La RSI responsabilità sociale delle imprese (o CSR, dall’inglese Corporate Social Responsibility), nel gergo economico e finanziario, è l’ambito riguardante le implicazioni di natura etica all’interno della visione strategica d’impresa: è una manifestazione della volontà delle grandi, piccole e medie imprese di gestire efficacemente le problematiche d’impatto sociale, etico e ambientale al loro interno e nelle zone in cui si svolgono le attività imprenditoriali. L’attuazione coerente della RSI (CSR) è un contributo essenziale allo sviluppo sostenibile e al superamento delle sfide sociali e può influire positivamente sulla competitività stessa delle aziende.
La Cc-Ti, quale associazione-mantello dell’economia ticinese, ha sviluppato – con il supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE) – un modello online di rapporto di sostenibilità, lanciato nella primavera del 2022, ed accessibile tramite questo link: www.ti-csrreport.ch.
Il valore del rapporto di sostenibilità
Per comunicare il valore generato dall’impresa non solo a livello economico ma anche sociale e ambientale, dimostrando la propria affidabilità a 360° ai partner
Per consolidare l’immagine e la reputazione dell’impresa
Per integrare e sviluppare le buone pratiche, verificando e migliorando i propri parametri a livello di sostenibilità e di responsabilità sociale
Per partecipare e avvantaggiarsi nei bandi pubblici che riconoscono la premialità alle imprese socialmente responsabili
Il rapporto di sostenibilità è un documento sempre più utile e diffuso, che raccoglie le buone pratiche messe in atto da un’azienda, permettendole di integrare le informazioni economiche con un rendiconto dell’impatto sociale e ambientale della sua attività.
Le imprese hanno l’opportunità e l’esigenza di analizzare e comunicare l’esito del loro impegno ai propri interlocutori (azionisti, clienti, fornitori, dipendenti, comunità, enti finanziatori, pubblica amministrazione, associazioni del territorio, media, ecc.).
La responsabilità sociale delle imprese è un elemento che, dal 2021, rientra anche nei bandi di concorso pubblici, con un valore di ponderazione del 4% nei criteri di aggiudicazione.
Il video-tutorial
Tramite questo link è possibile vedere un video esplicativo sul report di sostenibilità Cc-Ti e seguire passo passo le indicazioni per la sua compilazione.
È possibile avere dettagli in merito sul tema e consulenze dirette, contattando Gianluca Pagani, CSR Manager Cc-Ti o Sergio Trabattoni, Collaboratore CSR.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/10/EVT22-CSR-VIDEO.png8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2023-07-28 08:34:152023-07-28 08:34:17Il rapporto di sostenibilità: un video-tutorial per la compilazione
L’Unione europea ha adottato l’undicesimo pacchetto di sanzioni nei confronti della Russia, con nuovi divieti e l’introduzione di un nuovo strumento antielusione.
L’11° pacchetto di sanzioni europee è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale L159I del 23 giugno scorso, entrando in vigore il giorno successivo. Esso si compone di tre regolamenti (2023/1214, 2023/1215, 2023/1216) e due decisioni (2023/1217, 2013/1218), che ampliano le misure precedentemente adottate con nuove restrizioni di carattere soggettivo e merceologico.
Tra queste ultime figurano (elenco non esaustivo):
l’ampliamento dell’elenco di beni e tecnologie che possono contribuire al rafforzamento militare e tecnologico della Russia, allo sviluppo del suo settore della difesa e della sicurezza o dei suoi sistemi militari,
l’ampliamento dei beni atti a contribuire al rafforzamento delle capacità industriali del Paese;
la restrizione all’esportazione di numerosi beni di lusso a prescindere dal loro valore (prima ristretti all’esportazione solo se superavano determinate soglie);
limitazioni all’import di nuove categorie di beni siderurgici e di beni che generano introiti significativi per la Russia.
Confindustria ha realizzato una nota informativa con il commento delle principali novità.
La Svizzera ha già ripreso le misure a carattere soggettivo (sanzioni finanziarie e restrizioni di viaggio) e sta lavorando su quelle a carattere merceologico (il Consiglio federale dovrebbe pronunciarsi in merito entro fine agosto). Nell’attesa dell’implementazione elvetica, si possono già segnalare nuovi obblighi per le aziende svizzere che vendono prodotti siderurgici ad aziende europee: infatti, parallelamente alla conferma del divieto di importare o acquistare, a partire dal 30 settembre 2023 (*), direttamente o indirettamente, determinati prodotti siderurgici che sono sottoposti a trasformazione in un Paese terzo e incorporano prodotti siderurgici originari della Russia, è introdotto l’obbligo per l’importatore europeo di presentare, all’atto dell’importazione, la prova attestante il Paese di origine dei fattori produttivi siderurgici impiegati per la trasformazione del prodotto importato (cfr. regolamento (UE) n. 833/2014, art. 3 octies, par. 1, lett. d – modificato dal regolamento (UE) 2023/1214). A partire da tale data, i fornitori svizzeri, e più in generale esteri, saranno quindi chiamati a fornire un documento attestante il non utilizzo di fattori produttivi di origine russa rispettivamente il Paese d’origine degli stessi.
I prodotti siderurgici toccati da questa misura sono identificati con le voci di tariffa seguenti (cfr. Allegato XVII del regolamento 833/2014, modificato da ultimo dal regolamento 2023/1214): 7206, 7207, 7208, 7209, 7210, 7211, 7212, 7213, 7214, 7215, 7216, 7217, 7218, 7219, 7220, 7221, 7222, 7223, 7224, 7225, 7226, 7227, 7228, 7229, 7301, 7302, 7303, 7304, 7305, 7306, 7307, 7308, 7309, 7310, 7311, 7312, 7313, 7314, 7315, 7316, 7317, 7318, 7319, 7320, 7321, 7322, 7323, 7324, 7325, 7326
(*) Il divieto si applica a decorrere dal 1° aprile 2024 per la voce di tariffa 7207.11 e dal 1° ottobre 2024 per le voci 7207.1210 e 7224.90.
L’ultimo pacchetto sanzionatorio europeo vede anche
l’aggiunta della Svizzera nell’elenco dei “Paesi partner” dell’UE per quanto riguarda l’adozione di sanzioni nei confronti della Russia e quindi beneficiaria di alcune deroghe ai divieti introdotti dall’UE;
l’introduzione di un nuovo strumento antielusione, volto a vietare l’esportazione di specifiche categorie di beni e tecnologie verso determinati Paesi terzi che si dimostrano coinvolti nell’agevolazione dell’elusione delle sanzioni. L’allegato di riferimento, il nr. XXXIII, è attualmente vuoto ed è pensato come rimedio eccezionale e di ultima istanza qualora il dialogo tra l’UE e i Paesi terzi interessati non si rivelasse sufficiente.
l’introduzione del divieto di transito (salvo deroghe) – attraverso la Russia e destinati a Paesi terzi – di beni e tecnologie esportati dall’UE che possano contribuire al rafforzamento militare e tecnologico o allo sviluppo del settore della difesa o della sicurezza della Russia, così come di beni e tecnologie per uso nell’aviazione o nell’industria spaziale nonché́ di carboturbi e additivi per carburanti esportati. Nello specifico, è vietato il transito dei beni elencati negli allegati VII, XI e XX.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2023/07/ART23-nuovo-pacchetto-sanzioni-ue-russia.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2023-07-27 08:00:002023-08-16 15:08:2611° pacchetto di sanzioni UE alla Russia
L’attualità politica ci porta a tornare su due temi sui quali ci siamo già espressi nelle scorse settimane, ma che sono centrali per il nostro Cantone e che quindi meritano ulteriori approfondimenti. Si tratta della proposta di introdurre un pedaggio per la galleria autostradale del San Gottardo e del progetto di riforma fiscale presentato dal Consiglio di Stato. Dossier che ci occuperanno intensamente nei prossimi mesi.
