Blocco dell’ingresso di un centro commerciale. Nessuna coazione imputabile ai militanti per il clima

Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.

In una recente sentenza il Tribunale federale ha dovuto stabilire se una cosiddetta manifestazione per il clima implicasse responsabilità di natura penale. In concreto si è trattato del blocco durato 2 ore dell’ingresso di un centro commerciale a Friburgo.

Il Ministero pubblico ha sostenuto l’accusa per coazione nei confronti dei militanti per il clima. L’articolo 181 del Codice penale prevede che “chiunque, usando violenza o minaccia di grave danno contro una persona, o intralciando in altro modo la libertà d’agire di lei, la costringe a fare, omettere o tollerare un atto, è punito con una pena detentiva sino a tre anni con una pena pecuniaria”.

I giudici hanno pertanto analizzato in tale prospettiva la manifestazione che, come indicato, ha implicato il blocco dell’accesso al centro commerciale. In questa analisi hanno innanzitutto ricordato i principi già precedentemente sviluppati dalla giurisprudenza pertinente. In particolare, hanno ribadito che le autorità devono dar prova di una certa tolleranza nel caso di assembramenti non autorizzati ma non violenti, così da non svuotare della sua sostanza la libertà di riunione. Hanno poi rammentato che i limiti della tolleranza vanno definiti in relazione alle circostanze concrete di ogni caso e non in modo generico e generalizzato. Nella fattispecie concreta è stato possibile appurare che la manifestazione aveva comunque lasciato liberi altri accessi dello stabile permettendo in tal modo alla gente di uscire o entrare per altre vie percorrendo una deviazione di poco conto.

Stando così le cose, hanno concluso i giudici, la pressione esercitata dai manifestanti sui clienti del centro commerciale non ha raggiunto un’intensità sufficiente da arrecare una grave perturbazione alla loro libertà personale parificabile ad una coazione. A queste condizioni non sussiste pertanto alcuna responsabilità penale dei militanti per il clima come invece era stato in passato il caso in relazione al blocco di tre importanti autostrade.
(Sentenza 6B_138/2023)

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Registrazione dell’orario di lavoro: chi può essere dispensato?

La legge svizzera impone alle aziende di mettere in atto un sistema di registrazione della durata del lavoro e comporta, in modo generale, un obbligo per i lavoratori di registrare il loro tempo di lavoro. Di seguito verrà spiegato quali sono i collaboratori che non devono sottostare a questa norma o che lo sono parzialmente e come procedere per rinunciare alla registrazione dell’orario di lavoro o per mettere in atto una registrazione semplificata.

Quadro normativo

La legge sul lavoro (art 46 LL) impone al datore di lavoro di mettere a disposizione delle autorità di sorveglianza i registri o i giustificativi contenenti le informazioni necessarie all’esecuzione di questa legge e delle relative ordinanze. L’ordinanza 1 relative alla legge sul lavoro (art 73 OLL1) precisa che i registri e i giustificativi devono indicare la durata quotidiana e settimanale del lavoro fornito (lavoro compensativo e supplementare incluso), le coordinate temporali (ore di inizio e fine del lavoro), gli orari e la durata delle pause di una durata uguale o superiore alla mezz’ora.

Registrazione semplificata

Nel quadro della registrazione semplificata (art 73 b OLL1) solo la durata giornaliera del lavoro fornito deve essere presa in considerazione: non è dunque necessario precisare i periodi di lavoro e di risposo, eccezion fatta per il lavoro domenicale e notturno. È altresì possibile creare un sistema di registrazione semplificata per i collaboratori che possono determinare in modo autonomo una parte significativa del loro orario lavorativo.
Secondo la SECO (Segretaria di Stato per l’Economia) i lavoratori che potrebbero sottostare a questa misura sono coloro che possiedono una flessibilità tale da organizzare e fissare almeno un quarto dei loro orari di lavoro (valore indicativo). L’esistenza di orari flessibili non è sufficiente.

