Cosa fare se la banca non finanzia l’export?

Il sistema bancario di molti Paesi non funziona bene come in Svizzera e per le aziende più piccole attive nella distribuzione può essere difficile e oneroso ottenere un credito. Essere in grado di offrire ai propri partner commerciali una soluzione per finanziare i loro ordini di acquisto può quindi rappresentare un grande vantaggio. In tal senso, le aziende esportatrici svizzere possono avvalersi di una gamma crescente di servizi offerti dagli istituti finanziari.

Il nostro partner Switzerland Global Enterprise illustra in questo articolo (in inglese) le basi del finanziamento delle esportazioni e della copertura dei rischi.

Una buona istruzione garantisce protezione

Luca Albertoni, direttore Cc-Ti

Trasformazione digitale, evoluzione tecnologica, diffusione dell’intelligenza artificiale, professioni che si esauriscono e nuove che si creano, diverse esigenze di equilibrio fra vita professionale e privata, aumento delle occupazioni a tempo parziale, penuria di manodopera qualificata, ecc. Sono solo alcuni dei temi che toccano direttamente o indirettamente il mondo del lavoro e quindi coinvolgono inevitabilmente anche quello articolato della formazione.

I molti risvolti di cambiamenti epocali

Come per ogni cambiamento che si palesa con forza, i timori accompagnano l’ottimismo, considerato che molti parametri inevitabilmente mutano, facendo vacillare quelle che sono sempre state certezze. Anche fenomeni considerati come positivi, quale ad esempio la possibilità di lavorare a tempo parziale, nascondono comunque qualche insidia, soprattutto per il sistema, prima che per l’individuo.
Si è rilevato, anche se la riflessione era già emersa in più occasioni, che la riduzione del tempo di lavoro a tempo parziale, magnificato per il singolo, impatta in modo importante sulla penuria di manodopera, sul gettito fiscale, sugli introiti delle assicurazioni sociali, ecc.
Non si tratta certo di un giudizio di valore, visto che la scelta del tempo parziale (da parte di chi può permetterselo…) è assolutamente legittima e benvenuta, frutto di una considerazione solo privata, ma, come ogni risoluzione accoda conseguenze, delle quali non si può non tenere conto. Le scelte, anche politiche, ne devono tenere conto. Non si può ignorare, per esempio, che oltra la metà delle aziende svizzere (non solo quelle ticinesi) è già costretto a orientarsi sui mercati esteri per trovare personale qualificato, che comunque scarseggia. Per rendersi attrattive e competitive nel match della domanda e dell’offerta, le imprese devono offrire varianti di lavoro flessibili, fra le quali proprio quella del tempo parziale. Visto quanto sopra, appare un po’ paradossale. Ma tant’è, questi sono i cambiamenti epocali ed esserne consapevoli ci indica quali siano le nuove strade da esplorare e intraprendere.

Nuove opportunità e nuove figure

Come detto in entrata, ogni rivoluzione porta con sé anche paure. In passato, e ora ci fa sorridere, le lampadine elettriche, l’automobile, la telefonia, il televisore, internet furono visti inizialmente con scetticismo. Ora è il turno dell’intelligenza artificiale, già molto presente nel quotidiano, ma di cui si inizia a realizzare la portata solo ultimamente.
Alzi la mano chi non guarda con un misto di curiosità e apprensione a sigle come Dall-E2 o Chat GPT, due dei programmi assurti agli onori della cronaca negli scorsi mesi e basati appunto sull’intelligenza artificiale. Creando palpitazioni a parecchie categorie professionali come giornalisti o consulenti, che non senza ragione, temono di essere sostituiti dalle macchine. Ricordiamo che quando si fece largo l’industrializzazione, molti avevano le stesse paure. In realtà emersero nuovi profili professionali e si crearono più professioni rispetto a quelle che scomparvero. Questo ovviamente non deve far dimenticare la necessità di intervenire sul breve per evitare che troppe persone escano dal mercato del lavoro perché non in grado di riqualificarsi. Ma su questo punto torneremo.
L’intelligenza artificiale, si diceva. Fondamentale è non perdere di vista il fatto che anche questa, malgrado il suo alone ancora un po’ misterioso, sta portando e porterà a nuove figure professionali, evidentemente in primis nell’informatica, come gli sviluppatori di prodotti di AI, incaricati di programmare e sviluppare algoritmi e sistemi che ne costituiscono la base stessa. Un numero infinito di dati entreranno in ogni processo per la sua qualifica migliore, per cui saranno necessari esperti di ricerca e gestione, come pure di persone che, sulla base di princìpi etici, possano determinare quali elementi possano essere utilizzati senza ledere alle persone. Il ruolo di psicologo dello sviluppo, che dovrà anche intervenire per correggere i comportamenti sbagliati o indesiderati dell’intelligenza artificiale, in modo che essa abbia un comportamento il più riconducibile a quello umano (al meglio dello stesso) e che la collaborazione essere umano-macchina sia la più naturale possibile.
Questa collaborazione va a sua volta gestita da qualcuno che sia responsabile della squadra «essere umano-macchina» e che possa intervenire per calibrare al meglio l’attività umana e quella artificiale. Tutte queste evoluzioni che necessiteranno di competenze giuridiche puntuali, come ad esempio per il diritto d’autore per scovare dove sono stati utilizzati testi, immagini o altro senza che l’intelligenza artificiale ne fosse autorizzata. Anche per i creatori di contenuti l’intelligenza artificiale può rappresentare non un sostituto ma un formidabile mezzo ausiliario. L’equilibrio anche in questo fattore è fondamentale: utilizzare e non essere utilizzati.

Una buona istruzione garantisce protezione

Inevitabilmente, quanto detto sopra, avrà implicazioni importanti anche sul mondo della formazione, che dovrà offrire percorsi innovativi o rinnovati. Ma si tratta solo di corsi per professioni ipertecnologiche accademiche? No, attenzione a non farsi trarre in inganno. In precedenza, si è già accennato al fatto che occorre evitare che, a seguito degli sviluppi del mercato del lavoro, vi siano troppe persone che ne escano perché non aggiornate. E qui sta il nocciolo della questione. Non si tratta solo di pensa-re a grandi novità, ma anche e soprattutto di dare gli strumenti al maggior numero di persone possibile per adattarsi ai cambiamenti, cioè attraverso una formazione continua adeguata che permetta di agire in tempo e farsi trovare pronti.
Non basta infatti rivendicare che lo Stato intervenga sulle materie della formazione di base, anche perché è spesso necessaria rapidità di intervento che naturalmente i percorsi scolastici non hanno il tempo materiale per attuare. Il ruolo del privato in questo contesto è essenziale, per supplire in quel bacino di persone che necessitano di nozioni aggiornate e che, avendo il polso della situazione praticamente in tempo reale essendo a contatto con la realtà aziendale, possa dare risposte e soluzioni ottimali. Al di là della formazione di base, occorre dare costantemente la possibilità a tutti di aggiornarsi. Un responsabile d’azienda non sarà forse mai un mega-esperto di intelligenza artificiale, ma, per poter gestire al meglio l’impresa e i tecnici che se ne occupano, deve conoscerne almeno i tratti essenziali per poter agire consapevolmente. Non ci si rivolge ai soli percorsi accademici, ma a ogni lavoratore che debba essere messo in condizione di svolgere le proprie mansioni nel miglior modo possibile.