NO AL PEDAGGIO AL SAN GOTTARDO
La mozione di un Consigliere nazionale urano che vuole un pedaggio per accedere al tunnel del San Gottardo sta facendo discutere molto sia in Ticino che oltre Gottardo. Al di là di sondaggi più o meno pilotati attraverso domande suggestive, sembra crescere anche in Ticino la fetta di popolazione favorevole al pedaggio.
Il motivo è semplice: si pensa di poter far pagare il transito agli stranieri, né più né meno. Abbiamo già attirato l’attenzione sul fatto che l’autore della mozione, il Consigliere nazionale Simon Stadler, menziona esenzioni per i cantoni limitrofi, ma il testo del suo atto parlamentare cita solo riduzioni per gli abitanti dei cantoni interessati e non di esenzioni. Quindi non saranno solo gli stranieri a dover pagare.
Tema, del resto, anche giuridicamente complesso e tutt’altro che scontato, visto che di principio non si possono fare discriminazioni. Lo ha riconosciuto esplicitamente anche il Consiglio federale in data 6 novembre 2019, rispondendo a una mozione del Consigliere agli Stati Marco Chiesa. Il Consiglio federale rileva come nei paesi limitrofi e in tutta Europa i pedaggi non distinguono fra veicoli “indigeni” e immatricolati all’estero, per cui anche noi dovremmo attenerci a questo principio. Il principio di non discriminazione impedisce di fatto un pedaggio per soli veicoli stranieri. Posizione chiara, della quale occorre tenere assolutamente conto per non cullarsi nelle illusioni che a pagare debbano essere solo gli altri. Una sana dose di realismo si rende, quindi, assolutamente indispensabile, pena clamorosi autogol per il Ticino.
Anche chi ipotizza una compensazione per i ticinesi attraverso la riduzione della tassa di circolazione farebbe bene a tenere conto di una decisione del 2019 della Corte di giustizia europea che ha bocciato un sistema di questo tipo previsto dalla Germania. I tedeschi avevano infatti previsto che i propri cittadini potessero dedurre il pedaggio almeno parzialmente dalla tassa di circolazione e che quindi di fatto il pedaggio lo pagassero quasi solo gli stranieri. Principio di discriminazione previsto dal diritto europeo violato e governo tedesco rimandato alla casella di partenza. Molto probabile che anche in Svizzera verrebbe presa una decisione analoga.
Economia, ma non solo…
Le pesanti conseguenze per l’economia ticinese sarebbero innegabili, non solo per il turismo, ma per tutti i settori economici indissolubilmente legati ai trasporti da e verso il resto della Svizzera. Una vera e propria filiera che, se turbata, porterebbe a ripercussioni negative su cittadine e cittadini che ne rappresentano l’ultimo anello.
Ma, in tema di discriminazione, non può evidentemente non preoccupare il trattamento diverso del nostro Cantone rispetto agli altri. Essere l’unica regione della Svizzera accessibile quasi solo a pagamento (escludendo le molto parziali alternative estive di qualche mese o i passaggi per l’Italia) sarebbe un fatto gravissimo, non accettabile nell’ottica della coesione nazionale. È bene ricordare che l’articolo 1 della Costituzione federale prevede che la Confederazione Svizzera è costituita dal popolo svizzero e dai cantoni, tutti, senza eccezioni. Non ci sono cantoni di categorie A o B.
L’eventualità di accedere al Ticino solo pagando costituirebbe una discriminazione bella e buona, senza se né ma. La gestione del traffico e il finanziamento delle infrastrutture, quando possibile, può e deve fare capo ad altri strumenti, ben noti a tutti ma ovviamente più scomodi da realizzare politicamente.
Limitarsi a penalizzare l’asse storico del traffico nord-sud sarebbe atto miope e inutile, oltre che profondamente scorretto. Giova ricordare ancora una volta che non sono indicativi gli esempi di valichi con pedaggi come il Brennero, il Monte Bianco, il Fréjus o il Gran San Bernardo. Essi portano da una nazione all’altra e non collegano regioni di uno stesso paese.
Infine, la discriminante della densità del traffico a sfavore del San Gottardo è fondamentalmente errata. Certo, impressionano le code chilometriche che si accumulano in certi periodi. Ma in altre regioni elvetiche, in particolare attorno agli agglomerati, la densità del traffico è molto maggiore e comporta code quotidiane. Differenza sostanziale se si intende affrontare il tema seriamente.
SÌ ALLA RIFORMA FISCALE
Il progetto di riforma fiscale presentato recentemente dal Consiglio di Stato dovrebbe dal canto suo permettere di uscire dal tunnel fiscale di un sistema che presenta molte distorsioni che penalizzano intere categorie di contribuenti. Una modernizzazione si rende assolutamente necessaria e deve permetterci di rimanere al passo anche degli altri cantoni svizzeri (anche qui una forma di coesione nazionale…).
Lo scopo è di rendere il Ticino maggiormente attrattivo per chi vuole investire e risiedere nel nostro Cantone, generando in tal modo entrate fiscali e posti di lavoro a beneficio di tutti.
Non solo i ricchi
Ovviamente e purtroppo la discussione politica rischia di focalizzarsi su presunti regali ai ricchi, quando in realtà la riforma proposta prevede altri elementi molto importanti per rendere il sistema più moderno. Basti pensare alle agevolazioni previste per la successione e le donazioni che tengono conto dell’evoluzione della società e delle nuove forme di relazioni personali.
Per gli imprenditori è particolarmente rilevante il fatto che sia previsto un importante alleggerimento dell’aliquota fiscale in caso di trasferimento dell’azienda. Significa mettere in campo uno strumento fondamentale per facilitare anche la successione aziendale, che, come nel resto della Svizzera, sta diventando sempre più difficile, perché non si trovano facilmente successori all’interno della propria famiglia, passaggio un tempo considerato come “naturale” e scontato. Oggi la tendenza va sempre più nella direzione di cessione dell’azienda a terzi. Quando anche questa opzione decade, si chiude per mancanza di persone disposte a riprendere l’attività, con conseguenze disastrose per il tessuto economico, in termini di perdita di posti di lavoro, competenze e anche gettito fiscale. Spesso la rinuncia a riprendere un’azienda è dettata proprio dall’eccessivo carico fiscale che richiede di assumere rischi eccessivi per avere la liquidità necessaria. Alleggerire gli oneri fiscali per questo genere di operazione potrà certamente facilitare la ripresa di aziende da parte di persone esterne alla cerchia familiare e garantire quindi la continuità stessa dell’impresa. Anche la riduzione dell’imposizione sui capitali previdenziali ritirati è importante perché permette di mantenere in Ticino persone altrimenti attratte da altri cantoni vicini con imposizioni più favorevoli. Misura che quindi può essere importante anche per imprenditori e dirigenti e per talune decisioni strategiche riguardanti le aziende. Infine, l’aumento delle deduzioni per le spese professionali va giustamente a premiare chi lavora.
L’esempio norvegese e Haaland nel canton URI
Si diceva della litania dei regali ai ricchi. In linea con una demonizzazione di chi ha molti mezzi che è ormai un leit-motif diventato stucchevole. Poco comprensibile nella nostra realtà, visto che possiamo contare su un sistema redistributivo molto efficace. Ma proprio per sostenere tale sistema sono necessari contribuenti forti, che devono rimanere o essere attratti sul nostro territorio in virtù di un sistema fiscale moderno e affidabile. Certo, ci sono anche altri fattori che determinano la permanenza sul nostro territorio di persone facoltose, come la sicurezza, la qualità di vita in generale, ecc. Ma è inutile negarlo, il fattore fiscale gioca un ruolo determinante e per questa categoria di contribuenti noi siamo ormai da tempo non concorrenziali.
