Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.
Il periodo delle vacanze è appena trascorso. Si spera nel migliore dei modi. Sì, perché può anche succedere che durante un viaggio all’estero capitino imprevisti con strascichi legali. È quello che è successo a una coppia di ginevrini che aveva acquistato un viaggio in India “tutto compreso”.
Tra le varie prestazioni incluse nel pacchetto vi era pure il trasferimento in automobile con autista privato da un aeroporto indiano fino all’hotel dove i turisti avrebbero pernottato. Dell’esecuzione di tale trasporto era stata incaricata un’agenzia locale. Purtroppo nel tragitto il veicolo che trasportava la coppia si è però scontrato con un camion. L’incidente ha avuto esiti letali per la moglie, mentre il marito ha riportato ferite gravi.
A seguito di questi eventi il superstite ha chiesto all’agenzia svizzera organizzatrice del viaggio il risarcimento per il torto morale subito a causa della perdita della moglie. La Legge federale concernente i viaggi “tutto compreso” prevede una particolare responsabilità dell’organizzatore. In sostanza l’organizzatore o il venditore contraente sono responsabili nei confronti del consumatore della buona esecuzione del contratto, indipendentemente dal fatto che essi stessi o altri prestatori debbano fornire i servizi. Il cliente deve però provare che l’organizzatore ha commesso un’inadempienza contrattuale. Nel caso in oggetto non è stato possibile stabilire le cause dell’incidente stradale in India.
Di fronte all’impossibilità di trovare una soluzione tra le parti, il litigio è stato portato davanti alle competenti autorità giudiziarie. In ultima istanza il Tribunale federale ha sottolineato che per grave che sia, un’incidente della circolazione non può rappresentare di per sé una violazione del contratto imputabile all’organizzatore del viaggio. Per questa ragione, e in assenza di ulteriori prove sulla dinamica dell’incidente, i giudici hanno pertanto respinto la richiesta di risarcimento del marito.
Sentenza 4A_396/2018
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2019/01/ART19-Michele-Rossi-ufficiale.jpg20193166Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-09-24 15:37:312021-09-24 15:37:32Responsabilità dell’organizzatore di viaggi “tutto compreso” per un incidente stradale all’estero?
Le prestazioni transitorie (entrate in vigore il 1° luglio 2021) sono tese a garantire la copertura del fabbisogno vitale delle persone che hanno perso il lavoro poco prima di raggiungere l’età di pensionamento, fino al momento in cui possono riscuotere la rendita di vecchiaia.
Si tratta di prestazioni in funzione del bisogno, che vengono calcolate analogamente alle prestazioni complementari all’assicurazione per la vecchiaia e per i superstiti (AVS) o all’assicurazione invalidità (AI). I disoccupati che hanno esaurito il diritto all’indennità dell’assicurazione contro la disoccupazione dopo i 60 anni e non riescono a conseguire un reddito sufficiente possono ricevere prestazioni transitorie fino al pensionamento. Queste prestazioni, finanziate dalla Confederazione e versate dai Cantoni, constano della prestazione transitoria annua, che viene versata mensilmente e del rimborso delle spese malattia e d’invalidità.
Possono ricevere le prestazioni transitorie le persone che:
esauriscono il diritto all’indennità di disoccupazione nel mese in cui compiono i 60 anni di età o successivamente;
sono stati assicurati all’AVS svizzera per almeno 20 anni, di cui almeno cinque dopo aver compiuto i 50 anni di età, e hanno conseguito un determinato reddito da attività lucrativa (una persona deve aver guadagnato 21’510 franchi all’anno -75 % di 28’680 franchi- per poter esercitare il diritto alle prestazioni transitorie -importi per il 2021-);
dispongono di una sostanza non superiore a 50’000 franchi (persone sole) o 100’000 franchi (coppie sposate), senza tener conto delle abitazioni ad uso proprio;
sono domiciliate e dimorano abitualmente in Svizzera o;
hanno spese riconosciute superiori ai redditi computabili (condizione economica).
Non ricevono le prestazioni transitorie le persone che:
hanno diritto a una rendita dell’AVS o dell’AI (il coniuge ha un diritto proprio alla PC);
hanno esaurito il diritto all’indennità di disoccupazione prima del compimento dei 60 anni;
hanno esaurito il diritto all’indennità di disoccupazione prima del 1° luglio 2021.
Le persone che giungono alla scadenza del diritto tra il 1° gennaio 2021 e l’entrata in vigore della presente legge hanno diritto a prestazioni transitorie ai sensi della presente legge, purché soddisfino le condizioni di concessione di cui all’art. 5 LPTD.