Il criterio è soddisfatto quando gli orari fissati non sorpassano il 75% del tempo di lavoro totale e quando l’autonomia del lavoratore non è limitata da altre esigenze (es. riunioni obbligatorie o viaggi d’affari).

Al fine di instaurare la registrazione semplificata occorre concludere un accordo collettivo con i rappresentanti dei lavoratori dell’azienda (commissione del personale) o con un sindacato (oppure in mancanza di ciò con la maggioranza dei lavoratori dell’azienda).
Questo accordo deve indicare:

  • quali categorie di lavoratori sottostanno alla registrazione semplificata;
  • prevedere disposizioni particolari per garantire il rispetto della durata del lavoro e del tempo di riposo (es. blocco delle e-mail durante la notte e la domenica);
  • una procedura paritaria che permetta di verificare il rispetto dell’accordo.

Nelle aziende che impiegano meno di 50 dipendenti è possibile concludere un accordo individuale per iscritto. Quest’ultimo deve menzionare le disposizioni relative alla durata del lavoro e del riposo. Inoltre, l’azienda deve organizzare un colloquio di fine anno sul carico di lavoro e registrarne il contenuto. Anche se un accordo è stato concluso, il datore di lavoro è tenuto a fornire uno strumento adeguato alla registrazione dell’orario di lavoro, perché i dipendenti restino liberi di registrarlo.

Rinuncia alla registrazione

È consentita la rinuncia alla registrazione dell’orario di lavoro se sono soddisfatte cumulativamente quattro condizioni (art. 73a OLL1). Innanzitutto, la rinuncia deve essere stipulata in un contratto collettivo di lavoro (CCL), sottoscritto dalle parti sociali. Questo CCL deve essere sottoscritto dalla maggioranza delle organizzazioni rappresentanti i lavoratori, in particolare nell’azienda o nel settore, e prevedere misure specifiche per garantire la tutela della salute e assicurare il rispetto della durata del riposo fissata dalla legge. Deve includere, inoltre, l’obbligo del datore di lavoro di designare un responsabile o un servizio interno che si occupi delle questioni relative alla durata del lavoro. In secondo luogo, i lavoratori interessati devono disporre di grande autonomia nel loro lavoro e poter fissare, nella maggior parte dei casi, il proprio orario di lavoro. In terzo luogo, questi dipendenti devono ricevere uno stipendio annuo lordo superiore a CHF 120’000.- (ev. bonus inclusi) o la quota corrispondente in caso di lavoro a tempo parziale. In quarto luogo, deve essere concluso un accordo scritto individuale con ciascun dipendente dove viene indicata la rinuncia alla registrazione del proprio orario di lavoro. Questo accordo è revocabile ogni anno. In caso di rinuncia alla registrazione dell’orario di lavoro, il datore di lavoro deve mettere a disposizione delle autorità gli accordi individuali di rinuncia nonché un registro dei lavoratori che hanno rinunciato alla registrazione della durata del loro lavoro.

Quadri superiori e/o dirigenti

I lavoratori che ricoprono una posizione dirigenziale non sono soggetti alla normativa alla legge sul lavoro sul lavoro (art. 3 lett. d LL) e quindi non sono assoggettati all’obbligo di registrazione dell’orario di lavoro. Sono considerati tali i soggetti che, in ragione della loro posizione e responsabilità e date le dimensioni dell’azienda, dispongono di un significativo potere decisionale, o sono in grado di influenzare fortemente le decisioni importanti riguardanti, in particolare, la struttura, l’attività commerciale e lo sviluppo di un’azienda o di una parte di azienda (art. 9 OLL1). La nozione di “alta funzione dirigenziale” è interpretata in modo restrittivo dalla giurisprudenza (v. sentenza del Tribunale Federale ATF 126 III 337 c. 5).


