Distacco di lavoratori in Italia: nuovo termine di notifica

Conformemente al decreto legislativo n. 136 del 17 luglio 2016, il datore di lavoro estero che distacca lavoratori in Italia è tenuto a notificarli preventivamente. Se in precedenza la notifica doveva avvenire entro le ore 24 del giorno precedente l’inizio del distacco, una recente modifica del decreto ne ha ora cambiato il termine.

In Italia, la direttiva 2014/67/UE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di prestazioni di servizi è stata recepita dal Decreto Legislativo 17 luglio 2016, n.136.

Secondo tale D.Lgs., i prestatori di servizi (datori di lavoro) stranieri che distaccano i propri lavoratori in Italia sono tenuti a notificare in anticipo tale distacco, indipendentemente dal fatto che questo avvenga all’interno dello stesso gruppo societario o in favore di una filiale/unità produttiva o di un altro destinatario.

Se prima la notifica doveva avvenire entro le ore 24 del giorno precedente l’inizio del distacco, una modifica del DLgs. valida dal 21 marzo 2023 ha portato questo termine a “al più tardi all’inizio” del distacco (art. 10 par. 1).

La notifica deve essere presentata tramite il portale ClicLavoro del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.

Tutelare la continuità aziendale

di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

Ben 5.500 imprese ticinesi si trovano già confrontate con il delicato problema della successione aziendale. Una fase cruciale per la sopravvivenza di migliaia di attività produttive che nei prossimi cinque, dieci anni, con il pensionamento della generazione dei baby boomers, assumerà ancora più rilevanza per la tenuta complessiva del nostro sistema economico. Una rilevanza strategica se si considerano le conseguenze negative che potrebbe avere sull’economia cantonale l’insuccesso del ricambio generazionale anche se “soltanto” per una parte di queste imprese.
Più che di “successione ”, termine che rimanda al classico trapasso ereditario di un capitale nella ristretta cerchia familiare dei discendenti diretti, come genitori/figli, sarebbe più opportuno parlare di continuità aziendale. Ossia di un passaggio che può interessare e coinvolgere parenti non stretti, quali nipoti e affini, oppure terze persone, ad esempio, dei dipendenti che potrebbero rilevare l’attività. Scelta questa che, per vari motivi, è ormai sempre più frequente, ma che purtroppo l’attuale legge tributaria penalizza fiscalmente, scoraggiando i potenziali subentranti e pregiudicando, di fatto, la prosecuzione dell’impresa stessa.
Una distorsione che la riforma generale della fiscalità, prevista per il 2024, dovrebbe correggere al fine di salvaguardare la stabilità e lo sviluppo del tessuto produttivo.

Il fattore umano

Per un imprenditore la decisione di ritirarsi, di passare la mano non comporta solo problemi fiscali, legali o finanziari, c’è, infatti, una componente emotiva altrettanto importante. L’impresa è il frutto del lavoro di una vita, a volte di più generazioni. È il risultato non solo della creatività imprenditoriale, del coraggio di rischiare e mettersi personalmente in gioco, è anche la testimonianza concreta di una dedizione tenace, di sacrifici e, spesso, di consapevoli rinunce nei momenti difficili. Un impegno costante che porta a identificarsi giorno per giorno e sempre di più con la propria azienda, i collaboratori, i fornitori, i clienti, con il territorio e la comunità locale, attraverso molteplici legami sviluppati e consolidati nel corso del tempo.
Negli imprenditori si radica un gagliardo senso di responsabilità ed è, perciò, inevitabile il timore di non poter garantire una scelta adeguata nell’avvicendamento, di compromettere la visione e il futuro dell’azienda.
La continuità, la crescita e i posti di lavoro, restano gli obiettivi principali anche nella transizione, come ha evidenziato lo studio dell’ottobre scorso sulla “Trasmissione aziendale in Ticino” elaborato dal Gruppo Multi SA. Obiettivi centrali ovviamente anche per chi riprende l’impresa.
In questo passaggio assai complesso sono molteplici le sfaccettature legate al fattore umano, alla proprietà, al management, all’organizzazione interna e alla corretta gestione dei rapporti con i collaboratori, sommate alle diverse problematiche inerenti alle questioni fiscali, legali e finanziarie.
Ma è proprio il fattore umano a risultare spesso decisivo, visto che spesso sono le emozioni a dettare il ritmo delle discussioni, soprattutto se fra familiari. Ad esempio, una delle questioni di attrito è spesso il ruolo in azienda di chi cede l’attività. Può, vuole, deve continuare ad avere un ruolo come consulente o è meglio che lasci campo libero a chi gli succede? Questione che, come molte altre, non ha una risposta univoca né standard ma richiede non di rado periodi lunghi di valutazioni, trattative, ecc. È praticamente imprescindibile, in casi del genere, ricorrere all’aiuto di terzi esterni, che abbiano una visione oggettiva della situazione. Anche perché, ed è abbastanza naturale, chi è direttamente coinvolto tende ad esempio a sovrastimare il valore della propria azienda.

