L’internazionale passa dal CMS e dalla trade compliance

La compliance sta diventando sempre più importante nelle aziende, tanto che molte si sono dotate di un team dedicato. In un contesto internazionale sempre più complesso, anche gli ambiti doganali e del controllo delle esportazioni sono interessati da questo sviluppo: nel primo caso, ad esempio, è stata introdotta la qualifica di “Operatore Economico Autorizzato” (AEO), che racchiude le basi di un sistema di conformità; nel secondo lo Stato prescrive invece un “programma interno di conformità” (ICP) per le aziende che effettuano determinate transazioni sottoposte ad autorizzazione.

In un contesto globale caratterizzato dall’aumento delle barriere commerciali e delle sanzioni, è fondamentale per le aziende presidiare gli aspetti del controllo delle esportazioni e della conformità doganale e commerciale. La compliance va considerata come uno strumento di supporto all’operatività aziendale e le pratiche, procedure e cultura aziendali giocano un ruolo essenziale per l’identificazione, la valutazione, la gestione e la mitigazione dei rischi. Conditio si ne qua non è però l’impegno e il supporto da parte dei vertici aziendali e l’impiego di personale adeguatamente formato.

La cultura e la gestione della conformità, e nello specifico la trade compliance, sono state esaminate nel dettaglio in un articolo intitolato “Compliance-Management-System und Trade Compliance”, scritto dall’avvocato Annette Reiser e apparso nell’ultima edizione della rivista Zoll + MWST Revue | Revue Douanière + TVA. L’articolo è stato tradotto in italiano a cura della Cc-Ti.

Disponibile sotto forma di scheda informativa dal titolo “Il sistema di gestione della conformità e la conformità commerciale”, la versione italiana (6 pagine) può essere richiesta tramite e-mail a Monica Zurfluh, responsabile Servizio Commercio internazionale, zurfluh@cc-ti.ch. Il documento è destinato unicamente agli associati.

Zoll + MWST Revue | Revue Douanière + TVA

Zoll + MWST Revue | Revue Douanière + TVA è una rivista trimestrale specialistica che dal 2016 si rivolge a professionisti attivi negli ambiti consulenza, economia, industria e amministrazione. Essa fornisce informazioni fondate sugli ultimi sviluppi giuridici, sui cambiamenti nella prassi amministrativa e sulle sentenze giudiziarie rilevanti, con un occhio di riguardo alla quotidianità professionale. Per gentile concessione di Zoll + MWST Revue | Revue Douanière + TVA, la Cc-Ti cura la traduzione in italiano di articoli selezionati, che mette gratuitamente a disposizione dei propri associati sotto forma di scheda informativa.

Controllo all’esportazione: formazione sul tema

Nell’ambito della formazione puntuale si segnala il seguente corso:

Export control Dual-Use goods, sanctions, embargoes
martedì 11 settembre 2023, in modalità virtuale

Il controllo dell’export per software, tecnologie e servizi

Per esportare i cosiddetti beni a duplice impiego, che possono essere utilizzati sia per scopi militari sia civili, le aziende devono rispettare i requisiti di legge in materia di controllo delle esportazioni e, in alcuni casi, richiedere licenze di esportazione. Tuttavia, un numero sempre maggiore di imprese esporta software, tecnologie e servizi: queste esportazioni immateriali sono soggette agli stessi controlli delle esportazioni dei beni fisici, ma i trasferimenti di dati tramite cloud e Internet sono molto più difficili da controllare, sia dalle aziende stesse sia parte del legislatore. Inoltre, nella rete, i confini geografici si confondono e non è facile individuare la giurisdizione competente. Come procedere al meglio?

In base al principio della responsabilità individuale, l’azienda deve effettuare le opportune verifiche assicurandosi che la gestione delle offerte e dei servizi digitali avvenga nel rispetto della normativa vigente. Ciò significa essenzialmente di essere in grado di rispondere alle quattro domande “cosa?”, “chi?”, “dove?”, “a che scopo?”:

  • cosa si intende esportare: il software, la tecnologia o il servizio figura in un elenco di beni di cui è limitata o vietata l’esportazione?
  • chi è coinvolto: le parti coinvolte figurano in un elenco di persone fisiche e/o giuridiche sanzionate?
  • dove si vuole esportare: il Paese di destino è sottoposto a sanzioni o embarghi?
  • a che scopo: come viene impiegato il bene (in ambito civile vs. in ambito militare)?

Le sfide del controllo delle esportazioni di tecnologia immateriale sono illustrate più nel dettaglio in una guida realizzata dall’Istituto Svizzero per l’Imprenditoria (SIFE) della Scuola universitaria professionale dei Grigioni nell’ambito di un progetto innosuisse. La guida Exportkontrolle von digitalen Angeboten (PDF, 1 MB, 27.06.2023) è disponibile attualmente solo in lingua tedesca ed è stata pubblicata a fine giugno 2023 anche sul sito web della Segreteria di Stato dell’economia (SECO), nella pagina dedicata ai moduli e alle istruzioni per l’export di prodotti industriali e beni militari speciali.

Sulla base di un caso pratico, gli autori della guida hanno identificato e analizzato sei aree problematiche, mettendone in evidenza i fattori di influenza e delineando possibili opzioni di intervento, vedi misure di controllo appropriate: la classificazione di tecnologia e software, la ricerca e lo sviluppo, l’erogazione di servizi informatici in rete (cloud computing), l’e-commerce, i servizi intelligenti (smart services) e, infine, la formazione, l’istruzione e l’assistenza al cliente.

