Anche la Cc-Ti ha partecipato al Salone della CSR a Milano

Gianluca Pagani, CSR Manager Cc-Ti, è stato relatore ad un evento presso l’Università Bocconi.

Verso la transizione ecologica: il ruolo delle Camere di Commercio” è questo il titolo della conferenza a cui ha presenziato anche la Cc-Ti lo scorso 4 ottobre 2023 a Milano, presso l’Università Bocconi, in occasione dell’11esima edizione del Salone della CSR e dell’innovazione sociale.

Dall’informazione alle imprese sulla transizione ecologica agli interventi per promuovere la creazione di filiere responsabili: il ruolo delle Camere di Commercio diventa sempre più strategico per la diffusione di comportamenti sostenibili e per lo sviluppo dell’economia dei territori. Una sfida importante che mette in gioco la capacità di tutti gli attori sociali di collaborare e di coniugare innovazione con inclusione sociale, risultati economici e sostenibilità ambientale.

Sono anche intervenuti: Walter Sancassiani, Focus Lab; Carlo De Luca, Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili; Marco Galimberti, Camera di Commercio Como-Lecco ed Elena Fammartino, Unioncamere Piemonte.

RIVEDI L’EVENTO

Nessun obbligo di pagare il salario nel caso di chiusure aziendali decise dallo Stato

Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.

Lo scorso mese di agosto Il Tribunale federale ha adottato un’importante sentenza in materia di obbligo di pagare il salario.

In sostanza, i giudici di Losanna hanno chiarito che nel caso di chiusure aziendali imposte dall’autorità nell’ambito della lotta al Coronavirus, i datori di lavoro non hanno l’obbligo di versare il salario ai dipendenti anche se il mancato guadagno non è coperto dalle indennità per il lavoro ridotto.

Nella sentenza è stato sottolineato che le chiusure aziendali decise dallo Stato non rientrano nel rischio aziendale che i datori di lavoro devono generalmente assumersi. Motivi oggettivi che concernono tutti allo stesso modo non possono essere posti a carico dei datori di lavoro, come, ad esempio, problemi generati da situazioni di guerra o da misure decise nell’ambito dell’economia di guerra.

Maggiori dettagli emergeranno al momento della pubblicazione delle motivazioni complete della sentenza (4A_53/2023).

Abolizione dei dazi industriali: cosa significa concretamente

Tra poco meno di tre mesi, il 1° gennaio 2024, la Svizzera abolirà i dazi sui prodotti industriali e allo stesso tempo snellirà la sua tariffa doganale. A partire da tale data i prodotti industriali potranno essere importati in franchigia doganale anche senza prova dell’origine preferenziale. In alcuni casi, tuttavia, tale prova dovrà comunque essere richiesta e presentata.

A partire dal 1° gennaio 2024, la Svizzera abolirà i dazi sui prodotti industriali. Questa novità interessa quasi tutte le merci dei capitoli 25-97 della tariffa doganale (Tares), ad esclusione di alcuni prodotti dei capitoli 35 e 38, classificati come prodotti agricoli.

Cosa significa concretamente?

Diciamo innanzitutto che l’abolizione dei dazi industriali non comporta un adeguamento dei processi di sdoganamento: rimane quindi in vigore l’obbligo della dichiarazione d’importazione, compresa la corretta dichiarazione della voce di tariffa doganale dei prodotti. E a proposito di voce tariffale, ecco la prima novità.

Semplificazione della tariffa doganale svizzera per i prodotti industriali

Il 1° gennaio le attuali 9114 voci tariffarie svizzere (Tares) saranno ridotte a 7511. L’attuale suddivisione (minuziosa per consentire la riscossione di dazi differenziati sui prodotti industriali) verrà semplificata: fatte salve alcune eccezioni, le ultime due cifre delle otto cifre delle voci di tariffa svizzere saranno sostituite con “00”. Tabelle excel con la struttura tariffaria valida dal 1° gennaio 2024 e la lista di concordanza (2022 vs 2024) sono già disponibili sul sito web dell’UDSC a questa pagina. Alcuni documenti saranno aggiornati successivamente, a seguito di modifiche di altre ordinanze.

COSA FARE
Analizzate la nuova struttura tariffaria, adottandola per tempo affinché le vostre dichiarazioni doganali possano continuare a essere accettate dal sistema e-dec o da Passar a partire da gennaio 2024.