Una scelta difficile

Va detto che l’89% delle 39mila imprese attive in Ticino è costituito da piccole realtà che hanno meno di dieci dipendenti e nelle quali la figura del titolare spesso ha un ruolo dalle molte sfaccettature (competenze tecniche, gestione dell’azienda, acquisizione di clienti, ecc.), il che rende complessa l’operazione di trovare alternative valide che possano garantire una successione indolore. Si potrebbe dire che non è mai troppo presto per pensare a tali questioni, perché indugiare troppo aumenta il rischio di compromettere la continuità aziendale. Va detto però che, rispetto al passato, vi è meno l’aspetto di sottovalutazione del problema, quanto piuttosto la reale mancanza di alternative all’interno della famiglia o all’interno dell’azienda.
In effetti, sino a una ventina di anni fa la trasmissione dell’azienda in famiglia era un processo quasi automatico, poi lentamente è mutato. A partire dal 2010 si è rilevata una discontinuità crescente a continuare l’attività della famiglia da parte dei parenti prossimi, i quali scelgono di intraprendere professioni / carriere che di discostano nettamente da quelle dei genitori.
Il fenomeno rispecchia una chiara tendenza nazionale che fotografa un aumento progressivo delle trasmissioni aziendali come forme miste di proprietà, come operazioni di management buyout o di acquisizione/fusione.
Un orientamento sempre più marcato di cui dovrebbe tener conto l’annunciata revisione cantonale della fiscalità per rimuovere quegli ostacoli, in particolare di natura fiscale, che oggi frenano la cessione agli eredi non diretti o a terze persone, mettendo in pericolo la sopravvivenza dell’impresa stessa.
Una riflessione seria e ancora più pressante se si considera che delle migliaia di aziende ticinesi che nel decennio prossimo dovranno affrontare il ricambio generazionale, una parte consistente non ha in famiglia un possibile successore.

Un correttivo necessario

La società cambia con esigenze e peculiarità in continuo aggiornamento. Le norme tributarie non devono ignorare questo cambiamento che è fisiologico dei tempi.
Non si può più guardare alla successione d’impresa come ad un automatico e usuale passaggio di capitale tra parenti stretti. La possibile assenza di questa opportunità non deve rappresentare una minaccia per la continuità aziendale. Con le norme in vigore oggi, il passaggio del testimone tra eredi diretti non presenta problemi particolari. Diverso a favore di nipoti, affini o terze persone. In questi casi il carico fiscale è talmente gravoso da rendere troppo pesante e/o poco attrattivo accettare la successione o la donazione, con il conseguente rischio di chiusura dell’impresa.
Questo passaggio deve diventare ed essere considerata un’opportunità di rinnovamento imprenditoriale e di salvaguardia dei posti di lavoro, come hanno sottolineato con un’iniziativa parlamentare Cristina Maderni, Gran consigliera e Vicepresidente della Cc-Ti, e il presidente del PLR Alessandro Speziali. I due deputati hanno proposto una riduzione dell’onere fiscale pari al 75%, rispetto al sistema attuale, nei casi in cui la successione avvenga al di fuori della cerchia familiare più stretta.
Un alleggerimento fiscale che renderebbe più attuabile il passaggio a figure in grado di assicurare la prosecuzione dell’impresa, e molto spesso, va sottolineato, si tratta proprio di collaboratori interni o persone già attive nella propria filiera. Che dispongono quindi anche di competenze atte a garantire una nuova fase aziendale. Chi si assume il rischio di proseguire un’attività imprenditoriale, di lavorare per consolidarla e implementarla con nuove idee e progetti, va pertanto incoraggiato e non dissuaso con una fiscalità troppo elevata.
Sarebbe peccato non fare un salto di qualità anche a livello legislativo, perché c’è il concreto rischio di sfilacciare il tessuto economico del Cantone. Aziende sane che spariscono per mancanza di condizioni idonee a una loro ripresa non sono un danno solo per i diretti interessati, ma anche per tutto il territorio, con perdita di know-how, impieghi, gettito fiscale, ricadute sociali, ecc. Pena la perdita di competitività del cantone. Se può essere di “consolazione ”, il problema della continuità aziendale è comune a tutta la Svizzera (e anche a molti paesi europei) e alcuni cantoni si sono già mossi per cercare di rimediare al problema almeno sul piano fiscale. Del resto, la revisione del diritto successorio a livello federale ha già introdotto alcuni elementi di flessibilità che potrebbero essere utili anche in ambito aziendale e altre proposte legislative ancora più mirate sulle imprese sono in fase di elaborazione.

Una strategia di sostegno

Come detto, la trasmissione aziendale è un processo molto articolato, a volte difficoltoso perché presenta problemi diversi non sempre di immediata soluzione. Lo studio del Gruppo Multi, a distanza di dieci anni da un’analoga ricerca, ha confermato, infatti, che ancora oggi una fetta non irrilevante di aziende arriva in ritardo a questo appuntamento: “Il 63% delle imprese con un orizzonte di successione entro i due anni e il 70% di quelle con un orizzonte tra i tre e cinque anni non ha ancora definito una forma di successione, vendita o di liquidazione”.
Tuttavia, va ribadito che, a differenza del passato, vi è meno “impreparazione ” ma una crescente difficoltà a trovare soluzione idonee. Del resto, se la forma della successione in famiglia è tuttora prevalente, essa però è in calo, mentre crescono le modalità di partecipazione da parte di collaboratori interni o la necessità di cercare in acquirenti esterni. Ciò comporta un aumento della necessità di consulenze tecniche puntuali, soprattutto per quel che riguarda gli aspetti legali, fiscali e la quantificazione del valore dell’impresa, operazioni sempre molto complesse e di lunga durata.
Per questo motivo è anche molto importante intervenire già a livello di formazione delle nuove leve, potenzialmente interessate a rilevare un’azienda. Accompagnare queste persone e fornire loro gli strumenti corretti affinché possano essere pronti al momento giusto è fondamentale tanto quanto il sostegno a chi, per scelta o per altri motivi, cede l’azienda. Mira in questa direzione la proposta multidisciplinare dei percorsi formativi della Cc-Ti. Oltre a moduli specifici, il percorso formativo “Specialista della gestione PMI con attestato federale”, ad esempio, prepara chi è già attivo in azienda a riprendere la conduzione di un’impresa di piccola e media grandezza. Interessante è il fatto che attualmente circa il 30% dei partecipanti che frequenta questo corso ha il preciso obiettivo di subentrare alla guida dell’azienda di famiglia oppure di rilevare l’impresa in cui lavora.