Fonte: articolo di Kathia Pauchard, apparso su “ECHO”, rivista della Camera di commercio e dell’industria di Friborgo, nr 1, marzo 2024. Traduzione ed adattamento Cc-Ti.

Nessun obbligo di pagare il salario nel caso di chiusure aziendali decise dallo Stato: motivazioni della sentenza

Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.

Nel numero di Ticino Business dello scorso ottobre 2023 (nr 4/2023) avevamo riferito di una sentenza del Tribunale federale (4A_53/2023) che esonerava un datore di lavoro dall’obbligo di pagare il salario nel caso di una chiusura aziendale decisa dallo Stato per combattere il Coronavirus (www.cc-ti.ch/no-obbligo-pagare-salario-chiusure-aziendali). Ora sono giunte le motivazioni che
riassumiamo nel seguente modo:

  • Il ragionamento dei giudici è partito dal concetto di mora del datore di lavoro, regolato all’art. 324 CO. Tale regola statuisce che “se il datore di lavoro impedisce per sua colpa la prestazione del lavoro o è altrimenti in mora nell’accettazione del lavoro, egli rimane tenuto al pagamento del salario, senza che il lavoratore debba prestare ulteriormente il suo lavoro”.
    In altre parole, se il dipendente è disposto e pronto a lavorare ma il datore di lavoro gli impedisce negligentemente di farlo deve comunque versare il salario.
  • La stessa conseguenza subentra nel caso in cui la prestazione lavorativa è impossibile senza che vi sia una colpa, ma a causa di un motivo che rientra nel rischio aziendale del datore di lavoro. Il concetto di rischio aziendale non è definito dalla legge ma deve essere valutato concretamente caso per caso. Di regola il rischio aziendale corrisponde alla definizione di cui all’art. 91 CO in cui viene indicato che il creditore di una prestazione (nel caso il lavoro) può rifiutarsi di accettarla solo in presenza di legittimi motivi. Se i motivi non sono legittimi, ci si trova pertanto all’interno del rischio aziendale.
  • Le chiusure aziendali per lottare contro il Coronavirus costituiscono legittimi motivi che possono giustificare il rifiuto delle prestazioni lavorative da parte del datore di lavoro. Si tratta di situazioni che hanno toccato tutti indistintamente. Non rientrano nel rischio aziendale.
  • I datori di lavoro erano tenuti ad obbedire agli ordini di chiusura. A loro non è pertanto imputabile alcuna colpa.
  • La legge federale sulle epidemie non prevede alcun obbligo di individuazione precoce e di sorveglianza nei confronti dei datori di lavoro. La legge impone doveri simili solo a carico della Confederazione e dei Cantoni. I datori di lavoro hanno unicamente il dovere di prevenire i contagi tra i collaboratori.
  • In ogni modo ancora nel febbraio 2020 il Coronavirus era ufficialmente considerato un problema geograficamente limitato alla Cina. Ai datori di lavoro non può quindi essere ascritta alcuna responsabilità per aver eventualmente sottovalutato il problema.
  • Le questioni di diritto privato, come ad esempio il pagamento del salario in caso di chiusura aziendale, sono di esclusiva competenza dei tribunali. Eventuali indicazioni della SECO non sono pertanto decisive per le valutazioni di tali fattispecie.
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Telelavoro tra Svizzera e Francia: finalmente una soluzione permanente

Il telelavoro parziale è entrato a far parte della vita lavorativa dopo la pandemia ed è ora una pratica diffusa. Tuttavia, la sua applicazione in un contesto transfrontaliero ha richiesto l’adozione di una normativa.

Fino alla pandemia, ogni giorno di telelavoro dalla Francia doveva essere tassato in Francia, il che comportava numerose complicazioni amministrative e legali.