La necessità di intervento è ancora più urgente se si considera l’introduzione dell’imposta minima globale per le aziende, accettata in votazione popolare lo scorso 18 giugno. Questo nuovo sistema porta a un cambio di paradigma, con un maggiore accento sulla concorrenza fiscale delle persone fisiche legate alle aziende, in particolare i dirigenti con redditi elevati. Questo rapporto sempre più stretto fra imposizione delle società e delle persone fisiche è un fatto dal quale non si può più prescindere. Un esempio illuminante è costituito dal cosiddetto “caso norvegese”. Esempio da manuale delle cose da evitare.
Il tema è venuto alla ribalta per l’inusuale afflusso di facoltosi norvegesi in Svizzera, compreso Alf-Inge Haaland, ex calciatore di buon livello ma soprattutto padre del fenomeno del Manchester City, Erling Haaland. Ma cosa è successo in Norvegia?
La Norvegia ha “leggermente” aumentato la sua tassazione sui grandi patrimoni, ma anche e soprattutto la tassazione delle azioni, ora imposte all’80% del loro valore contro il 55% precedente. Nel capitolo imposta sul reddito, la tassazione dei dividendi è aumentata dal 31,7% al 37,8%. Questo ha evidentemente toccato imprenditori il cui patrimonio è costituito principalmente dalla loro azienda. Gli esperti fiscali rilevano che il costo fiscale di possedere un’impresa in Norvegia è più che raddoppiato in due anni. Alcuni imprenditori devono addirittura chiedere prestiti o vendere parte dei loro beni per poter pagare le imposte. Potendo risparmiare il 90% delle imposte trasferendosi in Svizzera, la decisione non è troppo difficile da prendere. Perché, se possedere un’attività diventa un lusso e il fisco è confiscatorio, difficile resistere alla tentazione di emigrare verso altri lidi.
Solo per questi contribuenti più ricchi, la perdita per le autorità fiscali norvegesi potrebbe raggiungere l’equivalente di circa 85 milioni di franchi. L’intero fenomeno è però difficile da quantificare perché anche i contribuenti meno ricchi stanno partendo e la Svizzera non è l’unica destinazione scelta. Le autorità norvegesi stanno del resto cominciando a preoccuparsi seriamente per questa perdita, sia fiscale che sociale. Ma incredibilmente il governo non sembra voler fare marcia indietro. Al contrario, sta cercando di aumentare la pressione sui contribuenti che lasciano il paese, il che non fa che accelerare l’esodo.
Quale lezione trarne
Come detto sopra, se la pressione fiscale va oltre il sopportabile, chi può trasferisce armi e bagagli. Non si tratta qui di prediligere una categoria di contribuenti rispetto ad altre. Tutte hanno la loro dignità e meritano l’assoluto rispetto, anche chi versa alle casse dello Stato somme più piccole. È però innegabile che figure come quelle dei norvegesi sbarcati in Svizzera portano molto e non pesano sulla comunità, anzi. Vanno considerati come importante fattore nell’ottica della politica fiscale e della politica di ridistribuzione delle risorse. Se i soldi non vengono prima generati, è difficile poi ridistribuire. Sembra una banalità, ma purtroppo nella discussione politica spesso non lo è.La bulimia fiscale è penalizzante e bisogna resistere a tentazioni alla “Robin Hood”. In uno Stato di diritto come il nostro l’equilibrio è assicurato, senza necessità di rapine. Occorre superare la solita immagine caricaturale del ricco contribuente seduto egoisticamente su un mucchio d’oro mentre la comunità è costretta a privazioni. La ricchezza, anche se percepita in modo diverso, può diventare un valore per tutti.
L’immobilità dei ricchi è un mito
Nei dibattiti sulle imposte gli scettici dicono spesso che i ricchi residenti hanno molte ragioni per rimanere dove sono e che il rischio di vederli partire è basso. Con l’esempio norvegese è chiaramente dimostrato che esiste davvero una “soglia di resistenza” oltre la quale coloro che possono partire, scelgono di farlo, e in fretta. Questa soglia è impossibile da determinare con precisione, il che dovrebbe incoraggiare ancora di più la cautela in materia di politica fiscale. L’equilibrio è essenziale, l’uso della mannaia crea solo danni.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2023/07/ART23-illusioni-realismo.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2023-07-25 08:00:002023-07-21 09:21:51Illusioni e realismo
Pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il 29 giugno scorso, il nuovo regolamento europeo sulle macchine è ora entrato in vigore. Produttori, importatori e distributori di macchine avranno tempo fino a metà gennaio 2027 per conformarsi ai nuovi requisiti.
Nello specifico, il regolamento 2023/1230/UE relativo alle macchine (PDF) abrogherà la Direttiva macchine 2006/42/CE con effetto il 14 gennaio 2027 e sarà direttamente applicabile negli Stati membri: pertanto, a partire da tale data potranno essere immessi sul mercato unicamente i prodotti che soddisfano i requisiti della nuova regolamentazione.
Il regolamento 2023/1230/UE stabilisce i requisiti di sicurezza e di tutela della salute per la progettazione e la costruzione di macchine, prodotti correlati e quasi-macchine al fine di consentire la loro messa a disposizione sul mercato o la loro messa in servizio, garantendo al contempo un livello elevato di tutela della salute e di sicurezza delle persone, in particolare dei consumatori e degli utilizzatori professionali, e, ove opportuno, degli animali domestici nonché di tutela dei beni e, se del caso, dell’ambiente.
Tra le novità introdotte dal regolamento rispetto alla direttiva macchine si possono citare:
l’introduzione delle figure dell’importatore e del distributore, in aggiunta a quella del fabbricante, e la precisazione dei loro obblighi;
l’applicabilità del regolamento non solo alle macchine nuove, ma anche ai prodotti che hanno subito “modifiche sostanziali (effettuate con mezzi fisici o digitali dopo l’immissione sul mercato o la messa in servizio, non previste o pianificate dal fabbricante, che influenzano la sicurezza creando pericoli o aumentando il rischio esistente così da richiedere ripari, misure o dispositivi di protezione aggiuntivi), alle componenti digitali (compresi i software), ai sistemi che utilizzano tecnologie di intelligenza artificiale;
il software che svolge funzioni di sicurezza è inteso come componente di sicurezza e come tale, se immesso sul mercato separatamente, deve sottostare alla marcatura CE; se utilizzato per la cybersecurity (incl. protezione contro la corruzione) deve essere munito di adeguata certificazione;
la dichiarazione CE di conformità diventa dichiarazione di conformità UE e deve riunire/menzionare tutti gli atti giuridici dell’UE applicabili al prodotto;
l’elenco dei prodotti ad alto rischio di cui all’allegato IV della direttiva 2006/42/CE è rimasto invariato, se non per l’aggiunta dei componenti di sicurezza con comportamento autoevolutivo e le macchine che incorporano sistemi con comportamento autoevolutivo, e figura ora nell’allegato I;
le istruzioni e altra documentazione pertinente possono essere forniti in formato digitale, in tal caso sarà necessario indicare sulla macchina o sul prodotto correlato (o eventualmente sull’imballaggio o su un documento di accompagnamento) come accedervi e presentarle in un formato che possa essere scaricato e stampato o salvato su un dispositivo elettronico, così come metterle a disposizione online durante il ciclo di vita previsto della macchina e per almeno 10 anni dall’immissione sul mercato della stessa o, se richiesto al momento dell’acquisto, fornirle gratuitamente in formato cartaceo entro un mese.