Gli autori hanno anche realizzato una checklist, che riunisce le domande chiave da porsi nell’ambito del controllo di esportazioni immateriali. Per praticità le abbiamo tradotte e sono riportate di seguito:

  • i processi sono adeguati alle normative vigenti in materia di controllo delle esportazioni e vengono regolarmente riveduti?
  • tutti i dipendenti coinvolti direttamente o indirettamente nelle attività di esportazione sono sensibilizzati sul controllo delle esportazioni?
  • nella valutazione dei casi aziendali vengono poste le quattro domande chiave “cosa?”, “chi?”, “dove?”, “a che scopo?”?
  • la tecnologia e il software vengono valutati utilizzando le tre fasi di raccolta delle informazioni, classificazione e rischio?
  • vengono prese in considerazione le sanzioni e gli embarghi contro individui, aziende e Paesi per ogni esportazione?
  • la legge statunitense sul controllo delle esportazioni viene presa in considerazione quando si esporta tecnologia o software?
  • viene utilizzata tecnologia statunitense?
  • qual è la percentuale di tecnologia statunitense nella tecnologia o nel software in questione?
  • la tecnologia o il software sono sviluppati da team di sviluppo globali?
  • vengono utilizzati componenti open source nello sviluppo della tecnologia o del software?
  • vengono prese in considerazione le 19 sfide potenziali (vedi pag. 57) quando si esportano offerte immateriali?
  • il software offerto ha una funzione di crittografia?
  • come avviene il trasferimento delle conoscenze relative alla tecnologia, all’utilizzo e agli aggiornamenti della tecnologia o del software?
  • l’accesso ai dati controllati è conforme alle norme di accesso corrette?
  • come si presenta la mappa del server e quali autorizzazioni hanno i vari gruppi di utenti?
  • come avviene l’archiviazione e lo scambio dei dati in azienda?
  • come viene regolato l’accesso all’offerta o all’assortimento nel commercio elettronico?

Link utili:

La vostra prossima formazione in materia di controllo delle esportazioni:
Export control Dual-Use goods, sanctions, embargoes
martedì 11 settembre 2023, in modalità virtuale

Il rapporto di sostenibilità: un video-tutorial per la compilazione

TI-CSRREPORT.CH

La RSI responsabilità sociale delle imprese (o CSR, dall’inglese Corporate Social Responsibility), nel gergo economico e finanziario, è l’ambito riguardante le implicazioni di natura etica all’interno della visione strategica d’impresa: è una manifestazione della volontà delle grandi, piccole e medie imprese di gestire efficacemente le problematiche d’impatto sociale, etico e ambientale al loro interno e nelle zone in cui si svolgono le attività imprenditoriali. L’attuazione coerente della RSI (CSR) è un contributo essenziale allo sviluppo sostenibile e al superamento delle sfide sociali e può influire positivamente sulla competitività stessa delle aziende.

La Cc-Ti, quale associazione-mantello dell’economia ticinese, ha sviluppato – con il supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE) – un modello online di rapporto di sostenibilità, lanciato nella primavera del 2022, ed accessibile tramite questo link: www.ti-csrreport.ch.

Il valore del rapporto di sostenibilità

  • Per comunicare il valore generato dall’impresa non solo a livello economico ma anche sociale e ambientale, dimostrando la propria affidabilità a 360° ai partner
  • Per consolidare l’immagine e la reputazione dell’impresa
  • Per integrare e sviluppare le buone pratiche, verificando e migliorando i propri parametri a livello di sostenibilità e di responsabilità sociale
  • Per partecipare e avvantaggiarsi nei bandi pubblici che riconoscono la premialità alle imprese socialmente responsabili

Il rapporto di sostenibilità è un documento sempre più utile e diffuso, che raccoglie le buone pratiche messe in atto da un’azienda, permettendole di integrare le informazioni economiche con un rendiconto dell’impatto sociale e ambientale della sua attività.

Le imprese hanno l’opportunità e l’esigenza di analizzare e comunicare l’esito del loro impegno ai propri interlocutori (azionisti, clienti, fornitori, dipendenti, comunità, enti finanziatori, pubblica amministrazione, associazioni del territorio, media, ecc.).

La responsabilità sociale delle imprese è un elemento che, dal 2021, rientra anche nei bandi di concorso pubblici, con un valore di ponderazione del 4% nei criteri di aggiudicazione.

Il video-tutorial

Tramite questo link è possibile vedere un video esplicativo sul report di sostenibilità Cc-Ti e seguire passo passo le indicazioni per la sua compilazione.


È possibile avere dettagli in merito sul tema e consulenze dirette, contattando Gianluca Pagani, CSR Manager Cc-Ti o Sergio Trabattoni, Collaboratore CSR.

11° pacchetto di sanzioni UE alla Russia

L’Unione europea ha adottato l’undicesimo pacchetto di sanzioni nei confronti della Russia, con nuovi divieti e l’introduzione di un nuovo strumento antielusione.

L’11° pacchetto di sanzioni europee è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale L159I del 23 giugno scorso, entrando in vigore il giorno successivo. Esso si compone di tre regolamenti (2023/1214, 2023/1215, 2023/1216) e due decisioni (2023/1217, 2013/1218), che ampliano le misure precedentemente adottate con nuove restrizioni di carattere soggettivo e merceologico.

Tra queste ultime figurano (elenco non esaustivo):

  • l’ampliamento dell’elenco di beni e tecnologie che possono contribuire al rafforzamento militare e tecnologico della Russia, allo sviluppo del suo settore della difesa e della sicurezza o dei suoi sistemi militari,
  • l’ampliamento dei beni atti a contribuire al rafforzamento delle capacità industriali del Paese;
  • la restrizione all’esportazione di numerosi beni di lusso a prescindere dal loro valore (prima ristretti all’esportazione solo se superavano determinate soglie);
  • limitazioni all’import di nuove categorie di beni siderurgici e di beni che generano introiti significativi per la Russia.

Confindustria ha realizzato una nota informativa con il commento delle principali novità.

La Svizzera ha già ripreso le misure a carattere soggettivo (sanzioni finanziarie e restrizioni di viaggio) e sta lavorando su quelle a carattere merceologico (il Consiglio federale dovrebbe pronunciarsi in merito entro fine agosto). Nell’attesa dell’implementazione elvetica, si possono già segnalare nuovi obblighi per le aziende svizzere che vendono prodotti siderurgici ad aziende europee: infatti, parallelamente alla conferma del divieto di importare o acquistare, a partire dal 30 settembre 2023 (*), direttamente o indirettamente, determinati prodotti siderurgici che sono sottoposti a trasformazione in un Paese terzo e incorporano prodotti siderurgici originari della Russia, è introdotto l’obbligo per l’importatore europeo di presentare, all’atto dell’importazione, la prova attestante il Paese di origine dei fattori produttivi siderurgici impiegati per la trasformazione del prodotto importato (cfr. regolamento (UE) n. 833/2014, art. 3 octies, par. 1, lett. d – modificato dal regolamento (UE) 2023/1214). A partire da tale data, i fornitori svizzeri, e più in generale esteri, saranno quindi chiamati a fornire un documento attestante il non utilizzo di fattori produttivi di origine russa rispettivamente il Paese d’origine degli stessi.

