Area soci Cc-Ti 2022

L’Area soci Cc-Ti si rinnova con contenuti in esclusiva per le aziende e le associazioni di categoria affiliate.

Con il nuovo anno abbiamo introdotto due nuove sezioni: articoli e schede inerenti il Servizio Internazionale e un’area che riporta gli articoli dei soci dalla carta stampata (ossia dalle pagine di Ticino Business) ora anche in versione web nella nostra Area soci.

Un consolidamento dell’apprezzata area riservata, dove è possibile:
conoscere alcuni dei soci Cc-Ti, leggendo i loro profili NEW
sfogliare gli archivi della rivista economica della Cc-Ti
– leggere ed approfondire temi di natura giuridica e relativi al commercio internazionale NEW
– accedere alle piattaforme social (gruppo LinkedIn e pagina Facebook) targate Cc-Ti, strutturate per la messa in rete online dei nostri soci, per un networking di qualità.

Accedete subito all’area soci per scoprirne i contenuti!
Avete perso i dati di accesso? Lisa Pantini, Responsabile delle relazioni con i soci, è a vostra disposizione.

Svolta climatica impossibile senza i garagisti

I garagisti svizzeri rivestono un ruolo chiave per la mobilità di domani, cioè quella di consulenti.

La Consigliera federale e Capo del Dipartimento dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni Datec, Simonetta Sommaruga, ha iniziato il suo discorso alla giornata dei garagisti svizzeri che si è tenuta martedì 18 gennaio 2022 al Kursaal di Berna, sottolineando l’importanza del ruolo di questi ultimi. «Senza l’impegno quotidiano dei quasi 40’000 meccanici, meccatronici, garagisti e consulenti per la mobilità il passaggio a una mobilità più sostenibile per il clima sarebbe impossibile». Continuando nel suo discorso, ha rivelato poi come la politica sta attualmente preparando il terreno: «Con la nuova Legge sul CO2, il Consiglio federale vuole promuovere la diffusione delle stazioni di ricarica per i veicoli elettrici. E vuole farlo là dove mancano, ad esempio nelle abitazioni e sui luoghi di lavoro.» La Consigliera federale ha anche rivelato ai 600 rappresentanti del ramo che, con la revisione parziale della Legge sulla circolazione stradale, la Svizzera vuole definire le condizioni quadro per la guida autonoma: «Vogliamo che la Svizzera sia uno dei primi paesi al mondo a consentirla.»

Secondo Thomas Hurter, Presidente centrale dell’UPSA, gli ossequi del Governo sono un segnale chiaro: «La partecipazione della Consigliera federale Sommaruga dimostra quanto prenda sul serio il nostro ramo e la nostra causa e che ha lo stesso nostro interesse a dialogare.» Secondo Hurter, il ramo dei professionisti dell’auto è uno dei pilastri della riduzione continua del CO2 nel traffico su strada. Negli anni pre-pandemia, il trasporto privato di persone ha superato i 100 milioni di chilometri-persona. Il traffico motorizzato privato, quindi, assorbe l’80% di quelli percorsi, contro il 20% del trasporto pubblico.

Dall’intervento della Consigliera federale Simonetta Sommaruga possiamo dedurre che il Governo abbia finalmente capito quali sono gli ostacoli alla diffusione su larga scala della mobilità elettrica. Non la mancanza di modelli di vetture, che comunque continuerà a crescere nei prossimi anni, ma la mancanza di stazioni di ricarica, in particolar modo al domicilio dei cittadini o sul posto di lavoro: luoghi questi dove le auto restano ferme per la maggior parte del tempo quando non utilizzate. Installando un maggior numero di colonnine di ricarica per auto elettriche si contribuisce ad eliminare quello che oggi sembra essere il punto più critico per chi intende acquistare un veicolo totalmente elettrico: la scarsa autonomia e il tempo di ricarica della batteria.

Non disponendo di una stazione di ricarica al domicilio o sul posto di lavoro il proprietario di una vettura elettrica dovrebbe recarsi presso una stazione di ricarica pubblica, collegare la vettura e attendere che la batteria sia completamente carica. A dipendenza della capienza della batteria e della potenza della colonnina potrebbero volerci anche alcune ore. Questo è chiaramente inefficiente per un uso quotidiano. Per contro disponendo di una colonnina al domicilio la situazione risulterebbe assai diversa e per certi versi, addirittura più comoda che per le attuali vetture benzina o diesel per le quali bisogna forzatamente recarsi presso una stazione di rifornimento per fare il pieno. Con la colonnina a domicilio per fare il pieno, il proprietario del veicolo deve semplicemente ricordarsi di collegare la presa della corrente quando rientra a casa (senza quindi dover allungare il suo tragitto per andare alla stazione di servizio) impiegando non più di 30 secondi del suo tempo. Il mattino seguente ecco che la vettura è pronta con le batterie completamente cariche per percorrere altri 300 e oltre km. Lo stesso ragionamento può essere applicato, con un altro vantaggio che vedremo in seguito, disponendo di una colonnina di ricarica sul posto di lavoro. In questo caso arrivando al lavoro al mattino si può collegare la vettura alla colonnina, lasciarla collegata tutto il giorno così da avere il massimo della carica anche con un impianto non estremamente potente e ritrovarsi l’auto elettrica pronta per tornare a casa. Se poi l’elettricità che alimenta la colonnina del parcheggio al lavoro è prodotta da pannelli solari installati sul tetto della ditta, in questo caso il gioco è perfetto. Ma dicevamo di un ulteriore vantaggio per quest’ultima soluzione: caricando completamente la batteria della vettura durante il giorno, tornando a casa alla sera e collegandola ad una apposita colonnina bidirezionale, ecco che si potrebbe utilizzare la corrente immagazzinata dall’auto per alimentare le luci di casa (naturalmente mantenendo una carica sufficiente per recarsi al lavoro il giorno seguente). Tutto ciò, che oggi può sembrare utopia in effetti sarebbe perfettamente attuabile se, come dichiarato dalla Consigliera federale Simonetta Sommaruga, la rete di colonnine private venisse adeguatamente sviluppata.

Due punti restano però ancora in sospeso: l’espansione della rete di ricarica delle colonnine pubbliche, in particolare sulle autostrade, e la produzione e fornitura di energia elettrica. Se il primo è risolvibile con l’installazione di stazioni di ricarica sufficientemente potenti e in numero adeguato la produzione e fornitura di elettricità sarà la vera sfida che le istituzioni politiche dovranno affrontare e risolvere.