I certificati di esame CE del tipo rilasciati conformemente alla direttiva 2006/42/CE rimangono validi fino alla loro scadenza.
Nel caso di macchine o prodotti provenienti da Stati terzi, l’importatore è tenuto a garantire la loro conformità ai requisiti del regolamento macchine. Nella fattispecie, deve assicurarsi che siano state eseguite le procedure di valutazione della conformità, che la marcatura CE sia apposta e che la documentazione tecnica sia predisposta. Deve altresì tenere copia della dichiarazione di conformità UE a disposizione delle autorità di vigilanza del mercato per almeno 10 anni. Le sue coordinate (denominazione commerciale, marchi, indirizzo postale, sito internet, indirizzo di posta elettronica…) devono figurare sulla macchina o sul prodotto oppure sull’imballaggio o in un documento di accompagnamento.
Il vostro contatto in Cc-Ti per ulteriori ragguagli: Monica Zurfluh, Responsabile Commercio internazionale, T +41 91 911 51 35, zurfluh@cc-ti.ch
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2023/07/ART23-nuovo-regolamento-UE-macchine.jpg8541280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2023-07-20 08:00:002023-07-17 11:07:27In vigore il nuovo regolamento UE sulle macchine
In questi giorni è avvenuta la formale notifica da Roma a Berna necessaria all’entrata in vigore del nuovo Accordo firmato dalla Svizzera con l’Italia sulla fiscalità dei frontalieri.
Di conseguenza, come comunicato dalle autorità federali, il nuovo Accordo è entrato in vigore il 17 luglio 2023.
Ciò significa che a partire dal 18 luglio 2023 ogni persona che richiedesse il permesso G dal punto di vista fiscale verrà imposta in base al nuovo regime, che verrà applicato dal 1° gennaio 2024.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/12/ART22-frontalieri.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2023-07-19 14:46:382023-07-19 14:46:39Entrata in vigore del nuovo Accordo Svizzera-Italia sulla fiscalità dei frontalieri
Lo scorso 18 giugno 2023 il popolo svizzero ha detto sì alla nuova legge sul clima e sull’innovazione. È stato grosso modo un quarto degli aventi diritto di voto a pronunciarsi a favore della nuova legge; infatti, come spesso succede, solo il 40% della popolazione si è recato alle urne e di questo il 60% ha detto sì.
La democrazia svizzera funziona così, quindi la maggioranza non votante della popolazione deve accettare quanto deciso da una minoranza di votanti.
Come ben sappiamo la nuova legge sul clima e l’innovazione, controprogetto moderato all’iniziativa sui ghiacciai, non pone di principio divieti o nuove tasse, ma incentiva iniziative per una transizione ecologica ad emissione zero di CO2 entro il 2050. Per cercare di raggiungere questo ambizioso traguardo è indispensabile che tutti i settori che concorrono alle emissioni di gas a effetto serra facciano la loro parte: i trasporti motorizzati in primo luogo.
Nel corso degli ultimi decenni, grazie alle varie norme di legge introdotte a livello mondiale e allo sviluppo tecnologico dei motori a combustione interna, le emissioni di gas inquinanti prodotte dal traffico stradale, aereo e marittimo (quest’ultimo in maniera meno marcata rispetto agli altri due) sono drasticamente diminuite. Purtroppo, questa diminuzione è stata in parte attenuata a causa dell’aumento del traffico.
Tornando ora agli obiettivi imposti dalla nuova legge sul clima cosa dobbiamo aspettarci per quanto riguarda la mobilità individuale e per il trasporto merci su strada? La domanda è lecita e la risposta, tenendo conto delle tecnologie attualmente disponibili è la seguente: la mobilità elettrica.
Sia chiaro, la mobilità elettrica non è l’unica tecnologia che permetterà raggiungere l’obiettivo, o almeno di avvicinarsi, di zero emissioni di CO2, ma è quella che sarà dominante nella mobilità individuale privata. Altre tecnologie sono in fase di sviluppo e comprendono l’idrogeno, i carburanti sintetici e, almeno in parte, i bio-combustibili. Produrre oggi e nei prossimi anni questi carburanti alternativi richiede investimenti importanti e strutture adeguate che al momento non sono ancora disponibili se non a livello sperimentale. Nel futuro a breve e medio termine, visto quindi la scarsa disponibilità, questi carburanti verranno utilizzati quasi esclusivamente dai trasporti aerei o dal trasporto merci su strada a lunga percorrenza.
Nei prossimi anni gli automobilisti svizzeri, ma anche quelli europei visto che l’Europa ha decretato lo stop alla commercializzazione di veicoli a benzina e diesel entro il 2035, dovranno accettare di spostarsi con automobili a propulsione elettrica e questo malgrado un’indagine appena svolta abbia evidenziato come il 70% degli intervistati non abbia intenzione di acquistare un’auto elettrica. Questo dato sembrerebbe collimare con il risultato della votazione del 18 giugno.
La tecnologia di propulsione elettrica è senza ombra di dubbio un’ottima soluzione per ridurre le emissioni di CO2 a livello locale visto che un motore elettrico non ne produce affatto e inoltre offre anche molti vantaggi a livello di consumo energetico essendo di principio più efficiente. Tuttavia, una delle principali sfide che dovrà essere affrontata sarà la disponibilità di energia elettrica per la ricarica delle batterie. Già oggi assistiamo ad una penuria di elettricità che, in alcune occasioni, ha addirittura minacciato di tradursi in blackout parziali o totali con conseguenze catastrofiche per tutti. La risposta è probabilmente nella produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili come fotovoltaico, eolico e idroelettrico. Questa sfida spetta al mondo politico.
Ammettendo di trovare le soluzioni adeguate all’approvvigionamento sufficiente di energia elettrica, rimane ancora da risolvere il problema della distribuzione della rete di colonnine di ricarica indispensabili per alimentare l’intero parco veicoli in circolazione. La sfida non è meno titanica della precedente. Anzitutto la rete di distribuzione dell’elettricità potrebbe non sopportare le importanti potenze di carica richieste per le ricariche rapide delle batterie e nemmeno per assorbire i picchi di consumo che si genereranno quando un numero sempre maggiore di automobilisti si collegheranno alla colonnina per fare il pieno della propria auto. Sicuramente andranno trovate delle soluzioni.
L’ultimo anello del sistema di ricarica delle batterie per automobili è la colonnina di ricarica domestica o pubblica. Ancora una volta, se vogliamo raggiungere gli obiettivi imposti dalla legge sul clima, non abbiamo tempo da perdere. Oggi il numero di stazioni di ricarica è ancora abbondantemente al disotto delle necessità e le difficoltà di installazione, in particolare nei condomini, sono ancora importanti. La Confederazione, in collaborazione con diversi enti del settore, ha redatto una roadmap che prevede l’installazione di due milioni di colonnine di ricarica private entro il 2035. Anche se questo obiettivo sarà raggiunto, rimarrà comunque oltre un milione di automobilisti che non potrà ricaricare la propria auto elettrica a domicilio. Per questi ultimi sarà indispensabile affidarsi alle stazioni di ricarica pubbliche il cui sviluppo dipenderà anche dall’imprenditoria privata: se questo diventerà un business redditizio gli investimenti necessari non mancheranno.
Le incognite della transizione ecologica sono molte e le soluzioni per nulla scontate. Ognuno di noi dovrà fare la sua parte adattando a volte anche il proprio modo di affrontare la vita quotidiana.
