Le smart-car, automobili intelligenti e connesse

Da telefono (phone) a smartphone. Da automobile (car) a smart-car. È possibile paragonare lo sviluppo dei telefonini a quello delle automobili?

Come vedremo di seguito sicuramente sì. Fino a qualche decennio fa con i telefoni si poteva unicamente comunicare a voce con l’interlocutore dall’altra parte del cavo (o dell’etere nel caso dei cellulari). Fino a qualche anno fa con le automobili ci si poteva spostare da un luogo all’altro. Con gli smartphone di oggi si può fare molto di più che semplicemente interagire verbalmente. Grazie a dei telefoni ricchi di sensori e sistemi di comunicazione, le diverse app che possiamo installare ci permettono di sfruttare una serie di funzioni che spaziano dalla navigazione satellitare all’accendere o spegnere la luce di casa e perfino a gestire la salute personale. Nel campo dell’automobile, ma anche in quello dei veicoli utilitari, sta avvenendo la stessa evoluzione.

Nel futuro prossimo, ma in alcuni casi è già realtà, le automobili nuove messe in commercio disporranno di tutta una serie di sensori e accessori già installati di fabbrica, ma che, in alcuni casi, non saranno attivi. Per poterne sfruttare tutte le potenzialità, il proprietario del veicolo potrà acquistare le rispettive app dal fabbricante che, durante la notte quando il veicolo non viene utilizzato, le installerà da remoto e, come per magia, il giorno seguente saranno perfettamente funzionanti e attivate. Le app per automobili attivabili con questa tecnologia possono spaziare da svariati servizi che riguardano la vettura stessa, come ad esempio il sistema di navigazione satellitare, le sospensioni adattive, il cruise-control adattivo o i sedili riscaldabili, ma anche a servizi a sostegno del conducente e dei passeggeri come l’assistenza in caso di panne o incidente, la funzione di concierge che permette di ricercare e riservare ristoranti e Hotel o ancora la gestione della flotta di veicoli aziendali per le aziende di grandi dimensioni.

Come è stato per i telefonini, anche per le automobili, questo cambiamento epocale nel modo di pensare e quindi progettare gli oggetti porterà indubbi vantaggi per i consumatori. Da semplici mezzi di trasporto le automobili diventeranno delle estensioni delle nostre abitazioni o dei nostri uffici. Se un tempo, prima di partire per un viaggio eravamo obbligati a pianificare il percorso consultando una cartina a casa, oggi semplicemente saliamo in auto e, grazie ai comandi vocali, dettiamo l’indirizzo di destinazione alla nostra auto e in pochi secondi il percorso migliore viene calcolato e memorizzato. Se poi lo vogliamo, l’automobile stessa ci propone dei luoghi d’interesse da vistare che si trovano sulla via per la destinazione finale.
Grazie ai servizi di concierge non dovremo nemmeno preoccuparci di cercare e riservare l’Hotel, basterà chiamare il nostro assistente personale attraverso il collegamento internet della vettura e lui provvederà per noi. Se per esempio la destinazione del viaggio sarà verso l’estremo nord dell’Europa, dove le temperature sono molto basse, nessun problema, tramite l’accesso personale al portale internet collegato al nostro veicolo, possiamo acquistare per un solo mese l’opzione dei sedili e del volante riscaldati.
Il gioco è fatto: non patiremo il freddo per tutta la durata del viaggio.

Per giungere a questi traguardi il mondo dell’automobile sta attraversando una vera e propria rivoluzione come mai è avvenuto nel passato. Se un tempo lo sviluppo delle auto era prettamente legato al petrolio e all’acciaio (non che in questo momento lo sviluppo tecnico delle auto si sia fermato!) e l’informatica era al servizio della meccanica, oggi sono i programmatori di software che fanno la parte del leone nei reparti di sviluppo delle grandi fabbriche. Prova ne è la notizia apparsa sulla stampa a livello mondiale: un importante costruttore di auto giapponese ha assunto in questi ultimi mesi oltre mille ingegneri programmatori di software. Dietro a questi cambiamenti se ne nascondo altri che scopriremo nei prossimi anni. Il primo e più importante sarà la commercializzazione delle automobili nuove solo attraverso la vendita online scavalcando così i concessionari locali come li conosciamo ora. Tutto questo sarà possibile grazie appunto ad automobili costruite in maniera standardizzata dove solo colore esterno e pochi altri accessori potranno essere scelti del cliente al momento dell’ordinazione in fabbrica. Il resto, come abbiamo visto prima, potrà essere acquistato o noleggiato per un breve periodo anche in seguito come avviene con le app dello smartphone.

Il ruolo dei concessionari sarà comunque fondamentale, da venditori di automobili si trasformeranno in consulenti per l’acquisto dell’automobile corrispondente alle esigenze del cliente e in agenzie di consegna della vettura, nonché gestori di tutti i servizi ad essa connessi. L’utilizzo futuro dell’automobile non sarà quindi più limitato a solo mezzo di trasporto per andare da un luogo a all’altro, ma diventerà uno strumento polifunzionale di mobilità individuale.

Introduzione d’IA nel quotidiano delle aziende

L’intelligenza artificiale (IA) è ormai un tema attuale che viene promosso a più riprese da molte parti. Questo perché il potenziale di questa tecnologia è molto alto e sta trasformando il modo di vivere e lavorare di tutti al pari di altre tecnologie (chi riuscirebbe a immaginare il proprio lavoro oggi senza Internet?). I progressi più importanti per le aziende nel campo dell’IA sono stati realizzati negli ultimi anni e stanno ancora accadendo. In mezzo a questo turbine di informazioni, è di aiuto conoscere esempi concreti di cosa è attualmente implementato per identificare eventuali opportunità per la propria azienda.