Per raggiungere questo traguardo di un TMP (Trasporto Motorizzato Privato) completamente a emissioni locali zero ci vorrà ancora del tempo. Ma già oggi possiamo e dobbiamo agire. Una buona soluzione, per chi ne può trarre vantaggio, sono le vetture ibride e ibride plug-in. In particolare, le ibride plug-in (vetture con un motore termico e un motore elettrico alimentato da batterie che si possono ricaricare tramite una presa di corrente) possono servire da soluzione transitoria che permettono di “fare esperienza” con le propulsioni alternative da parte della popolazione e allo stesso tempo permettere di completare la rete di colonnine di ricarica. Una vettura ibrida plug-in non necessita per forza di una colonnina di ricarica dedicata, ma può essere caricata attraverso una normale presa elettrica. Richiede però rigore nel suo utilizzo ricordandosi per esempio di caricare tutti i giorni la batteria così da poter sfruttare la massima autonomia in modalità elettrica. Il giorno poi che si passerà all’automobile completamente elettrica questa procedura ci sembrerà una cosa normale.

Oggi quindi tocca alle istituzioni mantenere le promesse, alla popolazione valutare bene le sue scelte in ambito di TMP, e ai garagisti saper consigliare in modo corretto i clienti proponendo la giusta versione di propulsione.


APPROFONDISCI IL TEMA CON UN WEBINAR DEDICATO!
Il prossimo 17 marzo 2022 si svolgerà il webinar “Mobilità strategica” che approfondisce alcuni aspetti legati a quest’argomento. Le iscrizioni sono aperte!

Come prendere le decisioni giuste?

La vita è la somma di tutte le nostre scelte (A. Camus)

Il fatto che ogni individuo prenda in un solo giorno circa 20’000 decisioni non basta per renderci tutti degli esperti in materia di prese di posizione. A dimostrazione di questo, spesso ci risulta difficile, se non quasi impossibile, compiere alcune scelte. L’ostacolo maggiore è dato dal fatto che non si può essere certi anticipatamente, se una determinata decisione sarà “buona” o “cattiva.
Per raggiungere l’obiettivo servono metodi e tecniche appropriati, e solo essendo consapevoli di come si è giunti ad una determinata conclusione, si possono trarre insegnamenti utili da una decisione sbagliata.

Alcune scelte possono essere prese con facilità perché rappresentano esclusivamente una valutazione dei vantaggi delle diverse opzioni, altre invece sono più complesse e ci mettono di fronte a conseguenze incerte, che si verificheranno secondo una data probabilità.

Nel management: il decision making

Esistono molte scuole di pensiero e diverse correnti organizzative che suggeriscono metodi decisionali efficaci ed efficienti. Non possiamo però prediligere un vero e proprio “schema” ufficiale al quale attenersi, poiché ognuno degli strumenti esistenti possiede proprietà che possono adattarsi a modelli specifici.

È possibile, invece, identificare facilmente le fasi principali del decision making, che sono alla base del processo decisionale di base. In sintesi:

  • Definizione della situazione
  • Ricerca di alternative
  • Selezione della soluzione

A livello operativo può essere arduo prendere decisioni ponderate a causa, spesso, della mancanza di tempo da dedicare all’analisi dei problemi prima ancora di trarre le soluzioni.
Una più dettagliata e schematica impostazione del processo decisionale dovrebbe prevedere:

  1. Identificazione e descrizione del problema
  2. Analisi dei fattori che causano il problema
  3. Individuazione delle possibili strategie e soluzioni
  4. Scelta della soluzione migliore
  5. Definizione del piano di azione
  6. Individuazione delle responsabilità
  7. Implementazione della soluzione
  8. Verifica dei risultati

Uno strumento utile da correlare a questo modello di decision making è sicuramente il “registro delle decisioni”. Di cosa si tratta?

È un documento (cartaceo/ elettronico) che può essere utilizzato per tracciare tutte le decisioni prese durante lo svolgimento di un progetto/nella normale routine aziendale.
Le decisioni vengono prese in vari momenti: durante le riunioni, attraverso scambi di e-mail, durante incontri e colloqui, ecc.. . Questa traccia permette di “archiviare” in modo schematizzato quando una decisione è stata presa, chi l’ha presa e sulla base di quali elementi (data della decisione, persone che hanno partecipato alla presa della stessa o l’hanno condivisa, descrizione della tematica e della decisione, ev. informazioni complementari da conoscere).

Il metodo “FORDEC”

Un’altra metodologia degna di nota è quella sviluppata dalla NASA a supporto dell’industria aerospaziale (e poi applicata anche ad altri contesti, come nel management), denominata FORDEC. Il procedimento è semplice e consiste in una lista di controllo che può essere impiegata affidabilmente anche sotto stress; circostanza in cui è notoriamente più difficile pensare lucidamente.
Ecco come funziona e le domande della check list a cui occorre dare risposta:

F = Fatti
Quali sono i fatti? È importante non sottovalutare questo punto, rappresentando accuratamente gli avvenimenti senza emettere giudizi di valore, in modo da fornire un quadro quanto più completo possibile della situazione iniziale.

O = Opzioni
Dopo aver annotato sinteticamente i fatti, bisogna pensare alle opzioni disponibili, avendo cura di non limitarsi esclusivamente a quelle ovvie. È fondamentale prendersi il tempo necessario per scrivere idee non convenzionali, che potranno successivamente sempre essere eliminate se non ritenute idonee.

R = Rischi e benefici
Ogni possibile opzione va poi contrassegnata con due frecce (una a sinistra e una a destra). Sotto quella di sinistra vanno elencati tutti i pericoli e gli inconvenienti che quella data scelta comporterebbe, a destra invece i vantaggi e le opportunità. Così facendo è possibile confrontare il rapporto rischio/beneficio di ogni possibilità, avendo una visione d’insieme che permetta di evitare una sopravvalutazione dei pericoli e una trascuratezza delle occasioni.

D = Decisioni
Una volta raccolte tutte le informazioni bisogna prendere una decisione senza procrastinare. In caso di dubbio, si può chiedere consiglio ad una persona esterna, che può valutare la situazione con maggiore obiettività e distacco.

E = Esecuzione
A questo punto si tratta di agire tempestivamente. Una volta stabilito cosa fare va definito il come, prendendo nota dei passi concreti con i quali si vuole raggiungere l’obiettivo. Nelle decisioni di gruppo occorre inoltre chiarire le responsabilità.

