianifica con oggettività le assunzioni e i licenziamenti. Una volta stabiliti i fabbisogni di organico, l’AI può analizzare migliaia di curriculum in pochi secondi, identificando i candidati più promettenti in base a competenze, esperienze e parole chiave. I sistemi di intelligenza artificiale possono anche proporre esercitazioni, prove pratiche e test per comprendere le reali capacità del candidato. Il sogno dei programmatori è che in un futuro non lontano saranno in grado di tenere anche i colloqui di selezione, lasciando alla mente umana solo la scelta finale tra un rosa di candidati (a questo punto perfetta, perché frutto di una preselezione ottimizzata). Tutto questo, non solo velocizza il processo di reclutamento, ma elimina anche molti bias umani, favorendo una selezione più equa e meritocratica (anche se ci sono alcune evidenze sui pregiudizi che gli uomini trasferiscono alle macchine quando le programmano).
L’AI può monitorare e valutare le performance dei dipendenti in modo continuo e dettagliato molto più di quanto possa fare qualsiasi dirigente. Attraverso l’analisi dei dati raccolti da vari sistemi aziendali, il capo robot può fornire feedback personalizzati e tempestivi, aiutando i dipendenti a migliorare le proprie performance. Inoltre, può identificare potenziali aree di sviluppo per ciascun lavoratore, suggerendo percorsi di carriera e opportunità di formazione.
Un tema assai delicato, in cui l’AI sta irrompendo è quello del benessere dei dipendenti: monitorando il linguaggio nei messaggi di posta elettronica o nei commenti sui social aziendali e confrontando queste evidenze con le performance aziendali, l’AI è in grado di valutare lo stato di salute dei lavoratori. Questi insight possono essere utilizzati per avviare interventi di sostegno preventivi (con molte precauzioni in tema di privacy).
Da ultimo dobbiamo menzionare i sistemi di formazione e sviluppo che l’AI sta trasformando, grazie soprattutto alla creazione di piattaforme di e-learning che possono adattare i percorsi formativi alle esigenze specifiche di ciascun dipendente. Analizzando le performance e i progressi individuali, l’AI può suggerire corsi e contenuti specifici, garantendo che ogni dipendente riceva la formazione di cui ha bisogno. Va anche ricordato che l’AI offre esperienze di apprendimento, che possono simulare situazioni reali, migliorando così l’efficacia della formazione in tutti i campi del sapere.
Conclusioni
L’integrazione dell’intelligenza artificiale nella vita delle imprese non è solo una questione di efficienza e produttività, ma rappresenta un cambiamento culturale significativo. Le aziende devono essere pronte a gestire questa transizione, assicurandosi che la tecnologia sia utilizzata in modo etico e che i dipendenti siano adeguatamente supportati in questo nuovo ambiente di lavoro. Dialogare con un collega robot o avere un capo digitale potrebbe presto diventare la norma: essere pronti sarà la chiave per il successo futuro delle organizzazioni.
Futuro: attenzione alle sfide giuridiche, non c’è solo la privacy
È ormai risaputo che l’intelligenza artificiale (IA) sta rapidamente rivoluzionando molti settori, offrendo un potenziale straordinario per aumentare l’efficienza e migliorare le prestazioni in vari ambiti, compresa la gestione delle risorse umane. Dall’IA derivano strumenti avanzati per la selezione del personale, la valutazione delle performance e il monitoraggio del benessere dei dipendenti. Ma si va ben oltre: non è più fantascienza immaginare dipendenti che interagiscono con macchine o addirittura ricevono ordini e direttive da un capo robot. L’IA promette enormi vantaggi in termini di produttività ed efficienza, aprendo interessanti prospettive. Ciononostante, accanto a queste opportunità, emergono rilevanti questioni etiche e giuridiche che non possono essere ignorate.
In questo scenario, diventa cruciale bilanciare l’entusiasmo per l’innovazione tecnologica con una riflessione attenta sui potenziali rischi e sulle implicazioni legali. Sono ormai ricorrenti i dibattiti sulle problematiche giuridiche legate all’interazione professionale con l’IA, come la tutela dei dati personali, la necessità di trasparenza e, soprattutto, l’importanza di garantire processi equi e non discriminatori. Tuttavia, non va trascurato un altro aspetto che, pur apparendo una questione etica, ha anche rilevanti implicazioni legali: quale impatto ha l’IA sulla salute psicofisica di un collaboratore che si trova a interagire o addirittura a sottostare, alle direttive di una macchina dotata di intelligenza artificiale? La protezione della salute dei lavoratori, inclusa quella psicofisica, è al centro delle normative sul lavoro in molti Paesi.