Come ogni potenziale innovazione, questa ha senso essere implementata solo se il vantaggio che ne deriva è maggiore dello sforzo necessario per implementarla. È quindi utile tracciare a grandi linee la propria strategia aziendale così da confrontarla con le possibilità esistenti e riconoscere in quale area esplorare l’introduzione di questa tecnologia e dove questa porta maggiori vantaggi: se si è una ditta che lavora su grandi volumi con una forte pressione sui margini, l’IA può aiutare ad automatizzare processi già altamente standardizzati o identificare opportunità nascoste di ottimizzazione. Per altre, l’IA aiuta a posizionarsi in maniera più competitiva sul mercato, a mantenere una posizione di leadership o a espandere il proprio mercato.

Un’opportunità è l’IA impiegata per consentire ai robot di percepire e rispondere al loro ambiente: questo aumenta notevolmente la gamma di funzioni che i robot possono svolgere.

Oggi vediamo per esempio l’utilizzo di robot in aree usate da persone per automatizzare il trasporto di materiale all’interno di un edificio. Questo è un grande progresso che permette di introdurre robot laddove questi erano prima esclusi per questioni di sicurezza. Su un piano più strategico, l’IA può aiutare un’azienda a definire i prezzi per i propri prodotti e servizi con una maggiore precisione, basandosi sui dati passati, così come l’andamento dei mercati e le caratteristiche individuali dei propri clienti. Basandosi sull’analisi dell’esperienza passata, l’IA suggerisce o fissa i prezzi più adatti così da poter ottimizzare il volume di vendita o i margini senza compromettere la propria concorrenzialità, come è stato provato dall’industria del turismo e delle vendite al dettaglio che ne fanno un uso costante.

L’introduzione di IA presuppone la volontà di un’azienda di iniziare una trasformazione che permetterà di valorizzare al massimo le qualità del proprio personale. L’IA può servire da supporto nell’esecuzione di compiti complessi che richiedono rapidità e precisione. Coinvolgere nel modo corretto fin dal principio le persone toccate permette di evitare resistenze e di ottenere risultati che possono superare le aspettative iniziali.

È il caso di una clinica romanda che ha introdotto l’IA per migliorare la gestione del proprio servizio di pronto soccorso. Ogni emergenza è un fatto unico e spesso inaspettato. Quando però si è deciso di esplorare l’opportunità di introdurre l’IA, un’analisi dei dati delle urgenze, combinato con altri dati disponibili sul mercato, ha permesso di notare correlazioni interessanti. Sulla base di ciò si è allenata un’IA capace di predire in tempo reale e con un’accuratezza che supera il 90% il numero di visite al servizio di pronto soccorso della giornata, così come il tipo di emergenza di ogni visita. Questo ha permesso di allocare le risorse in maniera più efficiente in quanto la clinica non è più vittima dell’inaspettato, ma può prepararsi e programmare la giornata in funzione di quanto già previsto. La partecipazione del personale coinvolto ha permesso di tradurre questo vantaggio in un miglioramento di tutte le attività che erano prima impattate dall’incertezza delle urgenze, nonché di far leva su questo successo ed espandere l’uso dell’IA per gestire e prevedere l’andamento in maniera minuziosa della degenza dei propri pazienti. L’attività si è trasformata dal dover principalmente reagire ad avvenimenti inaspettati all’ottimizzare la cura di ogni paziente sulla base di previsioni attendibili.

L’IA inizia ad essere quasi d’obbligo laddove la sua introduzione è iniziata prima di altri settori. È importante scegliere per l’implementazione di queste soluzioni dei fornitori specializzati nel settore specifico. I migliori offrono infatti l’esperienza necessaria per elaborare una soluzione che permetta di portarsi al passo con la concorrenza più avanzata e far emergere il vantaggio che un’azienda offre.

Un altro esempio è l’utilizzo dell’IA per migliorare il controllo qualità di produzioni industriali di componenti meccaniche. Si è in grado di identificare una serie di sensori che analizzano ad una velocità altissima (così da non rallentare le macchine) ogni pezzo prodotto, così da assicurare l’identificazione di eventuali difetti che avrebbero richiesto altrimenti un’analisi più lenta con dei metodi magari più dispendiosi. L’IA è stata allenata ad analizzare tutte queste informazioni e a identificare i pezzi che non corrispondono agli standard richiesti. Grazie alla combinazione delle informazioni analizzate, l’IA è in grado di identificare il pezzo difettoso e di creare un modello tridimensionale che mostra il difetto identificato. Questo permette di aumentare drammaticamente la qualità del prodotto offerto, così come l’impiego dell’esperienza degli specialisti, che possono concentrarsi in attività a maggiore valore aggiunto.

L’IA porta con sé il potenziale trasformativo che hanno portato altre rivoluzioni tecnologiche, il che può però creare rischi legali. Se l’IA viene implementata senza considerare quali sono le conseguenze più ampie legate alla regolamentazione in vigore così come alle aspettative delle persone che ne sono toccate, come per esempio i propri clienti, fornitori, dipendenti o le autorità con cui una ditta collabora, le ripercussioni legali e sulla reputazione e possono essere importanti. Questo perché le questioni legali ed etiche da considerare sono molteplici e complesse, e solo una conoscenza approfondita di questi aspetti combinati con una comprensione profonda del funzionamento dell’IA permette di identificare dove risiede il maggiore potenziale, quali sono le best practices da seguire e quali sono i rischi da evitare.