Un tema rilevante, al centro di una serie di quattro eventi a cadenza settimanale con inizio il 16 maggio, promossi dalla Cc-Ti in collaborazione con UBS. Testimonianze personali, considerazioni tecniche e riflessioni, aiuteranno a far emergere le principali difficoltà che si presentano al momento di pensare alla continuità dell’azienda. Con l’aiuto degli esperti in materia verranno messe in luce alcune delle tante possibili soluzioni per affrontare questa delicata fase.

Frontalieri e fiscalità

Informazioni importanti

Lo scorso 4 maggio la Camera dei deputati italiana ha approvato l’accordo tra Roma e Berna sulla fiscalità dei frontalieri. 

Il testo ritorna per l’adozione definitiva al Senato.  La procedura di ratifica sta quindi giungendo al termine.  Si concluderà, verosimilmente a breve termine, con lo scambio ufficiale di note diplomatiche tra Svizzera e Italia, attestanti l’avvenuta ratifica. Contemporaneamente sono stati adottati emendamenti sull’imposizione del telelavoro dei frontalieri e sull’eliminazione della Svizzera dalla black list delle persone fisiche. Anche su questo fronte entreranno quindi in vigore, al termine dell’iter parlamentare, importanti modifiche.  Sarà nostra premura informarvi al riguardo in modo tempestivo.

Come vi abbiamo recentemente già comunicato il nuovo accordo fiscale introduce un sistema di imposizione dei frontalieri differente. I frontalieri verranno suddivisi in attuali e nuovi. Ai frontalieri attuali continuerà ad applicarsi il sistema fiscale che conosciamo oggi, ossia una tassazione esclusiva in Svizzera (alla fonte), con il riversamento all’Italia dei cosiddetti ristorni da parte delle autorità fiscali elvetiche. Per contro i nuovi frontalieri oltre all’imposizione in Svizzera, diventeranno soggetti fiscali anche in Italia, e avranno pertanto a loro carico un’imposizione fiscale accresciuta.

Sono considerati frontalieri attuali ai sensi del nuovo Accordo le persone che alla data della ratifica svolgono oppure che tra il 31 dicembre 2018 e la data della ratifica hanno svolto un’attività di lavoro dipendente nell’area di frontiera.

Il nuovo accordo verrà applicato dal 1° gennaio 2024. Ma attenzione, già la conclusione della procedura di ratifica, che avverrà con la comunicazione ufficiale da parte italiana alla Svizzera, implica però degli effetti nel 2023.

Infatti, tutti i frontalieri che inoltreranno una richiesta di permesso in Svizzera e che si annunceranno all’autorità fiscale ticinese dopo tale data saranno considerati “nuovi frontalieri” e quindi, da gennaio 2024, saranno imposti fiscalmente secondo il nuovo sistema. In altre parole, la conclusione della procedura di ratifica nel 2023 sarà già concretamente determinante per la definizione dei “nuovi frontalieri”.

Rendiamo quindi attenti che per poter beneficiare del periodo transitorio riservato ai cosiddetti frontalieri attuali i datori di lavoro e i collaboratori devono inoltrare la richiesta di permesso  G prima della conclusione della procedura di ratifica che, come indicato, si trova attualmente  in dirittura di arrivo.






EAU: imposta sull’utile delle società dal 01.06.2023

Con l’esercizio finanziario che inizierà il 1° giugno 2023, per la prima volta le società degli Emirati Arabi Uniti (EAU) saranno tenute a pagare l’imposta sull’utile.

Il 9 dicembre 2022, il Ministero delle Finanze degli EAU ha pubblicato il Federal Decree-Law No. 47 of 2022 on the Taxation of Corporations and Businesses (pdf) introducendo per la prima volta un’imposta federale sull’utile delle persone giuridiche: essa entrerà in vigore per gli esercizi finanziari a partire dal 1° giugno 2023 (dal 1° gennaio 2024 per chi segue l’anno solare). La legge è stata integrata da 158 domande frequenti.

In sostanza, a partire giugno, le aziende emiratine e le società straniere con una stabile organizzazione negli EAU (es. una sede, una filiale o un ufficio) e con un reddito imponibile superiore a 375’000 AED (circa 95’000 EUR / 100’000 CHF) dovranno pagare un’aliquota base dell’imposta sull’utile del 9%. Per supportare le piccole imprese e le start-up, il reddito imponibile al di sotto di questa soglia sarà invece soggetto a un’aliquota dello 0%.

Il decreto-legge introduce anche il concetto di “Qualifying Free Zone Person” (QFZP), definito in senso lato come una società o una filiale registrata in una zona franca che, benché assoggettata alla corporate tax potrà beneficiare di un’aliquota dello 0% sui redditi cosiddetti “qualificati”.

La nuova imposta non si applicherà invece alle imprese che operano nell’estrazione di risorse naturali, alle entità governative e paragovernative, così come a enti di pubblica utilità o di beneficienza, fondi pensioni e fondi di investimento qualificati.