La Cc-Ti sta percorrendo da tempo questa strada della formazione continua, sia attraverso programmi di lunga durata che aggiornamenti rapidi che richiedono un investimento di tempo contenuto. È un piccolo ma fondamentale contributo del privato al mantenimento e al miglioramento delle competenze presenti sul territorio richieste da associati e associazioni di categoria, attente al fattore umano che le compongono. È una strada che va assolutamente percorsa e che è perfettamente complementare alla formazione di base.


L’opinione puntuale

di Cristina Maderni, Vicepresidente Cc-Ti

Come può la formazione porre rimedio, almeno parziale, alla carenza di manodopera?

Un problema così complesso può essere risolto solo con un mix di provvedimenti, fra i quali la formazione riveste di certo un ruolo importante. Su questo tema, il settore privato sa di potere e dovere giocare un ruolo importante. Sono decenni che la Cc-Ti si occupa della formazione continua concernente la gestione aziendale in senso lato. Le conoscenze specifiche sono di competenza delle associazioni di categoria, ma il ruolo della Cc-Ti è quello di dare gli strumenti appunto per una gestione aziendale al passo con i tempi. Non a caso si offrono più di 100 corsi all’anno e coinvolgiamo oltre 1’000 corsisti sui temi più disparati che vanno dalle conoscenze giuridiche alla gestione del personale, passando per la comunicazione e il marketing. Importante sottolineare che il tutto avviene con un approccio «bottom-up», cioè si costruiscono le proposte formative sulla base di quanto viene richiesto dalle aziende e non il contrario.
Questa è la migliore garanzia per la aziende di costruire quelle competenze che esse stesse ricercano sul mercato del lavoro, ma non sempre trovano.

Come si possono promuovere formazioni per nuove professioni?

Questo è essenzialmente compito dei vari settori economici. La Cc-Ti però in un certo senso opera anche in questa direzione, attraverso i corsi che portano all’ottenimento di un diploma quello dedicato allo «Specialista della gestione PMI» e quello dell’ «Impiegato export con diploma rilasciato dalle Camere di commercio e dell’industria svizzere». Con il primo, miriamo a dare un bagaglio di conoscenze fondamentali per guidare un’azienda sia a chi già è attivo in questo senso sia a chi ambisce al ruolo, magari nel quadro della successione in azienda, tema sempre più sentito e su cui lavoriamo in modo specifico. È una formazione che esiste da una trentina d’anni, affinata sempre più e che ogni anno coinvolge almeno una trentina di imprenditori e dirigenti, prevalentemente giovani.
Con la formazione dedicata all’export la Cc-Ti ha portato in Ticino un programma nazionale sviluppato con le altre Camere che è un unicum sia tematico che linguistico, essendo offerto in italiano. Si tratta di un riconoscimento importante del ruolo di chi opera a livello internazionale, sempre più rilevante per il nostro territorio.

Quale collaborazione esiste con lo Stato?

Anche qui sono in primis le associazioni di categoria che si relazionano con l’Autorità, soprattutto con la Divisione della formazione professionale.
I rapporti possono certamente essere intensificati, nel pieno rispetto dei rispettivi ruoli. Un esempio positivo di collaborazione è l’iniziativa comune fra Cc-Ti e Autorità per promuovere una delle 44 nuove professioni promosse dalla Confederazione, cioè quella di Sviluppatrice e sviluppatore business digitale AFC. Figura importante per l’economia, in quanto questi professionisti avranno il compito di sostenere lo sviluppo, la trasformazione l’innovazione digitale di aziende o aree di business, nonché analizzare le problematiche del business digitale quotidiano, ottimizzare i processi e i prodotti su questa base. Competenze digitale e di gestione aziendale, un mix fondamentale e che sarà sempre più richiesto.

Garanzia della stabilità del mercato finanziario: il Consiglio federale approva e sostiene l’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS

Il Consiglio federale approva la prevista acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS. Al fine di rafforzare la stabilità del mercato finanziario, fino alla conclusione dell’acquisizione la Confederazione concede una garanzia per un sostegno supplementare di liquidità a Credit Suisse da parte della Banca nazionale svizzera (BNS). Questo sostegno serve a garantire la liquidità di Credit Suisse e un’attuazione riuscita dell’acquisizione. L’intervento mira a tutelare la stabilità finanziaria e l’economia svizzera.

Fonte: CF

Comunicato stampa: Garanzia della stabilità del mercato finanziario: il Consiglio federale approva e sostiene l’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS (admin.ch)

Unione europea: la nozione di immissione sul mercato

La data di “immissione sul mercato” di un prodotto stabilisce il termine entro il quale il produttore deve poter dimostrare che tale prodotto soddisfa i requisiti essenziali di sicurezza e di tutela della salute di consumatori e operatori. Quando un prodotto è considerato immesso sul mercato?

La corretta individuazione del momento della cosiddetta “immissione sul mercato” costituisce un aspetto importante per le aziende che operano nel mercato dell’Unione europea, indipendentemente dalla loro ubicazione (UE/extra-UE): a prescindere dalla loro origine, infatti, solo i prodotti conformi alla legislazione ad essi applicabile possono essere immessi sul mercato comunitario.

Una prima definizione di “immissione sul mercato” europeo è data dal Regolamento (CE) n. 765/2008: con tale nozione si intende “la prima messa a disposizione di un prodotto sul mercato comunitario”, ovvero “la fornitura di un prodotto per la distribuzione, il consumo o l’uso sul mercato comunitario nel corso di un’attività commerciale, a titolo oneroso o gratuito”. Le stesse definizioni sono state riprese nel Regolamento (UE) n. 2019/1020 che ridefinisce la “messa a disposizione sul mercato” come “qualsiasi fornitura di un prodotto per la distribuzione, il consumo o l’uso sul mercato dell’Unione nel corso di un’attività commerciale, a titolo oneroso o gratuito”.

Su queste definizioni (e non solo) viene in ulteriore aiuto la Guida blu all’attuazione della normativa UE sui prodotti, un documento della Commissione europea che, seppur puramente orientativo e non giuridicamente vincolante, contribuisce fattivamente a un’interpretazione e applicazione uniforme delle varie normative europee sui prodotti. Nella sua più recente edizione (2022), la Commissione europea offre infatti importanti precisazioni su questi concetti. Di seguito sono riassunti i punti principali.

La Guida blu (cf. sezioni 2.2 e 2.3) chiarisce innanzitutto che un prodotto è considerato come “immesso sul mercato” quando è messo a disposizione per la prima volta sul mercato unionale e che tale operazione è riservata al fabbricante o all’importatore. Qualsiasi operazione successiva, ad esempio da distributore a distributore o da distributore a utilizzatore finale, è definita “messa a disposizione”. Infine, la fornitura di un prodotto è considerata una messa a disposizione sul mercato comunitario esclusivamente quando il prodotto è inteso per l’uso finale nel mercato dell’UE: la fornitura di prodotti (per l’ulteriore distribuzione, per l’incorporazione in un prodotto finale, per l’ulteriore lavorazione o la raffinazione) allo scopo di esportare il prodotto finale fuori dal mercato comunitario non è considerata una messa a disposizione.