Un tipico esempio di ciò è l’introduzione di strumenti che permettono di monitorare la propria infrastruttura informatica per identificare e segnalare eventuali minacce. La sicurezza informatica è ormai considerata una delle responsabilità inderogabili della direzione, in quanto i dati e sistemi collegati all’infrastruttura digitale sono di vitale importanza per una ditta e richiedono una protezione elevata da attacchi sempre più sofisticati. Sistemi di monitoraggio basati sull’IA, allenati nello spazio di 24 ore sulle caratteristiche specifiche di una ditta, permettono di identificare attività che si discostano dalla normalità nel giro di manciate di minuti, al posto di giorni, così da poter reagire immediatamente non solo ad attacchi informatici, ma anche a minacce che emergono dall’interno, quale l’utilizzo di servizi non sicuri o addirittura il tentativo di danneggiare la ditta. È però fondamentale analizzare quali dati possono essere raccolti e come possono venire analizzati, così da non incorrere nel rischio di ledere i diritti dei dipendenti e dei propri clienti. La scelta del provider è anche influenzata dai requisiti di sicurezza imposti dal particolare campo d’attività del cliente.

Bisogna infine avere sempre un occhio puntato ai costi e le questioni pratiche legate all’implementazione dell’IA. Come menzionato all’inizio, l’effetto dell’adozione di strumenti IA è moltiplicato se inserito all’interno di una strategia digitale che permette di sfruttare al massimo l’effetto trasformativo che la digitalizzazione dei processi porta con sé. Prevedere una rivoluzione interna del modo di lavorare in poco tempo spesso porta a un’esplosione di costi e ritardi continui. È quindi consigliabile iniziare con piccoli passi, adottando piccole soluzioni che permettono una prima esperienza con questa tecnologia senza dover investire troppe risorse. Il successo di queste iniziative serve come trampolino di lancio per una graduale evoluzione della propria attività mantenendone gli elementi più preziosi.

L’IA può essere introdotta ovunque ed offre magnifiche opportunità. Tuttavia, la scelta dell’iniziativa più adatta, del provider giusto, così come il coinvolgimento delle persone toccate e la pianificazione dei vari aspetti specifici a questa tecnologia è fondamentale per garantire un’esperienza positiva e quindi valorizzare appieno il proprio potenziale.


Abbiamo parlato di “Esempi pratici d’Intelligenza Artificiale nel quotidiano delle aziende” nel primo webinar di settembre della Cc-Ti, a cui hanno assistito una cinquantina di partecipanti.
Sono intervenuti Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti – che ha portato il saluto di benvenuto e fatto un’introduzione al tema – e Prisca Quadroni-Renella e Mauro Quadroni, Avvocati, Partner fondatori della AI Legal & Strategy Consulting SA.

L’approfondimento sul tema è a cura dei relatori del webinar.


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Mobilità sostenibile: auto elettrica, sì, ma…

La mobilità personale fa parte della vita quotidiana di tutti noi. Vuoi per lavoro o per svago, quasi ogni giorno dobbiamo spostarci dal nostro domicilio per distanze più o meno lunghe.

La conformazione del nostro territorio, purtroppo, in alcuni casi rende complesso il solo utilizzo dei mezzi di trasporto pubblici che, è doveroso dirlo, hanno fatto passi da gigante per migliorare la loro efficienza e la fruibilità da parte della popolazione. Anche l’impegno di diverse aziende di offrire ai propri collaboratori soluzioni di trasporto collettivo per il tragitto casa lavoro, non sono sempre attuabili.

Ecco allora che entra in gioco la responsabilità individuale per la scelta del mezzo di trasporto privato o aziendale.

Sfatiamo subito un mito: non esiste una soluzione unica per tutti. Di principio, pensando alla mobilità sostenibile e tralasciando l’andare a piedi o in bicicletta che per distanze relativamente importanti non possono essere prese in considerazione, viene subito da dire prendiamo un’auto elettrica. L’idea è sicuramente buona in quanto le emissioni di un veicolo di questo genere sono praticamente nulle almeno a livello locale. Poi, andando più a fondo della questione, bisogna chiedersi se effettivamente anche la produzione dell’energia elettrica necessaria a caricare le batterie della nostra vettura è a emissioni zero. Purtroppo, anche se in Svizzera buona parte dell’energia elettrica è prodotta da fonti rinnovabili, come l’idro-elettrico e il fotovoltaico, una buona parte di energia viene prodotta o importata da fonti non rinnovabili e inquinanti quali il nucleare o le centrali a carbone. Un altro, e forse più importante fattore di valutazione che va affrontato nel decidere di acquistare un veicolo elettrico, è se effettivamente sarà possibile caricare le batterie in maniera semplice ed efficace.

La situazione attuale delle stazioni di ricarica pubbliche e private non è assolutamente soddisfacente. Per quanto riguarda la rete pubblica di colonnine di ricarica, sebbene abbastanza ampia, è ancora nettamente insufficiente a soddisfare un probabile aumento delle vetture elettriche in circolazione. Nel privato la situazione è ancora più complessa: chi abita in un condominio non sempre può installare una stazione di ricarica nel proprio parcheggio, come pure chi abita in un centro villaggio ed è costretto a lasciare l’auto in un parcheggio pubblico non ha la possibilità di ricaricare la propria auto. Anche chi possiede una propria abitazione deve valutare bene l’acquisto di una vettura elettrica, non sempre l’impianto elettrico è in grado di sopportare il carico maggiore necessario alla ricarica delle batterie.


Rileggi l’articolo “Focus su una nuova mobilità”

Deduzione delle spese di ricerca e di sviluppo

Quale Paese dall’alto tenore di vita e dagli elevati prezzi (“Hochpreisinsel”) dal dopoguerra la Svizzera è costretta, soprattutto per le sue ditte esportatrici, a puntare sui settori ad alto valore aggiunto e alla continua innovazione dei prodotti e dei processi. Infatti, la Confederazione è uno dei Paesi che, rispetto al loro PIL, più investono nella ricerca e lo sviluppo (in seguito anche “R&S”).