Ulteriori informazioni:

Corporate Tax​ – Ministry of Finance – United Arab Emirates (mof.gov.ae)

Explanatory Guide for Federal Decree-Law – Ministry of Finance – United Arab Emirates (mof.gov.ae)

Desiderate sapere come avviare un business negli Emirati Arabi Uniti e quali aspetti amministrativi e fiscali tenere in considerazione? Partecipate all’EVENTO PAESE | Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, che si terrà il prossimo 25 maggio 2023 presso il Suitenhotel Parco Paradiso a Paradiso. All’ordine del giorno figurano anche una panoramica dei settori più interessanti e la presentazione delle strategie di ingresso, assicurative e logistiche migliori. Seguiranno due testimonianze di chi opera sul mercato e l’opportunità di fare networking in occasione dell’aperitivo finale. Vi aspettiamo!

Dieci domande e risposte sulle auto elettriche

Marco Doninelli, Responsabile mobilità Cc-Ti

Ci sono molti pregiudizi nelle discussioni sulle auto elettriche. Dieci domande che gli interessati all’acquisto di una BEV (Battery Electric Vehicle) sottopongono spesso ai venditori d’auto con le relative risposte che ricevono.

Perché sempre più fabbricanti d’auto concentrano la produzione solo su automobili a trazione elettrica?

Le auto elettriche sono più efficienti: qualsiasi sia la fonte di produzione dell’elettricità, queste la sfruttano in modo più efficiente. Durante l’uso su strada non generano emissioni nocive migliorando così il bilancio del carbonio e contribuiscono a rispettare i limiti di legge in materia di produzione di CO2. Nei diversi studi condotti, viene messo in dubbio che considerando la produzione delle batterie e la produzione di energia elettrica tramite centrali a carbone, sull’arco di tutta la vita dell’automobile questa sia effettivamente più ecologica di un’automobile con motore a combustione. Tuttavia, considerando il mix di produzione dell’elettricità più verde come quello del nostro paese, risultano senza dubbio più ecosostenibili.

Si sente sempre più parlare di possibili, o meglio probabili, blackout elettrici. Le auto a trazione elettrica contribuiscono a peggiorare la situazione?

È molto improbabile. Secondo l’Ufficio federale dell’energia (UFE), nel 2021 in Svizzera, il fabbisogno di energia elettrica per le auto elettriche corrispondeva unicamente allo 0,4% del fabbisogno complessivo nazionale. Considerando scenari futuri, con incrementi del consumo di elettricità per la mobilità elettrica di oltre un terzo, ipotizzando cioè che tutte le auto saranno elettriche, secondo i fornitori di energia svizzeri il fabbisogno globale di elettricità aumenterebbe unicamente del 10-20%.

Le auto elettriche sono maggiormente soggette al rischio d’incendio?

Assolutamente no. Purtroppo, alcuni media denunciano che le auto elettriche bruciano con maggiore frequenza rispetto alle auto tradizionali. Questa affermazione non è corretta, anzi possiamo tranquillamente affermare, in base a diversi studi, che questo succede assai raramente. Una cosa è invece corretta: l’incendio di un’auto elettrica, in particolare della batteria, è più difficile da domare. Un altro mito da sfatare è quello delle esplosioni di batterie in stile Hollywoodiano, pura fantascienza.

Se dovessi trovarmi con la mia auto elettrica in un ingorgo per diverso tempo utilizzando il riscaldamento dell’abitacolo, rischio di rimanere con la batteria completamente scarica?

No. In inverno, un’auto elettrica ferma in colonna consuma da 0,5 a 3,0 kWh per il riscaldamento, un’auto con motore a combustione da 0,5 a 1,5 litri all’ora di carburante. Un’auto con motore a combustione potrebbe quindi riscaldare per 20-60 ore considerando un serbatoio da 60 litri pieno a metà. Un’auto elettrica per 10-60 ore (vale a dire più o meno lo stesso periodo di tempo) con una batteria da 60 kWh carica a metà.

L’autonomia e la disponibilità di colonnine di ricarica non sono sufficienti?

Istintivamente verrebbe da dire di no, obiettivamente invece assolutamente sì. L’autonomia cresce costantemente in maniera positiva: oggi vanta tra i 300 e i 500 chilometri, a volte anche di più. Consideriamo comunque che in Svizzera la percorrenza media giornaliera è di 32 chilometri, quindi nettamente inferiore all’autonomia consentita. Per quello che riguarda le stazioni di ricarica oggi se ne contano ben 7’000 in Svizzera delle quali 600 sono a carica rapida. Comunque, la rete di ricarica va ampliata ulteriormente ed è quanto si sta facendo.

Quali sono i costi di gestione di un’auto elettrica?

Questi dipendono essenzialmente dalla fonte di approvvigionamento dell’energia elettrica per la ricarica e dalla tariffa di acquisto della stessa oggi e in futuro con i probabili aumenti di costo che si prospettano. Anche la scelta di caricare le batterie durante il giorno con la tariffa più alta o durante la notte con la tariffa più bassa e la fonte di provenienza della stessa mista o verde, hanno un’influenza sui costi. Attualmente la ricarica notturna a casa costa da tre a sei franchi per una percorrenza di 100 chilometri, questo considerando anche le perdite in fase di ricarica. Usufruendo di stazioni di ricarica rapida a corrente continua, una ricarica per la stessa percorrenza può costare quanto un pieno di benzina. Per compensare poi il costo superiore di un’auto elettrica rispetto a un’auto a benzina, è necessario ammortizzarlo con l’utilizzo su più anni. Oggi giorno però alcuni modelli di auto elettrica sono già più a buon mercato di modelli analoghi con potenti motore a combustione. In questo caso i costi “supplementari” della mobilità elettrica risultano notevolmente inferiori.