Le Normative che richiedono la gestione dei rischi psicosociali, come lo stress e il burnout, sono ormai diffuse in diversi ordinamenti, a testimonianza di una crescente attenzione verso la salute mentale, considerata fondamentale per garantire il benessere complessivo dei lavoratori. Questa crescente attenzione alla salute psicofisica dei lavoratori diventa ancor più indispensabile con l’introduzione di macchine basate sull’intelligenza artificiale. Questi strumenti, pur essendo progettati, come detto, per migliorare l’efficienza e ottimizzare le operazioni, possono in realtà generare nuove fonti di stress e frustrazione, mettendo a rischio il benessere mentale dei dipendenti. L’automazione e il monitoraggio continuo rischiano di ridurre l’autonomia e la serenità dei lavoratori, compromettendo un equilibrio che la normativa aveva faticosamente cercato di costruire. Nel processo di selezione del personale, ad esempio, sempre più aziende ricorrono all’intelligenza artificiale per valutare performance, analizzare curriculum e persino condurre interviste virtuali. In alcuni casi, l’IA viene impiegata perfino per decidere chi richiamare o chi licenziare. Il dipendente o il candidato, a quel punto, potrebbe percepire di ritrovarsi in una posizione passiva, sentendosi giudicato da un sistema di cui non conosce a fondo i criteri sui quali si basa, ma che immagina precisi e impeccabili, proprio perché dettati da una macchina, ritenuta priva di errori. Nonostante l’elevata raffinatezza della tecnologia, questa non è -ancora-in grado di cogliere appieno le sfumature emotive o le difficoltà individuali, generando così potenzialmente un inevitabile senso di frustrazione e stress. Il non “potersi spiegare” potrebbe collocare la persona in una situazione di assoluto disorientamento. Tale situazione, nella quale si viene valutati da un algoritmo, piuttosto che da una persona, può far crescere un senso di inadeguatezza difficile da gestire, con possibili conseguenze sulla salute psichica.
Un esempio particolarmente significativo è quello dei driver che operano per le piattaforme di consegne online. Non sempre l’intelligenza artificiale si limita a ottimizzare la logistica, ma spesso definisce in ogni dettaglio della giornata lavorativa. Alcuni algoritmi monitorano ogni aspetto del loro operato: dal tempo impiegato per completare una consegna, alla velocità di guida, fino a quante pause vengono prese. In casi estremi, telecamere all’interno dei veicoli scrutano persino le espressioni facciali per valutare se il conducente è stanco o distratto. Questa sorveglianza pervasiva ha dimostrato di generare un costante senso di pressione, addirittura oppressione. I driver lavorano con la consapevolezza di essere osservati da un occhio digitale che non perdona errori, alimentando la paura di sanzioni ogni qualvolta non si allineano ai rigidi parametri imposti dall’algoritmo. Il risultato è uno stato di tensione permanente, un’ansia che non considera le variabili umane, come il traffico, la fatica o gli imprevisti quotidiani. Così, invece di migliorare l’efficienza, è emerso che questa forma di controllo finisce per erodere il benessere mentale dei lavoratori, trasformandoli in semplici ingranaggi di un sistema che dimentica il loro lato umano. Gli esempi di questo tipo sono numerosi. Dalle fabbriche automatizzate ai magazzini dove l’IA guida le operazioni, fino ai call center in cui il monitoraggio costante è la norma.
Il quadro che emerge è chiaro: l’evoluzione tecnologica è ormai una realtà inarrestabile e senz’altro un’opportunità da cogliere. Tuttavia, ciò che oggi richiede una riflessione urgente, sia etica che giuridica, è come procedere da qui in avanti. Se da un lato non possiamo ignorare i benefici tangibili dell’intelligenza artificiale, dall’altro è fondamentale che questo progresso non avvenga a discapito della salute psichica di chi interagisce con l’IA. La sfida non è fermare la tecnologia, ma piuttosto integrarla in modo che sia tutelata la dignità umana, riconoscendo che dietro ogni algoritmo c’è un individuo, con emozioni, limiti e diritti.