Quali prestazioni sono versate e come sono suddivise?
Le PTD comprendono:
una prestazione transitoria annua, versata mensilmente
il rimborso delle spese di malattia e d’invalidità
A quanto ammontano le prestazioni transitorie?
Le prestazioni transitorie sono fissate in funzione del bisogno e versate fino a un importo massimo annuo di 44’123 franchi per le persone sole e di 66’184 franchi per le coppie sposate (limite massimo delle prestazioni transitorie). Per le spese di malattia e d’invalidità sono rimborsati annualmente al massimo 5’000 franchi per le persone sole e 10’000 franchi per le coppie sposate, fino al raggiungimento dell’importo massimo delle prestazioni transitorie.
Richiesta delle prestazioni transitorie
Si può esercitare il proprio diritto alle prestazioni transitorie con una richiesta all’organo esecutivo competente del luogo di domicilio. Per le persone domiciliate in uno Stato dell’UE o dell’AELS è competente l’organo esecutivo dell’ultimo luogo di domicilio in Svizzera. Per il Cantone Ticino esiste un apposito formulario scaricabile dal sito internet dell’Istituto delle assicurazioni sociali.
Per le persone che non sono mai state domiciliate in Svizzera è competente l’organo esecutivo del luogo della sede dell’ultimo datore di lavoro. Ci si può rivolgere agli organi esecutivi anche per ricevere i moduli ufficiali per la richiesta, che possono essere inoltrati dalla persona richiedente, dal suo rappresentante legale o da un parente stretto. L’organo esecutivo competente comunica per iscritto la decisione concernente le prestazioni transitorie. La persona interessata può fare opposizione. Come devo procedere per la richiesta del rimborso delle spese di malattia? Bisogna inviare o consegnare presso la ricezione dell’Istituto delle assicurazioni sociali, Via Ghiringelli 15a, 6501 Bellinzona, gli originali delle fatture o dei conteggi della propria Cassa malati.
Quando inizia e quando finisce il diritto alle prestazioni transitorie?
Il diritto alle prestazioni transitorie nasce in linea di principio dal mese in cui viene presentata la richiesta e sono adempiute le condizioni per il versamento. Il diritto si estingue alla fine del mese in cui il richiedente:
• non adempie più una delle condizioni;
• ha il diritto di riscuotere anticipatamente la rendita AVS (62 anni per le donne e 63 per gli uomini), se dagli accertamenti dell’organo esecutivo competente risulta prevedibile che al raggiungimento dell’età ordinaria di pensionamento avrà diritto alle prestazioni complementari; o
• raggiunge l’età ordinaria di pensionamento.
Le richieste di prestazioni transitorie vengono trattate dalle Casse cantonali AVS.
Il formulario di richiesta per il Cantone Ticino, denominato “Formulario domanda di PTDA” è scaricabile dal presente link: https://bit.ly/3xFDLmR
Il modulo «Prestazioni transitorie per anziani disoccupati» è disponibile sul sito web del Centro d’informazione AVS/AI: www.ahv-iv.ch; Link opuscolo: www.ahv-iv.ch/p/5.03.i
Per maggiori informazioni ci si può rivolgere ai competenti organi esecutivi, che di regola sono ubicati presso la cassa di compensazione del Cantone di domicilio: www.avs-ai.ch.
Fonte: 5.03/i, edizione giugno 2021
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2021/08/ART21-disoccupati-anziani.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-08-11 11:44:422021-08-11 11:44:43Prestazioni transitorie per i disoccupati anziani
The leading commercial dispute resolution institution in Switzerland.Efficient, reliable, and impartial administration of arbitration and other alternative dispute resolution (ADR) since 1866.
Taking effect at the end of May 2021, the Swiss Chambers’ Arbitration Institution (SCAI) has been converted into a Swiss limited company and renamed Swiss Arbitration Centre Ltd (the Swiss Arbitration Centre). The Swiss Arbitration Association (ASA) takes the lead as majority shareholder, working closely together with the Swiss Chambers of Commerce, which will continue to support the Swiss Arbitration Centre as shareholders and through their extensive networks. The reorganization ensures that users will continue to be served at the highest standard in the future.
The conversion of SCAI into the Swiss Arbitration Centre does not affect the validity of existing arbitration or mediation agreements referring to SCAI or any cantonal Chambers of Commerce.