Testo a cura di Marco Doninelli, Responsabile mobilità Cc-Ti
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2023/07/ART23-si-clima.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2023-07-19 08:00:002023-07-13 10:59:43Un sì per il clima: quali le conseguenze?
La nuova legge sulla protezione dei dati (nLPD) oltre ad avere introdotto tutta una serie di obblighi nei confronti del titolare del trattamento volti a migliorare la trasparenza dei trattamenti e ad aumentare il senso di responsabilizzazione ha, allo stesso tempo, rinforzato l’autodeterminazione delle persone interessate e più precisamente l’autodeterminazione informativa permettendo al singolo di controllare maggiormente i dati che lo riguardano e se necessario chiedere l’adozione di provvedimenti in caso di violazione.
In altre parole, le persone interessate hanno il diritto di essere informate su ogni attività di raccolta dei loro dati personali ma soprattutto il diritto di accedere a questi dati.
Il diritto di accesso ai dati personali che le riguardano è l’elemento chiave per la protezione dei dati in quanto permette di esercitare efficacemente gli altri diritti sanciti dalla legge sulla protezione dei dati, sia nella versione attuale che in quella rivista, ed in particolare:
il diritto di sapere a chi rivolgersi (art. 10 cpv3 lett. d) nLPD relativo al Consulente per la protezione dei dati e art. 14 cpv.3 nLPD in merito al Rappresentante in Svizzera), il diritto di sapere se una decisione presa si è basata esclusivamente su un trattamento automatizzato (art. 21 cpv.1 );
il diritto di opporsi al trattamento (opt out ). Anche se non è un diritto previsto espressamente dalle normative (aLPD e nLPD), quest’ultimo deriva dell’autodeterminazione informativa;
il diritto di rettificare i dati inesatti (art. 5 cpv. 2 aLPD, art. 32 cpv. 1 nLPD);
il diritto di cancellazione (art. 12 cpv. 2 aLPD, art. 32 cpv. 2 lett. c) nLPD);
il diritto di non essere sottoposto ad un processo decisionale automatizzato, diritto introdotto dalla nLPD. (art. 21 cpv. 2 nLPD);
il diritto di farsi consegnare dati o di esigerne la trasmissione a terzi, il cosiddetto diritto di portabilità, introdotto dalla nLPD (art. 28 nLPD).
Tutti questi diritti non sono assoluti, il legislatore per ogni diritto concesso ha previsto, sia nell’attuale versione della legge sulla protezione dei dati che in quella nuova, casi di restrizioni.
Il diritto di accesso tra estensione e limitazione
Il diritto di accesso è in primis un diritto che legittima la persona interessata a sapere se i suoi dati sono oggetto di trattamento (art. 8 cpv. 1 aLPD – art. 25 cpv.1 nLPD), come viene eseguito il trattamento, e in un secondo tempo, farsi consegnare una copia delle informazioni che il titolare ha su di lei.
Questo diritto è un diritto strettamente personale al quale non si può rinunciare in anticipo (art. 8 cpv. 6 aLPD – art.25 cpv.5 nLPD). Pertanto, qualsiasi persona capace di discernimento può e deve esercitare lei stessa questo diritto senza necessità di richiedere il consenso del rappresentante legale (ad esempio i minori).
In entrambe le versioni, aLPD e nLPD, le informazioni dovranno essere fornite per iscritto ed in linea di principio gratuitamente. È previsto un termine di 30 giorni per la trasmissione delle informazioni, che può essere prorogato se la raccolta delle informazioni e i relativi dati richiedono più tempo o possono eventualmente essere forniti in modo scaglionato.
L’elenco delle informazioni da fornire in caso di richiesta di accesso delle persone interessate è previsto dalle due normative, sia quella attuale (art.8 cpv. 2 lett.a) e b) aLPD) che quella rivista (art. 25 cpv 2 lett. a) a g) nLPD). Con il nuovo il testo, l’elenco delle informazioni minime da comunicare è stato esteso in modo considerevole e corrisponde in grandi linee a quello previsto dal diritto europeo (art. 15 cpv. del GDPR). Il diritto di accesso, pur rappresentando l’elemento chiave per la protezione dei dati, così come per gli altri diritti, non è assoluto. Delle restrizioni sono state previste dal legislatore sia nell’aLPD che nella nLPD (rispettivamente art. 9 aLPD e art. 26 nLPD), e sono state estese in particolar modo nel testo della nLPD per limitarne l’utilizzo abusivo riscontrato negli anni [il titolare del trattamento può rifiutare, limitare o differire l’informazione se la domanda d’accesso è manifestamente infondata, segnatamente se persegue uno scopo contrario alla protezione dei dati, o se è querelosa” (art. 26 cpv.1 lett.c) nLPD)].
In effetti, nella sua giurisprudenza, il Tribunale federale (TF) ha sottolineato che una richiesta di accesso (art. 8 aLPD) dovrebbe essere considerata abusiva quando è intesa esclusivamente a raccogliere prove in vista di un’azione civile (cf. due decisioni del TF: ATF 138111 425 e ATF 141 III 119 – il testo della sentenza ATF 138 III 425 può essere consultato al seguente link: https://bit.ly/3qU3Xwl).
In queste due sentenze il TF aveva negato il carattere abusivo della richiesta di accesso. È solo con la sentenza 4A_277/2020 del 18.11.2020 (il testo della sentenza può essere consultato al seguente link: https://bit.ly/43XPez6) che per la prima volta il TF ha ritenuto il carattere abusivo di una particolare richiesta legata ad un contenzioso commerciale facendo riferimento anche al testo della nLPD, ed in particolare al fatto che alla persona interessata debbano essere fornite le informazioni necessarie affinché possa far valere i suoi diritti secondo la LPD e sia garantito un trattamento trasparente dei dati (art. 25 cpv. 2 nLPD).
Anche a livello europeo l’esercizio del diritto di accesso è stato oggetto di discussione. A tale riguardo viene citata la recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea (CGUE) del 12 gennaio 2023 (il testo della sentenza della CGUE può essere consultato al seguenti link: https://bit.ly/3pos2Ld), la quale ha ritenuto che il diritto di accesso permette alle persone interessate di richiedere al titolare del trattamento le informazioni riguardanti l’identità dei destinatari ai quali i dati sono o sono stati comunicati.
Con questa sentenza la CGUE ricorda che il diritto di accesso è un diritto necessario per permettere alle persone interessate di far valere gli altri suoi diritti di cui alla LPD in quanto permette di verificare non solo che i dati personali che la riguardano sono corretti ma anche che sono trattati in modo lecito. Anche se questa sentenza non è vincolante per la Svizzera, ad eccezione dell’applicazione extraterritoriale del GDPR (teoria degli effetti), l’Incaricato federale della protezione dei dati e della trasparenza potrebbe adottare la stessa interpretazione in quanto l’obiettivo della nLPD è volto a migliorare la trasparenza del trattamento dei dati personali e l’autodeterminazione delle persone interessate. A tale riguardo sarà interessante capire se la sanzione penale prevista all’art. 60 cpv.1 lett.a) nLPD verrà applicata al titolare del trattamento che non fornisce, su richiesta della persona interessata, l’identità dei destinatari dei dati in quanto potrà essere considerata come fornitura intenzionale d’informazione incompleta.
Conclusione
Per quanto riguarda i diritti delle persone interessate, le disposizioni previste, sia dalla normativa attuale che da quella rivista, sono equiparabili. L’elemento determinante del testo della nLPD è l’autodeterminazione delle persone interessate ed in particolare l’autodeterminazione informativa.
