Nel documento, che deve essere firmato dal cittadino e dall’operatore di polizia, chi vuole spostarsi deve indicare che il viaggio è determinato da una di queste quattro motivazioni: “Comprovate esigenze lavorative; situazioni di necessità; motivi di salute; rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza”. Se i riscontri delle forze dell’ordine saranno negativi scatterà la denuncia che prevede l’arresto fino a tre mesi e una denuncia per reati dolosi contro la salute pubblica.
Consigli di viaggio e rappresentanze – entrata in Svizzera dall’estero
Sarebbe esistito il genio innovatore di Leonardo Da Vinci senza il Rinascimento, periodo in cui le arti, la filosofia e l’economia, sono rifiorite dopo la profonda crisi del XIV secolo? Sarebbe riuscito Albert Einstein ad elaborare la teoria della relatività senza la crisi del Positivismo di fine ‘800? Che cosa avrebbero prodotto i vari Bezos, Gates, Jobs, Larry Page, Sergey Brin senza la Silicon Valley?
Come in una sliding door, ripensiamo alle stesse persone tolte dal contesto di riferimento, eremiti in montagna o un’isola deserta, senza le influenze del loro tempo: sicuramente non avrebbero fatto la storia e l’innovazione avrebbe preso strade diverse e avrebbe avuto protagonisti differenti. Così come non ci sarà mai innovazione senza un ambiente, un periodo storico e culturale che ne favorisca la nascita, allo stesso modo sarà difficile che manager, collaboratori o team portino innovazione senza un’azienda che crei loro il contesto adeguato.
Come può un’azienda creare un contesto che favorisca l’innovazione?
Innanzitutto, è necessario chiarire che per innovazione s’intende l’introduzione, per la prima volta nel sistema economico, di nuovi prodotti, servizi, processi, modelli di business che portino un concreto beneficio a chi ne usufruisce. Non necessariamente la loro invenzione. Steve Jobs, non inventò la tecnologia touch screen (già esistente dagli anni ‘70) ma l’applicò per risolvere un problema specifico: come eliminare i numerosi e piccoli tasti in uso nei cellulari della concorrenza (ad esempio il Blackberry) e rendere un telefonino meno complesso da utilizzare. La tecnologia touch era solo una delle possibili soluzioni alternative, non l’unica. Alcuni concorrenti avevano scartato la tecnologia scelta dalla Apple optando per soluzioni differenti fino a spingersi ad affermare: “chi mai comprerà un telefono senza tastierino?” Se l’innovazione attiene all’implementazione, esiste un momento precedente in cui le soluzioni vengono generate, pensate, ideate, un momento in cui è necessario trovare più soluzioni possibili, anche quelle che possono essere ritenute contrarie al buon senso. Lo scopo della creatività è fornire più soluzioni possibili, quello dell’innovazione implementare quella che genererà verosimilmente un beneficio per gli utilizzatori. Se le idee non vengono create o sono di scarsa qualità non avremo risultati dal punto di vista dell’innovazione. Quindi, per avere innovazione, è necessario formare un contesto organizzativo che affermi la cultura della creatività basata sull’apertura mentale, sulla propensione a correre il rischio di sviluppare idee a prima vista irrealizzabili o folli, sull’accettazione e valorizzazione dell’errore e sulla sospensione momentanea del giudizio per evitare che le idee muoiano sul nascere.
Che ruolo hanno la gamification e i “serious games” nella realizzazione di un contesto creativo?
Negli ultimi anni, soprattutto con lo sviluppo delle applicazioni mobile, si è assistito alla massiva introduzione nelle aziende di strumenti di gamification, intendendo con questa definizione le tecniche volte alla creazione di situazioni tipiche dei giochi (l’assegnazione di punti, il procedere per livelli, l’utilizzo di feedback) in contesti slegati dall’esperienza ludica (per esempio in procedure lavorative).
I serious game hanno una struttura ed uno scopo differente. Lo scopo di creare situazioni e scenari in cui i partecipanti possono confrontarsi e interagire per imparare o raggiungere obiettivi comuni, come acquisire abilità e competenze, raggiungere una migliore comprensione di un certo fenomeno o problema e creare le relative e possibili soluzioni. Entrambi gli strumenti, soprattutto se integrati, possono contribuire a creare contesti dove, grazie ad un corretto bilanciamento fra intrattenimento, simulazione e apprendimento, le persone, i team e le organizzazioni possano essere motivate a creare soluzioni, nuove idee o progetti.
Come possono la gamification ed in particolare i “serious games” creare un clima utile ai processi creativi?
Per rispondere a questa domanda si può far riferimento al serious game LEGO® Serious Play®. Negli anni ‘90 Johan Roos e Bart Victor, allora docenti presso l’IMD Business School di Losanna, una tra le più importanti business school del mondo, lavorarono sul concetto del gioco seriocon lo scopo di abilitare i manager a sviluppare in maniera alternativa le loro attività e a praticare la creatività e l’innovazione attraverso l’immaginazione. Nacque una metodologia dove, grazie ai mattoncini Lego, era possibile realizzare un’atmosfera creativa applicata ai problemi concreti delle aziende, dove tutti i partecipanti potevano contribuire al processo di problem solving portando le proprie idee e soluzioni.
LEGO® Serious Play®,così come altre attività di gioco serio, portano concreti benefici. Un contesto rilassato in cui si svolgono le attività: tutti i partecipanti esprimono la propria immaginazione in un clima sereno e collaborativo privo di giudizio e censure; un ambiente quindi di divertimento con delle ripercussioni immediate sul cervello che viene pervaso da grandi quantità di endorfine e di dopamina che aumentano la creatività e la concentrazione e, in generale, le prestazioni.