Il concetto di “immissione sul mercato” così come di “messa a disposizione” si riferisce poi a ogni singolo prodotto e non a una tipologia di prodotto, a prescindere dal fatto che questi sia stato fabbricato in esemplare unico o in serie. L’immissione sul mercato unionale può pertanto avvenire solo una volta per ogni singolo prodotto in tutta l’UE e non ha luogo in ciascuno Stato membro. Anche se una tipologia o un modello di prodotto è stato fornito prima dell’entrata in vigore di una nuova normativa che stabilisce nuovi requisiti obbligatori, i singoli esemplari della stessa tipologia o modello immessi sul mercato dopo che nuovi requisiti sono diventati applicabili devono conformarsi a questi ultimi.

Se i prodotti sono fabbricati su ordinazione, un’offerta o un accordo concluso prima che sia stata ultimata la fase di fabbricazione non possono essere considerati come una “immissione sul mercato”. È il caso, ad esempio, di un’offerta per fabbricare un prodotto conformemente a determinate specifiche concordate dalle parti contrattuali se il prodotto sarà fabbricato e consegnato solo in una fase successiva.

La Guida blu stabilisce altresì che i prodotti messi in vendita online o tramite altri canali di vendita a distanza sono considerati disponibili sul mercato dell’Unione se l’offerta è destinata agli utilizzatori finali dell’UE (cfr. sezione 2.4). Tali prodotti devono pertanto essere conformi alle norme UE applicabili e possono essere soggetti a controlli da parte delle autorità di vigilanza del mercato UE.

Prodotti importati da paesi extra-UE

La normativa europea si applica ai prodotti extra-UE quando essi sono messi a disposizione sul mercato comunitario per la prima volta (cfr. sezione 2.4). Essa si rivolge non solo ai prodotti di nuova fabbricazione, ma anche ai prodotti usati e di seconda mano.

Prima di raggiungere l’utilizzatore finale nell’UE, i prodotti provenienti da paesi extra-UE sono presentati in dogana nell’ambito della cosiddetta “procedura di immissione in libera pratica”. Scopo dell’immissione in libera pratica è l’espletamento di tutte le formalità di importazione in modo che i prodotti possano essere messi a disposizione sul mercato comunitario come qualsiasi prodotto fabbricato nell’UE. Di conseguenza, quando si presentano prodotti in dogana nell’ambito della procedura di immissione in libera pratica si può di norma ritenere che tali merci siano immesse sul mercato dell’UE e queste dovranno quindi essere conformi alla normativa unionale applicabile. Può però anche accadere che l’immissione in libera pratica e l’immissione sul mercato non avvengano contemporaneamente. L’immissione sul mercato è il momento in cui il prodotto è fornito per la distribuzione, il consumo o l’uso e può avvenire prima dell’immissione in libera pratica, ad esempio in caso di vendite online da parte di operatori extra-UE, anche se il controllo materiale della conformità dei prodotti può essere effettuato soltanto non appena i prodotti arrivano in dogana nell’UE.

I prodotti entrati nel territorio unionale e che richiedono un’ulteriore trasformazione per essere conformi alla normativa prodotto applicabile devono essere vincolati al regime doganale che consente tale lavorazione e possono essere dichiarati per la libera pratica solo dopo essere stati resi conformi.

Esempi pratici

La Guida blu analizza alcune casistiche sulla base di esempi pratici:

  • esempio di vendita di prodotto extra-UE ad un utilizzatore finale nell’UE: un’apparecchiatura a raggi X, fabbricata negli Stati Uniti, che è stata venduta a un ospedale nei Paesi Bassi il 15 marzo 2019 arriverà alla dogana olandese solo il 5 aprile 2019. Il prodotto è venduto dal fabbricante extra-UE direttamente al cliente UE tramite vendita a distanza.
    In questo caso la data dell’immissione sul mercato dell’apparecchiatura a raggi X è il 15 marzo 2019, data in cui l’utilizzatore finale nell’UE ha acquistato da un fabbricante extra-UE un prodotto già fabbricato e data in cui è stato effettuato e accettato l’ordine di un prodotto pronto per la spedizione (cfr. sezione 2.4);
  • esempio di vendita di prodotto extra-UE ad un importatore: una stampante fabbricata in Cina viene spedita nell’UE a un importatore spagnolo, per l’ulteriore distribuzione nell’UE, il 15 febbraio 2019, ed è immessa in libera pratica nell’UE il 15 marzo 2019. Il prodotto è fabbricato al di fuori dell’UE e immesso sul mercato unionale da un importatore. In questo caso la data di immissione sul mercato è il 15 marzo 2019, che corrisponde alla data di immissione in libera pratica. In genere si può dire che, nel caso di vendite ad un importatore, l’immissione nel mercato coincide con l’immissione in libera pratica (cfr. sezione 2.5);
  • esempio di vendita di prodotto extra-UE da fabbricare a utilizzatore finale nell’UE: una macchina completa viene ordinata da un utilizzatore finale dell’UE il 1° aprile 2019 sulla base di un’offerta/un modello contenuti in un catalogo. La macchina è successivamente fabbricata in Cina e spedita all’utilizzatore finale il 1° giugno 2019. Arriva in dogana il 20 giugno 2019. Il prodotto è venduto dal fabbricante extra-UE direttamente al cliente UE tramite vendita a distanza. In questo esempio la data dell’immissione sul mercato è il 1° giugno 2019, data in cui il prodotto che l’utilizzatore finale dell’UE ha acquistato da un fabbricante extra-UE è già fabbricato e pronto per la spedizione (cfr. sezione 2.4);
  • esempio di spedizione di prodotto extra-UE da fabbricare a un prestatore di servizi di logistica: il 15 marzo 2019 un fabbricante di giocattoli extra-UE spedisce a un prestatore di servizi di logistica 100 giocattoli dello stesso modello che sono immessi in libera pratica il 20 marzo 2019. Il fabbricante inizia a vendere tali prodotti sul proprio sito web a partire dal 1° aprile 2019. I prodotti sono fabbricati al di fuori dell’UE e materialmente trasferiti a un prestatore di servizi di logistica per essere distribuiti sul mercato unionale. In questo esempio la data di immissione sul mercato non è la data della vendita online, ma la data dell’immissione in libera pratica, ovvero il 20 marzo 2019 (cfr. sezione 2.4).

Link utili:

Requisiti dell’UE per i prodotti (europa.eu)

Assegni Familiari & AUUF

Italia: Assegno Unico Universale 2023-2024

Dal 2023 inviano la domanda soltanto i nuovi aspiranti beneficiari, mentre chi già riceveva l’Assegno unico non deve fare nulla a meno che non siano intervenute variazioni che richiedono un’integrazione tempestiva della vecchia domanda sul sito INPS, per consentire di adeguare la prestazione alla nuova situazione reddituale o familiare.
I beneficiari attivi a febbraio 2023, da marzo ottengono il rinnovo automatico alle medesime condizioni, rapportate all’eventuale ISEE in corso di validità.