Secondo alcuni studi, l’economia privata sostiene oltre i due terzi dei costi del settore R&S svizzero, che si attestano al momento a circa 22 miliardi di franchi, cioè più di 3 percento del PIL.

Con la Legge federale concernente la riforma fiscale e il finanziamento dell’AVS (in seguito “RFFA”) è stata creata agli articoli 10a e 25a della Legge federale sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni (in seguito “LAID”) la base legale per consentire ai Cantoni di maggiorare la deduzione per le spese di R&S fino a concorrenza del 50% di quest’ultime. Si tratta di un’incentivazione dal lato input delle spese di R&S (mentre l’incentivazione dal lato output è promossa attraverso il Patent box).

Trattandosi di una facoltà e non di un obbligo imposto ai Cantoni, il Legislatore ticinese non era tenuto a recepire questa nuova deduzione fiscale.

In modo molto lungimirante, il nostro Legislatore ha però intuito il potenziale attrattivo di questo nuovo incentivo per l’innovazione e ha colto questa occasione al volo. Con la Riforma fiscale cantonale di adeguamento della Legge tributaria cantonale alla RFFA, sfruttando al massimo i margini di manovra concessi dalla LAID, sono stati così introdotti nella Legge tributaria cantonale (in seguito “LT”) i nuovi articoli 30a e 73a LT che permettono l’ulteriore deduzione per spese di R&S (cosiddetta “superdeduzione R&S”).

Nelle prossime righe cercheremo di descrivere le caratteristiche principali di questo nuovo importante incentivo fiscale e in quali condizioni esso possa essere d’interesse per le PMI ticinesi.

Funzionamento della superdeduzione (o deduzione maggiorata)

Secondo le nuove disposizioni di legge, in vigore dal 1° gennaio 2020, la superdeduzione R&S è concessa solo al contribuente che ne fa richiesta all’autorità di tassazione competente. Non si tratta infatti di un costo che può essere registrato nella contabilità commerciale, ma di una deduzione nel calcolo (extracontabile) delle imposte.

L’agevolazione in questione consiste in una deduzione fiscale supplementare quantificata in ragione di un importo pari al 50% delle spese di R&S giustificate dall’uso commerciale e sostenute in Svizzera direttamente dal contribuente stesso o indirettamente da terzi.

Non tutte le spese che, a prima vista, potrebbero sembrare di R&S qualificano per il calcolo della superdeduzione. Infatti, secondo l’art. 73a cpv. 3 LT, per quanto riguarda le spese sostenute dal contribuente stesso, possono essere considerate solo le spese, sostenute in Svizzera, per il personale direttamente imputabili alla R&S, a cui si aggiunge un supplemento pari al 35%di queste spese, fino a concorrenza delle spese complessive del contribuente.

Per spese per il personale sono da intendersi i costi aziendali di personale (salari e oneri sociali) purché si tratti di collaboratori effettivamente attivi nella R&S. Non qualificano, per esempio, i costi del personale che svolge funzioni di management, attività amministrative, di produzione, di vendita, ecc. Con il supplemento del 35% sulle spese per il personale si tiene conto in modo forfettario delle altre spese di R&S, quali p.es. i costi di materiale, gli investimenti, i costi delle attrezzature di ricerca o per i servizi ecc.

Per quanto concerne le spese di R&S indirettamente sostenute da terzi, cioè fatturate al contribuente da mandatari esterni, la norma di legge consente l’applicazione della superdeduzione R&S per l’80% dell’importo addebitato per attività di R&S, purché tale attività sia stata effettuata da società del gruppo o da terzi su suolo svizzero.

Da notare che ai fini del calcolo della ulteriore deduzione del 50% è possibile aggiungere alle spese qualificanti del proprio personale del settore R&S l’80% delle spese di R&S fatturate dai mandatari esterni. Inoltre, nel caso in cui sia il mandante che il mandatario siano residenti in Svizzera e abbiano entrambi diritto alla agevolazione, per evitare una doppia deduzione, il Legislatore ha previsto che solo la persona che ha conferito il mandato di R&S abbia diritto alla relativa deduzione, che pertanto non potrà essere fatta valere dal mandatario.

L’interesse per le PMI ticinesi

Si può calcolare che, sfruttando al massimo la superdeduzione R&S e tenuto anche conto della norma sulla limitazione dello sgravio fiscale (art. 73b LT), una società di capitali con sede a Lugano possa ridurre la propria aliquota sull’utile effettiva da circa 18.31% fino a circa 10.35%.

In linea di principio dovrebbe essere più agevole la possibilità di fare valere la superdeduzione R&S rispetto al Patent box. Quest’ultimo è infatti concesso solo in relazione agli utili netti da brevetti e diritti analoghi, mentre la superdeduzione R&S non presuppone l’ottenimento di un brevetto.

Eppure, la possibilità di far valere la superdeduzione R&S non è aperta a tutte le aziende. Infatti, la tipologia di ricerca che qualifica per la deduzione maggiorata per le attività di R&S è limitata alla ricerca scientifica e all’innovazione fondata sulla scienza ai sensi dell’art. 2 della legge federale sulla promozione della ricerca e dell’innovazione. In altre parole, qualificano per l’agevolazione le spese che riguardano la ricerca fondamentale, la ricerca orientata all’applicazione e l’innovazione fondata sulla scienza. Con quest’ultima sono da intendersi lo sviluppo di nuovi prodotti, procedure, processi e servizi per l’economia e la società, ma non la ricerca sostenuta per il lancio dei prodotti sul mercato e la loro valorizzazione (p. es. il marketing). Sapere individuare le spese che qualificano per la superdeduzione R&S costituisce una delle maggiori sfide per le PMI.