I principi di informazione e trasparenza rappresentano i pilastri fondamentali di questa trasformazione tecnologica Nel processo informativo, il coinvolgimento di tutte le risorse umane dei dipendenti è imprescindibile e la garanzia di trasparenza non deve riguardare solo il funzionamento degli algoritmi, ma anche i criteri su cui si basano le valutazioni, garantendo che tutti i dipendenti possano comprendere il processo decisionale e non percepiscano l’IA come uno strumento impenetrabile. È in tal senso che stanno andando le giurisdizioni europee. Il regolamento europeo sull’intelligenza artificiale concretizza questi principi di informazione e trasparenza, stabilendo obblighi precisi per i datori di lavoro riguardo alla comunicazione chiara e accessibile sui meccanismi di monitoraggio e sui criteri di decisione automatizzata, con l’obiettivo di proteggere i diritti e la salute psicofisica dei lavoratori. “L’innovazione distingue un leader da un seguace.” – (Steve Jobs)
Articolo a cura di Avv. Roberta Bazzana-Marcoli, Titolare dello studio RBLegal
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/09/ART24-capo-robot.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-09-27 08:00:002024-09-26 14:42:55Pronti a dialogare con un collega robot?
Quando la Germania ha l’influenza, la Svizzera tossisce
Franco forte, approvvigionamento e costi di materie prime ed energia, tutti temi che da tempo sono diventati di quotidiana attualità quando si parla di economia svizzera, compresa quella ticinese. Può sembrare un’ovvietà perché è chiaro per tutti, o almeno dovrebbe esserlo, che le interdipendenze fra paesi hanno un ruolo centrale nelle dinamiche economiche. La Svizzera non fa eccezione, ovviamente, visto che gli scambi commerciali per il nostro paese sono vitali. Con l’Unione Europea (UE) che fa la parte del leone, essendo il nostro più importante partner commerciale. Eppure, vi sono dinamiche che stanno cambiando il panorama globale e quindi anche quello dei nostri rapporti con alcuni paesi dell’UE, con conseguenze importanti per le aziende elvetiche. Chi pensa che il mercato europeo sia facilmente sostituibile con quelli di altri paesi farebbe bene a non illudersi, perché è di fatto impossibile pensare a una sostituzione tout court. Spesso gli spostamenti verso altri mercati fanno registrare qualche punto percentuale sull’arco di anni e comunque non oltre certi limiti che si potrebbero definire fisiologici. Eppure, alcuni cambiamenti meritano un’attenzione particolare, perché le conseguenze sulla nostra economia, anche quella ticinese, possono essere importanti. Svizzera e Germania, ad esempio, intrattengono relazioni intense in vari ambiti e sono fortemente interconnesse grazie a una lingua comune e a proficui scambi economici, culturali e personali.
Germania-Svizzera non è solo un derby
La situazione della Germania è quindi molto importante per noi, trattandosi di un partner essenziale per l’economia elvetica, soprattutto in ambito industriale. Che siano prodotti finiti o semilavorati e componenti, la Germania, con l’industria automobilistica, ma non solo, è da sempre un riferimento essenziale per le nostre aziende. Oltre a essere (stata) la cosiddetta locomotiva dell’economia europea. Locomotiva però che da qualche tempo sbuffa pericolosamente, perché costretta a trascinare vagoni di oneri sempre più pesanti. E quando la Germania va in difficoltà, negli anni la Svizzera ha quasi sempre pagato dazio. Capita la stessa cosa con l’attuale crisi economica e sociale che sta attanagliando il nostro vicino settentrionale? È interessante rilevare che questa volta la situazione è un po’ diversa dal passato e i motivi sono molteplici.