INFORMATIVA

Informativa aggiornata a marzo 2023

Politica, economia e società: un impegno pubblico a 360 gradi

Cristina Maderni, Vicepresidente Cc-Ti

Vicepresidente della Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino, Presidente della Federazione ticinese delle Associazioni di fiduciari e dal 2019 Deputata del PLRT in Gran Consiglio. Per Cristina Maderni vita professionale, attività associativa e militanza politica sono la costante testimonianza di un impegno pubblico a 360 gradi per la crescita economica e sociale del Paese. Con la sua prima elezione in Parlamento si è impegnata personalmente, con numerosi interventi e atti parlamentari, sui temi più pressanti dell’attualità politica: dalle misure per contenere gli effetti della pandemia e della crisi della materie prime alle problematiche sui frontalieri e l’occupazione; dalla fiscalità al Decreto cantonale per il pareggio dei conti entro il 2025; dal risanamento energetico degli stabili ticinesi alla modifica della legge sull’apertura dei negozi e all’istituzione di un centro educativo chiuso per i minorenni; dalla battaglia per meno burocrazia al sostegno della continuità aziendale nelle procedure di successione. Ed è in prima fila anche nelle iniziative popolari per neutralizzare gli effetti dell’aggiornamento delle stime immobiliari e per abrogare la tassa di collegamento.

Quella che sta per concludersi non è stata una legislatura facile. Pandemia, guerra in Ucraina e crisi energetica hanno pesantemente condizionato la vita politica. Comunque, guardando ad un quadriennio ormai agli sgoccioli, in generale, cosa è mancato, cosa si poteva fare di più?

L’emergenza del Coronavirus e la crisi energetica hanno pressoché monopolizzato l’agenda politica. Forse quello che è mancato, e che ancora manca, è la piena consapevolezza delle gravi difficoltà che le imprese hanno dovuto affrontare con i ripetuti lockdown, dei problemi causati dalla crisi delle materie prime e del caro energia, non solo per le imprese, ma per la società tutta. Come ha evidenziato l’ultima inchiesta congiunturale della Cc-Ti, le aziende ticinesi hanno dimostrato una notevole capacità di resilienza e adattamento a questi eventi straordinari; tuttavia, i contraccolpi sul tessuto economico si sono sentiti e si faranno sentire in futuro. Dunque, quello che si può fare di più è uno sforzo maggiore nel migliorare  le  condizioni  quadro  volte a salvaguardare e potenziare la competitività e l’innovazione delle nostre aziende per rilanciare l’economia. È altresì necessario un maggiore impegno nel rinsaldare il dialogo tra le parti sociali, mettendo da parte pregiudiziali ideologiche, nell’interesse del nostro Paese. Due obiettivi sui quali dobbiamo concentrare i nostri sforzi anche nella prossima legislatura.

Che bilancio fa di questa prima esperienza in Gran Consiglio?

Sono stati quattro anni particolari e molto intensi che mi hanno dato la possibilità di conosce- re più a fondo il nostro Cantone, i suoi bisogni, le sue aspirazioni ma anche le sue potenzialità. Tutto ciò rappresenta oggi per me un capitale importante di conoscenze e competenza che, spero, gli elettori mi permetteranno di mettere a loro disposizione nella prossima legislatura. Certo, in un sistema consociativo come il nostro i tempi delle decisioni politiche non sono veloci per come si vorrebbe, il più delle volte bisogna ricorrere a dei ragionevoli compromessi, costruire le opportune alleanze, affinando la capacità di ascolto e di dialogo con tutti. Ma tirate le somme, posso dire che servire il Paese con dedizione, onestà e competenza è sempre un’esperienza entusiasmante e arricchente.

Molti dei dossier su cui si è impegnata sono tuttora aperti e dibattuti. Contro la modifica della legge sull’apertura dei negozi, ad esempio, la sinistra e i sindacati hanno lanciato un referendum. Eppure, non si chiede la luna: una mezz’ora d’apertura in più e una domenica in più per sostenere i commerci e favorire il turismo. Come spiega tanta resistenza dopo trent’ anni di discussioni e diverse votazioni popolari?

Da tempo si insiste tanto sulla necessità di puntare sul turismo, perché è una delle voci più importanti della nostra economia, ma quando s’intraprende una qualche misura diretta a favorirlo, incentivando le sinergie tra commerci e presenza turistica, ecco che insorge il solito fronte del no. La modifica della Legge, nata da un’iniziativa parlamentare del PLRT, vuole innanzitutto sostenere le piccole attività commerciali che stanno vivendo gravi difficoltà e, allo stesso tempo, rispondere meglio ai nuovi stili di vita, alle nuove abitudini nei consumi e ai bisogni dei turisti. L’ estensione della modifica alle superfici commerciali di 400 mq, senza includere, quindi, la grande distribuzione, così contestata dai referendisti, ha solo lo scopo di migliorare l’attrattività turistica, concedendo ai negozi più grandi la possibilità di qualche apertura in più. Con questo aggiustamento non si obbliga nessuno a fare qualcosa, si vuole solo offrire un’opportunità ai piccoli negozi. Non ci sono, dunque, motivi plausibili per opporsi, ma solo ragioni ideologiche.

È dal 2015 che si parla della tassa di collegamento. Ben 19 ricorsi, una votazione popolare, una sentenza del Tribunale federale e una decisione del Gran Consiglio che vorrebbe introdurla nel 2025 per un periodo di prova di tre anni. Perché abrogare questa tassa?

Per tre motivi semplicissimi: in tempi in cui in Ticino furoreggiava il risentimento verso i lavoratori di oltre confine, si è contrabbandata questa tassa anche come una misura anti-frontalieri e risolutiva per ridurre il traffico. In realtà, come si è visto, a pagarla sono i ticinesi e i residenti, mentre la soluzione per ridurre il traffico è il potenziamento dei trasporti pubblici. In secondo luogo, perché essa colpisce soprattutto chi non può fare a meno dell’auto per andare a lavorare o perché abita in zone periferiche. Infine, è inammissibile che in una situazione economica così pesante per i cittadini e le aziende li si voglia caricare di un ulteriore costo aggiuntivo. Si stima che questo balzello costerebbe 875 franchi all’anno ad ogni residente che usa l’auto per recarsi al lavoro. È bene ricordare che in meno di un decennio le tasse causali, in cui rientra quella di collegamento, sono aumentate di circa 80 milioni. Una spirale perversa che bisogna fermare.

Sarà battaglia anche sulla revisione delle stime immobiliari. Quali sarebbero le conseguenze di una mancata neutralizzazione dei nuovi valori di stima?

Senza il principio della neutralità fiscale della revisione, le conseguenze sarebbero troppo pesanti. Difatti, con l’aggiornamento gli attuali valori delle stime potrebbero addirittura raddoppiare, il che significa che le imposte sulla sostanza pagate dai proprietari di case e appartamenti mezzo miliardo di franchi: 280 milioni al Cantone e 220 milioni ai Comuni. Un salasso per il ceto medio, soprattutto per chi a costo di grandi sacrifici è riuscito a farsi un’abitazione propria. Ma a pagare non sarebbero solo i proprietari, l’aumento si ripercuoterebbe inevitabilmente sugli inquilini che vedrebbero aumentare gli affitti. La revisione toccherebbe, inoltre, una ventina di leggi che saranno condizionate dai nuovi valori, con un effetto a cascata: dal calcolo delle rette nelle case per anziani, alle prestazioni complementari, alla concessione di borse di studio. All’aumento dei valori di stima corrisponderebbe, perciò, una riduzione delle persone che ricevono questi aiuti. Ancorare nella Costituzione il principio della neutralità dal profilo fiscale, delle prestazioni e degli aiuti sociali, significa evitare un ulteriore impoverimento del ceto medio.