Per poter fare valere la superdeduzione l’azienda, a cui spetta l’onere della prova secondo le regole generali, dovrà pertanto potere dimostrare, oltre che il calcolo della deduzione, anche la natura delle attività svolte e perciò dovrà tenere a disposizione dell’autorità fiscale idonea documentazione di supporto.


Articolo a cura di Peter A. Jäggi, Avv. Esperto fiscale dipl. fed., LL.M., Jäggi & Scheller SA, Lugano

In azienda arriva il pompiere digitale

Per anni la sicurezza informatica è stata menzionata in ogni occasione pubblica, senza però trovare poi la giusta attenzione da parte di chi, nelle sedi opportune, decide gli investimenti aziendali strategici.

È sempre stata considerata come una disciplina di secondo ordine, da ricondurre alla voce “altri ed eventuali” durante le riunioni dei consigli di amministrazione.
Insomma, qualcosa di necessario ma non così importante. Questa è la fotografia da cui partire per lasciarsi alle spalle ciò che è stato e per guardare al futuro con grande ottimismo, e soprattutto per cogliere le prossime innumerevoli opportunità. Per farlo è necessario un’inversione di marcia, che apra la strada a una nuova concezione di sicurezza informatica.

Per molto tempo gli addetti alla cybersecurity aziendale hanno cercato di convincere manager e amministratori delegati di quanto fosse importante cambiare passo, aggiornando le competenze, le strategie e anche gli strumenti. Infatti, in molte realtà permangono tutt’ora le ultime sacche di percezione che la sicurezza informatica – la cybersecurity – sia unicamente una questione di strumenti e non di processi. In particolare, in diversi la ritengono ancora una questione puramente informatica, piuttosto che un’attitudine continua e condivisa, necessaria a garantire la sicurezza dei dati e delle infrastrutture critiche di tutta la filiera produttiva. Lo scenario che ci attende nei prossimi mesi richiede quindi attenzione, e va proprio in questa direzione. È senza dubbio ricco di novità e cambiamenti ai quali non sarà più possibile abdicare.

Il primo cambiamento in atto riguarda l’approvazione da parte del Parlamento svizzero, avvenuta il 20 settembre 2020, della revisione totale della nuova legge sulla protezione dei dati (LPD). Una nuova legge che focalizza l’attenzione sulla trattazione dei dati personali, includendo implicitamente molte indicazioni strettamente legate alla sicurezza delle informazioni.

Il secondo, invece, chiama in causa l’approccio generale alla gestione della sicurezza informatica, che dal 2018 la Confederazione svizzera ha adottato a livello nazionale: il National Institute of Standards and Technology (NIST) Cybersecurity Framework (CSF). Un insieme di indicazioni riconosciute a livello internazionale e già adottate in Europa con il
GPDR, suddivise in cinque funzioni operative (recuperare, identificare, proteggere, rilevare, rispondere e recuperare), utili per le aziende e le pubbliche amministrazioni – ma anche per i privati cittadini – per misurare il proprio livello di sicurezza infrastrutturale. La visione della strategia è molto chiara: uniformare quanto più possibile, tra i Paesi comunitari e la Svizzera, la gestione della nuova cybersecurity. In questo modo si potrà usufruire di molteplici vantaggi, per esempio, 1) disporre della medesima interpretazione di trattamento del dato personale; 2) seguire il medesimo framework di riferimento per la messa in sicurezza dei dati e delle instratutture critiche. Tutto ciò assume ancor più valore per un Cantone di frontiera come il nostro.

Il terzo elemento da includere nella cesta dei cambiamenti in corso è il numero crescente di attacchi informatici, come è stato dimostrato dalle recenti statistiche pubblicate dalla Polizia cantonale.

Ecco perché, in funzione delle cinque fasi proposte dal NIST per la gestione dei rischi informatici, entra in gioco un nuovo alleato molto utile non più solo in fase repressiva, ma anche in fase preventiva: l’informatica forense.
Questo nuovo approccio consente all’azienda di impiegare le conoscenze e le competenze messe in campo dall’informatica forense per la gestione postuma di un incidente informatico, anche nella fase di definizione delle strategie di difesa cyber, rinforzandole e rendendole proporzionate e adeguate al business aziendale, più complete, resilienti e oculate per ottenere un piano di risposta agli incidenti di tipo interdisciplinare.

Un modus operandi che migliora i crismi di sicurezza di tutto il perimetro aziendale, alloccando le giuste risorse affinché che non si esauriscano con l’installazione di strumenti e piattaforme, bensì diventino processi agili costantemente attivi in ogni punto della filiera produttiva dalla progettazione alla vendita del prodotto. La somma di tutti questi elementi porta così alla luce un nuovo paradigma per la gestione della sicurezza informatica del prossimo futuro. A questo proposito però è opportuno fare chiarezza anche sulla figura professionale che dovrà occuparsi di queste attività.

Spesso in passato abbiamo parlato dell’importanza di disporre in azienda di un hacker etico, una figura tecnicamente preparata per cercare le vulnerabilità tecniche e i punti di accesso pericolosi per violare le infrastrutture critiche e impossessarsi dei dati sensibili senza commettere reati. Ma spesso la rappresentazione dell’hacker, seppur etico, ha trovato molti timori e reticenze da parte di chi, in azienda, riconduce questa figura a una persona incappucciata davanti a una serie di monitor dislocati nello scantinato di casa.

Forse è opportuno cogliere l’onda dei cambiamenti in atto, per inserire metaforicamente una nuova figura professionale, che per sua natura non spaventi. L’emblema per eccellenza di coloro che con competenza, reazione, responsabilità e disponibilità sono chiamati a risolvere problemi ed emergenze. Una figura che appartiene al mondo della sicurezza, e che posta nel mondo della cybersecurity assume le vesti del pompiere digitale.