The Board of Directors of the Swiss Arbitration Centre is composed of four members nominated by ASA (Bernhard Berger of Kellerhals Carrard in Bern as President, Domitille Baizeau of Lalive in Geneva as Vice President, Pierre-Yves Gunter of Bär & Karrer in Geneva, and Gabrielle Nater-Bass of Homburger in Zurich) and three members nominated by the Chambers of Commerce of Basel, Bern, Central Switzerland, Geneva, Neuchâtel, Ticino, and Zurich (Andreas Meier, Chamber of Commerce of Basel, Regine Sauter, Chamber of Commerce of Zurich, and Vincent Subilia, Chamber of Commerce, Industry and Services Geneva).
A partire dalla fine di maggio 2021, l’istituto di arbitrato delle Camere svizzere (SCAI) è stato convertito in una società per azioni svizzera e ribattezzatoSwiss Arbitration Centre Ltd (il Centro svizzero di arbitrato). L’Associazione svizzera di arbitrato (ASA) assumerà la guida come azionista di maggioranza, lavorando a stretto contatto con le Camere di commercio svizzere, che continueranno a sostenere il Centro svizzero di arbitrato come azionisti e attraverso le loro ampie reti. La riorganizzazione garantisce che gli utenti continueranno a essere serviti ai più alti standard anche in futuro.
La conversione di SCAI in Centro Arbitrale Svizzero non pregiudica la validità degli accordi arbitrali o di mediazione esistenti riferiti a SCAI o ad eventuali Camere di Commercio cantonali.
Il Consiglio di amministrazione del Centro svizzero di arbitrato è composto da quattro membri nominati dall’ASA (Bernhard Berger di Kellerhals Carrard a Berna come presidente, Domitille Baizeau di Lalive a Ginevra come vicepresidente, Pierre-Yves Gunter di Bär & Karrer a Ginevra e Gabrielle Nater-Bass di Homburger a Zurigo) e tre membri nominati dalle Camere di commercio di Basilea, Berna, Svizzera centrale, Ginevra, Neuchâtel, Ticino e Zurigo (Andreas Meier, Camera di commercio di Basilea, Regine Sauter, Camera di commercio di Zurigo, e Vincent Subilia, Camera di Commercio, Industria e Servizi di Ginevra).
Per maggiori dettagli: Avv. Michele Rossi, Responsabile Arbitrato e mediazione, T +41 91 911 51 30, rossi@cc-ti.ch e Monica Foglia, Collaboratrice Arbitrato e mediazione, T +41 911 51 28, foglia@cc-ti.ch.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2021/07/ART21-swiss-arbitration-1.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-07-29 06:07:002021-07-29 15:29:53Welcome to the Swiss Arbitration Centre
Il Coronavirus con il quale siamo purtroppo confrontati da oltre un anno e mezzo non pone solo difficili questioni di gestione della sanità, degli aspetti sociali ed economici, ma presenta inevitabilmente anche molti aspetti di rilevanza giuridica. Come ampiamente previsto e prevedibile, la vaccinazione e un eventuale obbligo di sottoporvisi non fanno eccezione.
Anzi, è un tema molto delicato che ci accompagnerà nei prossimi mesi. Alcuni paesi, Francia in testa, proprio in questi giorni hanno iniziato a introdurre un obbligo di vaccinazione, inizialmente per il personale sanitario, ma vi è da credere che la discussione si estenderà anche ad altri ambiti, visto che comunque è già stata ventilata l’ipotesi che chi non è vaccinato nei prossimi mesi avrà una forte limitazione delle sue libertà, per cui si sfiora abilmente di fatto l’obbligatorietà generale per tutti. Qui non si tratta di dare giudizi, ma semplicemente di chiarire quali sono le basi legali oggi applicabili a questo tema.
1. Mondo del lavoro e vaccinazione
In generale, va rilevato che la legge federale del 28 settembre 2012 sulle epidemie, LEp, RS 818.101), e più precisamente l’articolo 22, prevede quanto segue:
“Se esiste un pericolo considerevole, i Cantoni possono dichiarare obbligatorie le vaccinazioni di gruppi di popolazione a rischio, di persone particolarmente esposte e di persone che esercitano determinate attività.”
Come si traduce questo nel contesto del mondo del lavoro, in assenza (finora) di un obbligo imposto dallo Stato?
La vaccinazione è considerata un modo efficace per controllare il Coronavirus e nel rapporto di lavoro evidentemente può assumere una certa rilevanza anche per evitare le assenze per malattia o per quarantena, la diffusione del virus, in un contesto di protezione per dipendenti e clienti. Si pone quindi in primo luogo la questione di sapere se vi sono le basi legali sufficienti ad oggi per il datore di lavoro di ordinare una vaccinazione obbligatoria e chiedere ai dipendenti se sono stati vaccinati.