C = Controllo
Il modello FORDEC non è statico nel tempo. In caso di progetti a lungo termine, bisogna controllare periodicamente se le decisioni prese sono ancora attuali e stanno avendo l’effetto sperato. In caso contrario vanno apportate delle correzioni. Va sempre considerato che nuovi fatti coincidono con una nuova check list FORDEC.


Fonte WEKA, 2021; adattamento e sviluppo Cc-Ti

La Cc-Ti propone numerosi corsi di formazione, uno dei quali è dedicato alla tematica del ‘decision making’. Questa proposta formativa è pianificata per il mese di settembre: “Prendere decisioni difficili“. Nel nostro sito web troverete tutti i dettagli.

Reshoring, nearshoring, backshoring

…e se la supply chain puntasse invece sulla circolarità?

La ripresa in contemporanea delle attività manifatturiere dopo i vari lockdown, la forte crescita della domanda di prodotti inaccessibili durante le chiusure, i ritardi nelle consegne, il rincaro dei trasporti (leggi: aumento dei costi di noli) così come l’aumento dei prezzi delle materie prime continuano ad esacerbare lo stato di salute delle catene di approvvigionamento. Molte fonti lo affermano: i colli di bottiglia e l’esplosione dei costi dovrebbero perdurare fino a fine 2022. Allo stesso tempo, notizie di reshoring, nearshoring e persino backshoring, in particolare delle attività attualmente basate in Cina, sono all’ordine del giorno. Non tutte però sono strettamente collegate con la pandemia… anche perché le catene di fornitura non possono essere cambiate rapidamente o facilmente: qualificare nuovi fornitori richiede analisi di qualità, accordi sui diritti di proprietà intellettuale, nuove certificazioni e molte altre valutazioni.

Un sondaggio effettuato a febbraio/marzo 2020 dalla società di consulenza strategica e di ricerca Gartner, Inc. su 260 leader della catena di approvvigionamento globale ubicati nei quattro angoli del mondo, ha ad esempio evidenziato che già all’epoca il 33% degli intervistati aveva trasferito la propria attività fuori dal Regno di Mezzo o prevedeva di farlo entro il 2023.
Tali decisioni erano pertanto state prese ben prima pandemia. Un dato confermato anche da Resilinc, che si occupa di supply chain analytics e secondo la quale il 2019 aveva registrato il più alto tasso di interruzioni delle catene di approvvigionamento degli ultimi anni.
Le cause? Chiusura di fabbriche sì, ma anche cambiamenti di proprietà dovuti a fusioni e acquisizioni, eventi meteorologici estremi e disastri naturali (inondazioni, terremoti), cambiamenti normativi e, non meno importante, i conflitti geopolitici. Negli ultimi anni pre-pandemia, quindi, sempre più aziende si sono trovate a far fronte a grossi rischi e interferenze per la propria filiera.

Una ricetta miracolosa per rafforzare le proprie catene di approvvigionamento non esiste. È vero però che gli enti regolatori chiedono però sempre più spesso alle aziende di stabilire catene del valore trasparenti e di effettuare una due diligence sulla condotta sociale e ambientale dei loro fornitori – non che questo influisca sulla capacità di questi ultimi di fornire nei tempi voluti i prodotti o materiali richiesti. Allo stesso tempo, da parte dei consumatori cresce la domanda di prodotti sempre più sostenibili. In generale si constata quindi un aumento delle pressioni su sostenibilità e trasparenza. Ciò crea per le aziende nuove opportunità di mercato e potenziali benefici in materia di reputazione.
Ne conseguono però per loro anche nuovi compiti, quali ripensare in modo strategico a come affrontano, valorizzano, costruiscono e ottimizzano le catene del valore.

La pressione sulla filiera dovuta alla pandemia da un lato, le esigenze degli enti regolatori e le tendenze di consumo dall’altro… perché non prendere due piccioni con una fava e rivoluzionare quindi i propri paradigmi e il proprio modo di intendere e di fare business? E quale paradigma economico integra sostenibilità ambientale (e sociale), all’interno di una nuova strategia aziendale meglio dell’economia circolare?

L’economia circolare è un modello economico che si basa sul riutilizzo, la riparazione, il riciclaggio di prodotti e materiali: allungando il ciclo di vita dei prodotti, essa riduce il volume, la velocità e il chilometraggio dei flussi di materiali, offrendo una soluzione contro il moltiplicarsi dei colli di bottiglia nella catena d’approvvigionamento, risparmi sui costi di approvvigionamento delle risorse e una minore esposizione al rischio legato alla volatilità dei prezzi delle materie prime. In sostanza l’economia circolare risponderebbe quindi a tematiche chiave quali la continuità del business e la gestione dei rischi (ambientali e di fornitura), contribuendo altresì a rafforzare la resilienza della filiera.

Come del caso del reshoring, nearshoring o backshoring, anche l’introduzione della circolarità non è però esente da sfide e sicuramente non è un processo a breve termine, in primis perché si tratta di una trasformazione che non può essere compiuta in modo isolato: riconfigurare le supply chain significa sperimentare nuove forme di collaborazione con tutti gli attori coinvolti – ovunque essi siano ubicati ed attuare meccanismi di reverse logistics (logistica inversa o logistica di ritorno) in grado di recuperare i prodotti a fine vita. Sì, perché i prodotti vanno riprogettati, adottando materiali green e biocompatibili così come logiche di durabilità, pensando quindi fin da subito al loro reimpiego e pertanto con caratteristiche tali da permetterne lo smontaggio o la ristrutturazione.

Il reparto acquisti deve lavorare con la squadra di progettazione per identificare i partner delle materie prime per le innovazioni e le tecnologie più adatte. L’approvvigionamento di materiali e tecnologie per prodotti circolari cambia quindi il processo di selezione dei fornitori influenzandone i criteri di valutazione e il modo in cui ci si relaziona con loro. Gestire e mantenere tali collaborazioni richiede tempo e risorse. La logistica inversa che ha l’impatto più diretto sulle catene di approvvigionamento è invece il ritorno dei prodotti dal consumatore finale al produttore: affinché questo modello possa funzionare, le aziende devono poter aver accesso ai loro prodotti a fine vita.
In alcuni settori la gestione della logistica di ritorno dei prodotti è già una realtà per le aziende, grazie a leggi specifiche. È il caso dei prodotti elettronici di consumo, che nell’Unione europea sono regolati dalla direttiva sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (WEEE), la quale obbliga i fabbricanti ad occuparsene a fine vita. Molte aziende di altri settori hanno invece “risolto” il problema promuovendo modelli alternativi di utilizzo, come lo sharing o il pay-peruse, che consentono loro di rientrare in possesso dei prodotti ad utilizzo terminato.