Le ragioni della crisi tedesca
I nostri colleghi della Camera di commercio e dell’industria tedesca hanno pubblicato recentemente dati molto significativi sulla situazione attuale del loro paese. Secondo un sondaggio condotto su 3’300 imprese industriali, quattro su dieci stanno valutando di ridurre la produzione in Germania o di trasferirla all’estero. Tra le aziende più grandi, con più di 500 dipendenti, più della metà sta addirittura prendendo in considerazione tale trasferimento. Emerge in particolare, e senza sorpresa, che due elementi essenziali del sistema tedesco sono venuti a mancare: l’energia a basso costo proveniente dalla Russia e le esportazioni, in particolare quelle verso la Cina. È noto che l’industria tedesca dipende fortemente dalla produzione di automobili e dal mercato cinese. Inoltre, la difficile transizione verso le auto elettriche (l’annunciata dismissione di fabbriche della Volkswagen ne è un segnale chiaro), acuisce ulteriormente il fatto che la Cina cresca più lentamente e importi meno.
I colleghi delle Camere tedesche rilevano poi in modo molto critico alcune scellerate scelte in ambito energetico, visto che, dopo la decisione di abbandono dell’energia nucleare, la politica non è finora riuscita a creare le condizioni per un approvvigionamento energetico affidabile e conveniente. I prezzi elevati dell’energia – soprattutto rispetto ai concorrenti americani o asiatici – stanno diventando sempre più un ostacolo alla produzione e agli investimenti. A questi fattori va aggiunto il fatto che per molti anni la Germania ha limitato gli investimenti nelle infrastrutture e ora si trova a dover fronteggiare necessità di spese fuori misura per recuperare il terreno perso. Taluni servizi sempre più carenti, come le evidenti difficoltà del traffico ferroviario spesso turbato per guasti di ogni genere, sono il segnale inequivocabile di questo ritardo accumulato negli anni. Fra crescita debole e contrazione della produzione economica, le difficoltà tedesche pesano inevitabilmente su tutta l’economia Europea, compresa quella Svizzera. La riduzione dell’inflazione, un certo aumento dei livelli salariali, una ritrovata sebbene ancora fragile stabilità del mercato del lavoro e un miglioramento dell’approvvigionamento di materie prime fanno sperare che vi possa essere una ripresa. Ma tutto questo è insufficiente a fronte del menzionato nodo dei problemi strutturali, non risolvibili in breve tempo e per i quali sono indispensabili riforme che la politica stenta a fare.
E la Svizzera?
L’industria svizzera di regola risente della debolezza della crescita tedesca, tanto che è noto l’adagio secondo cui “quando la Germania ha l’influenza, la Svizzera tossisce”. Tuttavia, dopo la pandemia di Coronavirus, il quadro sembra essere un po’ diverso. Negli ultimi quattro anni, l’economia svizzera è riuscita a sganciarsi almeno in parte dalle difficoltà tedesche, visto che il prodotto interno lordo svizzero è cresciuto in misura nettamente maggiore rispetto a quello tedesco. Indubbiamente le aziende svizzere sono state meno colpite dallo shock dei prezzi dell’energia rispetto ai loro concorrenti tedeschi, e i consumatori svizzeri hanno subito un’inflazione significativamente inferiore rispetto ai consumatori dei paesi vicini. Anche la composizione delle esportazioni elvetiche è cambiata. I prodotti chimici e farmaceutici rappresentano oggi circa la metà di tutte le esportazioni e la loro quota è più che raddoppiata in 20 anni. Questi prodotti sono meno sensibili ai prezzi e ai cicli economici e non sono focalizzati prevalentemente sulla Germania. La dipendenza della Svizzera dalla Germania è quindi sostanzialmente diminuita, visto che la quota delle esportazioni elvetiche verso nord è in continua diminuzione da anni. Vent’anni fa, oltre il 20% delle esportazioni era destinato al nostro vicino settentrionale, oggi ci attestiamo sul 15%. Non a caso, dal 2021, gli Stati Uniti hanno sostituito la Germania, attestandosi quale paese principale partner commerciale della Svizzera. Non a caso si guarda con legittima preoccupazione a cosa avviene negli Stati Uniti, soprattutto all’esito delle imminenti elezioni presidenziali, alla stabilità del paese e alla relativa politica economica. Una flessione negli Stati Uniti potrebbe incidere tanto quanto le difficoltà della Germania sulla nostra economia, mettendo a dura prova le esportazioni e gli investimenti svizzeri. In questo senso, la nostra economia diversificata presenta indubbi vantaggi, come dimostrato negli ultimi venti anni costellati da crisi di vario genere, che hanno avuto effetti malgrado tutto contenuti per il nostro paese. Ma l’incertezza per l’instabilità di partner così forti come Germania e, in parte, Stati Uniti (senza dimenticare anche la Cina…) ovviamente resta.