Le materie prime necessarie per la fabbricazione delle batterie sono scarse (terre rare) e a volte la loro estrazione avviene in condizioni disumane, è vero?

Contrariamente a quanto si crede, le terre rare non sono né così rare né indispensabili per la fabbricazione di una batteria. Nei motori elettrici queste sono effettivamente presenti, ma si cerca sempre più di sostituirle con altri materiali. Il litio, è vero, rischia di scarseggiare perché è difficile da estrarre. In questo caso l’UE, entro il 2030, punta compensare il 30% di quello estratto con il riciclo dalle batterie esauste. In molti Paesi, compreso il nostro, sono in fase di sperimentazione impianti pilota per il riciclo delle batterie per l’autotrazione.

Purtroppo, invece, il cobalto, ad esempio, che proviene dal Congo presenta una situazione socialmente delicata. Questo nonostante l’importante lavoro profuso per delle catene di approvvigionamento “sostenibili”. È anche probabile che la situazione rimanga complicata anche in futuro.

Quanto costa una wall-box (stazione di ricarica) per la ricarica domestica di auto elettriche?

Se per le auto ibride plug-in (auto ibride con possibilità di ricarica della batteria tramite presa di corrente) è possibile, in caso di necessità, utilizzare una presa domestica, per le auto totalmente elettriche è indispensabile avere a disposizione una wall-box montata a parete e collegata tramite un impianto elettrico specifico. Questo a causa dei consumi elevati di corrente, prolungati nel tempo e della potenza richiesta maggiore (protezione antincendio). Queste installazioni non sono sempre possibili per gli inquilini di un condominio che non ricevono il permesso da parte dei proprietari degli immobili di modificare l’impianto elettrico dello stabile. Le case automobilistiche, i fornitori di energia elettrica e altri operatori del settore, offrono diversi generi di wall-box con costi che variano da alcune centinaia fino a poche migliaia di franchi. A questi vanno poi aggiunti i costi di installazione, che possono variare a seconda delle modifiche necessarie all’impianto elettrico di casa, da 1’500 a 3.500 franchi.

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi delle auto elettriche che normalmente non vengono considerati?

L’assenza del cambio marcia e di rumore del motore, la notevole coppia motrice che spinge fin da subito in maniera importante e decisa, fanno sì che le auto elettriche siano più fluide, silenziose e veloci. Per queste auto poi, in estate o in inverno, l’abitacolo può essere raffreddato o riscaldato a distanza e preventivamente con l’ausilio di un’app installata sul proprio cellulare. Per contro, un punto a sfavore delle auto elettriche è che in inverno, a causa dell’utilizzo del riscaldamento e delle basse temperature esterne l’autonomia effettiva diminuisce di circa il 15-35%. Questa situazione tende però a migliorare con i miglioramenti tecnologici.

Devo preoccuparmi che la tendenza verso una mobilità totalmente elettrica possa invertirsi?

La probabilità è assai remota. La benzina, il gasolio e il gas rimarranno probabilmente preponderanti più a lungo del previsto a causa dell’evoluzione della situazione energetica, ma i carburanti sintetici (e-fuel) potrebbero essere la via da seguire per rendere il parco veicoli circolante più rispettoso dell’ambiente. Ci sarà poi anche l’idrogeno. In ogni caso, nei prossimi anni la maggior parte delle nuove auto immatricolate sarà alimentata ad energia elettrica con batteria. Questo anche perché i legislatori e le case automobilistiche europee guardano al 2035.




Le preoccupazioni per il clima possono giustificare un’attenuazione della pena?


Il Codice penale (CP) elenca le principali fattispecie per le quali è prevista una pena (detentiva o pecuniaria). Per ogni reato il testo di legge indica il minimo e il massimo della pena che per quel determinato agire può essere comminata. Le pene possono però essere attenuate in presenza di circostanze particolari. Ad esempio, recita l’art. 48 CP, quando l’autore ha agito per motivi onorevoli.   

Tra i “motivi onorevoli” figurano anche le preoccupazioni per i cambiamenti climatici e per la conseguente necessità di intervenire al fine di ridurre le emissioni di gas serra?  A questa domanda ha parzialmente risposto il Tribunale federale in una recente sentenza (6B_620/2022).

In concreto il caso riguardava un attivista che, durante una “Marcia per il clima” nel 2018 a Ginevra aveva imbrattato con della vernice la facciata di una banca. Per questi atti la persona era quindi stata accusata e condannata in prima e seconda istanza per danneggiamento ai sensi dell’art. 144 CP, che recita: Chiunque deteriora, distrugge o rende inservibile una cosa altrui, o su cui grava un diritto d’uso o d’usufrutto a favore di altri, è punito, a querela di parte, con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria. Se il colpevole ha perpetrato il danneggiamento in occasione di un pubblico assembramento, si procede d’ufficio.