In conclusione, le attuali problematiche della supply chain rappresentano sì una sfida non indifferente per le aziende, ma anche un’opportunità per ripensare il proprio business e rendere la propria filiera più resiliente ma soprattutto più inclusiva.

Il Ticino è una risorsa fondamentale

In questi ultimi mesi molto si è parlato, e si continua a parlare, del settore medicale, soprattutto in relazione alle difficoltà che esso sta riscontrando dopo la decisione del Consiglio Federale di non concludere l’accordo quadro con l’Unione Europea. Tale decisione ha, infatti, portato con sé automaticamente la conseguenza che le aziende del settore hanno perso in un colpo solo il loro accesso fino ad allora privilegiato al mercato europeo, sbocco evidentemente fondamentale per le imprese svizzere.

In effetti, il mercato europeo per le nostre imprese è più importante di quello di Stati Uniti, Cina e Giappone messi insieme. Un posto di lavoro su tre nell’industria medtech svizzera è direttamente legato a mandati che provengono dall’UE.

Per le aziende più grandi, le difficoltà di accesso al mercato europeo sono in parte meno pesanti, poiché esse hanno già punti di riferimento fisici all’interno dello spazio dell’Unione Europea. Il problema è quindi più “facilmente” risolvibile, sebbene vi sia comunque un impatto sui costi. Per le imprese più piccole altre si tratta invece di operare scelte strategiche, ad esempio, quanto alla sede aziendale e alle decisioni sugli investimenti. Con la decisione del Consiglio federale, si complica anche la situazione per l’importazione di prodotti medicali, poiché i fornitori esteri devono soddisfare nuove disposizioni in Svizzera.

Dal punto di vista ticinese, si è parlato poco dell’impatto di tale situazione sul nostro cantone, che ha sul proprio territorio molte realtà aziendali di questo settore. Ne abbiamo parlato con Peter Biedermann, Direttore dell’associazione nazionale Swiss Medtech, che ha deciso di rafforzare la sua presenza in Ticino, proprio a voler sottolineare l’importanza strategica del nostro cantone. E con Giuseppe Perale, Professore e Presidente di Regenera SA, e futuro Presidente della neocostituita sezione cantonale di Swiss Medtech che inizierà le proprie attività nel 2022 con l’obiettivo di essere pienamente operativa nel 2023.

A tale scopo si appoggerà, come molte altre associazioni nazionali, alla Cc-Ti.

Peter Biedermann, Direttore dell’associazione nazionale Swiss Medtech

Peter Biedermann, quali sono state le evoluzioni per il settore in Svizzera in questi ultimi mesi?

In generale l’andamento del settore è leggermente migliorato, anche se non siamo ancora ai livelli di prima della pandemia. Per alcune aziende attive soprattutto nella medicina intensiva e nella diagnostica la crescita è stata importante, ma dall’altra parte la limitazione di interventi chirurgici non indispensabili in tutto il mondo ha colpito anche molti attori del settore del Medtech, riducendone le attività.

La problematica del riconoscimento automatico delle apparecchiature e dei dispositivi medicali svizzeri da parte dell’Unione Europea ha conosciuto qualche sviluppo o siamo ancora fermi?

Purtroppo, siamo molto lontani da una soluzione e il fatto che la Svizzera ora è considerato uno Stato terzo è diventato una dura realtà. Secondo le nostre stime, il mancato riconoscimento automatico della conformità dei nostri prodotti e le relative procedure per ottenere tale conformità hanno comportato, ad oggi, un costo supplementare immediato di 110 milioni di franchi per le aziende elvetiche. A questi vanno aggiunte spese amministrative ricorrenti per circa 75 milioni di franchi. È evidente che, pur non potendo quantificarla in cifre esatte, la perdita di attrattività della Svizzera a medio e lungo termine è innegabile. Questa posizione di Stato terzo e alcune regole restrittive che la Svizzera stessa ha introdotto comportano anche il grande pericolo che si verifichi una strozzatura dell’offerta già nella seconda metà del 2022. Quelli che soffriranno saranno i pazienti. Tutti fatti già segnalati mesi fa e che ora si stanno concretizzando.

La Brexit ha avuto qualche effetto sul settore?

Purtroppo, è stata ed è una complicazione in più. Non sono poche le segnalazioni secondo cui le nuove condizioni per i fornitori in Gran Bretagna iniziano a mostrare qualche effetto negativo. Anche qui vi sono problemi di riconosicmento di conformità, come del resto constatano anche aziende di altri ambiti nel contesto dell’accettazione delle regole sull’origine delle merci. Tutto questo comporta costi supplementari se non si vogliono perdere quote di mercato importanti.

Non è possibile virare su altri mercati?

Dobbiamo essere realisti. L’Unione Europea è e resta un mercato fondamentale, rappresentando quasi il 50% di tutte le esportazioni svizzere, anche se le nostre aziende votate all’esportazione devono giocoforza orientarsi pure in misura maggiore verso i mercati asiatici. Fra questi vi sono in primis la Cina ma anche i Paesi membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN), trattandosi di mercati che conoscono una crescita maggiore rispetto al continente americano o europeo.

Che ruolo svolgono le aziende ticinesi in questo contesto?

Swiss Medtech è una realtà abbastanza nuova a livello associativo e, pur raggruppando circa 700 imprese e oltre 60’000 posti di lavoro, deve ancora estendersi in modo capillare sul territorio. In Ticino sono presenti decine di aziende che lavorano direttamente o indirettamente, completamente o parzialmente nell’ambito del Medtech. Per noi è importante coinvolgerle nelle dinamiche nazionali, perché rafforza la rappresentatività del settore. E da parte delle imprese site in Ticino ci è stata più volte segnalata la necessità di creare un legame diretto con l’associazione nazionale, soprattutto per avere un accesso di prima mano e veloce alle informazioni che concernono il settore. Da qui la decisione di creare nei prossimi mesi un’antenna ticinese di Swiss Medtech. Essa, dopo una fase introduttiva nel corso di quest’anno, sarà pienamente operativa nel 2023, e sarà guidata da Giuseppe Perale, Presidente di Regenera SA e già membro di Swiss Medtech.