E il Ticino?
Perché tutto quanto precede è rilevante anche per il Ticino? Molte nostre aziende esportano direttamente verso i mercati citati oppure, a volte in misura ancora maggiore, operano per aziende svizzere che a loro volta esportano. Quindi, direttamente o indirettamente, l’andamento tedesco e quello americano hanno risvolti importanti anche per la nostra economia cantonale, la cui quota-parte in termini di esportazioni è considerevolmente cresciuta negli ultimi due decenni. È di fondamentale importanza, oggi più ancora che in passato, osservare analiticamente quanto accade nel mondo perché rilevante anche per l’andamento economico e l’occupazione nel nostro microcosmo. Spese fuori controllo, ricchezza considerata come scontata, rinuncia a fonti energetiche senza valide alternative, scarsi investimenti e altri errori esiziali dovrebbero costituire un monito per non ripetere gli stessi errori nel nostro panorama cantonale e nazionale. Oltre a trarre magari qualche insegnamento dalla situazione tedesca, che dimostra come talune decisioni politiche prese con avventatezza e superficialità possono, in poco tempo, retrocedere una locomotiva a semplice vagone.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/09/ART24-Guten-Tag.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-09-24 08:00:002024-09-23 09:26:30Guten Tag o Auf Wiedersehen?
Il Campionato professionale svizzero dell’imprenditorialità si è tenuto per la seconda volta alla fiera BAM di Berna dal 5 all’8 settembre 2024. Nel corso di quattro giorni, otto squadre provenienti da tutte le regioni della Svizzera hanno affrontato la sfida di sviluppare un’idea imprenditoriale in linea con un obiettivo di sviluppo sostenibile. La manifestazione è sostenuta dalle Camere di commercio e dell’industria svizzere, di cui anche la Cc-Ti fa parte.
Alla competizione hanno partecipato anche due studentesse provenienti dal Ticino, Alessandra Maniezzo e Giada Battaini. Entrambe frequentano il Bachelor of Science in Leisure Management presso la SUPSI.
Durante i 4 giorni gli 8 finalisti hanno dovuto affrontare diverse sfide. L’obiettivo da raggiungere era basato sul rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili. I finalisti sono stati chiamati a sviluppare un’idea imprenditoriale che promuovesse una vita sana per la società nelle città e nelle regioni e che si adattasse all’obiettivo 11 per lo sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU.
Oltre alle sfide principali, che comprendevano la stesura di un budget e la ricerca di mercato, i finalisti hanno dovuto affrontare anche delle sfide intermedie come la produzione di un breve filmato e lo sviluppo di una campagna di marketing per i primi clienti. Nei primi tre giorni, ogni sera, i coach hanno valutato i risultati delle squadre attraverso una serie di criteri in relazione al compito assegnato.
Nel ruolo di coach ed esperto per il Ticino era presente Mattia Bedolla, collaboratore scientifico presso il Centro competenze management e imprenditorialità (CMI) della SUPSI. Insieme agli altri coach ha seguito i finalisti fornendo feedback, rispondendo a domande puntuali e valutando le performance dei partecipanti.
Domenica si è invece tenuto l’atto finale, ovvero la presentazione attraverso un pitch delle idee imprenditoriali sviluppate. La giuria composta da Miriam Gantert (Superloop Innovation), Michael Koch (cofondatore e CEO di HYLL) e Yacine Bouazdia (Università di Scienze Applicate di Berna/Associazione Giovani Imprenditori) ha giudicato le presentazioni.
Domenica pomeriggio i finalisti di EntrepreneurSkills si sono riuniti per la cerimonia di consegna delle medaglie, dove i primi tre classificati hanno ricevuto le congratulazioni della giuria, dei coach e degli ospiti del mondo politico, economico e sociale.
IG EntrepreneurSkills e i suoi partner principali Gebert Rüf Stiftung, Initiative Schweiz e gli altri partner SVC Swiss Venture Club, Camera di Commercio di Soletta e Leadership Lighthouse si congratulano vivamente con il team vincitore composto da Leonardo Soares Sousa, Marlon Liam Mathieu e Alessio Lovatello.La loro idea imprenditoriale innovativa, che promuove l’uso della bicicletta per spostamenti brevi, ha convinto la giuria. Le congratulazioni vanno anche agli altri finalisti, che hanno proposto idee interessanti e che hanno colpito per il loro mindset imprenditoriale. Siamo ansiosi di vedere dove porterà il viaggio di questi giovani imprenditori.