Da tempo il mondo dell’economia ha lanciato l’allarme sulla penuria di manodopera. Un problema destinato ad acuirsi col pensionamento della generazione dei baby boomer. Si stima che In Ticino nel prossimo decennio 50-70 mila persone lasceranno il lavoro. Come affrontare questa emergenza?

Da noi, già quest’anno il numero di baby boomer che andranno in pensione sarà superiore ai nuovi ingressi nel mondo del lavoro. È la prima volta che si registra questo scarto e ciò la dice lunga sull’emergenza che ci troveremo ad affrontare sotto la spinta dell’invecchiamento della popolazione e dell’innovazione tecnologica che elimina, o riduce, vecchi lavori, ma ne crea di nuovi. Dobbiamo pensare a misure sul breve, medio e lungo periodo. Quello che si può fare sin da subito è sollecitare un vero salto di qualità del sistema formativo a tutti i livelli, per ricalibrarlo sui nuovi trend occupazionali, incentivare un più deciso aumento sul mercato del lavoro della presenza femminile che rappresenta un patrimonio di competenze, professionalità e versatilità ancora a volte sottovalutato e trascurato. Come Cc-Ti stiamo ultimando un’indagine a tappeto tra le nostre associazioni per capire quali sono i profili professionali di cui hanno bisogno ora e in futuro le imprese. Una sorta di radiografia a tutto campo sulle prospettive occupazionali sui cui si potrebbero calibrare nuovi percorsi formativi alla luce della continua innovazione tecnologica.

Non mancano solo tecnici qualificati per l’industria, informatici, professionisti del settore IT personale sanitario e specialisti in scienze ingegneristiche, ma non si trovano neanche elettricisti, orologiai, artigiani e molte altre figure professionali. Una carenza che potrebbe essere fatale per la nostra economia, mentre la formazione stenta a stare al passo con le richieste del mondo del lavoro. Come intervenire?

La penuria di personale qualificato, ma anche di manodopera non specialistica, è il tallone d’Achille della nostra economia che può mettere in serio pericolo la crescita. Da anni ormai per i profili professionali più qualificati dobbiamo ricorrere all’estero, ma anche gli altri Paesi hanno lo stesso problema e faranno di tutto per trattenere in patria i lavoratori specializzati, offrendo buone retribuzioni, vantaggi fiscali e benefit vari. La concorrenza internazionale nell’accaparrarsi questa manodopera sarà sempre più agguerrita e non possiamo restare a guardare. In Ticino abbiamo già circa 500 imprese, soprattutto start-up, specializzate nelle Scienza della vita e sta prendendo forma il Parco dell’Innovazione, è evidente che da solo lo sviluppo di questi settori innescherà una forte domanda di maestranze e specialisti a vari livelli. Le tecniche produttive, le conoscenze e l’economia in generale si stanno evolvendo con una rapidità e un’estensione mai registrate nella storia, di fronte a tutto ciò un primo punto fermo deve essere la convinzione che innovazione e formazione non sono entità separate, ma che devono procedere, per quanto possibile, su binari paralleli. Soltanto partendo da questo presupposto si può escogitare una strategia d’intervento che riduca man mano il divario tra domanda e offerta di lavoro. Ma perché sia davvero proficua questa strategia deve essere condivisa tra politica, istituzioni e parti sociali. Come Cc-Ti siamo pronti a fare la nostra parte.

L’apprendistato da noi, a differenza di molti altri Cantoni, stenta a decollare davvero. Tante iniziative promozionali e campagne pubblicitarie, mentre si è fatto poco per alleggerire vincoli burocratici, costi e dispendio di tempo che soprattutto nelle piccole imprese limitano fortemente l’assunzione di apprendisti. Che pensa al riguardo?

Anche queste campagne promozionali servono, soprattutto se finalizzate a combattere il luogo comune, ancora molto radicato, che l’apprendistato sia una formazione di serie B. È chiaro che da sole non bastano. La formazione duale è uno dei punti di forza del nostro sistema scolastico, purtroppo però sulle aziende formatrici gravano tanti oneri che incidono negativamente sull’aumento dei contratti di tirocinio. Il peso degli oneri imposti dalle normative federali è tale da scoraggiare le imprese più piccole: l’obbligo, ad esempio, di avere al proprio interno un maestro di tirocinio, l’investimento di tempo ri- chiesto non solo per formare adeguatamente gli apprendisti, ma anche per evadere le numerose pratiche burocratiche, non sono certo un incentivo, in particolare, per i piccoli imprenditori che hanno meno mezzi e risorse. Così si spreca una possibilità, sia per tanti giovani, sia per le aziende di formare loro stesse i collaboratori di cui hanno bisogno. Alleggerire il carico di questi obblighi contribuirebbe certamente ad aumentare l’offerta di nuovi posti per gli apprendisti.

A volte si ha pure l’impressione che si continua a formare apprendisti in settori con scarse opportunità d’impiego, mentre non se ne formano abbastanza in quei comparti innovativi che potrebbero invece offrire occupazione e ottimi stipendi. Non crede sia urgente un’attenta analisi sul sistema della formazione per ricalibrare l’orientamento professionale dei giovani verso attività con prospettive più sicure?

L’orientamento è un elemento cruciale. Ai giovani vanno spiegate e comunicate meglio non solo le attività che possono intraprendere subito, ma anche quelle a medio e lungo periodo. Basta pensare alle specializzazioni che si creeranno nelle tecnologie ambientali e nel settore delle energie rinnovabili, che stanno già trasformando radicalmente attività tradizionali come la falegnameria o l’edilizia.

Va spiegato come stanno evolvendo, grazie allo sviluppo della tecnologia, anche i vecchi mestieri artigianali, prefigurando nuove professioni molto promettenti ed economicamente gratificanti. Va insegnato loro che un diploma o un attestato federale non sono più il punto di arrivo, ma di partenza, per ulteriori formazioni più specifiche per le quali a volte occorre valicare il Gottardo. Ciò non è di sé stesso un male, ma è un aspetto su cui bisogna ragionare. È altresì necessario riflettere su un dato allarmante diffuso poche settimane fa dall’Ufficio federale di statistica: in Ticino il 35,8% dei contratti di tirocinio viene rescisso (la media nazionale è del 22,4%), vale a dire che 448 giovani hanno interrotto il percorso formativo a metà strada. È evidente che non solo il lavoro è cambiato ma che anche i giovani sono cambiati. La cosiddetta Generazione Z ha un approccio col lavoro del tutto diverso rispetto alle passate generazione. C’è ora in gioco una nuova variabile che va tenuta in grande considerazione in tutti i contesti formativi.

Da tempo Lei si batte per la de-burocratizzazione. È stato calcolato che in Svizzera, tra Confederazione, Cantoni e Comuni, la burocrazia assorbe il 7,3% del Pil; in Ticino essa comporta un onere finanziario annuo pro capite di 5.700 franchi, oltre al carico di vin- coli, tempo e obblighi che soffoca cittadini e imprese. La digitalizzazione nelle aziende private è servita pure a razionalizzare processi e ridurre i costi, cosa che invece non pare sia avvenuta nella pubblica amministrazione. Come lo spiega?