I prodotti siderurgici toccati da questa misura sono identificati con le voci di tariffa seguenti (cfr. Allegato XVII del regolamento 833/2014, modificato da ultimo dal regolamento 2023/1214): 7206, 7207, 7208, 7209, 7210, 7211, 7212, 7213, 7214, 7215, 7216, 7217, 7218, 7219, 7220, 7221, 7222, 7223, 7224, 7225, 7226, 7227, 7228, 7229, 7301, 7302, 7303, 7304, 7305, 7306, 7307, 7308, 7309, 7310, 7311, 7312, 7313, 7314, 7315, 7316, 7317, 7318, 7319, 7320, 7321, 7322, 7323, 7324, 7325, 7326

(*) Il divieto si applica a decorrere dal 1° aprile 2024 per la voce di tariffa 7207.11 e dal 1° ottobre 2024 per le voci 7207.1210 e 7224.90.

L’ultimo pacchetto sanzionatorio europeo vede anche

  • l’aggiunta della Svizzera nell’elenco dei “Paesi partner” dell’UE per quanto riguarda l’adozione di sanzioni nei confronti della Russia e quindi beneficiaria di alcune deroghe ai divieti introdotti dall’UE;
  • l’introduzione di un nuovo strumento antielusione, volto a vietare l’esportazione di specifiche categorie di beni e tecnologie verso determinati Paesi terzi che si dimostrano coinvolti nell’agevolazione dell’elusione delle sanzioni. L’allegato di riferimento, il nr. XXXIII, è attualmente vuoto ed è pensato come rimedio eccezionale e di ultima istanza qualora il dialogo tra l’UE e i Paesi terzi interessati non si rivelasse sufficiente.
  • l’introduzione del divieto di transito (salvo deroghe) – attraverso la Russia e destinati a Paesi terzi – di beni e tecnologie esportati dall’UE che possano contribuire al rafforzamento militare e tecnologico o allo sviluppo del settore della difesa o della sicurezza della Russia, così come di beni e tecnologie per uso nell’aviazione o nell’industria spaziale nonché́ di carboturbi e additivi per carburanti esportati. Nello specifico, è vietato il transito dei beni elencati negli allegati VII, XI e XX.

Altri link utili:
Russia: sanzioni e obblighi (aggiornamento) – Cc-Ti

Illusioni e realismo

L’attualità politica ci porta a tornare su due temi sui quali ci siamo già espressi nelle scorse settimane, ma che sono centrali per il nostro Cantone e che quindi meritano ulteriori approfondimenti. Si tratta della proposta di introdurre un pedaggio per la galleria autostradale del San Gottardo e del progetto di riforma fiscale presentato dal Consiglio di Stato. Dossier che ci occuperanno intensamente nei prossimi mesi.

NO AL PEDAGGIO AL SAN GOTTARDO

La mozione di un Consigliere nazionale urano che vuole un pedaggio per accedere al tunnel del San Gottardo sta facendo discutere molto sia in Ticino che oltre Gottardo. Al di là di sondaggi più o meno pilotati attraverso domande suggestive, sembra crescere anche in Ticino la fetta di popolazione favorevole al pedaggio.

Il motivo è semplice: si pensa di poter far pagare il transito agli stranieri, né più né meno. Abbiamo già attirato l’attenzione sul fatto che l’autore della mozione, il Consigliere nazionale Simon Stadler, menziona esenzioni per i cantoni limitrofi, ma il testo del suo atto parlamentare cita solo riduzioni per gli abitanti dei cantoni interessati e non di esenzioni. Quindi non saranno solo gli stranieri a dover pagare.

Tema, del resto, anche giuridicamente complesso e tutt’altro che scontato, visto che di principio non si possono fare discriminazioni. Lo ha riconosciuto esplicitamente anche il Consiglio federale in data 6 novembre 2019, rispondendo a una mozione del Consigliere agli Stati Marco Chiesa. Il Consiglio federale rileva come nei paesi limitrofi e in tutta Europa i pedaggi non distinguono fra veicoli “indigeni” e immatricolati all’estero, per cui anche noi dovremmo attenerci a questo principio. Il principio di non discriminazione impedisce di fatto un pedaggio per soli veicoli stranieri. Posizione chiara, della quale occorre tenere assolutamente conto per non cullarsi nelle illusioni che a pagare debbano essere solo gli altri. Una sana dose di realismo si rende, quindi, assolutamente indispensabile, pena clamorosi autogol per il Ticino.

Anche chi ipotizza una compensazione per i ticinesi attraverso la riduzione della tassa di circolazione farebbe bene a tenere conto di una decisione del 2019 della Corte di giustizia europea che ha bocciato un sistema di questo tipo previsto dalla Germania. I tedeschi avevano infatti previsto che i propri cittadini potessero dedurre il pedaggio almeno parzialmente dalla tassa di circolazione e che quindi di fatto il pedaggio lo pagassero quasi solo gli stranieri. Principio di discriminazione previsto dal diritto europeo violato e governo tedesco rimandato alla casella di partenza. Molto probabile che anche in Svizzera verrebbe presa una decisione analoga.

Economia, ma non solo…

Le pesanti conseguenze per l’economia ticinese sarebbero innegabili, non solo per il turismo, ma per tutti i settori economici indissolubilmente legati ai trasporti da e verso il resto della Svizzera. Una vera e propria filiera che, se turbata, porterebbe a ripercussioni negative su cittadine e cittadini che ne rappresentano l’ultimo anello. 