Si viene a creare quello che lo psicologo Mihály Csíkszentmihályi, nella sua teoria del flusso, nomina “stato di flow” ovvero una condizione caratterizzata da un totale coinvolgimento dell’individuo: focalizzazione sull’obiettivo, motivazione intrinseca, positività e gratificazione nello svolgimento di un particolare compito. Stato di flow, divertimento e apprendimento diventano così gli elementi costituenti del contesto creativo all’interno del quale si sviluppano liberamente le idee e dove vengono poste le basi per l’innovazione, così come il Rinascimento, la Silicon Valley e il Relativismo hanno fatto per le innovazioni che sono passate alla storia.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2021/09/ART21-gamification.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-09-24 17:18:482021-09-24 17:18:49Gamification e Serious Game: l’innovazione è una questione di contesto
Da alcuni anni, i dati statistici mostrano che il tasso di partecipazione alla formazione continua in Svizzera è buono, soprattutto se si considerano le persone che già possiedono solide qualifiche grazie alla formazione di base. Dei margini di miglioramento si evidenziano per quanto riguarda le competenze di base degli adulti e la formazione professionale continua. Per questo motivo il Consiglio federale ha deciso di adottare delle misure per migliorare le condizioni quadro nel campo della formazione degli adulti in modo da incoraggiare e facilitare la partecipazione alla formazione continua, con particolare attenzione alle PMI e ai loro dipendenti.
Oltre a perfezionare le condizioni quadro per la formazione professionale e continua, la Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione (SEFRI) è stata incaricata di promuovere il programma “Semplicemente meglio! …al lavoro”, che sostiene finanziariamente le aziende che vogliono migliorare le competenze di base dei propri dipendenti.
Anche le associazioni professionali interessate saranno maggiormente coinvolte grazie al programma pilota “Coaching formazione continua per le PMI”, che vuole sviluppare un’offerta di consulenza per rilevare e definire le esigenze di formazione continua di piccole e medie imprese (PMI).
Con l’inserimento della promozione delle competenze di base nella legge federale sulla formazione continua (LFCo) e con le misure annunciate la Confederazione ha dato degli impulsi che dovrebbero stimolare le aziende a promuovere l’apprendimento dei propri collaboratori e parallelamente aumentare la partecipazione alla formazione continua di quei pubblici che attualmente ancora faticano ad avere accesso ai corsi.
In questo particolare periodo storico – che ha visto l’accelerazione di processi, come ad esempio la digitalizzazione – la Conferenza della Svizzera italiana per la formazione continua degli adulti CFC, accoglie con favore la decisione del Consiglio federale e ritiene di fondamentale importanza rafforzare ulteriormente la politica della formazione continua adottando adeguate misure di sostegno e riconoscendo la necessità di maggior azione, in particolare nella formazione continua professionale. Per questo motivo, in collaborazione con i suoi soci – fra cui la Cc-Ti, che siede anche nel Comitato – e i suoi partner, la CFC mira a mettere in rete e rafforzare la collaborazione tra chi offre formazione e le aziende del territorio che intendono implementare misure di formazione specifiche come quelle sostenute dal programma “Semplicemente meglio! …al lavoro”.
Le aziende interessate al programma che desiderano avere maggiori informazioni possono rivolgersi al segretariato CFC oppure consultare il sito www.meglio-adesso.ch/aziende dove, nella sezione “testimonianze”, si possono visionare dei filmati che presentano le esperienze di aziende che hanno beneficiato del programma, permettendo ai propri collaboratori di acquisire le competenze necessarie a sviluppare la loro professionalità sul posto di lavoro. Insomma, siamo di fronte ad un’interessante possibilità per continuare in modo coerente e strutturato quel difficile percorso di costruzione di una chiara identità aziendale formativa. Un’occasione unica e forse irripetibile di cui speriamo anche al Sud delle Alpi si riesca ad approfittare.
Il Coronavirus con il quale siamo purtroppo confrontati da oltre un anno e mezzo non pone solo difficili questioni di gestione della sanità, degli aspetti sociali ed economici, ma presenta inevitabilmente anche molti aspetti di rilevanza giuridica. Come ampiamente previsto e prevedibile, la vaccinazione e un eventuale obbligo di sottoporvisi non fanno eccezione.
Anzi, è un tema molto delicato che ci accompagnerà nei prossimi mesi. Alcuni paesi, Francia in testa, proprio in questi giorni hanno iniziato a introdurre un obbligo di vaccinazione, inizialmente per il personale sanitario, ma vi è da credere che la discussione si estenderà anche ad altri ambiti, visto che comunque è già stata ventilata l’ipotesi che chi non è vaccinato nei prossimi mesi avrà una forte limitazione delle sue libertà, per cui si sfiora abilmente di fatto l’obbligatorietà generale per tutti. Qui non si tratta di dare giudizi, ma semplicemente di chiarire quali sono le basi legali oggi applicabili a questo tema.
1. Mondo del lavoro e vaccinazione
In generale, va rilevato che la legge federale del 28 settembre 2012 sulle epidemie, LEp, RS 818.101), e più precisamente l’articolo 22, prevede quanto segue:
“Se esiste un pericolo considerevole, i Cantoni possono dichiarare obbligatorie le vaccinazioni di gruppi di popolazione a rischio, di persone particolarmente esposte e di persone che esercitano determinate attività.”
Come si traduce questo nel contesto del mondo del lavoro, in assenza (finora) di un obbligo imposto dallo Stato?
La vaccinazione è considerata un modo efficace per controllare il Coronavirus e nel rapporto di lavoro evidentemente può assumere una certa rilevanza anche per evitare le assenze per malattia o per quarantena, la diffusione del virus, in un contesto di protezione per dipendenti e clienti. Si pone quindi in primo luogo la questione di sapere se vi sono le basi legali sufficienti ad oggi per il datore di lavoro di ordinare una vaccinazione obbligatoria e chiedere ai dipendenti se sono stati vaccinati.
Partiamo dal principio che nel quadro dell’attività lavorativa il datore di lavoro ha il diritto di impartire istruzioni, come previsto dall’art. 321d del Codice delle obbligazioni, per quanto riguarda l’esecuzione del lavoro.
Questa base legale è sufficiente per prevedere un obbligo generalizzato di vaccinazione per i dipendenti? Il fatto di poter disporre unilateralmente delle istruzioni sull’esecuzione del lavoro e il comportamento in azienda sembra aprire uno spiraglio in questo senso. Tuttavia, questo diritto va esercitato in modo ponderato, tenendo conto degli interessi dei dipendenti e deve avere un rapporto fattuale o funzionale con l’attività professionale svolta.