Perché appoggiarsi alla Cc-Ti, che sarà la sede operativa di questa antenna ticinese?

I rapporti con la Cc-Ti sono iniziati parecchi anni fa, in piena ristrutturazione del nostro settore, che ha unito due associazioni nel 2017 nell’odierna Swiss Medtech. La Cc-Ti ha già molti associati del nostro settore, ma ci apre anche la rete delle altre Camere di commercio e dell’industria in Svizzera grazie alla sua rete in tutte le regioni del paese. Con questa collaborazione possiamo raggiungere due obiettivi: sostenere le aziende ticinesi con il nostro supporto specialistico e rafforzarne la presenza nel contesto nazionale. È un passo che hanno fatto e stanno facendo diverse associazioni nazionali in collaborazione con la Cc-Ti, per cui anche noi abbiamo ritenuto interessante adottare questo modo operativo. Un’associazione di settore è certamente complementare a quelle già esistenti sul territorio e mira a rafforzare ulteriormente il tessuto economico ticinese.

Quando sarà operativa l’antenna ticinese?

Le decisioni da parte di Swiss Medtech e della Cc-Ti sono state prese, a breve vi sarà l’istituzione formale di un Comitato e poi il Vicedirettore della Cc-Ti, Michele Merazzi, che sarà anche segretario dell’associazione locale, coordinerà le prime attività che, pandemia permettendo, nel 2022 saranno soprattutto momenti informativi per gli addetti ai lavori. Ciò permetterà di calibrare le attività sulle esigenze delle aziende del settore, in modo che nel 2023 si procederà alle varie formalità che permetteranno un’operatività completa e commisurata alle specificità delle imprese ticinesi nel contesto nazionale e internazionale.

La contabilità digitale è un’opportunità da cogliere per le PMI

La contabilità, insieme alla gestione finanziaria di un’azienda, rappresenta uno dei punti chiave nella progettazione strategica e monetaria delle diverse attività a livello economico. Se ad essa allineiamo il progresso tecnologico, emergono nuove e interessanti opportunità. Quali?

Abbiamo risposto a questa domanda nel webinar del 5 ottobre scorso, organizzato dalla Cc-Ti, a cui è intervenuto John Muschietti, Direttore Fidigit SA, introdotto da Lisa Pantini, Responsabile Relazioni con i soci Cc-Ti.

Dal 1400…

La nascita della contabilità si fa risalire a Frà Luca Bartolomeo de Pacioli, frate e matematico italiano che nel quindicesimo secolo, pubblicò per primo un lavoro sulla partita doppia, pilastro fondamentale del sistema contabile contemporaneo.
L’evoluzione del sistema contabile nel tempo è illustrata nel grafico sottostante, che evidenzia le principali operazioni (imputazione, calcolazione e visualizzazione) e i relativi cambiamenti.

… fino ad oggi

Parlando di contabilità digitale si fa inevitabilmente riferimento alla moltitudine di interconnessioni esistenti fra le diverse sezioni di un’azienda. Esistono procedure e strumenti che possono andare a sostenere i processi rendendoli più snelli.

Possiamo citare, ad esempio: lo sviluppo dei pagamenti e l’avvento della fattura QR, che entro un anno sostituirà la polizza di versamento PVR, in attesa dell’adozione definitiva dell’e-bill.
In merito all’archiviazione delle fatture è oggigiorno possibile ricorrere ad archivi digitali a norma di legge che permettono di risparmiare spazio e costi.
L’“Employee self-service”, il cosiddetto portale dei dipendenti, consente di eseguire una pluralità di operazioni, tra cui il rilevamento ore, la manutenzione anagrafica e la visualizzazione dei differenti dossier.
Grazie al supporto dell’intelligenza artificiale, la registrazione delle spese può avvenire in tempo reale, da remoto e in modo totalmente automatico tramite smartphone. Le stesse condizioni valgono anche anche per l’electronic banking, che facilita lo svolgimento delle procedure dal proprio gestionale.
Servendosi di strumenti di Business Intelligence, i dati disponibili sui dispositivi possono essere visualizzati velocemente e in panoramica, per meglio comprendere le proprie attività e conseguentemente adottare strategie mirate.
Lo standard xBRL – non ancora utilizzato in Svizzera a differenza che in altri Paesi come, per esempio, la Germania – ha la funzione di automatizzare l’interazione fra la reportistica aziendale e le sue controparti.

Le possibilità per digitalizzare i processi interni alle aziende sono numerose e diversificate, occorre quindi iniziare a valutarle per tempo, dato il repentino progresso tecnologico. Un partner affidabile e su cui contare per una consulenza mirata è la buona strada da cui iniziare.


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Fuori e dentro casa: una giornata “smart”

Il neologismo Internet delle cose (IoT, acronimo dell’inglese “Internet of things”) fa riferimento all’estensione di Internet al mondo degli oggetti e dei luoghi concreti. Concetto che, fino a poco tempo fa, poteva apparire la trama avvincente di un film futuristico, oggi è invece una realtà concreta in continua evoluzione.
Cosa significa – nello specifico – vivere una giornata smart?

Possiamo incrementare le prestazioni e usufruire delle possibilità offerte dai diversi strumenti che abbiamo in uso, ottimizzando i consumi e permettendo l’integrazione di diverse funzioni interessanti che rendono la nostra vita, più “vita”.
Stare a casa, spostarsi, essere in azienda, sulla strada, in città o in un altro Paese… abbiamo oggi la possibilità di gestire al meglio i nostri progetti e i nostri itinerari.

Abbiamo riflettuto su questo tema e sulle sue numerose sfaccettature durante il webinar del 29 settembre scorso, organizzato dalla Cc-Ti in collaborazione con Swisscom, a cui sono intervenuti Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti; Carmen Lüthi, Formatrice Swisscom Academy; Massimo Redigolo, Head of sales autoSense e Marco Doninelli, Direttore UPSA Ticino.

Nella quotidianità…

Con l’espressione “casa smart” si fa riferimento ad un’abitazione interconnessa, il cui scopo è rendere più facile, piacevole e sicura la vita di chi vi abita.

Grazie ad una singola applicazione per smartphone e alla rete di dispositivi connessi al router tramite WiFi capaci di raccogliere, analizzare e condividere determinate informazioni è per esempio possibile accendere/spegnere luci e apparecchi elettronici, attivare e controllare impianti di sicurezza, monitorare e interagire con il proprio animale domestico, il tutto automaticamente o a distanza in qualsiasi momento con un semplice click.