Ma, in tema di discriminazione, non può evidentemente non preoccupare il trattamento diverso del nostro Cantone rispetto agli altri. Essere l’unica regione della Svizzera accessibile quasi solo a pagamento (escludendo le molto parziali alternative estive di qualche mese o i passaggi per l’Italia) sarebbe un fatto gravissimo, non accettabile nell’ottica della coesione nazionale. È bene ricordare che l’articolo 1 della Costituzione federale prevede che la Confederazione Svizzera è costituita dal popolo svizzero e dai cantoni, tutti, senza eccezioni. Non ci sono cantoni di categorie A o B.

L’eventualità di accedere al Ticino solo pagando costituirebbe una discriminazione bella e buona, senza se né ma. La gestione del traffico e il finanziamento delle infrastrutture, quando possibile, può e deve fare capo ad altri strumenti, ben noti a tutti ma ovviamente più scomodi da realizzare politicamente.

Limitarsi a penalizzare l’asse storico del traffico nord-sud sarebbe atto miope e inutile, oltre che profondamente scorretto. Giova ricordare ancora una volta che non sono indicativi gli esempi di valichi con pedaggi come il Brennero, il Monte Bianco, il Fréjus o il Gran San Bernardo. Essi portano da una nazione all’altra e non collegano regioni di uno stesso paese.

Infine, la discriminante della densità del traffico a sfavore del San Gottardo è fondamentalmente errata. Certo, impressionano le code chilometriche che si accumulano in certi periodi. Ma in altre regioni elvetiche, in particolare attorno agli agglomerati, la densità del traffico è molto maggiore e comporta code quotidiane. Differenza sostanziale se si intende affrontare il tema seriamente.

SÌ ALLA RIFORMA FISCALE

Il progetto di riforma fiscale presentato recentemente dal Consiglio di Stato dovrebbe dal canto suo permettere di uscire dal tunnel fiscale di un sistema che presenta molte distorsioni che penalizzano intere categorie di contribuenti. Una modernizzazione si rende assolutamente necessaria e deve permetterci di rimanere al passo anche degli altri cantoni svizzeri (anche qui una forma di coesione nazionale…).

Lo scopo è di rendere il Ticino maggiormente attrattivo per chi vuole investire e risiedere nel nostro Cantone, generando in tal modo entrate fiscali e posti di lavoro a beneficio di tutti. 

Non solo i ricchi

Ovviamente e purtroppo la discussione politica rischia di focalizzarsi su presunti regali ai ricchi, quando in realtà la riforma proposta prevede altri elementi molto importanti per rendere il sistema più moderno. Basti pensare alle agevolazioni previste per la successione e le donazioni che tengono conto dell’evoluzione della società e delle nuove forme di relazioni personali.

Per gli imprenditori è particolarmente rilevante il fatto che sia previsto un importante alleggerimento dell’aliquota fiscale in caso di trasferimento dell’azienda. Significa mettere in campo uno strumento fondamentale per facilitare anche la successione aziendale, che, come nel resto della Svizzera, sta diventando sempre più difficile, perché non si trovano facilmente successori all’interno della propria famiglia, passaggio un tempo considerato come “naturale” e scontato. Oggi la tendenza va sempre più nella direzione di cessione dell’azienda a terzi. Quando anche questa opzione decade, si chiude per mancanza di persone disposte a riprendere l’attività, con conseguenze disastrose per il tessuto economico, in termini di perdita di posti di lavoro, competenze e anche gettito fiscale. Spesso la rinuncia a riprendere un’azienda è dettata proprio dall’eccessivo carico fiscale che richiede di assumere rischi eccessivi per avere la liquidità necessaria. Alleggerire gli oneri fiscali per questo genere di operazione potrà certamente facilitare la ripresa di aziende da parte di persone esterne alla cerchia familiare e garantire quindi la continuità stessa dell’impresa. Anche la riduzione dell’imposizione sui capitali previdenziali ritirati è importante perché permette di mantenere in Ticino persone altrimenti attratte da altri cantoni vicini con imposizioni più favorevoli. Misura che quindi può essere importante anche per imprenditori e dirigenti e per talune decisioni strategiche riguardanti le aziende. Infine, l’aumento delle deduzioni per le spese professionali va giustamente a premiare chi lavora.

L’esempio norvegese e Haaland nel canton URI

Si diceva della litania dei regali ai ricchi. In linea con una demonizzazione di chi ha molti mezzi che è ormai un leit-motif diventato stucchevole. Poco comprensibile nella nostra realtà, visto che possiamo contare su un sistema redistributivo molto efficace. Ma proprio per sostenere tale sistema sono necessari contribuenti forti, che devono rimanere o essere attratti sul nostro territorio in virtù di un sistema fiscale moderno e affidabile. Certo, ci sono anche altri fattori che determinano la permanenza sul nostro territorio di persone facoltose, come la sicurezza, la qualità di vita in generale, ecc. Ma è inutile negarlo, il fattore fiscale gioca un ruolo determinante e per questa categoria di contribuenti noi siamo ormai da tempo non concorrenziali.

La necessità di intervento è ancora più urgente se si considera l’introduzione dell’imposta minima globale per le aziende, accettata in votazione popolare lo scorso 18 giugno. Questo nuovo sistema porta a un cambio di paradigma, con un maggiore accento sulla concorrenza fiscale delle persone fisiche legate alle aziende, in particolare i dirigenti con redditi elevati. Questo rapporto sempre più stretto fra imposizione delle società e delle persone fisiche è un fatto dal quale non si può più prescindere. Un esempio illuminante è costituito dal cosiddetto “caso norvegese”. Esempio da manuale delle cose da evitare.

Il tema è venuto alla ribalta per l’inusuale afflusso di facoltosi norvegesi in Svizzera, compreso Alf-Inge Haaland, ex calciatore di buon livello ma soprattutto padre del fenomeno del Manchester City, Erling Haaland. Ma cosa è successo in Norvegia?