Nell’ambito della sfida, Alessandra Maniezzo e Giada Battaini, hanno sviluppato un’idea di come gli edifici sfitti possano essere utilizzati per la convivenza sostenibile e la coesione sociale nelle regioni. Le studentesse provenienti dal Ticino vorrebbero creare centri comunitari in cui offrire alla popolazione regionale opportunità educative e attività su temi specifici come la biodiversità e l’arte.
IG EntrepreneurSkills
Il gruppo di interesse EntrepreneurSkills è stato fondato nel settembre 2021 da GZS (Gründungsdienstleistungen Kanton Solothurn), SDK (Schweizerische Direktorinnen- und Direktorenkonferenz der Berufsfachschulen), l’Istituto Innovazione e Imprenditorialità Strategica del Dipartimento di Economia dell’Università di Scienze Applicate di Berna (BFH), persone del mondo imprenditoriale e FH SCHWEIZ (organizzazione ombrello per i laureati delle università di scienze applicate). IG EntrepreneurSkills è sostenuto dai partner principali Gebert Rüf Stiftung, Initiative Schweiz e dai partner: SVC Swiss Venture Club, Camera di Commercio di Soletta, Leadership Lighthouse, Microsoft e ON, nonché da altre organizzazioni e fondazioni. IG EntrepreneurSkills è presieduto dal Consigliere nazionale e imprenditore Andri Silberschmidt-Buhofer. L’obiettivo di IG EntrepreneurSkills è promuovere l’imprenditorialità organizzando la competizione EntrepreneurSkills come campionato professionale svizzero (compreso il Campionato SwissSkills). Il Centro Svizzero per il Pensiero e l’Azione Imprenditoriale (szUDH), con sede a Olten, è la forza trainante di myidea Challenge e EntrepreneurSkills. Inoltre, il szUDH è un partner ufficiale svizzero e un attore impegnato nella rete internazionale YouthStart”.
Le Camere di commercio svizzere e altre organizzazioni finanziatrici sostengono l’ulteriore sviluppo di questa iniziativa.
Classifica ufficiale dei Campionati svizzeri delle professioni SwissSkills / Campionato svizzero delle professioni imprenditoriali 2024
Da tempo le pensioni professionali sono sottoposte a forti pressioni: da un lato a causa dell’invecchiamento della popolazione e dall’altro per ragioni economiche, in particolare la volatilità dei mercati.
La riforma colma le lacune nella previdenza professionale per le persone che lavorano a tempo parziale e per le persone a basso reddito
La riforma AVS21, adottata in maniera restrittiva dal popolo svizzero il 25 settembre 2022, è stata un primo passo verso il risanamento dei fondi pensione. Il Parlamento a Berna, dopo diverse fasi di deliberazioni ampiamente controverse, ha votato per un compromesso puramente svizzero: Riforma LPP21. Avendo giudicato il progetto penalizzante per le rendite dei futuri pensionati e delle donne, il sindacato svizzero ha lanciato un referendum e ha raccolto 141.726 firme, motivo per cui il popolo svizzero voterà su questa riforma il 22 settembre 2024.
Anche le donne al centro della riforma
Con questa riforma, verranno migliorati i benefici per i redditi bassi, per le persone che lavorano a tempo parziale e per coloro che svolgono più lavori. I referendari affermano che la riforma costringerebbe gli assicurati a pagare di più a favore delle rendite basse. Tuttavia, uno studio pubblicato dall’istituto BSS per conto dell’organizzazione femminile Alliance F (che sostiene anche la riforma) rivela che 359.000 persone, tra cui 275.000 donne, riceveranno una pensione più alta se la revisione verrà accettata. Inoltre, abbassando la soglia di accesso alla LPP da 22.050 a 19.845 franchi e modificando la trattenuta di coordinamento al 20% del salario AVS invece dell’importo fisso di 25.725 franchi, verranno nuovamente assicurati circa 100.000 rendite. Questo cambiamento non è banale poiché il tasso di povertà al momento del pensionamento scende dal 13,6% allo 0,7% se la persona riceve prestazioni del secondo pilastro.