Eventuali informazioni tariffarie vincolanti (ITV) interessate dalla semplificazione della struttura della tariffa doganale continueranno a essere riconosciute valide dall’UDSC entro il proprio periodo di validità (max. 6 anni).

Esempio di accorpamento / semplificazione tariffale e azzeramento dazi dal 01.01.2024

Dal 1° gennaio 2024 il capitolo 7226 si ridurrà a 6 singole voci:

ATTENZIONE
L’abolizione dei dazi industriali non vi esonererà dal pagamento di tributi suppletivi (altri tributi all’importazione quali ad esempio l’imposta sugli oli minerali, la tassa d’incentivazione sui composti organici volatili, ecc.) o dai disposti di natura non doganale.

Esempio di MANCATO accorpamento / semplificazione tariffale legato ai TRIBUTI SUPPLETORI

La voce 2909.6010 è assoggettata all’imposta sugli oli minerali, la voce 2909.6090 non lo è. I dazi all’importazione vengono azzerati in entrambi i casi:

Origine e prove dell’origine

Poiché con l’abolizione dei dazi doganali sui prodotti industriali va a cadere il vantaggio competitivo dettato dagli accordi di libero scambio, si sollevano importanti questioni sull’esigenza o meno di continuare a richiedere le prove documentali dell’origine preferenziale (CCM o dichiarazione d’origine su fattura).

Già oggi le aziende interessate devono presentare una prova dell’origine precedente valida o, in alternativa, una decisione d’imposizione con indicazione dell’aliquota preferenziale se all’esportazione della merce in questione intendono rilasciare una prova dell’origine (cfr. Circolare D30, Semplificazione in materia di prove dell’origine precedenti). Questa pratica non cambierà con l’abolizione dei dazi industriali: per quanto riguarda l’importazione di merci o di materie prime che saranno trasformate in Svizzera e poi riesportate, occorre pertanto chiarire se al momento dell’esportazione sarà applicato o meno un cumulo dell’origine. Chi intende farlo deve poter contare anche in futuro, all’importazione della merce in questione, sulle prove dell’origine precedenti rilasciate dal proprio fornitore.

ATTENZIONE
La prova dell’origine preferenziale resta necessaria se una merce originaria di un Paese partner di libero scambio

  • deve essere riesportata allo stato immutato con prova dell’origine
  • deve essere utilizzata in Svizzera come materiale per il cumulo (p. es. per essere installata in un macchinario che viene esportato con prova dell’origine).

COSA FARE

  • fate in modo che i vostri fornitori esteri continuino a fornire prove dell’origine valide, se le necessitate per la (ri)esportazione;
  • istruite i vostri fornitori di servizi di sdoganamento se all’importazione desiderate un’imposizione all’aliquota preferenziale.

Si ricorda infine che i giustificativi devono essere conservati almeno per tre anni dal rilascio della prova dell’origine all’esportazione, nel caso dell’ALS con la Corea del Sud per cinque anni. Si segnala infine che dal 1° gennaio 2024, dopo l’imposizione, le prove dell’origine all’importazione possono essere conservate in formato digitale.

Schema riassuntivo

Fonte: SECO

Il vostro contatto in Cc-Ti per ulteriori ragguagli:
Monica Zurfluh, Responsabile Commercio internazionale, T +41 91 911 51 35,
zurfluh@cc-ti.ch

Link utili

Accordi di libero scambio: formazione

Nell’ambito della formazione puntuale si segnala il seguente corso:

Accordi di libero scambio e origine preferenziale
martedì 23 gennaio 2024 (tutto il giorno) e mercoledì 24 gennaio 2024 (la mattina) in presenza c/o Cc-Ti, Lugano

La chiave del successo: la formazione professionale

Nell’edizione nr 4/2023 di Ticino Business abbiamo dedicato un ‘dossier’ al tema della formazione professionale, declinata in molti modi. Con un mix concertato di voci, emerge un messaggio chiaro: la formazione professionale è uno dei capisaldi della nostra economia.

La scorsa primavera l’Ufficio Federale di Statistica ha pubblicato alcuni dati inerenti il numero di giovani che terminano, per svariate ragioni, il loro contratto d’apprendistato: emerge che una persona su cinque scinde prematuramente il rapporto di lavoro. I mestieri artigianali tendono addirittura ad avere tassi di abbandono superiori alla media.