2. Vaccinazione obbligatoria solo in casi eccezionali?
Non esiste un potere generale per il datore di lavoro di ordinare la vaccinazione obbligatoria dei dipendenti, anche sulla base del diritto di dare istruzioni. Occorre valutare caso per caso. Maggiore è l’interesse operativo del datore di lavoro riguardo alla vaccinazione, tanto più grande sarà la probabilità che il diritto alla vita privata del dipendente e quindi la sua libertà di scelta sul vaccino possano essere limitati. L’obbligo di vaccinare i (singoli) dipendenti dell’azienda deve quindi essere reso necessario dall’attività professionale e solo se non vi è altra misura possibile per impedirlo.
È possibile ritenere che queste misure alternative siano costituite dagli elementi essenziali del concetto di protezione, come il regolare lavaggio delle mani con sapone, la regolare disinfezione delle mani e delle attrezzature di lavoro e l’uso di dispositivi di protezione (maschere, guanti, protezione degli occhi, tute protettive, ecc.).
3. Obbligo di vaccinazione e piani di protezione
Una vaccinazione obbligatoria ordinata dal datore di lavoro può essere attuata quando è necessaria per l’applicazione di un concetto adeguato e completo di protezione. Inoltre, la vaccinazione obbligatoria può essere giustificata se i dipendenti hanno contatti regolari o sono fisicamente vicini a persone che appartengono a un gruppo a rischio (ad esempio persone che soffrono di alcune malattie cardiache, malattie polmonari e respiratorie croniche, cancro, malattie renali, malattie del fegato o diabete). Nelle professioni sanitarie e di assistenza, la vaccinazione obbligatoria è ipotizzabile per le persone che hanno un contatto diretto con queste persone vulnerabili. Benché, nel contesto sanitario, la strategia di vaccinazione punti piuttosto a vaccinare queste persone particolarmente vulnerabili il più presto possibile, per cui la vaccinazione obbligatoria del personale curante dovrebbe essere l’eccezione piuttosto che la regola.
4. Obbligo di vaccinazione e viaggi all’estero
La questione dell’obbligo di vaccinazione assume una valenza particolare per i dipendenti che viaggiano all’estero se il viaggio è possibile solo con la vaccinazione, perché questo diventa una parte essenziale dell’adempimento del lavoro impartito. Obblighi presenti anche nel rapporto, ad esempio, con le compagnie aeree, che richiedono la prova della vaccinazione come parte dei termini contrattuali del viaggio.
Anche qui va valutato attentamente se i viaggi di lavoro sono sempre necessari, fatto in parte relativizzato negli ultimi mesi. In questo contesto, una vaccinazione obbligatoria per i dipendenti che appartengono a gruppi a rischio è difficilmente applicabile, visto che probabilmente non tutti gli spostamenti sono indispensabili. Inoltre, il datore di lavoro deve prendere le misure necessarie e ragionevoli per proteggere i dipendenti interessati, che siano vaccinati o meno e quindi tenere conto di questi aspetti nella situazione particolare dei viaggi di lavoro.
5. Si può rifiutare il vaccino?
Se i dipendenti si rifiutano di rispettare un obbligo di vaccinazione, violano il loro dovere di seguire le istruzioni. Se, di conseguenza, il lavoro non può essere eseguito, il datore di lavoro non è obbligato a pagare il salario. Inoltre, il datore di lavoro può dare disdetta del rapporto di lavoro, osservando i termini contrattuali o generali del preavviso necessario e tale disdetta non è abusiva. Se l’obbligo di vaccinazione risulta essere illegale, i dipendenti possono rifiutarsi di essere vaccinati senza che vi siano conseguenze di alcun genere. Se vi è stata disdetta del rapporto di lavoro sulla base di un obbligo considerato illegale, il licenziamento è abusivo e dà diritto al dipendente di chiedere un risarcimento fino a sei mesi di stipendio.
6. Come promuovere la vaccinazione volontaria
Ovviamente l’azienda può disporre misure che incitino i dipendenti a vaccinarsi volontariamente. L’azienda può pagare un premio per il fatto di essersi vaccinati o dare buoni-regalo, ma l’importo non dovrebbe essere troppo alto, altrimenti c’è il rischio che la vaccinazione non sia più veramente considerata volontaria. Lo stesso vale per i test volontari in azienda.
Al fine di promuovere la vaccinazione volontaria o di attuare la vaccinazione obbligatoria, un’azienda può organizzare una campagna di vaccinazione coordinata. Anche in una tale azione, i dipendenti devono essere liberi di decidere se vogliono partecipare o se vogliono essere vaccinati da un medico di fiducia. Inoltre, i dipendenti devono sapere quale vaccino verrà somministrato, poiché alcune persone non vogliono essere immunizzate con i vaccini di alcuni fornitori per paura degli effetti collaterali. Vi è quindi un chiaro obbligo di informazione da parte del datore di lavoro. Da non trascurare che, in caso di effetti collaterali gravi, vi può essere una responsabilità del produttore, di chi somministra il vaccino ma anche dell’azienda stessa, soprattutto se la persona che somministra il vaccino è uno dei suoi dipendenti.
7. Domanda se si è vaccinati o meno. È lecita?
Nel diritto del lavoro si pone spesso la questione di sapere se il datore di lavoro può porre determinate domande ai suoi dipendenti. Un caso classico è quello che concerne un’eventuale gravidanza in occasione del colloquio di assunzione.
Anche chiedere ai dipendenti se sono stati vaccinati può essere delicato. Sia appunto nel contesto del colloquio di assunzione che durante un rapporto già in essere. In linea di principio, il datore di lavoro è autorizzato a trattare solo i dati personali del lavoratore che sono rilevanti per la sua idoneità al rapporto di lavoro o che sono necessari per l’esecuzione del contratto di lavoro (art. 328b CO). Ciò significa che la questione della vaccinazione è consentita solo in misura limitata.
È ammissibile se un obbligo di vaccinazione è anche applicabile per legge o se i dipendenti non sono in grado di svolgere il loro lavoro o sono in grado di farlo solo in misura limitata se non vaccinati. Ciò può essere il caso, come visto anche in precedenza, per i dipendenti che devono spesso viaggiare all’estero e se le norme di viaggio della compagnia aerea o quelle di ingresso del paese di destinazione prevedono una vaccinazione obbligatoria. Se il fatto di essere vaccinati è importante per lo svolgimento del lavoro, la domanda è quindi possibile anche in altri casi in cui vi siano ragioni fattuali e non una semplice curiosità del datore di lavoro. In casi eccezionali, se la domanda su una vaccinazione esistente è inappropriata, non vi è obbligo di rispondere.