Ogni attività di trattamento deve essere preceduta da un’informativa che deve contenere un minimo di informazioni predefinite dalla legge e alla quale non si può derogare. Chi tratta i dati personali lo deve fare in modo trasparente e deve essere in grado, su richiesta delle persone interessate, di fornirle tutte le informazioni necessarie a controllare che il trattamento venga eseguito in conformità ai principi di trattamento sanciti dalla legge sulla protezione dei dati. In caso di violazione la persona interessata potrà richiedere l’adozione dei provvedimenti previsti dalla legge sulla protezione dei dati che prevedono sia sanzioni penali (art. 34 cpv. 1 lett. a) e b) aLPD – art. 60 cpv. 1 lett. a) e b) nLPD) e amministrative (art. 51 nLPD) sia la possibilità di ricorrere alle azioni civili previste dagli art. 28 ss CC (art.15 aLPD – art. 32 cpv. 2 nLPD).
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2023/07/ART23-diritto-accesso.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2023-07-18 08:00:002023-07-13 10:31:04Il diritto di accesso, un elemento chiave della protezione dei dati
Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.
Il Codice delle obbligazioni prevede che in determinate situazioni la disdetta del contratto di lavoro può essere considerata abusiva. Va subito detto che l’abusività di una disdetta non ne determina la nullità o l’annullabilità. In altre parole, anche in presenza di una disdetta abusiva il licenziamento è valido e il contratto prende fine, allo scadere del termine di preavviso. Ma il dipendente, se il licenziamento è abusivo, può far valere una pretesa di indennizzo nei confronti del datore di lavoro. L’indennità è stabilita dal giudice, tenuto conto di tutte le circostanze, ma non può superare l’equivalente di sei mesi di salario del lavoratore. La legge ricorda poi che chi intende chiedere una tale indennità deve presentare un’opposizione scritta al datore di lavoro entro il termine di disdetta.
La giurisprudenza ha più volte sottolineato che non vanno poste esigenze troppo severe alla formulazione di questa opposizione. Basta che chi si oppone metta chiaramente per iscritto al datore di lavoro di non essere d’accordo con il licenziamento.
Di recente il Tribunale federale ha pubblicato una sua sentenza in cui ha messo in evidenza che un dipendente che in una procedura giudiziaria fa valere nei confronti del datore di lavoro una pretesa di indennizzo per licenziamento abusivo, deve provare l’esistenza di tutti i presupposti fattuali alla base della sua richiesta. Quindi, il dipendente che vuole ottenere questa indennità deve anche dimostrare in tribunale di aver fatto opposizione scritta al datore di lavoro entro il termine di disdetta. E ciò vale anche qualora il datore di lavoro non avesse sollevato contestazioni in merito all’opposizione del suo dipendente. In conclusione, tenuto conto che il dipendente in una procedura giudiziaria deve provare di avere agito come sopra indicato, nel caso in cui non riuscisse a portare tale prova perde il diritto all’indennità. Una simile omissione del dipendente viene rilevata d’ufficio dai giudici, senza che sia necessaria una contestazione da parte del datore di lavoro. È quanto successo nel caso concretamente giudicato dal Tribunale federale il quale ha pertanto negato il diritto all’indennizzo del lavoratore (4A_412/2022).
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2019/01/ART19-Michele-Rossi-ufficiale.jpg20193166Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2023-07-17 08:00:002023-09-20 10:01:55Per ottenere l’indennità per licenziamento abusivo il dipendente deve provare di aver fatto opposizione scritta alla disdetta del suo contratto
Quando non c’è nulla di certo come decidere? Nella confusione esistono delle strategie per sapere in quale momento procedere, prendere tempo per analizzare, mantenere un punto o cambiarlo. In un tempo storico che vede guerre in grado di cambiare gli equilibri in poche ore, anzi secondi, la strategia di compiere scelte più che mai corrette, è imposta dalle contingenze.
Attendere o esitare può produrre conseguenze importanti e vedere finestre di opportunità chiudersi inesorabilmente e velocemente. Ovviamente quando il clima di confusione sovrasta la realtà, decidersi diventa impegnativo, ma non impossibile.
E allora come comportarsi? Pragmaticamente per arrivare a decidere nel migliore dei modi, il nostro approccio deve smettere di essere deterministico e optare per una linea probabilista, e osservare con attenzione come il ventaglio di probabilità potrebbe evolversi. Uscire dalla narrazione bianco o nero e “permettersi” di cambiare idea, porta verso una decisione certamente più pertinente.
Si tratta basare le decisioni come se ci si trovasse davanti a più possibili condotte: una via da seguire in caso di confusione, ma almeno due vie quando la confusione è veramente imponente. La seconda variante promuove l’opportunità fondamentale di poter fare “marcia indietro” e prendere in considerazione “l’altra” alternativa, con uno sforzo relativamente basso e non appena il contesto lo imponga. In altre parole, possiamo affermare che non bisogna seguire semplicemente le nostre intuizioni, ma “testare” le nostre intuizioni.
Siccome siamo inclini a credere a ciò che vogliamo credere, dovremmo guardare agli indizi opposti, proprio quelli in grado di farci eventualmente cambiare idea.
Questa “filosofia” da acquisire si può attuare semplicemente anche all’interno dalla propria impresa, costituendo, in un clima di collaborazione e integrazione, un gruppo di colleghi ai quali ci rivolgiamo con la richiesta di esprimere, in base alle nostre considerazioni generali e puntuali, di trovare punti deboli, difetti o forza. Proprio sul loro riscontro rivalutiamo, quindi, più precisamente la situazione e le sue derivazioni.
In questo modo saremo facilitati nel rivedere i fatti con maggiore flessibilità e testare davvero la nostra intuizione. “Dipanare” il processo in atto aiuta, a poco a poco, a gestire la confusione.
In un contesto geopolitico ed economico instabile, di fronte a sfide complesse e inedite, gestire la propria impresa non può riconoscere posizioni di certezza. Le crisi recenti, pandemia, guerra in Ucraina e i loro effetti collaterali continuamente mutevoli, sono un invito chiaro a mettere in atto tutti gli strumenti nelle nostre disponibilità che possano portarci a prendere le migliori decisioni.
Come Voltaire scriveva già nel 1767 al Re di Prussia, Federico II: “il dubbio non è una sensazione gradevole, ma la certezza è assurda”.
L’atto di fare una scelta cambia il modo in cui ci sentiamo riguardo alle nostre opzioni.
Per approfondire: Prof. IMD di Losanna, Arnaud Chevallier autore di “Strategic Thinking in Complex Problem Solving” – Oxford University Press – e recentemente di “Solvable: A Simple Solution to Complex Problems” coautore Albrecht Enders – Pearson Education Limited –.
Fonte: Testo Fanny Oberson, CVCI, “Demain”, nr. 04.2022, traduzione e adattamento Cc-Ti
Ci permettiamo inoltrare le nostre osservazioni alla consultazione sul Piano energetico e climatico cantonale (PECC) – strategia 2022.
Il termine per la presentazione di osservazioni scade il 30 aprile 2023, per cui questa presa di posizione è ampiamente tempestiva.
In ingresso rileviamo che purtroppo non siamo stati ufficialmente invitati alla consultazione, malgrado il nostro ruolo di associazione-mantello dell’economia ticinese. Speriamo che ciò sia frutto di una semplice svista, altrimenti non sarebbe giustificabile, dato che sono state esplicitamente invitate molte associazioni di varie categorie economiche.