Questo dato era indicato in un articolo sulla rivista settoriale “Panissimo”, edito dall’Associazione svizzera mastri panettieri-confettieri (PCS), riportante riflessioni sull’argomento.

Abbiamo dunque pensato di approfondire il macro tema della formazione professionale, con numerosi contributi legati da questo fil-rouge, parlando di giovani, di apprendistati, del settore artigianale, di professioni insolite e di quelle ad alto potenziale, ecc.. Un mix concertato di voci da cui emerge un messaggio chiaro: la formazione professionale è uno dei capisaldi della nostra economia.

Attraverso essa convergono competenze, esperienze e innovazione che plasmano gli individui andando ad incrementare la professionalità e i virtuosismi di un sistema economico e sociale che genera benessere per tutti.

Aziende ed associazioni di categoria sono dunque in primo piano per lavorare – insieme agli altri attori in campo (istituti scolastici, autorità, famiglie) – al fine di strutturare i migliori percorsi per garantire il fiorire delle competenze dei giovani e non, che si inseriscono nel mondo del lavoro. Questo con una pluralità di visioni e l’aggiornamento continuo di programmi, esercitazioni e profili, proprio per stare al passo con i tempi, in un’epoca di grandi mutamenti tecnologici e sociali.

Scarica il dossier.

Carbon tax europea (CBAM): avviata la fase transitoria

Il 1° ottobre sono scattati i primi obblighi previsti dal regolamento che istituisce un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM) e, in sostanza, una tassa sul carbonio.

Come anticipato nel nostro articolo La carbon tax europea è realtà, lo scorso 1° ottobre ha preso l’avvio la prima fase del meccanismo di aggiustamento del carbonio alle frontiere dell’UE (Carbon adjustment mechanism, CBAM), che obbliga gli importatori di sei settori industriali ad alta intensità di carbonio a comunicare alle autorità europee le emissioni di carbonio dei prodotti importati da Stati terzi e, indirettamente, gli esportatori extra-UE a fornire tali dati ai loro business partner europei.

Secondo il Regolamento (UE) 2023/956 che istituisce un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM), le merci di origine non preferenziale svizzera non sottostanno al CBAM. La situazione è però diversa per le aziende svizzere che esportano nell’UE merci di origine terza: in questa prima fase e fino al 31 dicembre 2025 esse devono comunicare trimestralmente all’importatore europeo o, se l’importatore è stabilito al di fuori dell’UE, al suo rappresentante doganale indiretto

  • i quantitativi di merci importate
  • le emissioni dirette
  • le emissioni indirette (limitatamente al cemento e ai fertilizzanti)
  • il prezzo del CO2 pagato all’estero.

A tal proposito, la Commissione europea ha messo a disposizione un modello di comunicazione CBAM (file excel, 1.19 MB) per la richiesta dei dati ai fornitori (cfr. allegato IV del Regolamento di esecuzione (UE) 2023/1773 del 17 agosto 2023).

Per quanto riguarda il calcolo delle emissioni incorporate e per tutta la durata del periodo transitorio, il regolamento di esecuzione prevede un sistema flessibile: fino al 31 dicembre 2024 sarà infatti possibile fare riscorso a differenti modalità di rendicontazione (art. 4). La rendicontazione basata su valori di default potrà però essere impiegata solo fino al 31 luglio 2024. A partire dal 1° gennaio 2025 saranno invece accettati solo i metodi di rendicontazione completa (art. 4 par. 1).

Essendovi ancora molti punti aperti, la Commissione europea sta gradualmente mettendo a disposizione documenti e video utili, tra cui:

Da ultimo, ma non meno importante, la Commissione europea ha attivato il portale di identificazione per accedere al Registro transitorio CBAM e presentare le relazioni CBAM trimestrali e ha anche pubblicato una lista provvisoria (e ancora incompleta) delle autorità degli Stati membri competenti in merito all’implementazione del CBAM.


Il vostro contatto in Cc-Ti per ulteriori ragguagli:
Monica Zurfluh, Responsabile Commercio internazionale, T +41 91 911 51 35, zurfluh@cc-ti.ch

Gli svizzeri non sono ancora pronti per la mobilità elettrica

Il gruppo assicurativo AXA ha commissionato alla società di ricerca Sotomo uno studio sulla mobilità in Svizzera con particolare attenzione alla mobilità elettrica.

I risultati emersi dall’indagine dimostrano che i cittadini svizzeri non vogliono rinunciare all’utilizzo dell’automobile quale mezzo di trasporto individuale. Per il 71% degli intervistati è importante possederne una.