8. Protezione dei dati
In termini di protezione dei dati, il datore di lavoro deve anche garantire che le informazioni sul fatto che i dipendenti siano stati vaccinati o meno non vengano trasmesse a terzi. Particolare è il caso in cui vi sia un trattamento diverso fra i dipendenti vaccinati e non vaccinati (ad esempio, mascherina obbligatoria per i dipendenti non vaccinati, esclusione da certi eventi aziendali, ecc.). In tal caso, la divulgazione dei dati diventerebbe di fatto manifesta.
9. Conclusione
Se, in determinate circostanze, un’azienda può disporre un obbligo di vaccinazione per i propri dipendenti, questo eventuale obbligo va maneggiato con grande cura e ponderando bene tutti gli aspetti della situazione concreta. Un obbligo generalizzato, senza motivi particolari legati alla protezione e allo svolgimento concreto del lavoro sarebbe difficilmente considerato ammissibile. Difficile pertanto, ad oggi, stabilire regole che valgano indiscriminatamente per tutti. Ogni situazione va valutata con attenzione e individualmente. Almeno finché non dovesse esservi un obbligo impartito per ordine dello Stato.
Fonte: parte delle considerazioni che precedono sono tratte dall’articolo di Stefan Rieder, Avvocato specialista del diritto del lavoro, “Vacciner! Vacciné/e? pubblicato nella Newsletter n°7 di Ressources Humaines di luglio/agosto 2021
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-07-14 17:01:092021-08-04 09:18:52Tema aziende: obbligo di vaccinazione?
Il tema della trasmissione aziendale concerne moltissime realtà in Svizzera e ovviamente anche in Ticino. Si tratta di una questione complessa, non sempre quantificabile con precisione.
Per questo è importante, a scadenze regolari, rilevare i dati essenziali del fenomeno, in modo da capire non solo l’entità del fenomeno, ma anche le misure che si rendono necessarie ad esempio a livello legislativo.
I risultati saranno condivisi anche con la Divisione dell’economia del Dipartimento delle finanze e dell’economia, che segue con interesse il tema dopo gli approfondimenti svolti negli scorsi anni.
A questo scopo la Cc-Ti, unitamente a Banca dello Stato del Cantone Ticino, Associazione delle Imprese Familiari, e Gruppo Multi, hanno realizzato un sondaggio, al quale è possibile partecipare al seguente link www.multi.re/trasmissione
Il sondaggio ha lo scopo di rilevare l’evoluzione del fenomeno a 10 anni di distanza dalla prima indagine, integrandola con la valutazione di aspetti particolarmente attuali tra cui digitalizzazione, effetti della pandemia COVID-19 e rinnovamento strategico.
Resta inteso che tutti i dati rilevati saranno elaborati e trattati in maniera anonima. Scarica il flyer per maggiori informazioni.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2021/06/ART21-trasmissione-az.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-06-22 09:27:462021-06-22 10:56:22Trasmissione aziendale in Ticino
Finalmente è stata fatta chiarezza da parte dell’Autorità fiscale federale in materia di IVA e aiuti per i casi di rigore.
È stato infatti stabilito che in considerazione della situazione straordinaria, i contribuenti non devono procedere ad alcuna riduzione della deduzione dell’imposta precedente in caso di ottenimento di simili contributi. Sono considerati contributi COVID-19 i pagamenti, i vantaggi in termini di interessi sui prestiti, le rinunce al rimborso dei prestiti o i condoni dei debiti, la cui base legale (legge, ordinanza, regolamento, decreto ecc.) si fonda sulle misure dovute al COVID-19 e che sono stati accordati dal 1° marzo 2020.
I contributi COVID-19 devono essere dichiarati alla cifra 910 del rendiconto IVA e non alla cifra 200. Le eventuali riduzioni della deduzione dell’imposta precedente operate a causa dell’ottenimento di contributi COVID-19 possono essere annullate con un rendiconto di correzione o di riconciliazione (art. 72 LIVA).
La Cc-Ti è soddisfatta di questa decisione in quanto, in un primo momento, l’Autorità fiscale aveva presentato un progetto di prassi nel quale veniva mantenuto un assoggettamento (anche se differenziato e parziale) del contributo all’IVA.
Per questa ragione la Cc-Ti lo scorso mese di aprile aveva tempestivamente reagito con una lettera all’Amministrazione Federale delle Contribuzioni chiedendo la concessione di un’esenzione completa, rilevando al riguardo che l’assoggettamento differenziato avrebbe posto non pochi problemi burocratici alle aziende e che in un momento di estrema difficoltà è necessario, per evidenti motivi (si sta infatti parlando di casi di rigore), garantire un’esenzione completa.
La Cc-Ti non può quindi che rallegrarsi di questa decisione che permette importanti risparmi alle nostre aziende.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2021/06/ART21-iva.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-06-22 09:12:492021-06-22 09:12:50IVA e aiuti per i casi di rigore. Finalmente chiarezza
Il paniere tipo contiene una selezione fedele dei beni e servizi consumati dalle economie domestiche ed è ripartito in 12 settori di spesa («gruppi principali»). Ogni gruppo principale è ponderato in base alla sua quota nelle spese delle economie domestiche. Inoltre, la composizione del paniere tipo è utilizzata anche per il calcolo dell’inflazione. Solitamente per valutare l’evoluzione dei consumi si utilizza questo strumento.
Come è cambiato nel tempo il paniere tipo? In che modo si sono modificati i consumi? A queste domande è possibile rispondere andando a ricercare qualche dato essenziale sulla composizione del paniere tipo e su come esso sia variato nel tempo.
La primavera 2021 ha confermato i nuovi trend dei consumatori, già per altro, consolidatesi nel 2020 a causa della pandemia di COVID-19.
Come già fatto lungo il 2020, e proseguendo in questa direzione anche per il 2021, abbiamo redatto una serie di riflessioni puntuali ed approfondimenti da differenti punti di vista, per mostrare quanto sia vasta, diversificata e ricca l’economia cantonale, e quanto i singoli settori contribuiscano a comporre e far crescere il PIL cantonale (possiamo ad esempio ricordare i contributi sul settore primario e l’innovazione; l’importanza dei servizi bancari per la piazza luganese e il Ticino; l’attenzione alle HR e alla formazione continua, ecc.).