La Norvegia ha “leggermente” aumentato la sua tassazione sui grandi patrimoni, ma anche e soprattutto la tassazione delle azioni, ora imposte all’80% del loro valore contro il 55% precedente. Nel capitolo imposta sul reddito, la tassazione dei dividendi è aumentata dal 31,7% al 37,8%. Questo ha evidentemente toccato imprenditori il cui patrimonio è costituito principalmente dalla loro azienda. Gli esperti fiscali rilevano che il costo fiscale di possedere un’impresa in Norvegia è più che raddoppiato in due anni. Alcuni imprenditori devono addirittura chiedere prestiti o vendere parte dei loro beni per poter pagare le imposte. Potendo risparmiare il 90% delle imposte trasferendosi in Svizzera, la decisione non è troppo difficile da prendere. Perché, se possedere un’attività diventa un lusso e il fisco è confiscatorio, difficile resistere alla tentazione di emigrare verso altri lidi.

Solo per questi contribuenti più ricchi, la perdita per le autorità fiscali norvegesi potrebbe raggiungere l’equivalente di circa 85 milioni di franchi. L’intero fenomeno è però difficile da quantificare perché anche i contribuenti meno ricchi stanno partendo e la Svizzera non è l’unica destinazione scelta. Le autorità norvegesi stanno del resto cominciando a preoccuparsi seriamente per questa perdita, sia fiscale che sociale. Ma incredibilmente il governo non sembra voler fare marcia indietro. Al contrario, sta cercando di aumentare la pressione sui contribuenti che lasciano il paese, il che non fa che accelerare l’esodo. 

Quale lezione trarne

Come detto sopra, se la pressione fiscale va oltre il sopportabile, chi può trasferisce armi e bagagli. Non si tratta qui di prediligere una categoria di contribuenti rispetto ad altre. Tutte hanno la loro dignità e meritano l’assoluto rispetto, anche chi versa alle casse dello Stato somme più piccole. È però innegabile che figure come quelle dei norvegesi sbarcati in Svizzera portano molto e non pesano sulla comunità, anzi. Vanno considerati come importante fattore nell’ottica della politica fiscale e della politica di ridistribuzione delle risorse. Se i soldi non vengono prima generati, è difficile poi ridistribuire. Sembra una banalità, ma purtroppo nella discussione politica spesso non lo è.La bulimia fiscale è penalizzante e bisogna resistere a tentazioni alla “Robin Hood”. In uno Stato di diritto come il nostro l’equilibrio è assicurato, senza necessità di rapine. Occorre superare la solita immagine caricaturale del ricco contribuente seduto egoisticamente su un mucchio d’oro mentre la comunità è costretta a privazioni. La ricchezza, anche se percepita in modo diverso, può diventare un valore per tutti.

L’immobilità dei ricchi è un mito

Nei dibattiti sulle imposte gli scettici dicono spesso che i ricchi residenti hanno molte ragioni per rimanere dove sono e che il rischio di vederli partire è basso. Con l’esempio norvegese è chiaramente dimostrato che esiste davvero una “soglia di resistenza” oltre la quale coloro che possono partire, scelgono di farlo, e in fretta. Questa soglia è impossibile da determinare con precisione, il che dovrebbe incoraggiare ancora di più la cautela in materia di politica fiscale. L’equilibrio è essenziale, l’uso della mannaia crea solo danni.

In vigore il nuovo regolamento UE sulle macchine

Pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il 29 giugno scorso, il nuovo regolamento europeo sulle macchine è ora entrato in vigore. Produttori, importatori e distributori di macchine avranno tempo fino a metà gennaio 2027 per conformarsi ai nuovi requisiti.

Nello specifico, il regolamento 2023/1230/UE relativo alle macchine (PDF) abrogherà la Direttiva macchine 2006/42/CE con effetto il 14 gennaio 2027 e sarà direttamente applicabile negli Stati membri: pertanto, a partire da tale data potranno essere immessi sul mercato unicamente i prodotti che soddisfano i requisiti della nuova regolamentazione.

Il regolamento 2023/1230/UE stabilisce i requisiti di sicurezza e di tutela della salute per la progettazione e la costruzione di macchine, prodotti correlati e quasi-macchine al fine di consentire la loro messa a disposizione sul mercato o la loro messa in servizio, garantendo al contempo un livello elevato di tutela della salute e di sicurezza delle persone, in particolare dei consumatori e degli utilizzatori professionali, e, ove opportuno, degli animali domestici nonché di tutela dei beni e, se del caso, dell’ambiente.

Tra le novità introdotte dal regolamento rispetto alla direttiva macchine si possono citare:

  • l’introduzione delle figure dell’importatore e del distributore, in aggiunta a quella del fabbricante, e la precisazione dei loro obblighi;
  • l’applicabilità del regolamento non solo alle macchine nuove, ma anche ai prodotti che hanno subito “modifiche sostanziali (effettuate con mezzi fisici o digitali dopo l’immissione sul mercato o la messa in servizio, non previste o pianificate dal fabbricante, che influenzano la sicurezza creando pericoli o aumentando il rischio esistente così da richiedere ripari, misure o dispositivi di protezione aggiuntivi), alle componenti digitali (compresi i software), ai sistemi che utilizzano tecnologie di intelligenza artificiale;
  • il software che svolge funzioni di sicurezza è inteso come componente di sicurezza e come tale, se immesso sul mercato separatamente, deve sottostare alla marcatura CE; se utilizzato per la cybersecurity (incl. protezione contro la corruzione) deve essere munito di adeguata certificazione;
  • la dichiarazione CE di conformità diventa dichiarazione di conformità UE e deve riunire/menzionare tutti gli atti giuridici dell’UE applicabili al prodotto;
  • l’elenco dei prodotti ad alto rischio di cui all’allegato IV della direttiva 2006/42/CE è rimasto invariato, se non per l’aggiunta dei componenti di sicurezza con comportamento autoevolutivo e le macchine che incorporano sistemi con comportamento autoevolutivo, e figura ora nell’allegato I;
  • le istruzioni e altra documentazione pertinente possono essere forniti in formato digitale, in tal caso sarà necessario indicare sulla macchina o sul prodotto correlato (o eventualmente sull’imballaggio o su un documento di accompagnamento) come accedervi e presentarle in un formato che possa essere scaricato e stampato o salvato su un dispositivo elettronico, così come metterle a disposizione online durante il ciclo di vita previsto della macchina e per almeno 10 anni dall’immissione sul mercato della stessa o, se richiesto al momento dell’acquisto, fornirle gratuitamente in formato cartaceo entro un mese.