…per gli spostamenti in auto

La tecnologia (come quella di Swisscom) non si limita però esclusivamente al pacchetto “smart home”, ma con la collaborazione di autoSense (ad esempio) si passa al mondo delle quattro ruote.

autoSense, infatti, fornisce i dati necessari per la creazione di una serie di servizi e vantaggi a favore degli automobilisti. Tra questi, per esempio, la possibilità di usufruire all’interno della vettura della stessa funzione WiFi di cui disponiamo a casa (senza più dover ricorrere all’attivazione dell’Hotspots), la facoltà di gestire in autonomia un diario di bordo digitale o quella di restare in contatto 7/24 con il proprio garage di fiducia che è a conoscenza di tutte le informazioni utili riguardo al veicolo anche in caso di soccorso.
In associazione con l’app Easypark, disponibile in tutta Europa e in 600 città svizzere, è inoltre possibile pagare il parcheggio con il cellulare soltanto per il tempo di sosta realmente sfruttato.

Focus sul settore automobilistico

Rispetto a qualche anno fa la scelta dell’automobile in merito all’aspetto della produzione si è notevolmente ampliata: non più solo benzina o diesel ma anche gas, ibride mild, full o plug-in ed elettriche a batteria o idrogeno. I fattori determinati da considerare al momento dell’acquisto sono molteplici come, per esempio, il numero di km percorsi giornalmente, la possibilità di cui si dispone per fare rifornimento e l’importo che si è pronti a spendere.

Oggigiorno l’elettronica non è più solo al servizio della meccanica nel processo di costruzione dei veicoli ma anche nell’ideazione e progettazione dei software.
E se è vero che al momento la vendita online di vetture rimane poco diffusa a causa della complessità del processo di configurazione, essa verrà agevolata in misura sempre maggiore dalla tendenza a costruire autoveicoli forniti di tutto (sensori, sistemi elettronici, ecc.) con la possibilità per l’acquirente di comprare e attivare comodamente dal proprio domicilio tramite un portatile i servizi che desidera.

La vettura interconnessa

Molteplici sono le applicazioni che attualmente abbiamo a disposizione per gestire da remoto l’automobile. Esse ci consentono di localizzare in qualsiasi momento la vettura, di controllarne lo stato (olio, freni, pneumatici, livello batteria, ecc.) ed eventuali malfunzionamenti (con la relativa organizzazione di servizi di manutenzione) così come di inviare a distanza dei comandi. Si stanno inoltre sviluppando delle app che permetteranno di fare diagnosi a lungo raggio (sulla base, per esempio, dei rumori prodotti dal veicolo) o valutazioni immediate di danni in caso di incidente. Si prevede poi che entro i prossimi due anni lo smartphone rimpiazzerà la chiave di accensione e che in un futuro prossimo l’automobile elettrica fungerà da accumulatore di energia per l’economia domestica. Riguardo al raggiungimento del livello sei della guida autonoma si stima invece – anche in virtù di ragioni giuridiche oltre che tecniche – un’attesa di ancora una ventina d’anni.

Informazioni utili da condividere nelle riflessioni strategiche anche per una PMI o un’azienda che deve gestire il proprio parco veicoli.

Una questione di energia

La necessità dell’approvvigionamento energetico è oggi un argomento da tenere in considerazione.
L’energia serve ad alimentare gli strumenti che utilizziamo nella nostra quotidianità (a livello professionale e personale), resi sempre più performanti ed efficaci, grazie al progresso tecnologico.
Occorre dunque che le discussioni sulle tematiche dell’energia siano condotte con riflessioni che inglobino le diverse forme di produzioni energetiche possibili, senza dimenticare il contesto.


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DOCUMENTI UTILI
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Il Chief Happiness Officer e le organizzazioni positive

È innegabile che nel mondo delle organizzazioni è in atto un cambiamento. In questo contesto storico di grandi sfide sociali, politiche ed economiche sempre più aziende a livello mondiale perseguono, oltre ai risultati di business, degli obiettivi ad impatto sociale positivo. Fioriscono nuovi modelli di economia e di organizzazione di impresa con obiettivi sociali ed ecosistemici. Nelle università più prestigiose come Harvard, Berkeley e Yale vengono proposti corsi inerenti la “Scienza della felicità”.

In un’organizzazione felice, il team lavora per lo stesso obiettivo.

Il benessere e la felicità in azienda sono ormai diventate una necessità per le organizzazioni. Diversi studi e ricerche testimoniano come aumentare il benessere aziendale e la felicità del proprio capitale umano ha un ritorno economico importante. Una recente ricerca ha infatti dimostrato che la felicità e la soddisfazione sul lavoro dei propri collaboratori aumentano la produttività del 12% (Saïd Business School). Per le aziende che desiderano assicurarsi lunga vita e garantirsi il successo si tratta di passare dal modello organizzativo convenzionale al modello culturale delle organizzazioni positive. I vantaggi per le aziende che aderiscono a questo modello sono molteplici: oltre all’aumento della produttività aumentano anche la capacità di innovare (+300%, HRB) e il senso di appartenenza (+44%, Gallup), diminuendo allo stesso tempo il turnover. Se tutto questo non bastasse Shawn Achor (scrittore statunitense conosciuto per la sua filosofia della psicologia positiva) nel suo libro “Il vantaggio della felicità” ci conferma che, dagli studi condotti ad Harvard, la formula che da sempre ci accompagna “Sarò felice quando avrò successo” risulta errata e deve essere costituita con quella opposta: “Avrò successo quando sarò felice”.

Il Chief Happiness Officer

Ma come fare per diventare un’organizzazione positiva e coniugare così business a benessere? È qui che entra in gioco la figura del Chief Happiness Officer (CHO). Questa figura emergente accompagna organizzazioni e aziende nella trasformazione culturale necessaria. Il CHO è un esperto di organizzazioni positive e possiede le competenze e abilità necessarie per accompagnare organizzazioni, team e persone in un processo di miglioramento. Utilizza un approccio integrato che fa interagire tra loro i processi organizzativi, i comportamenti e la cultura aziendale generando coerenza. Il CHO non è quindi un ruolo puramente simbolico ma strategico, per questo motivo è importante che venga riconosciuto nella sua funzione. La sua formazione gli permette di avere una visione dell’organizzazione nella sua complessità per capire e interpretare il suo costante cambiamento. Non dimentichiamo che l’azienda è un organismo vivente in continua evoluzione.