I settori, in Ticino, sono interconnessi e creano delle ‘filiere’ locali (e non), che funzionano come vere e proprie ‘catene produttive”.
Tutte le tipologie di filiera possono essere più o meno efficienti a dipendenza delle situazioni locali e dei mercati in cui operano. Tra queste catene produttive e il territorio c’è un rapporto molto stretto. Lo sviluppo delle prime può favorire o condizionare o inclinare lo sviluppo dell’altro e viceversa. Le filiere possono rappresentare il motore della crescita economica di una regione, in termini di occupazione, redditi, innovazione, formazione della manodopera e ricchezza pro capite. Un motore che gira tanto più veloce quanto più un territorio è in grado di supportare le imprese con infrastrutture moderne, servizi efficienti e agevolazioni per le attività produttive. Queste dinamiche valgono, ovviamente, anche in Ticino.
Le tendenze dimostrano quanto si preferisca orientarsi sui prodotti regionali e come, in generale, l’evoluzione dei consumi si avvalga sempre più della modalità online. Nel corso dei decenni i prodotti di riferimento sono mutati con l’evoluzione della società.
Alcuni esempi a riguardo, riferiti al ‘paniere tipo’ citato all’inizio del testo:
Il peso dell’alimentazione e bevande non alcoliche è passato dal 40.7% nel 1939 all’11.93% nel 2021.
Per indumenti e calzature la percentuale è scesa dal 15% del 1939 al 2.76 del 2021.
Per il tempo libero e la cultura la percentuale è incrementata, invece, dal 3% del 1939 al 7.48% del 2021.
Maggiori dettagli sulla composizione attuale del paniere tipo e sulla sua ponderazione per il 2021 nel grafico dell’UST, sull’Indice nazionale dei prezzi al consumo (IPC) visto in immagine all’inizio dell’articolo, scaricabile qui.
Sul nostro sito, nella rubrica ‘attualità’ è possibile rileggere differenti contributi su temi come l’innovazione e la sostenibilità, come pure visionare riflessioni sui progetti e le iniziative che la Cc-Ti porta avanti: www.cc-ti.ch/attualita Nell’area dedicata ai soci, invece, si può scaricare e leggere integralmente Ticino Business, consultando anche gli archivi che contengono tutti i numeri apparsi. Vi si accede tramite questo link www.cc-ti.ch/areasoci, inserendo nome utente e password. Per i dettagli sul login è possibile contattare Lisa Pantini, Responsabile comunicazione Cc-Ti, scrivendo a pantini@cc-ti.ch
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2021/05/ART21-consumi.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-05-11 06:44:002021-05-04 15:46:12L’evoluzione dei consumi
La ‘business etiquette’ ai tempi della digitalizzazione. Videochiamate, video conferenze, corsi di formazione online e webinar, la presenza ‘fisica’ diventa virtuale. Come pure la nostra immagine, perché ci si confronta via Zoom, Teams, Skype, e ci si vede ‘solo’ in video. Esistono regole da seguire? Ci si affida ‘solo’ al buon senso? Come evitare di fare una brutta impressione?
Dinamiche mutate
Con il COVID-19 e le limitazioni dovute agli spostamenti, si è registrata un’accelerazione di meeting e assunzioni aziendali con colloqui virtuali. Un recente studio della piattaforma di recruiting online Monster – che ha coinvolto 3’100 selezionatori e oltre 7’000 dipendenti nel mondo con un focus su USA e Regno Unito – ha confermato l’incremento di queste modalità di selezione nelle risorse umane, dichiarando che almeno la metà delle assunzioni e degli inserimenti in azienda avviene ormai in maniera virtuale.
Un caso concreto
Durante un webinar la moderatrice media la sessione delle domande fra diversi partecipanti. Nello specifico una partecipante (età media, professionista nel suo ambito) si distingue dagli altri per l’ostentata sicurezza e insolenza con cui risponde ai quesiti, risultando quindi molto poco empatica. Da dove deriva quest’impressione? Si può davvero percepire in modo così tangibile? Contrariamente a quanto si può pensare, non si tratta dei contenuti delle risposte né dalle parole usate, ma dalla mimica e dalla comunicazione non verbale, che lasciano intendere una certa noia e saccenza. Il suo messaggio è chiaro: “so già tutto… questa è una perdita di tempo… sono qui perché ho dovuto… mi annoio”.
Questione di distanze
Il malumore di un partecipante o di un relatore ad una sessione in videoconferenza risalta subito all’occhio, nel vero senso del termine. Normalmente, durante un evento la distanza fisica tra i partecipanti e i relatori varia da cinque a dieci metri circa. Questo spazio protegge e garantisce, in un certo senso, un “anonimato”: se si dovesse manifestare in un’occhiataccia o un momento di noia, molto probabilmente passerebbe inosservata. Nel mondo virtuale questa distanza viene praticamente annullata, perché non ci si può nascondere, se non disattivando manifestamente la videocamera e/o silenziando il microfono (opzione questa non sempre possibile), ed è come se ogni partecipante partecipasse a tutto ciò che accade da una distanza di 20 cm. Ma c’è di più: la tecnologia e gli ingrandimenti dello schermo possibili, sempre più performanti, ci sono “nemici” perché evidenziano ancora di più incertezze, dubbi e dissensi.
L’importanza della comunicazione non verbale
Nell’ambito della comunicazione possiamo riconoscere ed approfondire alcuni aspetti che la completano e la caratterizzano: il linguaggio del corpo, le microespressioni, la prossemica, la cinesica, il contatto visivo, … Nell’era della digitalizzazione e con l’avvento del crescente numero di videconferenze alcuni di questi aspetti vengono amplificati.