I certificati di esame CE del tipo rilasciati conformemente alla direttiva 2006/42/CE rimangono validi fino alla loro scadenza.

Nel caso di macchine o prodotti provenienti da Stati terzi, l’importatore è tenuto a garantire la loro conformità ai requisiti del regolamento macchine. Nella fattispecie, deve assicurarsi che siano state eseguite le procedure di valutazione della conformità, che la marcatura CE sia apposta e che la documentazione tecnica sia predisposta. Deve altresì tenere copia della dichiarazione di conformità UE a disposizione delle autorità di vigilanza del mercato per almeno 10 anni. Le sue coordinate (denominazione commerciale, marchi, indirizzo postale, sito internet, indirizzo di posta elettronica…) devono figurare sulla macchina o sul prodotto oppure sull’imballaggio o in un documento di accompagnamento.

Il vostro contatto in Cc-Ti per ulteriori ragguagli:
Monica Zurfluh, Responsabile Commercio internazionale, T +41 91 911 51 35,
zurfluh@cc-ti.ch

Entrata in vigore del nuovo Accordo Svizzera-Italia sulla fiscalità dei frontalieri

INFORMATIVA

In questi giorni è avvenuta la formale notifica da Roma a Berna necessaria all’entrata in vigore del nuovo Accordo firmato dalla Svizzera con l’Italia sulla fiscalità dei frontalieri.

Di conseguenza, come comunicato dalle autorità federali, il nuovo Accordo è entrato in vigore il 17 luglio 2023.

Ciò significa che a partire dal 18 luglio 2023 ogni persona che richiedesse il permesso G dal punto di vista fiscale verrà imposta in base al nuovo regime, che verrà applicato dal 1° gennaio 2024.
 
Qui trovate ulteriori informazioni.



Un sì per il clima: quali le conseguenze?

Lo scorso 18 giugno 2023 il popolo svizzero ha detto sì alla nuova legge sul clima e sull’innovazione. È stato grosso modo un quarto degli aventi diritto di voto a pronunciarsi a favore della nuova legge; infatti, come spesso succede, solo il 40% della popolazione si è recato alle urne e di questo il 60% ha detto sì.

La democrazia svizzera funziona così, quindi la maggioranza non votante della popolazione deve accettare quanto deciso da una minoranza di votanti.

Come ben sappiamo la nuova legge sul clima e l’innovazione, controprogetto moderato all’iniziativa sui ghiacciai, non pone di principio divieti o nuove tasse, ma incentiva iniziative per una transizione ecologica ad emissione zero di CO2 entro il 2050. Per cercare di raggiungere questo ambizioso traguardo è indispensabile che tutti i settori che concorrono alle emissioni di gas a effetto serra facciano la loro parte: i trasporti motorizzati in primo luogo.

Nel corso degli ultimi decenni, grazie alle varie norme di legge introdotte a livello mondiale e allo sviluppo tecnologico dei motori a combustione interna, le emissioni di gas inquinanti prodotte dal traffico stradale, aereo e marittimo (quest’ultimo in maniera meno marcata rispetto agli altri due) sono drasticamente diminuite. Purtroppo, questa diminuzione è stata in parte attenuata a causa dell’aumento del traffico.

Tornando ora agli obiettivi imposti dalla nuova legge sul clima cosa dobbiamo aspettarci per quanto riguarda la mobilità individuale e per il trasporto merci su strada? La domanda è lecita e la risposta, tenendo conto delle tecnologie attualmente disponibili è la seguente: la mobilità elettrica.

Sia chiaro, la mobilità elettrica non è l’unica tecnologia che permetterà raggiungere l’obiettivo, o almeno di avvicinarsi, di zero emissioni di CO2, ma è quella che sarà dominante nella mobilità individuale privata. Altre tecnologie sono in fase di sviluppo e comprendono l’idrogeno, i carburanti sintetici e, almeno in parte, i bio-combustibili. Produrre oggi e nei prossimi anni questi carburanti alternativi richiede investimenti importanti e strutture adeguate che al momento non sono ancora disponibili se non a livello sperimentale. Nel futuro a breve e medio termine, visto quindi la scarsa disponibilità, questi carburanti verranno utilizzati quasi esclusivamente dai trasporti aerei o dal trasporto merci su strada a lunga percorrenza.

Nei prossimi anni gli automobilisti svizzeri, ma anche quelli europei visto che l’Europa ha decretato lo stop alla commercializzazione di veicoli a benzina e diesel entro il 2035, dovranno accettare di spostarsi con automobili a propulsione elettrica e questo malgrado un’indagine appena svolta abbia evidenziato come il 70% degli intervistati non abbia intenzione di acquistare un’auto elettrica. Questo dato sembrerebbe collimare con il risultato della votazione del 18 giugno.

La tecnologia di propulsione elettrica è senza ombra di dubbio un’ottima soluzione per ridurre le emissioni di CO2 a livello locale visto che un motore elettrico non ne produce affatto e inoltre offre anche molti vantaggi a livello di consumo energetico essendo di principio più efficiente. Tuttavia, una delle principali sfide che dovrà essere affrontata sarà la disponibilità di energia elettrica per la ricarica delle batterie. Già oggi assistiamo ad una penuria di elettricità che, in alcune occasioni, ha addirittura minacciato di tradursi in blackout parziali o totali con conseguenze catastrofiche per tutti. La risposta è probabilmente nella produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili come fotovoltaico, eolico e idroelettrico. Questa sfida spetta al mondo politico.

Ammettendo di trovare le soluzioni adeguate all’approvvigionamento sufficiente di energia elettrica, rimane ancora da risolvere il problema della distribuzione della rete di colonnine di ricarica indispensabili per alimentare l’intero parco veicoli in circolazione. La sfida non è meno titanica della precedente. Anzitutto la rete di distribuzione dell’elettricità potrebbe non sopportare le importanti potenze di carica richieste per le ricariche rapide delle batterie e nemmeno per assorbire i picchi di consumo che si genereranno quando un numero sempre maggiore di automobilisti si collegheranno alla colonnina per fare il pieno della propria auto. Sicuramente andranno trovate delle soluzioni.