 Per valutare la situazione personale dell’accusato i giudici hanno innanzitutto ricordato che possono essere considerati onorevoli quei motivi che poggiano su una scala di valori etici comunemente riconosciuti. Fatta questa precisazione il Tribunale federale ha successivamente ammesso che le apprensioni per i cambiamenti climatici sono molto rispettabili. Ciò non basta però per qualificare di onorevoli tali motivi. Soprattutto laddove le azioni sfociano in danneggiamenti o nella messa in pericolo dell’integrità fisica di altre persone. Inoltre, l’appello alla disobbedienza civile può addirittura mettere in discussione la legittimità democratica del diritto. Ne consegue che simili azioni non possono essere considerate fondate su valori etici condivisi dalla maggioranza della popolazione. Il Tribunale federale ha però lasciato la porta aperta in relazione ad azioni non violente, di breve durata e che non creano particolari intralci al traffico o minacce alla pubblica sicurezza (come, ad esempio, brevi e pacifici sit-in di protesta).  In tali specifiche situazioni eccezionali e, soprattutto, non violente, non è pertanto escluso che possano essere ammessi i motivi onorevoli e quindi la relativa attenuazione di pena.

A cura dell’Avv. Michele Rossi, delegato relazioni esterne Cc-Ti

Arabia Saudita: nuove ZES, nuove opportunità

A metà aprile, il governo saudita ha annunciato la creazione di quattro nuove Zone Economiche Speciali (ZES) in varie regioni del Paese e dedicate a settori chiave. Per le aziende estere si aprono nuove opportunità.

Nell’ambito del suo programma di riforme Vision 2030, l’Arabia Saudita punta alla diversificazione economica e alla riduzione della dipendenza dal petrolio, promuovendo così l’iniziativa privata e la nascita di filiere produttive ad elevato contenuto locale. A tale scopo necessita di tecnologie e talenti.

Per accelerare gli investimenti esteri diretti nei settori chiave, a metà aprile il governo ha lanciato quattro nuove Zone Economiche Speciali (ZES):

  • King Abdullah Economic City (KAEC) sarà dedicata alla catena di fornitura e assemblaggio di automobili, ai beni di consumo, all’ICT, al farmaceutico, al medtech (inclusa la logistica);
  • Ras Al-Khair, sulla costa orientale, si rivolgerà al settore della costruzione e riparazione navale nonché della perforazione offshore;
  • Jazan, sul Mar Rosso, sarà dedicata alla produzione, lavorazione e distribuzione di prodotti alimentari nonché alla lavorazione dei metalli (logistica inclusa);
  • Cloud computing sarà invece una ZES virtuale consacrata all’omonimo settore e parte integrante della King Abdulaziz City for Science and Technology (KACST) di Riyadh.

A seconda della ZES e del settore, gli investitori potranno beneficiare di incentivi competitivi quali ad esempio aliquote fiscali ridotte, importazioni di macchinari e materie prime esenti da dazi doganali, proprietà straniera al 100%, procedure di avviamento senza intoppi e flessibilità nell’impiego di manodopera estera.

Il processo di riforme radicali in atto in Arabia Saudita apre nuove opportunità per le aziende straniere. Desiderate saperne di più? Partecipate all’EVENTO PAESE | Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, che si terrà il prossimo 25 maggio 2023 presso il Suitenhotel Parco Paradiso a Paradiso. All’ordine del giorno figurano una panoramica dei settori più interessanti e la presentazione delle strategie di ingresso, assicurative e logistiche migliori nonché degli aspetti amministrativi e fiscali da tenere in considerazione. Seguiranno due testimonianze di chi opera sul mercato e l’opportunità di fare networking in occasione dell’aperitivo finale. Vi aspettiamo!

Commercio globale: più rischi, strategia adattata

Con l’aumento delle tensioni geopolitiche, le aziende stanno esplorando modi per rendere le loro catene di approvvigionamento maggiormente resilienti e guardano sempre più spesso a strategie per spostare la produzione in Paesi “fidati”, lo conferma il Fondo Monetario Internazionale (FMI) nel suo World Economic Outlook di aprile 2023.

In concomitanza con il vertice di primavera del Gruppo della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale (FMI), quest’ultimo ha pubblicato il suo ultimo “World Economic Outlook” (WEO) dedicato allo stato e alle prospettive dell’economia mondiale.

Tra i vari temi affrontati, anche quello delle interruzioni delle catene di approvvigionamento e delle crescenti tensioni geopolitiche, che hanno portato al centro del dibattito politico i rischi e i potenziali benefici e costi della frammentazione geoeconomica. Nel capitolo 4 “Frammentazione geoeconomica e investimenti diretti esteri” il FMI studia come tale frammentazione rimodelli la geografia degli investimenti diretti esteri (IDE) e, a sua volta, come la frammentazione degli IDE influisca sull’economia globale. Emerge come le aziende stiano adattando la loro strategia alla frammentazione geopolitica, concentrandosi sui Paesi geopoliticamente allineati (Paesi “fidati”): infatti, il cosiddetto “friend-shoring” rappresenta oggi più della metà di tutti gli investimenti diretti esteri.

Data la loro dipendenza da IDE provenienti da Paesi geopoliticamente lontani, diverse economie emergenti e in via di sviluppo sono tuttavia altamente vulnerabili alla delocalizzazione degli investimenti. A lungo termine, la frammentazione degli IDE derivante dall’emergere di blocchi geopolitici può generare grandi perdite di produzione, soprattutto per le economie emergenti e in via di sviluppo, ma – conclude il FMI – con rischi anche per la crescita globale.

Evoluzioni elettrizzanti

di Michele Merazzi, Vicedirettore Cc-Ti

Un altro esempio interessante di nuove figure professionali è costituito dall’informatico degli edifici sul quale si sofferma Michele Merazzi, Vicedirettore della Cc-Ti e Segretario di EIT.ticino. Rispetto all’esempio precedente è piuttosto un’evoluzione di formazioni già consolidate.

Da dove trae origine questa formazione?