Ci siamo mai fermati a riflettere su cosa comunichiamo? Non a livello verbale, ma con i nostri gesti, le nostre emozioni, le espressioni del nostro volto. Chi interagisce con noi riceve due segnali: il primo è quello verbale che porta il messaggio della nostra comunicazione, il secondo conferma, sottolinea, smentisce, evidenzia, ecc. ciò che diciamo a parole, e lo fa con tutta una serie di “piccolezze” insite nel nostro modo di essere: come ci muoviamo, come ci esprimiamo, le nostre espressioni ed emozioni, ecc.. A livello professionale, nello studio, l’approfondimento di alcuni di questi parametri può essere un valido supporto nella “decodifica” dei messaggi che l’interlocutore che abbiamo dinanzi ci sta inviando. Così facendo possiamo essere agevolati nella lettura e, ad esempio, nella trattativa o negoziazione di un accordo, in un colloquio di assunzione, durante un evento, in una compravendita, e così via.
Già Charles Darwin, ideatore della teoria dell’evoluzione, ha approfondito le sue intuizioni sull’origine delle specienel trattato “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali”, sostenendo, nel 1872, che le espressioni facciali avessero la ragione evoluzionistica di aiutare gli altri ad adattarsi all’ambiente circostante.
Da allora la ricerca scientifica in quest’ambito è proseguita, concentrandosi sulle emozioni e la loro espressione, con strumenti di analisi e decodifica sempre più precisi. In questo senso anche le videoconferenze non fanno eccezione, anche se possiamo decodificare “solo” alcuni aspetti della comunicazione non verbale e non la totalità.
Una «business etiquette» per l’era digitale
Se dovessimo delineare una sorta di ‘vademecum’ di cui tener conto per delle video call (sia che si tratti di webinar, di riunioni o di colloqui) fluenti ed efficienti, ecco a cosa occorrerebbe prestare attenzione:
Preparazione: sia che si tratti di un colloquio o di una riunione, il virtuale esige un’attenta preparazione per non dilungare eccessivamente i tempi di svolgimento.
Prove di connessione: familiarizzare in anticipo con gli strumenti virtuali permette di non arrivare impreparati ed essere colti alla sprovvista in caso di problemi tecnici.
Normalmente tutti dovrebbero connettersi in video, vedere il proprio interlocutore e farsi vedere è molto importante per permettere una corretta connessione non verbale, avendo l’accortezza di silenziare il microfono quando non è il loro turno di parlare.
È richiesta una maggiore concentrazione per le riunioni online: il nostro sguardo deve mantenersi attivo verso lo schermo, così da “connettersi” con gli altri partecipanti.
Puntualità nella connessione: chi non ha mai vissuto i 3-5 minuti di silenzio ‘imbarazzante’ aspettando che tutti si connettessero?
Ambiente professionale: anche se siamo in smartworking un minimo di rigore è richiesto. Evitiamo disordine nell’ambiente circostante, rumori, sfondi non pertinenti, altre persone nella stanza. Attenzione alla luminosità, per non risultare in un video troppo buio o eccessivamente chiaro. Lo stesso discorso vale per l’abbigliamento, che deve essere adeguato, la scelta deve essere uguale a quella che avreste adottato in presenza.
Strumenti utili
Ribattezzate ‘soft skills’, sono quelle abilità cognitive, relazionali e comunicative che permettono all’individuo di interagire al meglio con gli altri. Fra queste, nel contesto di questo articolo, possiamo citare la «learning agility», ossia la capacità che permette alle persone di affrontare situazioni nuove o impreviste, di imparare a utilizzare nuovi strumenti, affinare e sviluppare le proprie competenze con modalità diverse da quelle apprese sino a questo momento.
Una competenza che vale la pena, senza dubbio, di allenare.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2021/05/ART21-biz-etiquette.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-05-03 16:29:312021-05-03 16:29:32La tua immagine dice chi sei
C’era una volta un Paese chiamato Svizzera che, pur non coltivando una sola pianta di cacao, diventa leader mondiale del cioccolato. Riflessioni su materie prime e sostenibilità.
Per risalire alle radici di questa storia di successo bisogna compiere un passo indietro e tornare tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. La Svizzera, localizzata nel cuore del Continente europeo, per ragioni riconducibili alle ridotte dimensioni del Paese, così come per motivi climatici e di scarsità di materie prime locali, dovette prevedere un metodo per coprire i propri fabbisogno primari importando cereali per la popolazione ed esportando in cambio prodotti di allevamento principalmente tra Italia e Francia.
Cominciò così a sfruttare gli spazi a propria disposizione per rafforzare il settore agricolo e quello manifatturiero, iniziando così un processo import-export. Alla fine del XIX secolo si compì un nuovo passo, molto importante per lo sviluppo della Confederazione, ossia l’introduzione della rete ferroviaria, con riferimento in particolare al traforo del San Gottardo. Quest’importante investimento infrastrutturale collegò il Paese alla rete europea dove si posero le basi per una piccola economia “aperta”. Da qui, l’importazione e l’approvvigionamento di beni essenziali quali derrate alimentari, materie prime ed energetiche iniziò a svilupparsi. Anche se in Svizzera non cresce il cacao, il cioccolato è divenuto il simbolo del nostro Paese. Essendo priva di materie prime, la Svizzera le importa, le lavora, ed esporta quindi i semilavorati e i prodotti finiti in tutto il mondo.
La storia continua con l’eredità di imprenditori brillanti quali Daniel Peter, Alexander Cailler e Henri Nestlé, grazie ai quali si inaugurò una produzione su larga scala di vari prodotti derivati sia dal cioccolato, che dal caffè e dal latte. Di fatto questi nomi, si affermano ben presto come un simbolo mondiale di scoperta e innovazione rappresentano oggigiorno colossi dell’industria alimentare. I pionieri del cioccolato e del latte non avrebbero avuto questo successo se non grazie ad un commercio libero tra i diversi Paesi. Questa ascesa fu resa possibile essenzialmente per due ragioni. Da un lato, le ottime relazioni con Paesi terzi permisero agli imprenditori svizzeri di instaurare rapporti di scambi commerciali con numerose altri Stati assicurandosi un approvvigionamento delle materie prime necessarie al confezionamento del prodotto. Dall’altro lato, giocarono un forte ruolo anche la crescente urbanizzazione delle città e di conseguenza l’aumento della domanda. Oltre a ciò, ferrovie e navi favorirono l’abbattimento dei costi di trasporto delle merci nonché un aumento nella velocità di trasporto. Anche sul nostro territorio, nel nostro piccolo Ticino, conosciamo ora nomi eccellenti ed aziende affermate che assicurano e confermano la tradizione, quali Chocolat Stella SA, Chocolat Alprose SA, Domani Food SA, LATI SA e Agroval SA, ad esempio.