Per la semplice ragione che nelle imprese vige il criterio della redditività, senza cui ogni attività economica fallirebbe, principio da cui è invece pressocché esonerato l’apparato statale. Comunque, dei passi avanti nella digitalizzazione dell’amministrazione pubblica sono stati fatti, ma non con la rapidità auspicata né con i risultati sperati. Si è arrivati al paradosso che il cittadino debba pagare delle tasse per ottenere dei documenti da presentare ad enti statali o comunali, quando questi stessi documenti sono già in possesso dello Stato, oppure che si persista nella pratica dei “doppioni” nella raccolta di dati presso le imprese. È dal 2019 che mi batto in Parlamento contro queste assurdità. Purtroppo, per sua natura la burocrazia va avanti con una forza inerziale che rallenta ogni cambiamento. Il proliferare di leggi, regolamenti, ordinanze complica ulteriormente le cose, con un eccesso di regolamentazioni che opprime i cittadini, le imprese e scoraggia l’iniziativa privata. La crescita metastatica di vincoli e oneri burocratici è un male contro cui bisognerà intervenire con maggiore determinazione.

In Ticino circa 18mila imprese nei prossimi dieci anni dovranno affrontare il problema della successione aziendale. Lei, assieme al Presidente del PLRT Alessandro Speziali, ha presentato un’iniziativa parlamentare per modificare l’attuale Legge tributaria che penalizza la successione tra parenti non diretti o a terze persone, scoraggiando di fatto potenziali subentranti. Senza questa modifica a che rischi si andrà incontro?

Il rischio è d’impoverire il nostro tessuto produttivo, di perdere un notevole know-how, posti di lavoro e gettito fiscale. Di cancellare una presenza che assicura stabilità e competitività alle dinamiche socioeconomiche del territorio. Un problema oggi ancora più urgente poiché il pensionamento dei baby boomer coinvolgerà anche la conduzione e la proprietà aziendale. Obiettivo della nostra iniziativa è di evitare che nel momento in cui un imprenditore decide di ritirarsi, un gran numero di piccole e microimprese, per lo più a conduzione familiare, sia costretto a cessare l’attività perché il subentrante non ha la liquidità necessaria per far fronte all’onere fiscale della successione o della donazione. Va ricordato, al proposito, che l’89% delle 39mila aziende attive in Ticino sono piccole imprese che contano meno di 10 collaboratori, ma che danno lavoro a ben 79mila persone. Una variegata realtà produttiva che si sta già confrontando con una scelta che è uno dei momenti decisivi nella storia di un’ impresa, da cui possono nascere seri rischi per la sua sopravvivenza così come buone opportunità di rilancio. Perciò, bisogna rendere sopportabile il trapasso della titolarità a subentranti in grado di garantire la continuità e il successo dell’azienda, e spesso si tratta di collaboratori di lungo corso dell’impresa stessa o di persone attive nel settore ma che non sono eredi diretti.

Noi abbiamo proposto una riduzione dell’onere fiscale del 75%, rispetto all’attuale sistema, nel caso di trapasso a parenti non diretti, come ad esempio nipoti o affini, oppure ad un soggetto estraneo alla famiglia. La successione aziendale deve essere un’occasione di rinnovamento imprenditoriale e di salvaguardia dei posti di lavoro, e non una minaccia di cessazione dell’attività. Con la nostra proposta vogliamo che chi subentra, chi vuole rimboccarsi le maniche e portare nuove idee per il successo dell’impresa, riesca nel suo intento e non sia scoraggiato sin dall’inizio da una fiscalità troppo elevata. Se ci sono queste condizioni, la successione può rappresentare una grande opportunità anche per i dipendenti più giovani, se sono pronti a rilevare l’attività.

Allungando lo sguardo sulla nuova legislatura quali saranno i temi dominanti?

Certamente la tassa di collegamento, la revisione delle stime immobiliari e la modifica degli orari dei negozi domineranno ancora il confronto politico. A ben vedere saranno dei test rivelatori della forza propositiva di due schieramenti contrapposti: chi vuole tenere a galla la società a forza di sussidi, estendendo il rapporto di dipendenza dallo Stato, e chi invece crede che bi- sogna incoraggiare l’autonomia dei cittadini e la libertà d’impresa per produrre quella ricchezza di cui beneficia poi tutta la collettività. L’esito di questo confronto può determinare l’indirizzo politico degli anni a venire. A tenere banco ci sarà, inoltre, il risanamento delle finanze cantonali e il pareggio del bilancio entro il 2025 col vincolo di non aumentare imposte e tasse. Un obiettivo reso ancora più complicato dal mancato contributo della BNS nel 2023. Ciò dovrà spingere Governo e Parlamento ad una gestione molto più oculata del denaro dei contribuenti e ad una razionalizzazione della spesa pubblica. Bisognerà lavorare ad un piano condiviso su quelle che sono le vere priorità per il Paese, senza abbassare la guardia sulla fiscalità in modo che la riforma del 2020 entri in vigore nei modi e nei tempi previsti. Anche la transizione ecologica, con lo sviluppo delle energie rinnovabili, assieme alla formazione e al consolidamento della riforma della scuola media con il dibattito sul superamento dei livelli, saranno temi centrali nel prossimo quadriennio.

Il volto dell’albergheria ticinese

Lorenzo Pianezzi, Presidente di HotellerieSuisse e Membro UP Cc-Ti

Lorenzo Pianezzi è il volto dell’albergheria ticinese. La vocazione alla cultura dell’ospitalità Pianezzi l’ha scoperta sin da bambino, a 10 anni appena. Da allora, dopo aver acquisito una solida formazione professionale, ha maturato un’intensa carriera nella conduzione di noti hotel, che lo ha portato ai vertici cantonali e nazionali del settore turistico-alberghiero. È presidente di HotellerieSuisse Ticino, siede nell’Ufficio Presidenziale della Cc-Ti, attivo in numerose Associazioni ha anche fondato la società di gestione e consulenza per hotel “Horizon Collection”.

Da Consigliere comunale a Lugano, gruppo Centro/Ppd, si è profilato nel suo impegno per una Città con un respiro sempre più internazionale e per lo sviluppo turistico della regione. Lo stesso impegno che, con le elezioni del prossimo aprile, vuole portare in Gran Consiglio per dare anche più voce ad una componente chiave di quell’industria del turismo che rappresenta il 9,6% del Pil cantonale  e un valore aggiunto lordo di 2,1 miliardi di franchi. Con il presidente di HotellerieSuisse Ticino facciamo il punto su problemi e prospettive del settore.

L’economia sta affrontando una difficile congiuntura. Pandemia, caro energia e inflazione come hanno inciso sul comparto alberghiero? Quali effetti sul lungo periodo?