Migliore occupabilità per gli over 50
La riforma mira anche a rafforzare la posizione degli over 50 nel mercato del lavoro. Attualmente, i contributi LPP aumentano notevolmente con l’età, rendendo i dipendenti over 50 più “costosi” per i datori di lavoro. La nuova legge prevede quindi di ridurre i contributi dei lavoratori più anziani abbassando l’aliquota contributiva dal 18% al 14% per la fascia di età 45-65 anni. Per le generazioni di transizione è prevista una compensazione al fine di mantenere le rendite al livello attuale nonostante un’aliquota di conversione ridotta.
Una grande alleanza d’intenti a favore del SÌ
Molte organizzazioni mantello e associazioni economiche come l’Unione svizzera dei datori di lavoro, l’Associazione svizzera degli assicuratori e l’USAM sostengono la riforma. Da notare che anche Alliance F, un’associazione che rappresen- ta la voce delle donne nella politica svizzera, si è espressa a favore di questo progetto.
Sul piano politico sostengono la riforma anche il Centro, l’Udc, il PLR e i Verdi liberali (https://si-lpp.ch/).
La Cc-Ti si unisce all’alleanza e difenderà la proposta federale al 22 settembre.
La più grande potenza economica del mondo, il terzo Paese per estensione e per popolazione, un crescente protezionismo che contrasta con l’aumento delle importazioni e degli investimenti diretti dall’estero: così si presentano in sintesi gli Stati Uniti, secondo partner commerciale più importante della Svizzera dopo la Germania e principale destinazione delle esportazioni e degli investimenti diretti svizzeri. Una Nazione a cui guardano con interesse anche le aziende ticinesi.
Negli ultimi 20 anni, il commercio tra Svizzera e Stati Uniti si è sviluppato in modo estremamente dinamico e le esportazioni sono più che triplicate, passando da 14 a quasi 49 miliardi di franchi del 2023. Per le aziende ticinesi, con quasi 693 milioni di franchi di export, gli USA costituiscono oggi il terzo mercato di sbocco, dopo l’Italia e la Germania. Statistiche alla mano, il “Made in Switzerland” è molto apprezzato, in particolare per quanto riguarda i prodotti chimico-farmaceutici, che rappresentano quasi il 50% dell’export elvetico nel Paese, gli strumenti di precisione, le macchine e l’elettronica.
I prodotti svizzeri sono presenti in tutti i settori, ma molto spesso il pubblico non lo sa: in ogni Starbucks del mondo, ad esempio, il caffè è preparato con macchine prodotte dalla lucernese Thermoplan AG; il rover Perseverance della NASA su Marte è invece azionato da motori elettrici realizzati dall’obvaldese Maxon Motor AG. Anche un pezzo di Ticino è sbarcato su Marte: parti della sonda InSight, che nel 2019 aveva perforato il suolo marziano, sono infatti state prodotte dalla Faulhaber Minimotor SA di Molinazzo di Monteggio. Infine, è grazie ai sistemi di monitoraggio e di prevenzione dei guasti della scale-up DAC System SA di Manno che viene garantito il buon funzionamento, tra le altre, dell’antenna per le telecomunicazioni posta sulla Freedom Tower di New York.
L’interesse delle aziende svizzere nei confronti dello Stato nordamericano si riflette anche negli investimenti: con una quota di circa il 20% di tutti gli investimenti svizzeri all’estero (IDE), gli Stati Uniti sono di gran lunga la principale destinazione degli IDE svizzeri e la Svizzera è il settimo investitore straniero nel Paese, in particolare per quanto riguarda la ricerca e lo sviluppo, ambiti in cui entrambe le Nazioni eccellono.