Per un piccolo Paese che non dispone delle premesse favorevoli per uno sviluppo autonomo, le relazioni con l’estero hanno sempre rivestito un’importanza fondamentale. Esportando beni e servizi, esso si procura la valuta necessaria per importare i generi di cui è sprovvisto o che non è in grado di produrre. Considerato l’aumento delle esportazioni-importazioni e parallelamente l’aumento anche delle prestazioni del settore terziario tra servizi bancari, assicurativi, investimenti e di turismo, la Svizzera impara così ad essere un forte intermediario di transazioni invisibili ma molto proficue. L’espansione del settore continua anche durante e dopo le due guerre mondiali. Società estere, tutt’ora esistenti legate al commercio di petrolio, cotone, di spedizione, ecc., hanno trovato nel nostro Paese, caratterizzato da una politica stabile, dalla neutralità e da una moneta forte la sede adatta per i propri commerci. Questo ha portato a una forte espansione del settore. Comincia così la lunga tradizione della compravendita di materie prime. Tale commercio è importante e proficuo non solo per la Svizzera ma anche per il resto del mondo: in modo molto semplice ha permesso un equo scambio commerciale tra Paesi che vantano di materie prime in eccesso sul proprio territorio, Paesi che ne possiedono poche o che ne sono completamente privi.
C’era una volta una tazza di caffè…
Anche una gran parte del commercio del caffè mondiale viene elaborato direttamente o indirettamente attraverso la Svizzera. Le esportazioni di caffè superano ampiamente quelle di prodotti alimentari tradizionalmente associati alla Svizzera, ad esempio, il cioccolato o il formaggio.
Nel 1975 il padre delle capsule di caffè Eric Favre – ingegnere vodese, a quel tempo impiegato nel reparto confezionamento di Nestlé – dopo un viaggio a Roma insieme alla moglie allo scopo di cercare spunti, si mette a lavorare all’invenzione che oggi ha aperto la strada a un oggetto divenuto ormai irrinunciabile: la capsula da caffè.
Serviranno dieci anni di persistenza da parte di Favre e il volto di George Clooney per dar vita al boom mondiale del caffè in capsula chiusa, che oggi tutti conosciamo. La ricerca costante e importantissima della sostenibilità dei prodotti ha dato, inoltre, un valore aggiunto indispensabile anche e specialmente, guardando al futuro.
Una curiosità: quale è il modo meno impattante per far nascere una tazza di caffè? Stimando una media per famiglia, uno studio ha preso in considerazione tutti gli aspetti del ciclo di vita di una tazza di caffè: dall’estrazione, la coltivazione completa del chicco, dall’acqua consumata, l’uso del suolo, trasporto, produzione e dalla lavorazione di tutte le materie prime fino alla fine del ciclo di vita di tutti i componenti, trasporto, produzione, lavorazione delle materie prime e l’imballaggio. Oggi le persone sono sempre più preoccupate e attente all’impronta ecologica di qualsiasi attività. Sempre di più, ci si interroga sull’uso delle risorse nel processo di produzione e sull’impatto dopo l’uso. Per quanto possa sembrare singolare, è il modo in cui consumiamo il caffè con il modo in cui viene coltivato che genera il maggiore impatto ambientale e non, come spesso si pensa, dalla sua produzione o l’imballaggio, nel caso citato, la scelta dell’alluminio. Questa è solo una riflessione su come una semplice tazza caffè possa avere così svariati aspetti economici ed ambientali servendosi di diversi processi di studio per realizzarla in modo più intelligente, ed è solo una piccola fetta di ciò che il commercio di materie prime offre.
C’era una volta, un’economia circolare…
Il bene delle materie prime, il bisogno che ha l’uomo verso di esse. Dobbiamo soffermarci brevemente sull’uso quotidiano che le caratterizza. Basta guardare tutto ciò che abbiamo attorno, tutto ciò che addirittura indossiamo. Tutto viene prodotto da materiali diversi ma collegati tra loro da un commercio globalizzato.
La globalizzazione ha moltiplicato le relazioni transfrontaliere fra i governi, i gruppi sociali e gli attori dell’economia. Le relazioni internazionali sono diventare sempre più fitte e intense. Un intreccio, che evoca, al contempo, la vulnerabilità legata agli sviluppi esterni, e che descrive non sole le interrelazioni economiche e sociali, ma anche quelle politiche e culturali, senza peraltro trascurare mai le vulnerabilità ecologiche. Tracce di Svizzera nel mondo e del mondo in Svizzera. La politica di sviluppo e la cooperazione allo sviluppo devono fornire una risposta alle sfide che questo Paese è chiamato ad affrontare in loco e a livello globale. Infatti, un Paese fortemente integrato sul piano internazionale come la Svizzera ha grandi possibilità di contribuire a definire l’assetto della globalizzazione.
Per le imprese esposte alla globalizzazione, l’espansione all’estero è una strategia di sopravvivenza e non rappresenta un elemento di concorrenza con l’esportazione dalla Svizzera, bensì uno stimolo. Infatti, agli investimenti effettuai all’estero fanno seguito le forniture di bene d’investimento svizzeri, pezzi di ricambio, tecnologie e prestazioni di consulenza. La Terra ci offre moltissime risorse essenziali; l’aria, l’acqua, il legno, il petrolio, i minerali, ecc.. Molte materie prime sono però limitate, difficilmente accessibili o hanno bisogno di tempo per rigenerarsi. Tutti noi, perciò, dobbiamo utilizzarle in modo adeguato: non dobbiamo sprecarle. In Svizzera le superfici arabili non sono sufficientemente estese e le condizioni climatiche non idonee alla produzione di tutte le derrate alimentari consumate. L’acquisto di derrate all’estero ha dunque tradizione. In questo modo sfruttiamo più terreno di quanto non ne abbiamo a disposizione. Grazie al solo commercio di prodotti agricoli con i Paesi in via di sviluppo, la superficie arabile risulta più che raddoppiata. Inoltre, per via dei nostri consumi utilizziamo indirettamente acque e altre risorse naturali nei Paesi d’esportazione. Ciò non vale solo per i prodotti alimentari, ma anche per l’elettronica d’intrattenimento, l’abbigliamento, l’energia e tant’altro ancora. Inoltre, per approntare questi beni e assicurarne lo smaltimento occorrono ulteriori risorse.