Partiamo dal principio che nel quadro dell’attività lavorativa il datore di lavoro ha il diritto di impartire istruzioni, come previsto dall’art. 321d del Codice delle obbligazioni, per quanto riguarda l’esecuzione del lavoro.
Questa base legale è sufficiente per prevedere un obbligo generalizzato di vaccinazione per i dipendenti? Il fatto di poter disporre unilateralmente delle istruzioni sull’esecuzione del lavoro e il comportamento in azienda sembra aprire uno spiraglio in questo senso. Tuttavia, questo diritto va esercitato in modo ponderato, tenendo conto degli interessi dei dipendenti e deve avere un rapporto fattuale o funzionale con l’attività professionale svolta.
2. Vaccinazione obbligatoria solo in casi eccezionali?
Non esiste un potere generale per il datore di lavoro di ordinare la vaccinazione obbligatoria dei dipendenti, anche sulla base del diritto di dare istruzioni. Occorre valutare caso per caso. Maggiore è l’interesse operativo del datore di lavoro riguardo alla vaccinazione, tanto più grande sarà la probabilità che il diritto alla vita privata del dipendente e quindi la sua libertà di scelta sul vaccino possano essere limitati. L’obbligo di vaccinare i (singoli) dipendenti dell’azienda deve quindi essere reso necessario dall’attività professionale e solo se non vi è altra misura possibile per impedirlo.
È possibile ritenere che queste misure alternative siano costituite dagli elementi essenziali del concetto di protezione, come il regolare lavaggio delle mani con sapone, la regolare disinfezione delle mani e delle attrezzature di lavoro e l’uso di dispositivi di protezione (maschere, guanti, protezione degli occhi, tute protettive, ecc.).
3. Obbligo di vaccinazione e piani di protezione
Una vaccinazione obbligatoria ordinata dal datore di lavoro può essere attuata quando è necessaria per l’applicazione di un concetto adeguato e completo di protezione. Inoltre, la vaccinazione obbligatoria può essere giustificata se i dipendenti hanno contatti regolari o sono fisicamente vicini a persone che appartengono a un gruppo a rischio (ad esempio persone che soffrono di alcune malattie cardiache, malattie polmonari e respiratorie croniche, cancro, malattie renali, malattie del fegato o diabete). Nelle professioni sanitarie e di assistenza, la vaccinazione obbligatoria è ipotizzabile per le persone che hanno un contatto diretto con queste persone vulnerabili. Benché, nel contesto sanitario, la strategia di vaccinazione punti piuttosto a vaccinare queste persone particolarmente vulnerabili il più presto possibile, per cui la vaccinazione obbligatoria del personale curante dovrebbe essere l’eccezione piuttosto che la regola.
4. Obbligo di vaccinazione e viaggi all’estero
La questione dell’obbligo di vaccinazione assume una valenza particolare per i dipendenti che viaggiano all’estero se il viaggio è possibile solo con la vaccinazione, perché questo diventa una parte essenziale dell’adempimento del lavoro impartito. Obblighi presenti anche nel rapporto, ad esempio, con le compagnie aeree, che richiedono la prova della vaccinazione come parte dei termini contrattuali del viaggio.
Anche qui va valutato attentamente se i viaggi di lavoro sono sempre necessari, fatto in parte relativizzato negli ultimi mesi. In questo contesto, una vaccinazione obbligatoria per i dipendenti che appartengono a gruppi a rischio è difficilmente applicabile, visto che probabilmente non tutti gli spostamenti sono indispensabili. Inoltre, il datore di lavoro deve prendere le misure necessarie e ragionevoli per proteggere i dipendenti interessati, che siano vaccinati o meno e quindi tenere conto di questi aspetti nella situazione particolare dei viaggi di lavoro.
5. Si può rifiutare il vaccino?
Se i dipendenti si rifiutano di rispettare un obbligo di vaccinazione, violano il loro dovere di seguire le istruzioni. Se, di conseguenza, il lavoro non può essere eseguito, il datore di lavoro non è obbligato a pagare il salario. Inoltre, il datore di lavoro può dare disdetta del rapporto di lavoro, osservando i termini contrattuali o generali del preavviso necessario e tale disdetta non è abusiva. Se l’obbligo di vaccinazione risulta essere illegale, i dipendenti possono rifiutarsi di essere vaccinati senza che vi siano conseguenze di alcun genere. Se vi è stata disdetta del rapporto di lavoro sulla base di un obbligo considerato illegale, il licenziamento è abusivo e dà diritto al dipendente di chiedere un risarcimento fino a sei mesi di stipendio.