Chissà, forse è la volta buona per cancellare definitivamente dalla voce “altri ed eventuali” la parola cybesecurity nella sua vecchia accezione, per inserirla trasversalmente come opportunità lungo tutto il piano strategico aziendale.


Articolo redatto da

Alessandro Trivilini, Responsabile del Servizio di informatica forense SUPSI e membro del Gruppo cantonale strategico CyberSicuro

Focus su una nuova mobilità

L’impegno delle imprese per supportare la mobilità è accertato. Sono infatti numerose le attività delle aziende del territorio volte a favorire gli spostamenti per i tragitti ‘casa-lavoro-casa’ dei propri dipendenti, con proposte aziendali strutturate e concrete. La gestione della mobilità è fondamentale per stare al passo con l’evoluzione sociale ed economica del nostro Cantone.

© Cherkas shutterstock.com

Nel corso dell’ultimo lustro si sono moltiplicate azioni atte a conciliare trasporto, viabilità e vivibilità del territorio, con misure e incentivi privati e pubblici; favorendo la nascita di una consapevolezza che non vede più il binomio ‘traffico & ambiente’ come antitetico.

Fra i modelli di mobilità sostenibile vi sono proposte, per esempio, quali il car pooling, il car sharing, le navette aziendali, i park&ride spari per il territorio, ecc…

Possiamo anche citare – quale esempio – la “Centrale della mobilità” (nata una decina d’anni fa quale alternativa alle soluzioni di mobilità per il percorso casa-lavoro) che da tempo con consulenze e supporto, identifica le misure più adatte in ambito di mobilità per ogni azienda e svolge l’accompagnamento alla realizzazione delle stesse. L’attività spazia su tutto il territorio cantonale. In una decina d’anni sono state create 9’386’889 itinerari di viaggio e mezzi alternativi fra trasporto pubblico, bici, car pooling e navette aziendali.

Promuovere una mobilità aziendale con servizi di supporto alle imprese per sostenerle nella ricerca di migliori soluzioni mirate, creando sinergie e la potenziata offerta di trasporto presente sul territorio. Puntare ad una mobilità sempre più sostenibile nell’ottica di una visione d’insieme dove cooperano all’ottimizzazione della situazione più attori in modo responsabile e concertato. Come? Il sistema economico da un lato e lo Stato dall’altro. Unitamente ai Comuni e ai cittadini. Ognuno deve dare il proprio contributo in un contesto di sforzo coordinato, altrimenti le soluzioni che si possono trovare e che funzionanti in determinate realtà possono risultare incomplete, parziali o inadeguate in altre.

Analizzando diversi vettori per soluzioni combinate, si prospetta oggi uno scenario interessante che vede numerose alternative valide al ‘solo’ trasporto motorizzato, con l’entrata in funzione di AlpTransit e della galleria di base del Ceneri in modo completo ad inizio aprile 2021.

Tema complesso che necessita un approccio differenziato, concertato e innovativo, che approfondiremo con diverse riflessioni nel corso dei prossimi mesi.

E tu, azienda, che piattaforma di video call utilizzi?

L’esplosione del fenomeno delle video conferenze è strettamente legata a diversi fattori correlati alla pandemia mondiale dovuta a Covid19. La necessità delle aziende di mantenere i dipendenti connessi tra loro, la relazione a distanza con partner, clienti o fornitori, senza dimenticare la didattica a distanza per i più giovani, sono tutti elementi che hanno portato a dover impostare sempre più le relazioni attraverso uno schermo.

Si definisce “videoconferenza” una riunione tra persone residenti in luoghi diversi, anche molto lontani, nella quale le parti chiamate in causa possono interagire non solo a parole ma anche in video. Va da sé che la conferenza in video sia in grado di ridurre drasticamente i costi e le perdite di tempo che spesso si riscontrano quando si organizza un incontro in presenza fisica.

Un limite da subito evidenziato riguarda invece l’assenza o il quasi totale azzeramento della comunicazione non verbale: la gestualità e la prossemica non sono premiate da questo tipo di strumenti in quanto l’attenzione del partecipante va divisa tra la moltitudine di dettagli che presenta una schermata del PC e quindi anche solo l’occhio fatica a concentarsi su un singolo punto.

Uno “zoom” sui 3 sistemi di videoconferenza più diffusi

Sono stati sviluppati molti sistemi di videoconferenze che permettono ai team di lavorare e interfacciarsi anche a distanza. Essi consentono di mantenere e rafforzare relazioni lavorative e di portare a termine progetti, anche complessi. Abbiamo analizzato i sistemi di videoconferenza più comuni e commercializzati, dopo averli utilizzati al nostro interno e per conto di alcuni clienti. I parametri di valutazione comprendevano la semplicità di utilizzo, la flessibilità per le diverse applicazioni e l’accessibilità anche in condizioni di rete non performante.

Zoom, secondo un recente studio,è la piattaforma per videoconferenza più utilizzata ed è rinomata per la capacità di gestire grandi numeri (fino a 1’000 partecipanti gestiti da più host). La sua grande diffusione è dettata da due principali fattori: la semplicità d’uso e l’immediatezza. Una volta scaricata l’applicazione desktop, si può partecipare ad una call dopo aver ricevuto l’invito e il codice univoco, il quale scadrà alla fine della videoconferenza. Gli organizzatori hanno la possibilità di decidere i permessi per i singoli partecipanti e a loro volta i partecipanti possono decidere, se non sono stati fissati dei vincoli, di attivare o disattivare il video e possono personalizzare la loro esperienza direttamente nelle Impostazioni. Zoom permette inoltre di poter gestire i contenuti multimediali durante la condivisione dello schermo: quando un host condivide una presentazione può anche dare la possibilità a un partecipante di modificare i contenuti di tale presentazione, creando così un’interazione live.