“Gli eventi degli ultimi tre anni hanno messo a dura prova tutto il settore dell’ospitalità. I rincari innescati dai costi dell’energia hanno causato e stanno causando grossi problemi agli Albergatori. Noi cerchiamo di indirizzare le nostre strutture verso tutte quelle condizioni e innovazioni che permettono di essere “a jour” con gli impianti energetici e di sensibilizzare collaboratori e clienti su un uso coscienzioso degli apparecchi che consumano energia. Essendo gli aumenti trasversali e toccando pure le materie prime,  gli effetti che possiamo attenderci in futuro saranno dei conseguenti rincari nei costi dei servizi che abitualmente eroghiamo nelle strutture ricettive”.

L’andamento dei pernottamenti si conferma positivo in primavera e in estate, tutt’altro discorso per l’inverno. Da anni si parla di una destagionalizzazione che stenta però a decollare. Perché?

“La destagionalizzazione, a livello teorico, trova grande condivisione tra i diversi attori del turismo, ma se dovessimo analizzare l’investimento della promozione in termini finanziari, vedremo probabilmente un grande gap tra gli investimenti per attrarre turismo in primavera e in estate, rispetto a quelli  per l’autunno-inverno.  Ci sono ancora regioni che non credono nella possibilità di sviluppare il turismo invernale. Per turismo invernale non intendo solo la crescita di destinazioni con impianti o sport invernali che, viste le temperature miti, a loro volta lavorano su progetti per essere anche esse attrattive 12 mesi l’anno; intendo invece lo sviluppo di una promozione atta ad incentivare il turismo da novembre a marzo. Vi sono, infatti, regioni dove in questi mesi sembra fermarsi quasi tutto… ad esempio, sul Verbano la navigazione è praticamente dismessa in inverno, diversi negozi e altri possibili attrattori chiudono in attesa del ritorno del turista, che per un’abitudine, in realtà ormai desueta per tanti ospiti, si fa coincidere col fine settimana pasquale”.

Che fare allora?

“Le precedenti generazioni di albergatori hanno sempre raggiunto risultati soddisfacenti lavorando prevalentemente da Pasqua a fine ottobre, per il resto dell’anno potevano dedicarsi alle necessarie ristrutturazioni o a prolungati periodi di riposo. Queste stesse generazioni hanno oggi più figli con cui dividere i risultati e, guardando al futuro, questi figli avranno a loro volta dei discendenti con i quali dovranno dividere i risultati. Quando questi risultati non soddisferanno più le diverse generazioni, divenute proprietarie della struttura ricettiva familiare, bisognerà decidere che investimento fare… In passato abbiamo visto strutture di questo tipo vendute e/o trasformate in appartamenti, col vantaggio di abbattere i costi di gestione. Se fossimo, invece, più lungimiranti, se vogliamo che queste strutture siano redditizie per più generazioni, ecco che abbiamo a portata di mano una stagione che turisticamente ancora non sfruttiamo appieno: l’inverno. Se desideriamo aumentare i pernottamenti, la stagione con un vero potenziale di crescita è l’autunno-inverno, d’estate non si può fare di più”.

Anche HotellerieSuisse lamenta la mancanza di personale, com’è la situazione in Ticino?

“La situazione è decisamente peggiore nel resto della Svizzera. Ciò non significa abbassare la guardia, se la tendenza è la stessa, prima o poi, pure noi avremo una carenza di personale. Negli altri Cantoni ci sono strutture che non possono lavorare a pieno regime, dove parte dell’ospitalità o della ristorazione sono chiuse al pubblico per l’impossibilità di garantire il servizio a tutte le camere, di preparare e servire le pietanze per tutti i tavoli a causa della mancanza di personale. In Ticino, attualmente, c’ è una ancora leggera difficoltà nel reperire parte della manodopera stagionale indispensabile per la stagione che va da Pasqua a fine ottobre. E qui si evidenzia un altro vantaggio della destagionalizzazione: evitando picchi di ospiti concentrati in determinati mesi dell’anno, rendendo quindi l’andamento turistico interessante anche in autunno e inverno, vi sarebbe una maggiore necessità di collaboratrici e collaboratori per un periodo più prolungato rispetto alla canonica stagionalità”.

Si potrebbe fare di più a livello di formazione per promuovere le professioni alberghiere tra i giovani?

“Le professioni dell’albergheria negli ultimi 30 anni sono state spesso monopolio di stranieri che si sono trasferiti, con successi professionali e d’integrazione, nel nostro Paese. Questo ha, forse, scoraggiato le famiglie autoctone dal consigliare tali lavori ai propri figli. Ad onor del vero, va detto che la professione di cuoco non ha subito forti sbalzi numerici tra i giovani svizzeri. Questi ultimi, in generale, sono maggiormente assenti nelle professioni del ramo impiegato/a d’albergo oppure nel settore del ricevimento, dove però si può attingere ai diplomati delle Scuole di commercio. Va ricordato che alla fine di un apprendistato AFC si ha diritto ad un salario minimo di 4’369 franchi lordi, e che un certo impegno e una predisposizione per le attività alberghiere garantiscono, solitamente, una veloce ed interessante carriera”.

Abitudini e aspettative dei clienti sono molto cambiate, l’innovazione nel vostro settore è al passo con questa trasformazione o ci sono margini per migliorare?

“Vi sono sempre margini di miglioramento. Le nuove generazioni di albergatori hanno ben compreso  che le strutture vanno rinnovate almeno ogni 10 / 15 anni. In passato s’ investiva e si pretendeva che la qualità dei materiali impiegati fosse impeccabile per i 30 anni successivi. La qualità era certo impeccabile, peccato però che il design e le mode non durassero quanto potevano durare invece quei materiali, si pensi, ad esempio, all’evoluzione degli arredi. I nostri clienti, oltre a venire in Ticino, sono soliti visitare altre destinazioni nel mondo. Sappiamo bene quanto manodopera e altri costi siano inferiori all’estero rispetto alla Svizzera. Per i nostri alberghi è dunque necessaria una marcia in più, destinando parte del ricavo a continui miglioramenti strutturali per restare attrattivi e competitivi. Non da ultimo, i rincari energetici sollecitano anche gli Albergatori ad adattarsi alle nuove tecnologie per contenere i costi”.

Il turista che viene in Ticino vuole trovare anche qui un ambiente dinamico e vivere un’esperienza emozionale che magari lo spingerà a ritornare. Oltre ad eventi e manifestazioni, vuole trovare i negozi aperti negli orari più comodi per lo shopping. Ma contro la possibilità di aprire mezz’ora in più e una domenica in più è stato lanciato un referendum. Che pensa di questa opposizione?

“Sembrerebbe che il Ticino in questo caso non riesca a vedere che abitudini e costumi evolvono in continuazione. Non ci sono solo i commercianti a lavorare di domenica o la sera, cosa che nel resto del mondo, ma spesso pure negli altri Cantoni, è abitudine consolidata da decenni. Anche il nostro ospite elvetico si aspetta più elasticità nei tempi e nei giorni di apertura dei negozi. Lo shopping non è l’ unico attrattore, ma è sicuramente una componente importante di un soggiorno vacanziero”.

Cosa manca alla nostra politica turistica?