Osservazioni introduttive
L’economia svizzera e ticinese sostiene in generale il principio di ridurre la nostra dipendenza da fonti energetiche estere e di staccarsi, laddove possibile, dalle energie fossili per andare verso un consumo di energia proveniente da fonti rinnovabili. Restiamo però fermamente convinti che oggi nessuno possa permettersi a priori di rinunciare a una delle varie fonti energetiche a nostra disposizione, nemmeno del nucleare. È essenziale che si continui a lavorare su più fronti e ad avere un approccio multivettoriale, soprattutto in presenza di tante incognite legate allo sviluppo tecnologico, ai costi, ai tempi di realizzazione di vere (“mature”) alternative alle odierne fonti di approvvigionamento. Infatti, se da un lato è comprensibile auspicare lo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili, dall’altro lato sono ancora da chiarire tempi e costi per determinare quando tutto ciò (produzione, stoccaggio, trasporto, ecc.) permetterà di coprire il fabbisogno energetico del paese. Una condivisione degli obiettivi energetici e climatici odierni non significa che le novità verso le quali si vuole tendere siano applicabili senza adattamenti (anche complicati) nell’immediato.
1. Base costituzionale e tempistica del PECC
È opportuno ricordare, quando si affronta il tema dell’energia nel suo complesso, che la Costituzione federale del 18 aprile 1999, e più precisamente l’articolo 89 capoverso 1, prevede quanto segue:
“Nell’ambito delle loro competenze, la Confederazione e i Cantoni si adoperano per un approvvigionamento energetico sufficiente, diversificato, sicuro, economico ed ecologico, nonché per un consumo energetico parsimonioso e razionale”. Gli elementi citati, compreso quello economico e quello della diversificazione, sono tutti di pari livello, per cui una visione globale sul tema energetico impone di tenere conto di tutte le componenti, cercando di armonizzarle. Ignorarne anche uno solo di questi sarebbe anticostituzionale.
È evidente che l’autorità cantonale, vista la ripartizione delle competenze in tema di energia, non può prescindere da quanto deciso a livello federale. Per questo motivo, riteniamo poco opportuno procedere a una revisione del PECC mentre a livello federale si sta discutendo dell’adozione di un atto mantello (Mantelerlass) che prevede la revisione di numerose leggi e ordinanze in tema energetico. Atto federale che ha davanti a sé probabilmente un iter ancora abbastanza lungo prima di essere adottato e di cui il cantone dovrà comunque giocoforza tenere conto, per capire quali siano i margini di azione a livello cantonale.
Il rischio di elaborare un PECC che potrebbe già di fatto essere superato è molto concreto.
Quindi, da una parte condividiamo la necessità di avere un piano strategico cantonale che possa essere sempre adattato alle esigenze espresse dalla realtà economica e sociale, tenendo soprattutto conto dell’evoluzione tecnologica, che può risultare decisiva nella scelta degli strumenti idonei a soddisfare i fabbisogni energetici del cantone. Ma la tempistica non ci sembra appropriata.
2. Impostazione generale
Già si è detto della condivisione del principio di avere uno strumento con obiettivi definibili secondo le evoluzioni della realtà. Vi sono tuttavia alcune domande di ordine generale che è assolutamente necessario porsi, prima di sancire una direzione dalla quale poi potrebbe risultare difficile ritirarsi.
a. Obiettivi – La prima domanda concerne gli obiettivi che si perseguono: rendere il cantone energeticamente indipendente al 100% e neutrale dal punto di vista delle emissioni di CO2 è realistico, visto che nemmeno la Confederazione aspira a tanto? A nostro avviso, a causa delle molte implicazioni pratiche, si tratta di un traguardo troppo ambizioso, per motivi che verranno spiegati in seguito. In primis per la sicurezza dell’approvvigionamento, cardine essenziale della questione energetica. Forse sarebbe stato opportuno coinvolgere cerchie più ampie nell’elaborazione del progetto posto in consultazione, in particolare rappresentanti del settore privato, che avrebbero potuto completare l’importante lavoro svolto dagli esponenti del settore pubblico e para-pubblico (AET e AMB). L’impressione è che, al di là degli obiettivi assolutamente lodevoli, manchi un approccio pratico.
b. Strumenti – Nel PECC si fa ampio riferimento a incentivi sotto forma di sussidi di vario genere. Probabilmente in taluni casi può trattarsi di uno strumento idoneo, ma manca un’analisi più approfondita su altre possibilità di facilitare gli investimenti, ad esempio con deduzioni fiscali mirate. A nostro avviso è concettualmente errato concentrarsi solo sugli incentivi, che tra l’altro potrebbero anche necessitare, per attribuzione, controllo ed eventuali sanzioni, di un apparato burocratico non indifferente, facendo lievitare i costi. Rischio che potrebbe forse essere evitato con un approccio che preveda anche altre facilitazioni per gli investimenti, ad esempio intervenendo sulla leva fiscale, che dispone di un apparato già rodato e che potrebbe portare a una maggiore chiarezza su cosa, chi e come viene incentivato. Riteniamo che un’analisi di questo tipo sulle varie possibilità di strumenti da mettere in campo sia indispensabile.
c. Costi – Strettamente legato al punto precedente è quello dei costi delle molte misure previste. Nel PECC mancano totalmente calcoli concreti sui costi che andrebbero affrontati per raggiungere gli obiettivi di indipendenza e neutralità. È evidente che in una certa misura si conta sull’evoluzione tecnologica ma l’impatto sul terreno e in particolare sui costi non è certo e speculare sul fatto che vi sarà una riduzione dei prezzi e una maggiore diffusione, ad esempio, delle batterie per accumulare l’energia è esercizio a nostro avviso troppo rischioso. È evidente che questo rende difficile fare calcoli precisi, però è necessario avere almeno delle stime attendibili, ma a maggior ragione si impone una certa prudenza e comunque non si può prescindere da stime almeno credibili dell’impatto finanziario dei principi perseguiti dal PECC. Ad esempio, si menziona la necessità di sopprimere l’olio combustibile quale vettore di riscaldamento per gli immobili, che vanno tutti convertiti. Data l’ampiezza del parco immobiliare ticinese che fa ancora capo a questa forma di energia, risulta difficile credere che si tratti di un’operazione possibile nei tempi previsti e sostenibile finanziariamente. Il fatto che oltretutto non vi siano indicazioni su chi dovrà concretamente sopportare i costi induce a rifiutare quanto proposto nel PECC, nell’attesa di indirizzi più precisi. Tanto più che il summenzionato dettame costituzionale richiede anche l’economicità degli interventi, elemento allo stato attuale impossibile da determinare.
d. Procedure – La volontà di alleggerire e sveltire le procedure pianificatorie è senza dubbio un elemento da ritenere, perché facilitano gli investimenti, anche per le energie rinnovabili, e permettono una reattività migliore quando si tratta di adattarsi alle evoluzioni sempre più rapide del contesto economico e sociale e, ovviamente, energetico.
3. Obiettivi strategici e scenari 2050 in particolare
Già si è detto al punto precedente che vi sono dubbi sul raggiungimento degli obiettivi che si pone il cantone. Indipendenza al 100% e decarbonizzazione, per quanto lodevoli, non tengono conto in maniera sufficiente della sicurezza dell’approvvigionamento e a quali costi, quindi anche del criterio dell’economicità.
Inevitabilmente occorre fare riferimento alla Strategia Energetica 2050 (SE 2050) prevista dalla Confederazione, che ha già dimostrato i suoi limiti (senza dimenticare le incertezze legate agli esiti della prossima votazione federale del 18 giugno 2023 sulla Legge federale sugli obiettivi in materia di protezione del clima, l’innovazione e il rafforzamento della sicurezza energetica). Malgrado la SE 2050 sia oggetto di discussioni per la sua manifesta inadeguatezza, il PECC afferma di voler essere ancora più ambizioso e incisivo. Rileviamo che basarsi di fatto solo su due unici pilastri, idroelettrico e fotovoltaico, non ossequia al dettame costituzionale di avere un approvvigionamento diversificato, per cui la produzione di elettricità proveniente da legna e gas va inclusa nelle valutazioni.