Le organizzazioni positive

“L’organizzazione positiva è un luogo in cui le persone fioriscono in relazione con altre e ottengono risultati individuali e collettivi che hanno senso e superano le aspettative” (D. Di Ciaccio e V. Gendinari, “La Scienza delle organizzazioni positive”). Un’organizzazione positiva ha tra le priorità strategiche il benessere del proprio capitale umano e la positività. A questo punto mi sembra necessario chiarire alcuni elementi chiave della “Scienza della felicità”, delle organizzazioni positive e del CHO. Per prima cosa il capitale umano: il capitale umano non indica unicamente i collaboratori dell’azienda, come spesso erronamente si pensa, bensì tutte le persone che hanno a che fare con l’azienda: fornitori, clienti, stakeholders sul territorio. Questo significa avere una visione di insieme che permetta di scegliere, disegnare e gestire pratiche e processi che generino positività, felicità e benessere.

La definizione di felicità a cui siamo abituati a pensare è quella di un momento di piacere in relazione con fattori esterni, la teoria della felicità edonica. C’è però un’altra teoria studiata dalla Scienza della felicità, ed è la felicità eudaimonica. Una felicità cioè che può e deve essere ricercata e costruita in modo volontario, scegliendo alcune pratiche e allenandole con costanza nel tempo. È in quest’ottica che la felicità entra in azienda.

Un altro mito da sfatare è che la felicità dei collaboratori passa unicamente da quelle pratiche rivolte direttamente al loro benessere, che è sicuramente una cosa necessaria ma non basta. Bob Chapman (CEO di Barry-Wehmiller) dice: “La figura del capo è più importante per la salute di quanto lo sia il medico di base. Se miglioriamo le relazioni sul lavoro ci ammaliamo meno e ci guadagniamo tutti.”

I leader sono infatti delle figure fondamentali, non esistono organizzazioni positive senza leader positivi. Il CHO accompagna i leader a diventare leader positivi in grado di sostenere e guidare i collaboratori e l’azienda.

I leader positivi saranno poi in grado di creare relazioni di fiducia con i collaboratori, favoriranno la crescita personale e la responsabilità di ognuno. Infine anche l’idea che per realizzare questo
cambiamento occorrano grossi investimenti finanziari è da smentire. Per fare sentire i propri collaboratori partecipi, coinvolti, soddisfatti non sono necessari grossi investimenti ma bastano alcune pratiche ben calibrate e costantemente monitorate. Ricordiamoci inoltre che per innescare un cambiamento così importante è necessario procedere a piccoli passi e con tempi adeguati. Sebbene la neoplasticità del cervello sia dimostrata occorre però dagli il tempo necessario per adeguarsi. Forzare un cambiamento culturale significa andare incontro ad un fallimento.

Il CHO è preparato, conosce i livelli evolutivi e sa portare i giusti cambiamenti adeguandoli all’azienda in cui opera e ne controlla costantemente l’effetto. Se per le grandi organizzazioni occuparsi della felicità in azienda è ormai una scelta necessaria, per le piccole e medie imprese un CHO quale consulente, che operi a stretto contatto con i leader, si può rivelare una scelta vincente.


La top ten dei Paesi più felici al mondo

Le Nazioni Unite hanno stilato una classifica composta dalle Nazioni più felici al mondo, che si distinguono per condizioni di vita e felicità diffusa tra gli abitanti. È quanto emerge dal “World Happiness Report”, dove la Svizzera si classifica al terzo posto, dopo Finalandia e Danimarca. In questo documento si analizzano 158 nazioni e tiene conto di diversi fattori, quali: reddito pro-capite; aspettativa di vita; tasso di criminalità e corruzione; livello di istruzione e tasso di occupazione.


Approfondimento sul tema
Nelle risorse umane definiamo normalmente tre “pilastri” che abbracciano questa disciplina: il team building, la formazione e il benessere del dipendente. Quando questi tre elementi sono allineati possiamo parlare di «azienda felice». La Cc-Ti ha dedicato un webinar a questo tema lo scorso luglio. È possibile rivedere l’evento e approfondire quanto emerso tramite questo link.

Articolo a cura di Monica Garbani-Nerini, CHO e collaboratrice del Segretariato CFC / FSEA

Indicazioni utili

Una raccolta di informazioni per le aziende relative alla situazione d’emergenza Covid-19. Articolo aggiornato periodicamente.


Raccomandazioni dell’Ufficio Federale della salute pubblica

Promemoria e liste di controllo per la sicurezza e la tutela della salute sul posto di lavoro
Comportamento corretto da assumere in azienda per evitare contagi da Covid-19
Ordinanza 2 sui provvedimenti per combattere il coronavirus (COVID-19)

Materiale informativo: per la sensibilizzazione delle aziende

Un flyer informativo e un video esplicativo preparati dalla Divisione dell’Economia del Canton Ticino per sensibilizzare le aziende sul tema ‘lavoro & Covid-19’.

Certificazione aziendale/autocertificazione per lavoratori frontalieri

Certificazione aziendale (esempio)

Collaboratori italianiAutocertificazione del dipendente (ITALIA) – Certificazione datore di lavoro (ITALIA)

Nel documento, che deve essere firmato dal cittadino e dall’operatore di polizia, chi vuole spostarsi deve indicare che il viaggio è determinato da una di queste quattro motivazioni: “Comprovate esigenze lavorative; situazioni di necessità; motivi di salute; rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza”. Se i riscontri delle forze dell’ordine saranno negativi scatterà la denuncia che prevede l’arresto fino a tre mesi e una denuncia per reati dolosi contro la salute pubblica.

Consigli di viaggio e rappresentanze – entrata in Svizzera dall’estero

Coronavirus: entrata in Svizzera
Entrata in Svizzera – Modulo di notifica del test dopo 4-7 giorni

L’applicazione “Travel – Admin”
Sito del Dipartimento federale degli affari esteri DFAE – Raccomandazioni del Consiglio federale

AIL introduce la dilazione dei pagamenti

Più tempo per saldare le bollette, consumi stimati e Contact Center sempre a disposizione: il Contact Center è sempre a disposizione della clientela al numero di telefono 058 470 70 70, dal lunedì al venerdì (08:30 – 12:00 e 13:30 – 17:00) e per email.