6. Come promuovere la vaccinazione volontaria
Ovviamente l’azienda può disporre misure che incitino i dipendenti a vaccinarsi volontariamente. L’azienda può pagare un premio per il fatto di essersi vaccinati o dare buoni-regalo, ma l’importo non dovrebbe essere troppo alto, altrimenti c’è il rischio che la vaccinazione non sia più veramente considerata volontaria. Lo stesso vale per i test volontari in azienda.
Al fine di promuovere la vaccinazione volontaria o di attuare la vaccinazione obbligatoria, un’azienda può organizzare una campagna di vaccinazione coordinata. Anche in una tale azione, i dipendenti devono essere liberi di decidere se vogliono partecipare o se vogliono essere vaccinati da un medico di fiducia. Inoltre, i dipendenti devono sapere quale vaccino verrà somministrato, poiché alcune persone non vogliono essere immunizzate con i vaccini di alcuni fornitori per paura degli effetti collaterali. Vi è quindi un chiaro obbligo di informazione da parte del datore di lavoro. Da non trascurare che, in caso di effetti collaterali gravi, vi può essere una responsabilità del produttore, di chi somministra il vaccino ma anche dell’azienda stessa, soprattutto se la persona che somministra il vaccino è uno dei suoi dipendenti.
7. Domanda se si è vaccinati o meno. È lecita?
Nel diritto del lavoro si pone spesso la questione di sapere se il datore di lavoro può porre determinate domande ai suoi dipendenti. Un caso classico è quello che concerne un’eventuale gravidanza in occasione del colloquio di assunzione.
Anche chiedere ai dipendenti se sono stati vaccinati può essere delicato. Sia appunto nel contesto del colloquio di assunzione che durante un rapporto già in essere. In linea di principio, il datore di lavoro è autorizzato a trattare solo i dati personali del lavoratore che sono rilevanti per la sua idoneità al rapporto di lavoro o che sono necessari per l’esecuzione del contratto di lavoro (art. 328b CO). Ciò significa che la questione della vaccinazione è consentita solo in misura limitata.
È ammissibile se un obbligo di vaccinazione è anche applicabile per legge o se i dipendenti non sono in grado di svolgere il loro lavoro o sono in grado di farlo solo in misura limitata se non vaccinati. Ciò può essere il caso, come visto anche in precedenza, per i dipendenti che devono spesso viaggiare all’estero e se le norme di viaggio della compagnia aerea o quelle di ingresso del paese di destinazione prevedono una vaccinazione obbligatoria. Se il fatto di essere vaccinati è importante per lo svolgimento del lavoro, la domanda è quindi possibile anche in altri casi in cui vi siano ragioni fattuali e non una semplice curiosità del datore di lavoro. In casi eccezionali, se la domanda su una vaccinazione esistente è inappropriata, non vi è obbligo di rispondere.
8. Protezione dei dati
In termini di protezione dei dati, il datore di lavoro deve anche garantire che le informazioni sul fatto che i dipendenti siano stati vaccinati o meno non vengano trasmesse a terzi. Particolare è il caso in cui vi sia un trattamento diverso fra i dipendenti vaccinati e non vaccinati (ad esempio, mascherina obbligatoria per i dipendenti non vaccinati, esclusione da certi eventi aziendali, ecc.). In tal caso, la divulgazione dei dati diventerebbe di fatto manifesta.
9. Conclusione
Se, in determinate circostanze, un’azienda può disporre un obbligo di vaccinazione per i propri dipendenti, questo eventuale obbligo va maneggiato con grande cura e ponderando bene tutti gli aspetti della situazione concreta. Un obbligo generalizzato, senza motivi particolari legati alla protezione e allo svolgimento concreto del lavoro sarebbe difficilmente considerato ammissibile. Difficile pertanto, ad oggi, stabilire regole che valgano indiscriminatamente per tutti. Ogni situazione va valutata con attenzione e individualmente. Almeno finché non dovesse esservi un obbligo impartito per ordine dello Stato.
Fonte: parte delle considerazioni che precedono sono tratte dall’articolo di Stefan Rieder, Avvocato specialista del diritto del lavoro, “Vacciner! Vacciné/e? pubblicato nella Newsletter n°7 di Ressources Humaines di luglio/agosto 2021
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-07-14 17:01:092021-08-04 09:18:52Tema aziende: obbligo di vaccinazione?