Google ha recentemente reso disponibile gratuitamente a tutti (almeno fino a settembre 2020) il suo famoso Google Meet Hangouts, un tempo destinato solo agli utenti business. La caratteristica più importante di Hangouts Meet è di interfacciarsi e lavorare con tutti gli altri strumenti Google, per cui si sincronizza con Google Calendar e lo si può utilizzare simultaneamente sia su desktop che su mobile, rendendo più facile la mobilità. Google Hangouts Meet permette di gestire riunioni virtuali fino a un massimo di 250 persone.

Microsoft mette a disposizione un sistema di videoconferenza all’interno della sua suite Teams, per permettere a tutti gli utenti che dispongono di accesso alla suite di partecipare a calls e meeting. Una derivazione data dalla decennale esperienza con Skype, che può definirsi il fratello maggiore per anzianità, ma anche la controparte minore in quanto a funzionalità. Si partecipa ai meeting che vengono organizzati all’interno di stanze specifiche alle quali appartengono tutti coloro che lavorano su un progetto o che fanno parte di un’azienda, i quali hanno anche a disposizione delle bacheche dove tenere traccia dei progetti e organizzare il lavoro. I meeting sono accessibili tramite un codice di accesso e possono essere sia con che senza video; durante una videoconferenza si possono condividere file e documenti e condividere lo schermo. Siccome Teams può gestire un numero molto alto di utenti, sia gratuitamente che a pagamento, anche alle videochiamate all’interno di Teams possono partecipare un numero ampio di persone.

La gestione della privacy

Parecchi sono i dubbi sollevati recentemente riguardo la gestione della privacy da parte di questi sistemi di videoconferenza. Può accadere ma esistono precauzioni facilmente implementabili per evitare che ciò accada o almeno minimizzare i rischi. Come prima cosa conviene definire una password di accesso per permettere ai partecipanti di accedere alla propria videoconferenza. Secondariamente bisognerebbe invitare i partecipanti ad analizzare le proprie impostazioni di condivisione. Infine è sempre saggio proteggere il proprio PC con antivirus adeguati.


© della fotografia: Andrea Pavan

Articolo a cura di

Beatrice Perruzzo, Assistente di Direzione, EMME SA

L’importanza di coinvolgere i dipendenti nell’innovazione

Quale nuovo modello di business? Si può pensare al percorso di innovazione come ad un viaggio in autobus. L’approccio del St. Gallen Business Model Navigator può essere un percorso d’innovazione per la vostra azienda.

Prendiamo l’esempio per eccellenza, utilizzato in qualsiasi ambito parlando di innovazione: la Kodak. L’azienda leader mondiale per le pellicole fotografiche si è ritrovata in un breve lasso di tempo a fronteggiare una crisi dovuta all’avvento della fotografia digitale che l’ha condotta al fallimento. Forse non tutti sanno però che la Kodak ha iniziato a studiare la fotografia digitale e ha brevettato il primo prototipo di macchina fotografica digitale già negli anni ’70. Come mai allora non ha saputo vincere questa sfida? Tra i fattori più importanti vi sono da una parte l’errata valutazione della percentuale di persone che sarebbe passata alla fotografia digitale e dei tempi di adozione della nuova tecnologia e, dall’altra parte, il timore legato a quello che gli anglosassoni chiamano reskilling e quindi a come riqualificare e reimpiegare le persone che si occupavano della fotografia analogica.

Le PMI ticinesi

In scala molto più piccola, questi fattori sono sovente presenti anche nelle PMI e provocano purtroppo una certa rigidità di fronte a innovazione o cambiamento, se non a una completa immobilizzazione. Una capacità importantissima, quando si parla di innovazione delle aziende, è quella di saper far dialogare le componenti generazionali. Giovani neo assunti e dipendenti presenti da molti anni in azienda non necessariamente guardano allo stesso modo il cambiamento e sono guidati dalle stesse leve motivazionali.

Sapersi confrontare con le differenti generazioni significa capire quali siano le differenze tra di esse. Se in passato era ad esempio generalmente accettata una regola gerarchica molto forte dall’alto verso il basso, i giovani riconoscono oggi sicuramente ancora una gerarchia, ma guardano spesso ai superiori come mentori e vengono maggiormente riconosciuti valori come quello dell’autorevolezza a scapito di una più fastidiosa autorità. Vi sono inoltre differenze legate alla durata media di permanenza nelle aziende. Oggigiorno, per un giovane che si affaccia al mondo del lavoro, prende in considerazione che avrà probabilmente diversi datori di lavoro durante l’arco della propria vita professionale. Si può pensare al percorso di innovazione come ad un viaggio in autobus. Il cambiamento di direzione è deciso dal vertice dell’azienda ma per dare la necessaria stabilità nel periodo in cui si introducono i cambiamenti è necessario riuscire ad avere a bordo tutti i dipendenti. Un cambiamento può infatti destabilizzare regole, abitudini e metodologie di lavoro consolidate negli anni. Sarà quindi tanto più importante, in una primissima fase, assicurarsi di aver dialogato per tempo con tutti i passeggeri in modo costruttivo. Nelle fasi di cambiamento bisogna tener conto che qualcuno di loro non si riconosca più nell’impresa e chieda di scendere. Così come altri, attratti dalla nuova direzione dell’autobus, possano essere motivati a chiedere di salire.