Questa nuova formazione parte dall’idea di sviluppare la professione precedente di telematico, di ampliarne gli ambiti e di avere 3 rami distinti negli ambiti multimedia, pianificazione e automazione. È emersa dunque la necessità di avere una nuova figura professionale che fosse in grado di coordinare e installare sistemi domotici, di comunicazione e multimediali (sistemi DCM). L’informatico di edificio con AFC (Attestato federale di capacità) ha pertanto un ruolo imprescindibile nel processo di digitalizzazione degli edifici e conseguentemente anche nella transizione energetica. Questo poiché contribuiscono a trasformare case e immobili in strutture smart home, permettendo una migliore efficienza energetica e una connessione ottimale fra le sempre più numerose tecnologie presenti negli edifici. Finestre o tendoni che si chiudono autonomamente quando piove o sistemi di riscaldamento e raffrescamento intelligenti che si attivano solo al momento opportuno sono solo due fra gli esempi più semplici di queste attività.

A chi si rivolge (requisiti), come è strutturata ?

L’informatico d’edificio AFC si rivolge a dei giovani interessati alle nuove tecnologie e che vogliono essere parte attiva della transizione energetica e dello sviluppo tecnologico legato alla vita di tutti i giorni. Le competenze che verranno poi apprese si basano su ampie conoscenze della tecnica di rete e nel settore della sicurezza informatica. I tre indirizzi professionali ruotano attorno a questo know-how e permettono di specializzarsi in progettazione, domotica o comunicazione e multimedia. La formazione si svolge tramite una durata di 4 anni con la classica modalità dei percorsi di apprendistato, dunque con una parte scolastica e un’altra presso il datore di lavoro con cui è stato sottoscritto il contratto di tirocinio.

Prospettive di mercato?

Gli edifici, sia quelli di natura abitativa che quelli legati ai luoghi di lavoro o ai servizi, diventeranno sempre più automatizzati e interconnessi.
Per queste ragioni il mercato del la-voro richiederà sempre più competenze specifiche in questo ambito visto il rapido sviluppo tecnologico e le richieste da parte della popolazione : pensiamo ad esempio ai sistemi di monitoraggio per le persone sole o anziane che grazie a questi riescono a lanciare un allarme in caso di bisogno. L’introduzione di queste tecnologie consente dunque una migliore qualità di vita delle persone.
Gli sviluppi formativi e di carriera degli informatici di edifici sono molteplici e possono spaziare in diverse direzioni, tra cui ad esempio la maturità professionale che consente poi l’accesso alle scuole universitarie professionali.

Possibile dare qualche numero sulle aziende interessate ?

Questa formazione è davvero recente e pertanto non sono ancora molte le aziende che hanno attivato questo segmento in tempi rapidi in modo da poter seguire con la giusta attenzione i ragazzi e le ragazze che intraprendono questo percorso formativo. Fortunatamente in Ticino vi sono già alcune aziende che operano nel settore offrendo questo apprendistato e il trend a livello nazionale è in costante crescita. Siamo dunque fiduciosi che questo apprendistato e i relativi sbocchi professionali saranno viepiù attrattivi anche nel nostro Cantone. L’associazione di categoria di riferimento è EIT.ticino e per qualsiasi richiesta di informazione supplementare siamo sempre volentieri a disposizione.

La tecnologia è competenza

di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

Da tempo stiamo seguendo la tematica della carenza di manodopera ormai lamentata in quasi tutti i settori economici. Più volte ci siamo soffermati sulle trasformazioni del mondo del lavoro e di come si possa tenerne conto in ambito formativo, ritenuto che la formazione non può essere la sola risposta alle difficoltà di reclutamento di manodopera qualificata, ma può senz’altro contribuire a mitigare in parte il problema. I tempi della scuola sono ovviamente più lunghi di quelli dell’economia, in costante e sempre più rapida evoluzione. Ma se la politica, le Autorità, la scuola e le aziende riescono a trovare un minimo comune denominatore per compattarsi su talune scelte e orientamenti, i risultati possono essere interessanti.

La trasformazione digitale come simbolo

È molto difficile affrontare il tema dei nuovi corsi formativi e delle nuove professioni limitandosi a qualche singolo esempio, senza citarne tanti, visto che tutti i settori, con sfumature diverse, si impegnano nella formazione e ne fanno un elemento strategico.
È utile fare riferimento alla trasformazione digitale, che ogni giorno abbiamo imparato a conoscere meglio, ci accompagna e, certamente, ci accompagnerà assumendo il ruolo di simbolo degli sviluppi nella realtà del mondo del lavoro ed è abbastanza trasversale a un grande numero di settori economici.
Non a caso in una delle precedenti edizioni di questa pubblicazione avevamo ad esempio fatto riferimento a nuove figure professionali che emergeranno parallelamente allo sviluppo dell’intelligenza artificiale.
Riferirsi pertanto al mondo dell’ICT, cioè delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, può essere considerato un esempio di ampio respiro e sufficientemente rappresentativo di alcune nuove competenze che sono richieste dall’economia. Nella tabella pubblicata si possono vedere le professioni legate all’ICT, alcune note e forse considerate scontate, come quella dell’informatico, mentre altre ancora «inedite».
Nel presente testo ne vedremo due, una che segue il solco dell’evoluzione digitale nell’ambito delle professioni legate al settore dell’elettricità, come spiega il vicedirettore della Cc-Ti Michele Merazzi. L’altra è invece una figura totalmente nuova, sempre legata all’evoluzione digitale, ma con un mix di competenze quasi inedito per i percorsi formativi classici.