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-06-30 10:29:002022-01-04 10:32:45Misure del Consiglio Federale e del Consiglio di Stato
Finalmente è stata fatta chiarezza da parte dell’Autorità fiscale federale in materia di IVA e aiuti per i casi di rigore.
È stato infatti stabilito che in considerazione della situazione straordinaria, i contribuenti non devono procedere ad alcuna riduzione della deduzione dell’imposta precedente in caso di ottenimento di simili contributi. Sono considerati contributi COVID-19 i pagamenti, i vantaggi in termini di interessi sui prestiti, le rinunce al rimborso dei prestiti o i condoni dei debiti, la cui base legale (legge, ordinanza, regolamento, decreto ecc.) si fonda sulle misure dovute al COVID-19 e che sono stati accordati dal 1° marzo 2020.
I contributi COVID-19 devono essere dichiarati alla cifra 910 del rendiconto IVA e non alla cifra 200. Le eventuali riduzioni della deduzione dell’imposta precedente operate a causa dell’ottenimento di contributi COVID-19 possono essere annullate con un rendiconto di correzione o di riconciliazione (art. 72 LIVA).
La Cc-Ti è soddisfatta di questa decisione in quanto, in un primo momento, l’Autorità fiscale aveva presentato un progetto di prassi nel quale veniva mantenuto un assoggettamento (anche se differenziato e parziale) del contributo all’IVA.
Per questa ragione la Cc-Ti lo scorso mese di aprile aveva tempestivamente reagito con una lettera all’Amministrazione Federale delle Contribuzioni chiedendo la concessione di un’esenzione completa, rilevando al riguardo che l’assoggettamento differenziato avrebbe posto non pochi problemi burocratici alle aziende e che in un momento di estrema difficoltà è necessario, per evidenti motivi (si sta infatti parlando di casi di rigore), garantire un’esenzione completa.
La Cc-Ti non può quindi che rallegrarsi di questa decisione che permette importanti risparmi alle nostre aziende.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2021/06/ART21-iva.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-06-22 09:12:492021-06-22 09:12:50IVA e aiuti per i casi di rigore. Finalmente chiarezza
La conciliabilità fra lavoro e famiglia è una parte importante delle politiche aziendali. In alcuni casi, conciliare lavoro e problemi di salute in famiglia può diventare un carico importante. Già dal 1° gennaio 2021 i famigliari curanti hanno diritto al congedo breve pagato.
Dal 1° luglio entrerà in vigore il nuovo congedo per l’assistenza a favore dei genitori per il sostegno ai figli con gravi problemi di salute. Si tratta di una delle misure previste dalla Legge federale concernente il miglioramento della conciliabilità tra attività lucrativa e assistenza ai familiari.
I genitori che assistono un figlio minorenne con gravi problemi di salute dovuti a malattia o infortunio ricevono un’indennità di assistenza e potranno beneficiare di un congedo di 14 settimane al massimo, da fruire in un termine quadro di 18 mesi. Per 6 mesi dall’insorgere del diritto vige una protezione dalla disdetta del contratto di lavoro. Il congedo potrà essere consumato in una sola volta o in giorni singoli, suddivisi tra i genitori. La misura verrà finanziata con le indennità di perdita di guadagno (IPG).
Sempre dal prossimo 1° luglio verrà rafforzato il sostegno alle madri il cui neonato dopo la nascita deve rimanere in ospedale per un lungo periodo. Attualmente, in caso di rinvio del versamento dell’indennità di maternità, la madre rischia di rimanere senza reddito durante il periodo compreso tra la nascita del figlio e l’inizio del pagamento delle indennità di maternità, anche perché il versamento del salario non è garantito e la Legge sul lavoro stabilisce che le madri non possono essere occupate durante le 8 settimane successive al parto e in seguito, fino alla 16° settimana, possono esserlo solo con il loro consenso. Le modifiche della LIPG permettono di colmare questa lacuna.
Scheda a cura dell’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2021/06/ART21-conciliabilita-scheda.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-06-10 09:15:282021-06-10 09:15:29Novità legislative dal 1° luglio 2021
Entro il 30 giugno 2021 i datori di lavoro che impiegano 100 o più lavoratrici o lavoratori sono tenuti a svolgere un’analisi interna della parità salariale.