Modifica temporanea dell’ordinanza sulla firma elettronica

Comunicato stampa – Amministrazione federale

Nuove procedure inerenti le prestazioni assistenziali e gli assegni familiari integrativi e di prima infanzia (AFI/API)

Comunicato stampa – Dipartimento della sanità e della socialità

Segreteria di Stato della migrazione SEM

Aggiornamenti e news

Assicurazione svizzera contro i rischi delle esportazioni

Comunicato stampa del Consiglio federale del 12.8.2020

Uso delle mascherine nello spazio pubblico – infografica

Ritrovate l’articolo con tutti i dettagli aggiornati sulle informazioni per le aziende

Gamification e Serious Game: l’innovazione è una questione di contesto

Sarebbe esistito il genio innovatore di Leonardo Da Vinci senza il Rinascimento, periodo in cui le arti, la filosofia e l’economia, sono rifiorite dopo la profonda crisi del XIV secolo? Sarebbe riuscito Albert Einstein ad elaborare la teoria della relatività senza la crisi del Positivismo di fine ‘800? Che cosa avrebbero prodotto i vari Bezos, Gates, Jobs, Larry Page, Sergey Brin senza la Silicon Valley?

Come in una sliding door, ripensiamo alle stesse persone tolte dal contesto di riferimento, eremiti in montagna o un’isola deserta, senza le influenze del loro tempo: sicuramente non avrebbero fatto la storia e l’innovazione avrebbe preso strade diverse e avrebbe avuto protagonisti differenti. Così come non ci sarà mai innovazione senza un ambiente, un periodo storico e culturale che ne favorisca la nascita, allo stesso modo sarà difficile che manager, collaboratori o team portino innovazione senza un’azienda che crei loro il contesto adeguato.

Come può un’azienda creare un contesto che favorisca l’innovazione?

Innanzitutto, è necessario chiarire che per innovazione s’intende l’introduzione, per la prima volta nel sistema economico, di nuovi prodotti, servizi, processi, modelli di business che portino un concreto beneficio a chi ne usufruisce. Non necessariamente la loro invenzione. Steve Jobs, non inventò la tecnologia touch screen (già esistente dagli anni ‘70) ma l’applicò per risolvere un problema specifico: come eliminare i numerosi e piccoli tasti in uso nei cellulari della concorrenza (ad esempio il Blackberry) e rendere un telefonino meno complesso da utilizzare. La tecnologia touch era solo una delle possibili soluzioni alternative, non l’unica. Alcuni concorrenti avevano scartato la tecnologia scelta dalla Apple optando per soluzioni differenti fino a spingersi ad affermare: “chi mai comprerà un telefono senza tastierino?” Se l’innovazione attiene all’implementazione, esiste un momento precedente in cui le soluzioni vengono generate, pensate, ideate, un momento in cui è necessario trovare più soluzioni possibili, anche quelle che possono essere ritenute contrarie al buon senso. Lo scopo della creatività è fornire più soluzioni possibili, quello dell’innovazione implementare quella che genererà verosimilmente un beneficio per gli utilizzatori. Se le idee non vengono create o sono di scarsa qualità non avremo risultati dal punto di vista dell’innovazione. Quindi, per avere innovazione, è necessario formare un contesto organizzativo che affermi la cultura della creatività basata sull’apertura mentale, sulla propensione a correre il rischio di sviluppare idee a prima vista irrealizzabili o folli, sull’accettazione e valorizzazione dell’errore e sulla sospensione momentanea del giudizio per evitare che le idee muoiano sul nascere.

Che ruolo hanno la gamification e i “serious games” nella realizzazione di un contesto creativo?

Negli ultimi anni, soprattutto con lo sviluppo delle applicazioni mobile, si è assistito alla massiva introduzione nelle aziende di strumenti di gamification, intendendo con questa definizione le tecniche volte alla creazione di situazioni tipiche dei giochi (l’assegnazione di punti, il procedere per livelli, l’utilizzo di feedback) in contesti slegati dall’esperienza ludica (per esempio in procedure lavorative).

I serious game hanno una struttura ed uno scopo differente. Lo scopo di creare situazioni e scenari in cui i partecipanti possono confrontarsi e interagire per imparare o raggiungere obiettivi comuni, come acquisire abilità e competenze, raggiungere una migliore comprensione di un certo fenomeno o problema e creare le relative e possibili soluzioni. Entrambi gli strumenti, soprattutto se integrati, possono contribuire a creare contesti dove, grazie ad un corretto bilanciamento fra intrattenimento, simulazione e apprendimento, le persone, i team e le organizzazioni possano essere motivate a creare soluzioni, nuove idee o progetti.

Come possono la gamification ed in particolare i “serious games” creare un clima utile ai processi creativi?

Per rispondere a questa domanda si può far riferimento al serious game LEGO® Serious Play®. Negli anni ‘90 Johan Roos e Bart Victor, allora docenti presso l’IMD Business School di Losanna, una tra le più importanti business school del mondo, lavorarono sul concetto del gioco seriocon lo scopo di abilitare i manager a sviluppare in maniera alternativa le loro attività e a praticare la creatività e l’innovazione attraverso l’immaginazione. Nacque una metodologia dove, grazie ai mattoncini Lego, era possibile realizzare un’atmosfera creativa applicata ai problemi concreti delle aziende, dove tutti i partecipanti potevano contribuire al processo di problem solving portando le proprie idee e soluzioni.

LEGO® Serious Play®,così come altre attività di gioco serio, portano concreti benefici. Un contesto rilassato in cui si svolgono le attività: tutti i partecipanti esprimono la propria immaginazione in un clima sereno e collaborativo privo di giudizio e censure; un ambiente quindi di divertimento con delle ripercussioni immediate sul cervello che viene pervaso da grandi quantità di endorfine e di dopamina che aumentano la creatività e la concentrazione e, in generale, le prestazioni.

Si viene a creare quello che lo psicologo Mihály Csíkszentmihályi, nella sua teoria del flusso, nomina “stato di flow” ovvero una condizione caratterizzata da un totale coinvolgimento dell’individuo: focalizzazione sull’obiettivo, motivazione intrinseca, positività e gratificazione nello svolgimento di un particolare compito. Stato di flow, divertimento e apprendimento diventano così gli elementi costituenti del contesto creativo all’interno del quale si sviluppano liberamente le idee e dove vengono poste le basi per l’innovazione, così come il Rinascimento, la Silicon Valley e il Relativismo hanno fatto per le innovazioni che sono passate alla storia.


Articolo a cura di Davide Proverbio, Partner Prowork International Swiss