“Il coraggio di osare di più fuori da schemi ormai datati, sia per i tempi che per usi e costumi. Il Ticino turistico è abituato ad accogliere gli ospiti prevalentemente da Pasqua a fine ottobre e pare non vedere il richiamo che arriva in particolare dal nostro mercato di riferimento: la Svizzera. Turisti elvetici che sempre più sono pronti a visitarci da novembre a marzo. Gli anni della pandemia hanno aiutato molto un primo sviluppo della destagionalizzazione, che sembra, però, aver coinvolto più i nostri ospiti, che non gli addetti ai lavori. È solo un primo passo perché è appunto una richiesta che arriva soprattutto dal consumatore, l’offerta, a parte il Luganese che ha pure grandi margini di miglioramento, invece non si è  ancora adeguata a questa nuova tendenza. Alcuni sembrano negarla o addirittura non vederla, nonostante l’aumento dei pernottamenti da gennaio a marzo, come si è visto nel 2022.

Un altro necessario rinnovamento riguarda il prodotto turistico che – ad eccezione di investimenti privati come il Fiore di Pietra, il Monte Tamaro, lo Splash & SPA, i Termali Salini o il famoso Ticino Ticket, voluto da me e dagli Albergatori che rappresento, e ottenuto grazie all’ottima collaborazione con il Consigliere di Stato Vitta e all’appoggio tecnico di Ticino Turismo -, non vede tra gli operatori un vero impegno nel proporre nuovi prodotti. Ogni anno c’è un fiorire di progetti anche interessanti, ma che per qualche strana ragione sono poi sommersi da critiche o liti da cortile, e alla fine spariscono in qualche cassetto”.

Elusione sanzioni Russia: nota delle autorità USA

Sono in aumento gli operatori che si avvalgono di intermediari per eludere le restrizioni verso la Russia. Per aiutare gli operatori economici ad individuare questi tentativi di elusione, le autorità americane hanno emanato una nota congiunta che riporta i segnali di allarme più comuni. Un documento utile anche alle aziende estere coinvolte nella riesportazione di beni o tecnologie USA o che utilizzano componenti o tecnologie di origine USA nei loro prodotti poiché assoggettate alle leggi statunitensi sul controllo delle esportazioni.

A fine gennaio, la Cc-Ti aveva segnalato l’emergenza di alcune pratiche di elusione delle sanzioni nei confronti della Russia.

Ad inizio marzo l’Office of Foreign Assets Control (OFAC) del Dipartimento del Tesoro, il Bureau of Industry and Security (BIS) del Dipartimento del commercio e il Dipartimento della giustizia (DOJ) degli Stati Uniti hanno pubblicato un’interessante nota di conformità congiunta volta a dare un giro di vite all’utilizzo di intermediari per eludere le restrizioni verso la Russia.

Nella nota, le autorità americane sottolineano come la Russia utilizzi attivamente intermediari di terze parti e/o punti di trasbordo per aggirare le restrizioni e mascherare il coinvolgimento dei cosiddetti “cittadini specialmente designati e persone bloccate” (Specially Designated Nationals And Blocked Persons, SDN) o di entità elencate nella rispettiva lista (Entity list) allo scopo di oscurare le vere identità degli utenti finali russi.

Per aiutare gli operatori economici ad individuare eventuali tattiche di evasione e ad implementare le misure di compliance appropriate, nella loro nota le autorità USA elencano una serie – non esaustiva – di segnali d’allarme (red flags):

  • utilizzo di persone giuridiche, società di comodo e accordi legali per oscurare la proprietà, la fonte dei fondi o i Paesi coinvolti, in particolare quelli sottoposti a sanzioni;
  • riluttanza di un cliente a condividere informazioni sull’utilizzo finale di un prodotto e a compilare la relativa documentazione;
  • utilizzo di società di comodo per effettuare bonifici internazionali, spesso coinvolgendo istituzioni finanziarie in giurisdizioni diverse da quella di registrazione della società;
  • rifiuto della consueta installazione, formazione o manutenzione degli articoli acquistati;
  • indirizzi IP che non corrispondono ai dati di localizzazione segnalati da un cliente;
  • modifiche dell’ultimo minuto alle istruzioni di spedizione, diverse da quelle consone del cliente o alle pratiche commerciali;
  • pagamenti provenienti da un Paese terzo o da un’azienda non menzionati nella dichiarazione di uso finale (end-user statement, modulo BIS-711) o di altro modulo applicabile;
  • utilizzo di caselle di posta elettronica personali al posto di quelle aziendali;
  • gestione di attività complesse e/o internazionali utilizzando indirizzi residenziali o comuni a più entità societarie strettamente controllate;
  • modifiche alle lettere di incarico standard che oscurano il cliente finale;
  • transazioni che comportano una modifica delle spedizioni o dei pagamenti precedentemente programmati per la Russia o la Bielorussia;
  • transazioni che coinvolgono entità con scarsa o nessuna presenza sul web;
  • instradamento degli acquisti attraverso punti di trasbordo comunemente utilizzati per reindirizzare illegalmente prodotti soggetti a restrizioni verso la Russia o la Bielorussia, come Cina (inclusi Hong Kong e Macao), Armenia, Turchia e Uzbekistan (elenco non esaustivo).

Le autorità americane sottolineano la necessità di sviluppare, implementare e aggiornare programmi interni di compliance su prodotti e servizi, clienti e controparti nonché aree geografiche.

Il documento è di utilità non solo per le aziende americane, ma anche per le aziende non statunitensi coinvolte nella riesportazione di beni o tecnologie americane o che utilizzano componenti o tecnologie di origine USA nei loro prodotti poiché assoggettate anche alle leggi statunitensi sul controllo delle esportazioni (le cosiddette “sanzioni secondarie”). Non meno importante, esso fornisce spunti di riflessione anche per quelle aziende estere che non sono direttamente toccate dalle regolamentazioni americane.

La Convenzione CITES celebra il suo 50° anniversario

La CITES è stata istituita il 3 marzo 1973 a Washington con l’accordo di diversi Stati. Cinquant’anni dopo, è considerata la più importante convenzione nel suo genere.

Nel frattempo ha raggiunto 184 Paesi membri e protegge dallo sfruttamento eccessivo decine di migliaia di specie di fauna e di flora, a cui se ne aggiungono sempre di nuove: in occasione dell’ultima conferenza CITES svoltasi nel novembre 2022 gli Stati membri hanno aggiunto alla Convenzione oltre 500 specie di fauna e di flora, tra cui anche numerose specie di squali e razze. La Svizzera detiene la presidenza del Comitato per gli animali e contribuisce nel suo ruolo a monitorare l’attuazione delle disposizioni di protezione.

La Svizzera ne fa parte dal 1973, anno della sua istituzione. Rappresentata dall’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria (USAV).

La Convenzione CITES

Oltre 5’000 specie animali e più di 37’000 specie vegetali sono soggette alla Convenzione CITES delle Nazioni Unite. Sono suddivisi in tre livelli di protezione (i cosiddetti allegati), a seconda del grado di pericolo. L’allegato I contiene circa 1’000 specie minacciate di estinzione e anche dal commercio internazionale. Il commercio di questi esemplari è vietato. L’allegato II elenca oltre 37’000 specie che, senza controlli commerciali, rischiano di estinguersi. In questi casi il commercio è consentito, ma solo se è dimostrabilmente sostenibile. L’allegato III contiene poco più di 200 specie per le quali un singolo Paese ritiene necessario un controllo commerciale.

Fonte: USAV
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