Una differenza però salta subito all’occhio se si guarda all’orientamento politico delle persone: chi sta a sinistra o è vicino ai verdi è più disposto a rinunciare all’uso dell’automobile privata a favore dei mezzi di trasporto pubblico.

Anche chi abita nelle grandi città tendenzialmente è disposto a rinunciare a questo veicolo. In quest’ultimo caso sicuramente entrano in gioco gli assillanti problemi di traffico negli agglomerati urbani e la buona disponibilità di mezzi di trasporto pubblici.

Se si osserva la mobilità elettrica si nota che oggi i possessori di un’auto completamente elettrica sono generalmente persone con un elevato reddito famigliare netto di circa 9’400.00 Fr. al mese. In questo caso possono permettersi anche una seconda automobile che generalmente è con propulsione tradizionale benzina o diesel. Questa constatazione, in aggiunta al fatto che per il 29% della popolazione l’acquisto di un BEV (Battery Electric Vehicle) non è attualmente un’opzione, dimostra che gli svizzeri sono ancora molto scettici rispetto questo tipo di propulsione a emissioni zero. I timori verso questo genere di propulsione sono sostanzialmente i seguenti: scarsa autonomia garantita dalle batterie e il loro impatto in fase di produzione 54%), lunghi tempi necessari per la ricarica, costo d’acquisto elevato di un veicolo elettrico (53%) e scarsa disponibilità di stazioni di ricarica pubblica o nei condomini.

Anche il riciclaggio delle batterie, che contengono diversi materiali rari e di difficile smaltimento, insinua qualche dubbio (52%). Nonostante ciò, le auto elettriche sono comunque considerate più ecologiche delle auto tradizionali.

La conclusione che possiamo trarre da questo studio è che gli automobilisti non sono ancora pronti ad affidarsi completamente all’energia elettrica per i loro spostamenti privati. La non conoscenza della tecnologia che sta alla base delle BEV, la scarsa informazione da parte degli operatori professionisti del settore e, non da ultimo, i costi ancora elevati per l’acquisto di una nuova auto a zero emissioni, rendono la transizione ecologica della mobilità privata più lenta.

Grafico 1: Propensione della popolazione svizzera all’acquisto di un’auto a propulsione elettrica (Fonte: AXA/Sotomo)

La conferma di questo risultato la troviamo anche nelle cifre di vendita di auto nuove totalmente elettriche che, dopo qualche anno di crescita esponenziale, in questi ultimi mesi si è letteralmente assestata su percentuali costanti del 16% circa in Svizzera e addirittura del 10% in Ticino. Sicuramente questa è una situazione che andrà modificata con uno sforzo da parte di tutti perché, se la mobilità elettrica non è la panacea di tutti i mali, almeno è una parte importante della soluzione.

È possibile scaricare il rapporto completo di Axa/Sotomo da: sotomo.ch/site/projekte/axa-mobilitaetstacho-2023/

Grafico 2: Quattro diversi tipi di mobilità evidenziati dalla ricerca (Fonte: AXA/Sotomo)

Testo a cura di Marco Doninelli, Responsabile mobilità Cc-Ti

La sicurezza informatica, i processi e la nuova legge federale sulla protezione dei dati

La crescente dipendenza dalla tecnologia e la proliferazione dei dati digitali hanno reso la cybersecurity una delle questioni più urgenti e rilevanti nel mondo moderno. Le interconnessioni del mondo digitale hanno infatti portato ad una crescente consapevolezza della necessità di proteggere le informazioni da minacce virtuali sempre più sofisticate: sono a rischio dati sensibili, informazioni personali e la continuità delle operazioni aziendali.

L’importanza della sicurezza informatica è oggi indiscutibile, ma spesso si misconosce la complessità di questo settore e l’importanza di considerarla come un processo continuo piuttosto che un prodotto da installare una volta per tutte.

Il nuovo paradigma è combinare tecnologia e procedure per una protezione efficace.