Gli Stati Uniti dispongono di un grande mercato interno, sempre aperto a nuovi prodotti e servizi. Per le aziende che vogliono espandere il loro business nell’intero Nordamerica, grazie all’accordo di libero scambio USMCA, essi fungono anche da porta d’accesso privilegiato ai mercati di Canada e Messico. L’entrata non è però esente da ostacoli. L’attuale politica industriale, con l’aumento dei sussidi e del protezionismo, di certo non aiuta i nostri esportatori. Inoltre, il Paese non è costituito da un unico grande mercato omogeneo, bensì da un mosaico di mercati locali più piccoli: comprendere e adattarsi alle sfumature culturali e alle preferenze dei consumatori è già di per sé una grande sfida. Anche le distanze e la logistica non vanno sottovalutate, così come non bisogna dimenticare che nel Paese vige una forte tutela legale e della proprietà intellettuale. Nel primo caso poi, l’ambiente normativo è complesso e diversificato, ne è un esempio la responsabilità per danno da prodotto, regolata prevalentemente da leggi statali. Infine, il mercato è tanto ampio quanto intensa è la concorrenza: se in patria o in Europa, le nostre aziende sono leader di settore, per loro entrare nel mercato americano significa competere con imprese con marchi già affermati, che beneficiano di un forte riconoscimento e di una fedeltà consolidata da parte del pubblico locale e ciò implica saper differenziare il prodotto, identificare il giusto canale di vendita e costruire un posizionamento efficace.
In sintesi, gli Stati Uniti non sono (più) la terra promessa, ma rappresentano terreno fertile per le aziende consapevoli delle sfide poste da questo mercato e pronte a pianificare un’adeguata strategia di ingresso e sviluppo. Per fornire ai propri associati informazioni, strumenti e contatti utili a prendere decisioni informate e consapevoli, la Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino terrà un “Evento Paese” il 24 settembre a Villa Sassa a Lugano, in collaborazione con Allianz Trade, Cippà Trasporti SA, M. Zardi & Co. SA e Switzerland Global Enterprise e con gli interventi di Develed Sagl e DAC System SA.
Ad aprire l’evento sarà Monica Zurfluh, Responsabile Commercio internazionale alla Cc-Ti. Sulle opportunità offerte dal mercato e le diverse opzioni di entrata si esprimerà Annina Bosshard, Consultant USA & Canada di Switzerland Global Enterprise, a cui farà seguito Valerio Di Vinci, New Business Underwriter di Allianz Trade Switzerland, che metterà in evidenza i rischi associati al mercato. La parola passerà poi a Gaetano Loprieno, Consulente logistico di Cippà Trasporti SA, che si focalizzerà sulle sfide poste dalla logistica e dai trasporti. L’esperto in materia brevettuale Paolo Gerli, dello studio M. Zardi & Co., approfondirà invece il tema della tutela della proprietà intellettuale. Seguiranno, in forma di testimonianza, gli interventi di Giuseppe Maffei, fondatore di Develed Sagl, che si soffermerà sull’importanza di conoscere ed integrare gli aspetti socioculturali nell’approccio al mercato, e di Pietro Casati, CEO di DAC System SA, che illustrerà come la sua scale-up è riuscita ad entrare nel mercato e ad installare i suoi sistemi di monitoraggio e prevenzione dei guasti di grandi antenne radiotelevisive.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/08/ART24-Stati-Uniti.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-08-27 08:00:002024-10-07 07:58:03Stati Uniti: è terra promessa?
I nostri Percorsi Formativi di Gestione Aziendale possono avvalersi, oggi, di un nuovo corso dedicato all’export
Abbiamo previsto una presentazione il 5 settembre 2024 alle ore 17.30 presso le sale Cc-Ti al 6° piano.
Vi preghiamo di comunicarci la vostra eventuale partecipazione: Roberto Klaus (Direttore SSIB Ticino) klaus@cc-ti.ch / 079 277 77 76.
Le materie:
Area 1: Commercio estero e dogane – Principi del diritto doganale – Controllo dell’esportazione e sanzioni – Merce di origine preferenziale e non preferenziale – Elaborazione degli ordini
Area 2: Commercio estero e gestione aziendale – Trasporto e logistica internazionale – Gestione del progetto – L’importanza del marketing e delle sue attività organizzazione strutturale e dei processi dell’azienda
Area 3: Finanze e aspetti contabili – Gestione del rischio – Assicurazioni – Calcolo dei costi – Imposta sul fatturato in Svizzera – IVA imposta sulla cifra d’affari – Finanziamento delle esportazioni
Area 4: Diritto internazionale – Diritto internazionale – Gestione dei dati e archiviazione – Diritto della proprietà intellettuale – Conformità dei prodotti
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