Maggiori informazioni sul St. Gallen Business Model Navigator e le 55 Pattern Cards: attraverso questo QR code è possibile acquistare il libro curato da Roberto Pezzoli “The Business Model Navigator”
Articolo a cura di Roberto Pezzoli, Direttore e Partner di Gruppo Multi SA

Nasce il primo nodo di un Internet Exchange in Ticino

Anche la Cc-Ti ha partecipato il 25 settembre al lancio della piattaforma, con la presenza e l’intervento del proprio Direttore Luca Albertoni.

È stata inaugurata lo scorso 25 settembre 2019, alla presenza del Direttore della Divisione dell’economia Stefano Rizzi e del Direttore della Cc-Ti Luca Albertoni, il primo nodo Internet Exhange del Ticino. Situato presso il Data Center dell’azienda Moresi.com a Melano, il nodo ticinese è il nono in territorio svizzero di SwissIX, l’associazione elvetica, neutrale e senza scopo di lucro, che opera l’Internet Exchange.

Un Internet Exchange Point o IXP è infatti una piattaforma condivisa grazie alla quale diversi operatori, siano essi fornitori di Servizi Internet (ISP), vettori di telecomunicazioni (carrier), erogatori di contenuti online, e altre tipologie di enti e aziende del territorio, possono interconnettersi e accordarsi per scambiare traffico Internet in modo libero. In questo modo si ottimizzano gli scambi, aumentando l’efficienza e la velocità delle connessioni a banda larga, abbattendone anche i costi di accesso, per offrire agli utenti un servizio migliore.

«Ancora una volta il nostro Cantone si arricchisce di un valore aggiunto – afferma Luca Albertoni, Direttore della Cc-Ti. La Camera di commercio del Cantone Ticino tiene particolarmente a sottolineare questa iniziativa privata che valorizza ulteriormente lo sviluppo tecnologico sul nostro territorio. La stabilità e l’interconnessione delle reti è un elemento essenziale per garantire la competitività delle nostre aziende nel contesto nazionale e internazionale» .

Nel suo intervento Stefano Rizzi, Direttore della Divisione dell’economia del Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE), ha sottolineato come il primo nodo di un Internet Exchange in Ticino sia un importante passo in avanti per un Cantone che punta sull’innovazione e sulla tecnologia quali concetti cardine della propria strategia di sviluppo economico.

«Siamo orgogliosi di poter ospitare presso la nostra infrastruttura il primo IXP in Ticino – ha affermato Nicola Moresi, CEO di Moresi.com – Dal nostro punto di vista si tratta di portare avanti un impegno che, come azienda, abbiamo con il nostro territorio. Questo Internet Exchange Point agevolerà la ridondanza e la neutralità della rete internet, con grandi benefici per tutti, anche in termini di sicurezza: il traffico locale, infatti, potrà restare entro i confini nazionali e del cantone».

Attivato l’Internet Exchange Point, i passi successivi saranno quelli di collegarlo con altri data center e coinvolgere enti e realtà del territorio affinché possa diventare una piattaforma di collaborazione fruttuosa: un punto di partenza per lo sviluppo tecnologico di tutto il Canton Ticino.

Inventare o innovare?

Non è necessariamente la stessa cosa. La storia conta una quantità infinita di invenzioni. Solo alcune di esse hanno però dato una spinta all’innovazione. Ma cosa significa oggi innovare?

Il verbo “Innovare” e tutte le sue possibili declinazioni, è tra i più in voga. Preceduto forse da “digitalizzare” e affini. Viviamo in un’epoca  caratterizzata dal facile accesso alle informazioni di tutti i generi e, paradossalmente, al rilancio spesso superficiale di quelle che ci paiono di maggior effetto e al successo mediatico di quelle che i più preferiscono ascoltare. Un’epoca apparentemente in grado di archiviare nuove idee con una velocità disarmante e che rischia di volgarizzare il concetto di “innovativo”.

In realtà i ritrovati tecnologici che abbagliano quasi quotidianamente i nostri stupiti sguardi, sono per lo più invenzioni. Molte delle quali veramente strabilianti e non necessariamente legate esclusivamente alla storia contemporanea. Già più di un secolo fa, l’economista austriaco Joseph Alois Schumpeter (1883 – 1950) sottolineava la differenza tra “invenzione” e “innovazione”. Se la prima può produrre idee o prodotti talvolta geniali, la seconda ne fa seguire l’applicazione pratica e la conseguente diffusione commerciale, certificante un determinato livello di utilità. Il primo passo non porta automaticamente al secondo. E viceversa. Molto spesso il nuovo, l’inaspettato, il dirompente, emerge cambiando semplicemente prospettiva. Analizzando un’organizzazione aziendale, un processo o un servizio già esistenti, possiamo immaginarli in una rappresentazione grafica in cui ruotiamo la visuale, agendo su un’asse mai considerato prima d’ora.

Ma come introdurre elementi di innovazione nella propria attività? Il metodo più efficace prevede il ricorso a risorse esterne. Un consulente o un coach, in grado di organizzare un lavoro di gruppo extra-muros, può aiutare ad analizzare la situazione da punti di vista diversi, andando oltre gli schemi predefiniti e trovando spunti per nuovi concetti. Una formula spesso vincente è rappresentata dal Co-Creation Workshop, una forma collaborativa che può aprire scenari inaspettati e, allo stesso tempo, migliorare la coesione del gruppo di lavoro.

Essere innovatori, oggi più che mai, è saper mettere in discussione abitudini consolidate, visualizzare elementi apparentemente insignificanti e lasciarsi alle spalle paradigmi dogmatici. Il tutto a patto che non manchi l’elemento più indispensabile di tutti: una sana curiosità per ciò che non conosciamo.

Testo redatto da
Carlo Secchi, Sales Director Swisscom (Svizzera) SA Enterprise Customers, Bellinzona