La sicurezza informatica non è un destino da raggiungere, ma piuttosto un viaggio in continua evoluzione. Come detto, spesso, si cade nell’errore di considerarla un prodotto, ovvero un insieme di software, firewall o dispositivi hardware che proteggano da minacce. Tuttavia, questa visione è parziale e fuorviante. La sicurezza informatica è piuttosto un processo articolato che coinvolge persone, procedure e tecnologia. Gli esperti del settore sono consapevoli di questa realtà: non offrono solo soluzioni tecniche, ma aiutano le organizzazioni a sviluppare una cultura di sicurezza, implementando procedure robuste e promuovendo la consapevolezza tra i dipendenti. Questo approccio olistico è fondamentale perché, in un mondo digitale in costante cambiamento, la sicurezza deve essere sempre aggiornata e adattata alle nuove minacce.

La tecnologia gioca evidentemente un ruolo fondamentale nella protezione delle informazioni. Firewall, sistemi di rilevamento delle intrusioni, crittografia e altri strumenti tecnologici sono pilastri della sicurezza informatica. Tuttavia, è importante sottolineare che la tecnologia da sola non è sufficiente. È l’abilitatore che consente alle procedure e alle politiche di sicurezza di funzionare in modo efficiente. Per il tramite di queste tecnologie è possibile raggiungere, con strumenti automatici, da configurare correttamente, un buon grado di tranquillità. Le aziende sono chiamate sia ad implementare le soluzioni tecnologiche necessarie sia ad avere una spiccata competenza nella loro gestione e manutenzione. La tecnologia deve essere costantemente monitorata e aggiornata per rimanere efficace contro le minacce in evoluzione. Questo concetto vale sia nel caso in cui si abbia un’infrastruttura gestita internamente sia nel caso in cui questa sia gestita con aziende di supporto esterne.

Le procedure sono la spina dorsale di qualsiasi sistema di sicurezza. Devono essere chiare, accessibili e facili da seguire per essere efficaci. Le aziende devono sviluppare procedure che non solo proteggano le informazioni, ma che siano anche sostenibili nell’uso quotidiano.

L’obiettivo è creare un ambiente in cui le procedure di sicurezza siano integrate nella routine lavorativa senza ostacolarne l’efficienza. Questo equilibrio tra sicurezza e praticità è fondamentale per garantire che le procedure vengano seguite in modo coerente da tutto il personale. Un errore comune è ritenere che un informatico possa occuparsi da solo della sicurezza informatica.

Questa è una visione limitata, poiché le competenze richieste per gestire la sicurezza sono diverse da quelle necessarie per gestire l’infrastruttura tecnologica. Un informatico è responsabile della gestione quotidiana dei sistemi e delle reti, ma un esperto di sicurezza ha una prospettiva differente. Si occupa di valutare le minacce, sviluppare politiche e procedure, monitorare l’efficacia delle misure di sicurezza e garantire la conformità alle normative. Queste responsabilità richiedono una profonda comprensione delle minacce digitali e delle migliori pratiche di sicurezza.

Le due figure non sono in contrasto ma sono chiamate a cooperare in modo attivo. La presenza di due figure è fondamentale per garantire un corretto bilanciamento nell’IT aziendale, oltre che perseguire il principio di separazione tra controllato e controllore. Grazie alle competenze di chi si occupa di sicurezza cibernetica, è possibile sviluppare il cosiddetto principio di security by design e security by default, ovvero fornire a chi si occupa di informatica pura tutte le informazioni per implementare i sistemi in modo tale che siano rispondenti ai requisiti di sicurezza che ciascuna azienda si pone. Per questo motivo non è possibile costruire un modello di sicurezza univoco per tutti, se non per questioni fondanti, di principio, ma ciascuno deve ritagliare in modo sartoriale le proprie politiche di gestione della cybersecurity.

L’introduzione, il 1° settembre 2023, della nuova legge federale sulla protezione dei dati (di cui si è anche discusso nell’evento “LPDomani!” tenutosi lo scorso 31 agosto presso il Casinò di Lugano, organizzato dalla Cc-Ti con Gruppo Sicurezza e Casinò di Lugano) sottolinea ulteriormente come la Confederazione ritenga centrale l’importanza della sicurezza informatica e della gestione delle informazioni. La legislazione impone infatti requisiti rigorosi per la protezione dei dati personali e richiede un approccio proattivo alla sicurezza delle informazioni.

A seguito dell’introduzione della nLPD, le aziende devono garantire che i sistemi e le procedure siano conformi alle leggi sulla protezione dei dati, proteggendo così la privacy degli individui. Anche in questo caso, se non per principi cardine, non è possibile creare una gestione della privacy “fotocopia”, uguale per tutte le aziende e le organizzazioni, ma, per garantire le specificità di ciascuno, si deve analizzare e redigere quanto necessario in modo circostanziato e puntuale.