Del resto, pur condividendo il fatto che si faccia riferimento a effetto e misure globali, va tenuto conto che il Ticino può influenzare relativamente poco nel panorama mondiale. Variazioni di temperatura di uno o due gradi sono decisi risp. influenzati da colossi come Cina, India, Brasile, USA, ecc., il cui obiettivo non è la decarbonizzazione, almeno non come priorità assoluta. Il Ticino in questo contesto può ben poco. Ciò non significa che non bisogna fare nulla, anzi. Ma gli obiettivi vanno commisurati a quanto noi possiamo effettivamente fare. Combattere da soli l’aumento stimato di 1,5 gradi della temperatura è illusorio, cercare di aumentare l’indipendenza energetica è più realistico, ma va comunque sempre tenuto conto dell’impatto economico e sociale delle misure ipotizzate in termini di costi.
Che la SE 2050 abbia i suoi limiti è ormai noto. Il prezzo dell’elettricità è esploso nel 2022 e le misure urgenti previste per ovviare alle difficoltà (riserva energetica, Birr, Monthey, Cornau…) portano poca energia supplementare e sono costate 850 milioni di franchi e a tal proposito Swissgrid ha già annunciato degli aumenti tariffali per il 2024. Malgrado il fondo KEV/RIC dal 2009 a oggi abbia raccolto circa 15 miliardi di franchi (attualmente circa 1,4 miliardi all’anno), il fotovoltaico produce solo circa 2,8 TWh (anno 2021), quindi pensando ai sussidi erogati, la resa è assai limitata. Se si considera che con questi mezzi finanziari avrebbero potuto essere costruite 2 nuove centrali nucleari, producendo 10 volte di più energia, 24 ore su 24, non solo quando splende il sole e a un prezzo inferiore, si impongono riflessioni ad ampio raggio che non si concentrino solo su una gamma limitata di fonti energetiche.
L’approvvigionamento invernale, che è quello sostanzialmente problematico visto che siamo obbligati a importare energia, viene a nostro avviso frettolosamente liquidato, con un generico riferimento anche a nuove possibilità di stoccaggio. Dallo Stato le cittadine e i cittadini si aspettano condizioni-quadro affidabili come pure un piano di implementazione chiaro. Limitarsi a dire, come figura a pagina 69 del PECC posto in consultazione, “La sfida è di riuscire a ridurre la dipendenza dall’estero tramite trasferimento di parte dell’esubero di produzione estiva nei mesi invernali” corrisponde sostanzialmente a vendere un’illusione. Tanto più che si afferma pure, sempre a pagina 69, che “Malgrado l’importante aumento di potenza fotovoltaica installata, rimarrebbe un deficit invernale di circa 700 GWh, mentre nei mesi estivi vi sarebbe da gestire, con i relativi problemi sulla stabilità della rete, un esubero di 1’100 GWh”. In parole povere, significherebbe che più dei 2/3 della “nuova” produzione sarebbe gettata alle ortiche!?
In conclusione, resta senza risposta il quesito di come si possa immagazzinare il surplus di energia prodotta nei mesi “favorevoli”. Considerato l’attuale stato della tecnica e dei prodotti disponibili sui mercati risp. di progetti come il Sambuco, significherebbe che occorrerebbero 14 altri progetti come il Sambuco. In sostanza, i 100 a 200 milioni di franchi necessari per aumentare la produzione di 50 GWh, diventerebbero una cifra mostruosa variante da 1,4 a 3 miliardi di franchi per coprire il deficit invernale di 700 GWh. Figuriamoci se volessimo immagazzinare la stessa quantità di energia con batterie attualmente reperibili sul mercato: in effetti 700GWh corrispondono a 700‘000‘000 kWh e per immagazzinarli in batterie TESLA (capacità 15 kWh a 10’000 franchi al pezzo) avremmo bisogno di 45 milioni di batterie per un costo totale di oltre 400 miliardi di franchi e per una durata di vita delle batterie di soli 15 a 20 anni.
Ovviamente sproporzionato e irrealizzabile. Immagazzinare l’esubero di energia estiva per poi utilizzarlo nella stagione fredda è certamente corretto dal punto di vista teorico, ma, all’atto pratico, trovare 14 progetti equivalenti a quanto previsto per il Sambuco o, peggio, illudersi di installare milioni di batterie, rappresenta un esercizio velleitario che non si sposa con la realtà dei fatti.
Tra l’altro, se veramente si vorrà procedere con lo spegnimento del nucleare senza condizioni, nel 2035 il fabbisogno invernale salirà ulteriormente.
Il problema dello stoccaggio non è quindi ancora risolto e occorrono maggiori analisi e la verifica di alternative credibili, anche per i forti dubbi sulla sostenibilità dei costi.
4. Alternative?
Abbiamo già sottolineato la necessità di non precludersi determinate fonti energetiche. Per questo vanno sostenute svariate alternative: fotovoltaico, idroelettrico (incluso la mini-hydro), eolico, biogas, geotermia, nuovo nucleare, ecc., tutto ciò al fine di garantire una sicurezza di approvvigionamento economica 24/24h e non solo quando splende il sole o soffia il vento.
Il PECC fa riferimento per il 2035 al Power to X da energie rinnovabili e quando d‘inverno saremo al massimo delle importazioni. Si tratta di una visione poco coerente. Garantire il “pieno” delle auto elettriche e far funzionare le pompe di calore grazie a energia elettrica importata ci pare molto azzardato.
Infine, se già vi sono problemi di approvvigionamento in inverno e vista la bassa resa/efficienza, la produzione di idrogeno con l’idroelettrico andrebbe evitata, visto che poi essa richiede il triplo di energia rispetto alla resa
5. Obblighi non commisurati alla realtà
Da pagina 73 del PECC vengono elencati molti degli obblighi che dovrebbero permettere una transizione energetica. Nutriamo qualche dubbio sulla fattibilità, visto che spesso si fa riferimento anche a tecnologie e prodotti non ancora „maturi “. Per quanto riguarda gli edifici, le reti di teleriscaldamento sono certamente una via corretta, ma abolendo il gasolio, come nelle intenzioni, quale sarebbe il destino delle zone periferiche senza teleriscaldamento? Non verrebbero riscaldate?
6. Conclusioni
Visto quanto precede, chiediamo che il PECC sia riesaminato completamente, rivedendone gli obiettivi sulla base delle tecnologie disponibili oggi e non basandosi su supposizioni e speranze. Aggiornamenti e correzioni degli obiettivi possono essere effettuati di pari passo con l’evoluzione tecnologica. Considerata l’importanza del tema, una valutazione dell’impatto finanziario degli obiettivi perseguiti è assolutamente necessario. Un allineamento con il Mantelerlass della Confederazione è indispensabile sia per gli obiettivi, che per le vie per raggiungerli. Nel nostro ruolo di associazione-mantello dell’economia ticinese riteniamo che sarebbe opportuno muoversi con maggiore realismo, prevedendo anche un piano alternativo, qualora le ipotesi illustrate, anche per i motivi suddetti, non potessero essere realizzate.
Ringraziandovi per l’attenzione dedicata al nostro scritto, l’occasione ci è gradita per porgervi i nostri più distinti saluti.
Andrea Gehri, Presidente Cc-Ti
Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2023/07/ART23-comunicato-piano-energetico.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2023-07-13 11:27:342023-07-13 12:02:24Piano energetico e climatico cantonale
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