Il 1° luglio 2021 ricorreranno i 25 anni dall’entrata in vigore della Legge federale sulla parità dei sessi (LPar) che sancisce il divieto di discriminazioni tra uomo e donna nelle relazioni di lavoro. Il divieto si applica in particolare all’assunzione, all’attribuzione dei compiti, all’assetto delle condizioni di lavoro, alla retribuzione, alla formazione, alla promozione e al licenziamento. Nonostante la parità salariale sia una delle discriminazioni di genere vietate dalla LPar e dall’articolo 8 della Costituzione federale, in 25 anni la Svizzera non è ancora riuscita a eliminare il divario salariale tra donna e uomo. Le cifre ticinesi mostrano infatti che le disparità salariali sono del 17.3% nel settore privato e dell’8.7% nel settore pubblico.
Lo scorso anno è entrata in vigore una modifica della Legge federale sulla parità dei sessi (LPar) che mira a migliorare il rispetto della parità salariale tra donna e uomo (art. 13a-13i LPar). Gli enti e le aziende che impiegano 100 o più collaboratrici e collaboratori sono tenuti a effettuare un’analisi interna della parità salariale entro il 30 giugno 2021.
Oltre all’analisi della parità salariale le disposizioni richiedono agli enti e alle organizzazioni di incaricare un organo indipendente di verificare l’analisi effettuata e di comunicare i risultati per iscritto al personale.
La parità salariale è iscritta nella Costituzione federale dal 1981 (art. 8 cpv. 3 Cst.). Essa è inoltre specificata nella Legge federale sulla parità dei sessi (LPar), entrata in vigore nel 1996. La parità salariale è un obbligo che si applica in tutte le relazioni di lavoro, sia nei rapporti di lavoro di diritto privato, sia in quelli di diritto pubblico.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-05-14 11:34:382021-05-14 15:33:32Obbligo per i datori di lavoro di eseguire un’analisi della parità salariale
La natura legale delle persone giuridiche è stata la controversia per antonomasia della dottrina agli albori del diritto societario.
Nel mondo occidentale ha prevalso la cosiddetta Realitätstheorie, che postula il riconoscimento della persona giuridica quale realtà sociale dotata nei limiti della legge di personalità e che agisce tramite i suoi organi per il perseguimento di determinati scopi.
L’indipendenza legale delle persone giuridiche non cancella la necessità che siano le persone fisiche a tenere il timone e a remare nella giusta direzione per assicurare il raggiungimento degli obiettivi preposti. Per questo motivo la volontà della persona giuridica viene espressa tramite i suoi organi formali e materiali, i quali con le proprie azioni provocano conseguenze legali di stampo negoziale o delittuoso. Sono dunque le persone in carne ed ossa il vero motore delle società e il nesso della responsabilità delle persone giuridiche.
Nella struttura della società anonima, il consigliere d’amministrazione è una persona fisica facente parte del Consiglio d’Amministrazione (CdA) quale organo imperativamente prescritto dalla legge. I consiglieri d’amministrazione sono quindi degli organi, che con il proprio comportamento obbligano la società. La naturale conseguenza di ciò, è che i consiglieri d’amministrazione sottostanno a norme di responsabilità amministrativa, civile e penale, affinché non agiscano senza alcun vincolo a causa della favorevole prospettiva di non dover rispondere di eventuali danni patrimoniali cagionati o atti penalmente perseguibili. La responsabilità del consigliere d’amministrazione viene quindi statuita giuridicamente e regolamentata in un “sistema-giungla” di norme di diritto pubblico, penale e civile, nel quale non sempre è facile orientarsi. Il diritto come specchio della società (law in action) si stratifica e sviluppa costantemente, in risposta ai mutamenti socio-antropologici, che nell’odierna comunità globalizzata e altamente interconnessa sono all’ordine del giorno. Il compito viene reso ulteriormente più complesso dalla struttura stessa delle fonti del diritto, che non si basa unicamente sui Codici, bensì in assenza di disposizioni giuridiche nella legge scritta, anche su consuetudine e modo legislatoris. A completare il quadro vi sono infine la dottrina e la giurisprudenza dei Tribunali.
Non trascurabili sono pure le regole interne care al mondo aziendale, meglio note come Corporate Governance. Il consigliere d’amministrazione risponde per il suo operato nei confronti della società anche secondo principi che esulano dalla legislazione statale e che vengono definiti sulla base di presupposti strategici e operativi. Nonostante la Corporate Governance non sia emanata dal legislatore, ha un’eco giuridico, in quanto assume particolare importanza nella definizione degli obblighi di diligenza da parte del consigliere d’amministrazione. Per venire a capo dei propri diritti e obblighi anche il consigliere d’amministrazione è dunque tenuto a comprendere la regolamentazione giuridica che lo concerne, familiarizzando con norme codificate e soft law.