Non si tratta però di un moloch: la chiave del successo è capire che si tratta di un’opportunità per affrontare un viaggio introspettivo nella vita aziendale e comprendere quali dati si trattino e quali procedure siano in essere, per garantirne la corretta protezione. I dati e tutte le informazioni sono la base fondamentale su cui le aziende e le organizzazioni vivono: diventa quindi mandatorio dedicare del tempo a rendere sicure le infrastrutture affinché non vengano modificati, trafugati, divulgati.


Articolo a cura di Ing. Pietro Vassalli, Cyber Security Manager, Gruppo Sicurezza

Il futuro dell’approvvigionamento energetico, fra flessibilità e sicurezza

L’obiettivo della Confederazione in ambito climatico è chiaro: la neutralità carbonica, ossia il saldo zero tra emissioni e assorbimento di gas serra, entro il 2050. Per raggiungerlo si prevede di trasformare radicalmente il sistema di approvvigionamento energetico del Paese, chiamando in causa tutti gli attori coinvolti: produttori, distributori e consumatori.

La chiave di questo piano risiede nella decarbonizzazione, ovvero la sostituzione delle fonti di energia di origine fossile, che emettono CO2 nell’atmosfera, con fonti rinnovabili a emissioni zero. Benzina, olio combustibile e gas, che oggi assicurano circa il 60% del consumo energetico svizzero, saranno sostituiti da energia proveniente da fonti rinnovabili, prevalentemente elettrica. Le termopompe sostituiranno gran parte dei sistemi di riscaldamento ad olio combustibile e i veicoli elettrici prenderanno il posto di quelli a combustione interna.

Decarbonizzare significa quindi elettrificare, che significa a sua volta accrescere il fabbisogno di energia elettrica. La maggiore efficienza dei motori e dei moderni sistemi di riscaldamento elettrici rispetto a quelli a combustione porterà ad un calo dei consumi globali di energia, ma la produzione di elettricità non potrà che aumentare in maniera importante e dovrà essere accompagnata, per quanto possibile, da misure di efficienza che ne ottimizzino l’impiego.

I piani elaborati dalla Confederazione prevedono che l’incremento del fabbisogno dielettricità venga coperto in primo luogo da una massiccia crescita della produzione fotovoltaica. Gli scenari per il 2050 prospettano un sistema di approvvigionamento basato su due pilastri, idroelettrico e fotovoltaico, dove il primo sarà chiamato a compensare l’assenza di produzione del secondo durante le ore senza sole (circa 6’750 delle 8’760 ore annue), in particolar modo nei mesi invernali. Lo sviluppo del solare dovrà quindi essere affiancato da un incremento della produzione idroelettrica invernale, ottenibile attraverso l’aumento della capacità dei bacini di accumulazione e la creazione di nuovi impianti di pompaggio-turbinaggio.

Gli obiettivi di produzione fissati dalla Confederazione sono molto ambiziosi e per il loro raggiungimento le Camere federali hanno recentemente approvato lo stanziamento di fondi miliardari. I primi importanti progetti, tra i quali spicca in Ticino l’innalzamento della diga del Sambuco, stanno vedendo la luce, ma il ritmo degli investimenti nel prossimo decennio dovrà crescere in maniera esponenziale, e non solo a parole.

Il tempo ci dirà se quanto previsto dalla Confederazione permetterà di centrare gli obiettivi climatici, riuscendo contemporaneamente a soddisfare il fabbisogno di energia del Paese in modo sicuro e continuativo. I piani per la transizione energetica sono diffusi in tutto il continente europeo, non solo in Svizzera, e se immaginiamo come influenzeranno le dinamiche degli scambi di energia elettrica tra i singoli Stati, le incognite si moltiplicano.

Ciò che sappiamo già oggi è che non sarà soltanto il fronte della produzione a dover agire. L’aumento della capacità di stoccaggio dei bacini permetterà di spostare una parte della produzione idroelettrica dall’estate all’inverno, compensando il naturale calo di produttività del fotovoltaico in questa stagione, ma le continue e crescenti oscillazioni delle nuove produzioni rinnovabili all’interno delle giornate e delle settimane richiederanno l’adozione di sistemi supplementari per la gestione dei carichi. I consumatori finali, imprese ed economie domestiche, diventeranno sempre più parte attiva del sistema energetico e saranno incentivati a investire in impianti di produzione, di accumulazione e di gestione della flessibilità.