L’ultimo anello del sistema di ricarica delle batterie per automobili è la colonnina di ricarica domestica o pubblica. Ancora una volta, se vogliamo raggiungere gli obiettivi imposti dalla legge sul clima, non abbiamo tempo da perdere. Oggi il numero di stazioni di ricarica è ancora abbondantemente al disotto delle necessità e le difficoltà di installazione, in particolare nei condomini, sono ancora importanti. La Confederazione, in collaborazione con diversi enti del settore, ha redatto una roadmap che prevede l’installazione di due milioni di colonnine di ricarica private entro il 2035. Anche se questo obiettivo sarà raggiunto, rimarrà comunque oltre un milione di automobilisti che non potrà ricaricare la propria auto elettrica a domicilio. Per questi ultimi sarà indispensabile affidarsi alle stazioni di ricarica pubbliche il cui sviluppo dipenderà anche dall’imprenditoria privata: se questo diventerà un business redditizio gli investimenti necessari non mancheranno.

Le incognite della transizione ecologica sono molte e le soluzioni per nulla scontate. Ognuno di noi dovrà fare la sua parte adattando a volte anche il proprio modo di affrontare la vita quotidiana.


Testo a cura di Marco Doninelli, Responsabile mobilità Cc-Ti

Il diritto di accesso, un elemento chiave della protezione dei dati

La nuova legge sulla protezione dei dati (nLPD) oltre ad avere introdotto tutta una serie di obblighi nei confronti del titolare del trattamento volti a migliorare la trasparenza dei trattamenti e ad aumentare il senso di responsabilizzazione ha, allo stesso tempo, rinforzato l’autodeterminazione delle persone interessate e più precisamente l’autodeterminazione informativa permettendo al singolo di controllare maggiormente i dati che lo riguardano e se necessario chiedere l’adozione di provvedimenti in caso di violazione.

In altre parole, le persone interessate hanno il diritto di essere informate su ogni attività di raccolta dei loro dati personali ma soprattutto il diritto di accedere a questi dati.

Il diritto di accesso ai dati personali che le riguardano è l’elemento chiave per la protezione dei dati in quanto permette di esercitare efficacemente gli altri diritti sanciti dalla legge sulla protezione dei dati, sia nella versione attuale che in quella rivista, ed in particolare:

  • il diritto di sapere a chi rivolgersi (art. 10 cpv3 lett. d) nLPD relativo al Consulente per la protezione dei dati e art. 14 cpv.3 nLPD in merito al Rappresentante in Svizzera), il diritto di sapere se una decisione presa si è basata esclusivamente su un trattamento automatizzato (art. 21 cpv.1 );
  • il diritto di opporsi al trattamento (opt out ). Anche se non è un diritto previsto espressamente dalle normative (aLPD e nLPD), quest’ultimo deriva dell’autodeterminazione informativa;
  • il diritto di rettificare i dati inesatti (art. 5 cpv. 2 aLPD, art. 32 cpv. 1 nLPD);
  • il diritto di cancellazione (art. 12 cpv. 2 aLPD, art. 32 cpv. 2 lett. c) nLPD);
  • il diritto di non essere sottoposto ad un processo decisionale automatizzato, diritto introdotto dalla nLPD. (art. 21 cpv. 2 nLPD);
  • il diritto di farsi consegnare dati o di esigerne la trasmissione a terzi, il cosiddetto diritto di portabilità, introdotto dalla nLPD (art. 28 nLPD).

Tutti questi diritti non sono assoluti, il legislatore per ogni diritto concesso ha previsto, sia nell’attuale versione della legge sulla protezione dei dati che in quella nuova, casi di restrizioni.

Il diritto di accesso tra estensione e limitazione

Il diritto di accesso è in primis un diritto che legittima la persona interessata a sapere se i suoi dati sono oggetto di trattamento (art. 8 cpv. 1 aLPD – art. 25 cpv.1 nLPD), come viene eseguito il trattamento, e in un secondo tempo, farsi consegnare una copia delle informazioni che il titolare ha su di lei.

Questo diritto è un diritto strettamente personale al quale non si può rinunciare in anticipo (art. 8 cpv. 6 aLPD – art.25 cpv.5 nLPD). Pertanto, qualsiasi persona capace di discernimento può e deve esercitare lei stessa questo diritto senza necessità di richiedere il consenso del rappresentante legale (ad esempio i minori).

In entrambe le versioni, aLPD e nLPD, le informazioni dovranno essere fornite per iscritto ed in linea di principio gratuitamente. È previsto un termine di 30 giorni per la trasmissione delle informazioni, che può essere prorogato se la raccolta delle informazioni e i relativi dati richiedono più tempo o possono eventualmente essere forniti in modo scaglionato.

L’elenco delle informazioni da fornire in caso di richiesta di accesso delle persone interessate è previsto dalle due normative, sia quella attuale (art.8 cpv. 2 lett.a) e b) aLPD) che quella rivista (art. 25 cpv 2 lett. a) a g) nLPD). Con il nuovo il testo, l’elenco delle informazioni minime da comunicare è stato esteso in modo considerevole e corrisponde in grandi linee a quello previsto dal diritto europeo (art. 15 cpv. del GDPR). Il diritto di accesso, pur rappresentando l’elemento chiave per la protezione dei dati, così come per gli altri diritti, non è assoluto.
Delle restrizioni sono state previste dal legislatore sia nell’aLPD che nella nLPD (rispettivamente art. 9 aLPD e art. 26 nLPD), e sono state estese in particolar modo nel testo della nLPD per limitarne l’utilizzo abusivo riscontrato negli anni [il titolare del trattamento può rifiutare, limitare o differire l’informazione se la domanda d’accesso è manifestamente infondata, segnatamente se persegue uno scopo contrario alla protezione dei dati, o se è querelosa” (art. 26 cpv.1 lett.c) nLPD)].