Competenze trasversali e approccio «bottom-up»

In un numero crescente di settori cresce la domanda di figure che abbiano competenze interdisciplinari o trasversali. Gli specialisti restano ovviamente un pilastro fondamentale di ogni attività, ma, prendendo il caso del settore dell’ICT, l’informatico «classico» copre solo una parte delle esigenze aziendali. Come emerso da un lavoro di analisi svolto durante parecchi mesi dall’associazione svizzera ICT formazione professionale (l’antenna ticinese ICT formazione professionale della Svizzera italiana è legata alla Cc-Ti), aziende e rappresentanti del mondo scolastico hanno fatto emergere con chiarezza che occorrono collaboratrici e collaboratori con appunto competenze trasversali. In sostanza, le conoscenze tecniche vanno accompagnate da una buona preparazione di gestione aziendale.
Nello specifico, non si tratta di sostituire l’informatico, anzi. Bensì di affiancarlo e completarlo con una figura professionale per certi versi affine, ma diversa. Di qui l’idea di dare vita a un programma per formare sviluppatrici/sviluppatori business digitale con un Attestato federale di capacità, valorizzando in particolare la formazione duale, particolarmente importante anche nel settore dell’ICT. È impor-tante sottolineare che questa nuova proposta formativa, inserita dalla Confederazione fra le 44 professioni nuove o da aggiornare, è frutto di un approccio «bottom-up». Sono sostanzialmente stati ripresi i suggerimenti degli operatori economici privati e pubblici, evitando quindi scientemente l’inutile impostazione velleitaria di studiare astratte varianti teoriche a tavolino, che si sono già più volte rivelate non utilizzabili nella pratica.

Tecnologia e gestione aziendale

Come detto, la novità sta appunto nel fatto di aver individuato una formazione che combina la tecnologia e la gestione aziendale, il lavoro su progetti trasversali e a stretto contatto con gli specialisti. Per intendersi, una figura che non sostituisce l’informatico, ma ne capisce il linguaggio, lo interpreta e lo applica ad esempio ai processi aziendali e all’analisi dei dati, interfacciandosi con i clienti. Meno conoscenze tecniche specialistiche, ma forti doti di logica e astrazione per analizzare i problemi e i dati, cercare idee, sviluppare soluzioni e pianificarne l’attuazione.
Con una buona dose di creatività e capacità di lavorare in team e coordinare gli specialisti. Passando per il marketing e la comunicazione e il contatto con la clientela. Un obiettivo ambizioso ma assolutamente legittimo cercare di dare spazio a collaboratrici e collaboratori di questo tipo, sempre più essenziali nella vita quotidiana di moltissime aziende.

Opportunità anche in Ticino

A livello ticinese, grazie alla collaborazione fra Cc-Ti, ICT formazione professionale della Svizzera italiana, Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport (in particolare la Divisione della formazione professionale), Centro professionale commerciale di Locarno e Scuola universitaria federale per la formazione professionale, vi è stato un primo incontro con aziende pubbliche e private per verificare il potenziale interesse delle imprese verso questo genere di formazione. Allo scopo di verificare anche la possibilità concreta di creare posti di apprendistato, visto che la formazione in questione prevede un primo anno di scuola a tempo pieno e poi i canonici tre anni di apprendistato con scuola e formazione in azienda.
L’interesse che ne è emerso è forte, proprio perché allo stato attuale delle cose determinate competenze trasversali si acquisiscono «solo» sul campo, dopo anni di lavoro. Poter contare su una formazione di base che già trasmette questo approccio più ampio e trasversale di competenze tecniche e gestione aziendale è considerato un vantaggio notevole. I campi di applicazione di una simile formazione hanno del resto uno spettro abbastanza ampio, perché possono essere utili per tutte le aziende, visto il contributo che possono dare alla costante ricerca di innovazione, ottimizzazione dei processi e implementazione di soluzioni digitali. Si pensa in primis ovviamente ad aziende a forte impronta tecnologica, ma in realtà si possono ipotizzare aziende di consulenza e di e-commerce e retail, passando per il settore bancario e finanziario, per arrivare a quello sanitario. Ma, parlando di processi aziendali, gestione dei dati ecc., le applicazioni possono essere molto interessanti non solo nel settore dei servizi ma anche in quello secondario. Un esempio potrebbe essere la necessità di sviluppare un software per la gestione di un magazzino. Lo sviluppatore business digitale analizza i requisiti, discute con gli specialisti e decide come procedere, acquisendo ad esempio un prodotto e adattandolo alle esigenze, mettendolo in produzione, analizzando i dati e formando gli utenti. Interfacciandosi con i dipartimenti specialistici della produzione, della gestione della qualità, dell’informatica, delle finanze, del controlling ecc.

Percorso e informazioni

Riteniamo si tratti di un esempio illuminante di come si potrebbero creare nuove competenze anche in Ticino, rafforzando il tessuto economico e dando nuovi sbocchi professionali a molti giovani. L’obiettivo è di iniziare la formazione nel prossimo mese di settembre 2023. Come detto si tratta di 4 anni di formazione, il 1. anno è scuola a tempo pieno, vi sono 35 giornate di corsi interaziendali, dal 2. anno la formazione in azienda è alternata alla scuola a tali corsi interaziendali.
Maggiori informazioni possono essere ottenute presso la Sezione della formazione industriale, agraria, artigianale e artistica del cantone, allo 091 815 31 30 o all’indirizzo di posta elettronica decs-sefia@ti.ch, oppure contattando la Cc-Ti.