Una quota crescente dei loro consumi sarà coperta dalla produzione di impianti fotovoltaici di proprietà, i veicoli elettrici potranno essere impiegati come sistemi di regolazione, capaci non solo di accumulare ma anche di cedere energia, e l’uso di impianti domestici – quali ad esempio le termopompe – potrà essere modulato in funzione dei carichi di rete. Questa evoluzione permetterà di flessibilizzare il consumo e la produzione dell’energia elettrica, ma richiederà importanti investimenti supplementari da parte delle aziende del settore per adeguare le reti di distribuzione. Parte della produzione di energia sarà ripartita tra migliaia di piccoli impianti e i punti di allacciamento alla rete dovranno gestire un’enormità di microflussi in entrata e in uscita.

Per regolare una tale complessità di transiti e la mole dei dati ad essi collegati, la rete dovrà essere potenziata in tutte le sue componenti. Un recente studio pubblicato dall’Ufficio federale dell’energia stima che l’adeguamento della rete di distribuzione richiederà investimenti superiori ai 40 miliardi di franchi entro il 2050.

Investimenti che, sommati a quelli paventati per lo sviluppo delle nuove produzioni rinnovabili e le ulteriori misure per la neutralità carbonica, faranno lievitare il costo globale della svolta energetica Svizzera ad oltre 100 miliardi di franchi.

Un ciclo di investimenti come non se ne vedevano dai tempi della realizzazione dei grandi impianti di produzione che hanno assicurato l’approvvigionamento del paese nel secondo dopoguerra, quasi 80 anni fa, i cui costi ricadranno su tutti gli attori coinvolti: dalle aziende del settore energetico ai consumatori, passando per il mondo delle imprese.

Ciò che verrà realizzato da qui al 2050 dovrebbe (ed uso il condizionale) garantire il fabbisogno di energia del Paese per i prossimi 80 anni, ma le incognite, a fianco delle opportunità, non mancano. Personalmente non posso non rimarcare come la sicurezza dell’approvvigionamento verrà esposta a grandi rischi e quanto i costi per il consumatore finale siano destinati ad aumentare.


Articolo a cura di Giovanni Leonardi, Presidente del CdA AET

Nuovo anno fiscale, tasse di sdoganamento in aumento negli USA

L’autorità doganale americana CBP ha annunciato l’aumento delle tasse di sdoganamento dal 1° ottobre 2023.

La U.S. Customs and Border Protection (CBP), ovvero l’autorità doganale USA, ha annunciato i seguenti adeguamenti della Merchandise Processing Fee (MPF), la tassa riscossa sulle importazioni, e di altre tasse in coincidenza con il nuovo anno fiscale, ossia a partire dal 1° ottobre 2023:

  • l’importo minimo della MPF per le spedizioni di valore superiore a 2’500 dollari (ingresso formale) passerà a 31.67 dollari e l’importo massimo salirà a 614.35 dollari. L’aliquota ad valorem resterà invece invariata allo 0.3464%;
  • la nuova tariffa per l’ingresso/ il rilascio informale (spedizioni sotto i 2’500 dollari) sarà di 2.53 dollari;
  • la sovrattassa per l’entrata/il rilascio manuale passerà invece a 3.80 dollari.

Per ulteriori ragguagli: Federal Register: COBRA Fees to be Adjusted for Inflation in Fiscal Year 2024 CBP Dec. 23-08

Conservazione digitale delle prove dell’origine all’import

Dal 1° gennaio 2024 sarà consentita la conservazione delle prove dell’origine all’importazione in formato digitale.

Le prove dell’origine che servono per un’imposizione all’aliquota preferenziale all’importazione devono attualmente essere custodite in formato cartaceo originale.

Secondo quanto comunicato dall’Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini (UDSC) il 3 agosto scorso, dal 1° gennaio 2024, dopo l’imposizione sarà consentita la conservazione di copie, anche in forma digitale, dei documenti. Durante il periodo di conservazione, tali prove dell’origine (o le relative copie) dovranno poter essere presentate, su richiesta, all’UDSC.

Questo NON si applicherà alle prove dell’origine per imposizioni all’aliquota preferenziale precedenti il 1° gennaio 2024, che dovranno continuare ad essere archiviate in formato cartaceo originale. E ciò anche se il periodo di conservazione andrà oltre la data sopra indicata.

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