In effetti, nella sua giurisprudenza, il Tribunale federale (TF) ha sottolineato che una richiesta di accesso (art. 8 aLPD) dovrebbe essere considerata abusiva quando è intesa esclusivamente a raccogliere prove in vista di un’azione civile (cf. due decisioni del TF: ATF 138111 425 e ATF 141 III 119 – il testo della sentenza ATF 138 III 425 può essere consultato al seguente link: https://bit.ly/3qU3Xwl).

In queste due sentenze il TF aveva negato il carattere abusivo della richiesta di accesso. È solo con la sentenza 4A_277/2020 del 18.11.2020 (il testo della sentenza può essere consultato al seguente link: https://bit.ly/43XPez6) che per la prima volta il TF ha ritenuto il carattere abusivo di una particolare richiesta legata ad un contenzioso commerciale facendo riferimento anche al testo della nLPD, ed in particolare al fatto che alla persona interessata debbano essere fornite le informazioni necessarie affinché possa far valere i suoi diritti secondo la LPD e sia garantito un trattamento trasparente dei dati (art. 25 cpv. 2 nLPD).

Anche a livello europeo l’esercizio del diritto di accesso è stato oggetto di discussione. A tale riguardo viene citata la recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea (CGUE) del 12 gennaio 2023 (il testo della sentenza della CGUE può essere consultato al seguenti link: https://bit.ly/3pos2Ld), la quale ha ritenuto che il diritto di accesso permette alle persone interessate di richiedere al titolare del trattamento le informazioni riguardanti l’identità dei destinatari ai quali i dati sono o sono stati comunicati.

Con questa sentenza la CGUE ricorda che il diritto di accesso è un diritto necessario per permettere alle persone interessate di far valere gli altri suoi diritti di cui alla LPD in quanto permette di verificare non solo che i dati personali che la riguardano sono corretti ma anche che sono trattati in modo lecito. Anche se questa sentenza non è vincolante per la Svizzera, ad eccezione dell’applicazione extraterritoriale del GDPR (teoria degli effetti), l’Incaricato federale della protezione dei dati e della trasparenza potrebbe adottare la stessa interpretazione in quanto l’obiettivo della nLPD è volto a migliorare la trasparenza del trattamento dei dati personali e l’autodeterminazione delle persone interessate. A tale riguardo sarà interessante capire se la sanzione penale prevista all’art. 60 cpv.1 lett.a) nLPD verrà applicata al titolare del trattamento che non fornisce, su richiesta della persona interessata, l’identità dei destinatari dei dati in quanto potrà essere considerata come fornitura intenzionale d’informazione incompleta.

Conclusione

Per quanto riguarda i diritti delle persone interessate, le disposizioni previste, sia dalla normativa attuale che da quella rivista, sono equiparabili. L’elemento determinante del testo della nLPD è l’autodeterminazione delle persone interessate ed in particolare l’autodeterminazione informativa.

Ogni attività di trattamento deve essere preceduta da un’informativa che deve contenere un minimo di informazioni predefinite dalla legge e alla quale non si può derogare. Chi tratta i dati personali lo deve fare in modo trasparente e deve essere in grado, su richiesta delle persone interessate, di fornirle tutte le informazioni necessarie a controllare che il trattamento venga eseguito in conformità ai principi di trattamento sanciti dalla legge sulla protezione dei dati. In caso di violazione la persona interessata potrà richiedere l’adozione dei provvedimenti previsti dalla legge sulla protezione dei dati che prevedono sia sanzioni penali (art. 34 cpv. 1 lett. a) e b) aLPD – art. 60 cpv. 1 lett. a) e b) nLPD) e amministrative (art. 51 nLPD) sia la possibilità di ricorrere alle azioni civili previste dagli art. 28 ss CC (art.15 aLPD – art. 32 cpv. 2 nLPD).


Fonte: articolo a cura di Isabel Costa, Vicedirettore di Fidinam & Partners, pubblicato su Fidinam News – giugno 2023.
LINK UTILI:
https://www.fidinam.com/it/blog/svizzera-diritto-accesso-elemento-chiave-protezione-dati

Per ottenere l’indennità per licenziamento abusivo il dipendente deve provare di aver fatto opposizione scritta alla disdetta del suo contratto

Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.

Il Codice delle obbligazioni prevede che in determinate situazioni la disdetta del contratto di lavoro può essere considerata abusiva. Va subito detto che l’abusività di una disdetta non ne determina la nullità o l’annullabilità. In altre parole, anche in presenza di una disdetta abusiva il licenziamento è valido e il contratto prende fine, allo scadere del termine di preavviso. Ma il dipendente, se il licenziamento è abusivo, può far valere una pretesa di indennizzo nei confronti del datore di lavoro. L’indennità è stabilita dal giudice, tenuto conto di tutte le circostanze, ma non può superare l’equivalente di sei mesi di salario del lavoratore. La legge ricorda poi che chi intende chiedere una tale indennità deve presentare un’opposizione scritta al datore di lavoro entro il termine di disdetta.

La giurisprudenza ha più volte sottolineato che non vanno poste esigenze troppo severe alla formulazione di questa opposizione. Basta che chi si oppone metta chiaramente per iscritto al datore di lavoro di non essere d’accordo con il licenziamento.

Di recente il Tribunale federale ha pubblicato una sua sentenza in cui ha messo in evidenza che un dipendente che in una procedura giudiziaria fa valere nei confronti del datore di lavoro una pretesa di indennizzo per licenziamento abusivo, deve provare l’esistenza di tutti i presupposti fattuali alla base della sua richiesta. Quindi, il dipendente che vuole ottenere questa indennità deve anche dimostrare in tribunale di aver fatto opposizione scritta al datore di lavoro entro il termine di disdetta. E ciò vale anche qualora il datore di lavoro non avesse sollevato contestazioni in merito all’opposizione del suo dipendente. In conclusione, tenuto conto che il dipendente in una procedura giudiziaria deve provare di avere agito come sopra indicato, nel caso in cui non riuscisse a portare tale prova perde il diritto all’indennità. Una simile omissione del dipendente viene rilevata d’ufficio dai giudici, senza che sia necessaria una contestazione da parte del datore di lavoro. È quanto successo nel caso concretamente giudicato dal Tribunale federale il quale ha pertanto negato il diritto all’indennizzo del lavoratore (4A_412/2022).

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