Le aspettative delle istituzioni e degli stakeholders riguardo i consiglieri d’amministrazione sono oggigiorno alte, indipendentemente dal contesto culturale. Questo significa che la responsabilità pretesa dai consiglieri d’amministrazione non varia a dipendenza che si tratti di una PMI o di una società di portata inter-cantonale, rispettivamente federale o internazionale. Ciò vale a maggior ragione nel contesto svizzero, nel quale le imprese sono fortemente intessute nella trama sociale e radicate sul territorio.
L’unico modo per superare con successo questa ardua sfida che si pone ai consiglieri d’amministrazione è per mezzo della CONOSCENZA. Il presupposto del rispetto delle regole, siano esse giuridiche o aziendali, consiste nella loro comprensione. È dunque questa la responsabilità cardine del consigliere d’amministrazione, la madre di tutte le responsabilità: informarsi e apprendere i propri doveri e vincoli aggiornandosi costantemente. Far parte di un Consiglio d’amministrazione può implicare l’assunzione di responsabilità importanti. Quali sono le responsabilità degli amministratori nei confronti della loro società, degli azionisti e dei terzi?
UN CORSO SU MISURA – Essere membro di un CdA: compiti e responsabilità Nell’ambito della propria offerta formativa Cc-Ti organizza un corso dal titolo: “Essere membro di un CdA: compiti e responsabilità”. Relatori gli avvocati Reto Garzoni, Peter A. Jäggi, Samuel Maffi e Goran Mazzucchelli. In due mezze giornate formative si propone un’immersione nel diritto societario (in particolare della SA e della Sagl) partendo da un approfondimento delle nozioni di amministratore e di organo societario, per poi trattare la questione della responsabilità civile e penale, sino ad abbordare quella legata all’ambito fiscale, dell’esecuzione e fallimenti e delle assicurazioni sociali. Sono pure trattati gli aspetti assicurativi che toccano gli amministratori di società. Il corso è già in calendario per i prossimi 9 e 16 settembre 2021. Le iscrizioni sono aperte ed è possibile annunciarsi tramite questo link.
Articolo redatto da
Samuel Maffi, Cavadini Steger Gianinazzi Maffi Studio legale e notarile SNC e Sebastiano Tela, Studente di diritto Università di Lucerna
Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.
Lo scorso 26 febbraio il Tribunale cantonale di Lucerna ha emanato una sentenza che, se confermata dal Tribunale federale, implica un’importante modifica del calcolo delle indennità per il lavoro ridotto.
In effetti, statuendo su un ricorso presentato da un esercizio pubblico, i giudici lucernesi hanno ridefinito la base di calcolo per determinare tali indennità. Rifacendosi all’art. 34 della Legge federale sull’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione e l’indennità per insolvenza (LADI) hanno ricordato che determinante, fino al limite massimo valido per il calcolo dei contributi è il salario, convenuto contrattualmente, dell’ultimo periodo salariale prima dell’inizio del lavoro ridotto. Sono compresi le indennità per vacanze e gli assegni contrattuali periodici, purché non continuino ad essere versati durante il periodo di lavoro ridotto o non costituiscano indennità per inconvenienti connessi al lavoro.
Partendo da questa norma di legge, il Tribunale ha accolto le richieste della ricorrente, nel senso di considerare nella base di calcolo anche le indennità per vacanze, elemento che fino ad allora nessuna cassa di compensazione aveva tenuto in linea di conto. Il Consiglio federale e la Seco, nella gestione della crisi pandemica, avevano infatti escluso questo aspetto dal calcolo delle indennità.
I giudici nel motivare la loro sentenza hanno sottolineato che la regola dell’art. 34 LADI non può essere modificata da una semplice ordinanza del Consiglio federale (di rango inferiore) o da direttive della Seco. Ne consegue che le indennità per lavoro ridotto vanno aumentate come sopra indicato.
Stando a quanto sopra le aziende possono pertanto chiedere un riesame del calcolo per le indennità di loro spettanza. Considerato che l’ultima parola spetterà al Tribunale federale, d’intesa con l’Unione svizzera degli imprenditori, è stato suggerito alle aziende di presentare una richiesta di riconteggio delle indennità e di sospendere contestualmente, in attesa di una decisione definitiva, la stessa procedura di riesame (cfr. newsletter Cc-Ti del 16 aprile 2021).
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2019/01/ART19-Michele-Rossi-ufficiale.jpg20193166Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-05-10 06:51:002021-05-04 13:52:15Indennità per lavoro ridotto: importante sentenza del Tribunale cantonale di Lucerna
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