Ma dentro le aziende?
Il benessere dei propri collaboratori, i legami con il territorio e l’ambiente. Questi sono tre fattori strategici la cui salvaguardia è fondamentale per l’esistenza dell’impresa stessa. È qui che subentra la RSI, Responsabilità Sociale di Impresa, che offre la visione di un modello business al quale tutte le imprese ed uffici possono far riferimento per poter modificare la loro filosofia in modo da avere un impatto positivo sul mercato del lavoro e potersi affermare come leader in questo spazio di crescita umanitaria e ambientale.
Alla Cc-Ti
Questi aspetti devono andare di pari passo. Qui comprendiamo il perché la responsabilità sociale gioca un ruolo importante ed aiuta di fatto a mantenere e a gestire al meglio gli assi fondamentali. Una gestione consapevole dell’impatto si traduce in migliori relazioni esterne, una buona reputazione, ispirazione innovativa e rischi meglio gestiti.
La Cc-Ti è da sempre molto impegnata nella responsabilità sociale con consulenze o corsi mirati, ad esempio, per gli associati cercando di garantire e solidificare una formazione sociale virtuosa. Ricordiamo che nel nostro team annoveriamo un CSR Manager, nella persona di Gianluca Pagani, a vostra disposizione per qualsiasi supporto (Tel. +41 91 911 51 36, pagani@cc-ti.ch; altri dettagli visitando il nostro sito e leggendo questo articolo).
Il settore delle materie (sezione Ticino) prime ha il proprio segretariato presso la Camera di commercio e dell’industria con l’associazione Lugano Commodity Trading Association (LCTA). Questo settore offre lavoro a circa 35’000 persone e genera il 3.8 percento del prodotto interno lordo. Il Ticino, in questo ramo si posiziona al terzo posto in ordine di importanza dopo Ginevra e Zugo; con 120 aziende e oltre 900 impiegati. A livello federale le aziende del settore delle materie prime vengono rappresentate dall’associazione mantello STSA, Swiss Trading and Shipping Association mentre a livello regionale, da oltre dieci anni la LCTA rappresenta le aziende in Ticino. Oltre che garantire un sostegno e uno sviluppo delle aziende affiliate, la LCTA in collaborazione con l’Università di Lucerna e l’associazione regionale ZCA, Zug Commodity Association si impegna a fornire una formazione mirata del settore per dipendenti che vogliono intraprendere un nuovo percorso formativo.
Fonte: pubblicazione “La Svizzera e il mondo”, 2007, R. Gerster
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2021/04/ART21-materie-prime.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-04-08 14:26:572021-04-08 14:26:58C’erano una volta le materie prime
Anche nel 2021 la Cc-Ti sostiene Espoprofessioni, la fiera dei mestieri, che torna in una rinnovata veste digitale.
Nel Rapporto d’attività dell’allora “Camera cantonale di commercio” (quella la ragione sociale della Cc-Ti negli anni ’20 del secolo scorso) dell’anno 1922, si parlava e si tematizzava di tirocinio professionale, scuole per apprendisti, insegnamento ai ‘fanciulli’ di 13-14 anni, e così via. Fatto atipico? No, considerando la lungimiranza che la Cc-Ti ha sempre avuto per molte tematiche, fra cui spicca la formazione professionale di base e continua, quale caposaldo di una visione liberale che l’ha portata fino ad oggi, ben 99 anni dopo quel rapporto d’attività e a 104 anni dalla sua fondazione.
Nel sondaggio della FSEA – Federazione svizzera per la formazione continua 2021 (di cui la Cc-Ti fa parte attraverso la Conferenza della Svizzera italiana per la Formazione continua degli adulti – CFC) sugli erogatori di formazione continua, si evince come sia cambiato – con la pandemia – il modo di erogare e di fruire la formazione, orientandosi sempre più verso la digitalizzazione delle offerte. Anche la Cc-Ti ha percorso questa via; garantendo oggi un’offerta formativa completa in streaming.
Sono questi i due episodi con cui Lisa Pantini, Responsabile della comunicazione e relazioni con i soci della Cc-Ti, ha aperto il suo intervento alla conferenza stampa di presentazione dell’edizione 2021 di Espoprofessioni. Tenutasi il 11.3.2021 nel nuovo Auditorium della Scuola cantonale di commercio a Bellinzona, la conferenza stampa ha illustrato le principali novità di un’edizione peculiare, per la maggior parte online e con alcuni eventi selezionati in presenza.
La Cc-Ti riconosce quindi l’importanza della collaborazione fra associazioni economiche/professionali e lo Stato per la formazione professionale. Inoltre affianca le associazioni di categoria e le aziende formatrici con azioni di sostegno mirate, promozione delle professioni di tutti i settori economici e supporto per iniziative di vario genere.
Al momento informativo sono intervenuti, oltre a Lisa Pantini: Manuele Bertoli, Consigliere di Stato e Direttore DECS; Rita Beltrami, Capo dell’Ufficio dell’orientamento scolastico; Oscar Gonzalez, Aggiunto al Direttore della Divisione della formazione professionale; Selina Küpfer, Responsabile comunicazione Svizzera latina, SwissSkills Berna e Barbara Soer, del Segretariato cantonale UAE.
Dopo il rinvio della fiera nella primavera del 2020 causa COVID-19, oggi la fiera del 2021 si ripresenta con una nuova veste perlopiù digitale: nella settimana dal 22 al 27 marzo 2021, Espoprofessioni permetterà agli allievi di scuola media, ai loro genitori e insegnanti, come pure agli apprendisti, agli studenti del medio superiore, ai giovani adulti alla ricerca di percorsi formativi superiori, agli adulti interessati a perfezionamenti e riqualifiche, di esplorare il mondo delle professioni e delle formazioni del postobbligo.
Tutti i dettagli relativi al programma, alle chat e alle modalità di partecipazione agli eventi sono disponibili sul sito www.espoprofessioni.ch.
Lisa Pantini resta volentieri a disposizione per eventuali domande.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2021/03/ART21-espoprof.2021.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-03-11 16:03:382021-03-11 16:56:25La formazione professionale quale chiave del successo
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