Erano necessari due accordi per garantire che i pendolari transfrontalieri tra Ginevra (rappresentata dalla Svizzera) e la Francia potessero continuare a lavorare da casa. La componente fiscale è stata firmata dai due Paesi il 27 giugno 2023. Si tratta di un emendamento all’accordo bilaterale sulla doppia imposizione del 9 settembre 1966 che introduce la possibilità di un’aliquota del 40% per il telelavoro a tariffa piena. Il secondo accordo riguarda la sicurezza sociale e consente di mantenere l’affiliazione al sistema di sicurezza sociale del Paese del datore di lavoro fino a un’aliquota fiscale di telelavoro del 49,9%.

Per evitare la doppia imposizione, si applicherà il minimo comune denominatore: il telelavoro sarà quindi possibile senza conseguenze finanziarie fino a un massimo del 40% per le aziende e i dipendenti che lo desiderano.

Massimo 40% di telelavoro e 10 giorni di viaggio di lavoro all’estero

L’aliquota del 40% viene applicata in proporzione al tasso di attività. Questa percentuale è annualizzata e non deve essere superata, altrimenti ogni giorno supplementare sarà tassabile in Francia. L’accordo non prevede eccezioni, nemmeno per motivi medici. Inoltre, la clausola include una disposizione relativa agli incarichi temporanei all’estero. In linea di principio, tutti i viaggi d’affari transfrontalieri al di fuori della Svizzera sono imponibili in Francia. Durante i negoziati è stata ottenuta una tolleranza di dieci giorni. Un massimo di dieci giorni di viaggio di lavoro all’estero può essere trattato come telelavoro (art. 10 al. 3 dell’accordo). I datori di lavoro devono quindi assicurarsi che il numero totale di giorni di telelavoro e di viaggio all’estero non superi il 40% di una posizione a tempo pieno. Per 240 giorni lavorativi, è possibile un massimo di 96 giorni di telelavoro, ovvero 86 giorni + 10 giorni di viaggio.

Obblighi e rischi

I datori di lavoro devono essere in grado di certificare il tasso di telelavoro per contratto o per accordo di telelavoro. Queste informazioni saranno soggette allo scambio automatico di informazioni con la Francia. Una volta che una certa quantità di fatturato viene telelavorata in Francia, la legge francese considera che sia stata creata una filiale. Le aziende faranno quindi bene a valutare il rischio a cui sono esposte.

Si noti inoltre che la riscossione di imposte per uno Stato estero senza autorizzazione è un reato penale (art. 271 CP). I dipendenti dovranno vigilare sul loro status di quasi-residenti e dovranno compilare diligentemente le loro dichiarazioni dei redditi.

Entrata in vigore

L’accordo è soggetto a ratifica da parte dei parlamenti di entrambi i Paesi. Si prevede che l’accordo entrerà in vigore non prima del gennaio 2025.

Fonte: CCIG info, nr 9-ottobre 2023, traduzione ed adattamento Cc-Ti


Svizzera e Italia: telelavoro dei frontalieri e fiscalità

Svizzera e Italia in data 28 novembre 2023 hanno firmato due accordi amichevoli per concretizzare quanto sottoscritto nella recente Dichiarazione d’intenti sull’imposizione fiscale del telelavoro dei lavoratori frontalieri.
I due accordi si riferiscono a due periodi distinti e prevedono due regimi differenti.

Febbraio 2023-dicembre 2023

  • È consentita senza conseguenze fiscali per i dipendenti la modalità di telelavoro presso il proprio domicilio in Italia, fino a un massimo del 40% del tempo di lavoro;
  • Beneficiano di questa possibilità i lavoratori frontalieri ai sensi dell’Accordo del 3 ottobre 1974 (ossia residenti nella fascia di frontiera di 20 km). Tuttavia, dal 1° luglio 2023 al 31 dicembre 2023 si applicherà ai soli lavoratori frontalieri che alla data del 31 marzo 2022 svolgevano la loro attività lavorativa in modalità di telelavoro.
  • Per domicilio s’intende la propria abitazione e non una struttura terza (es. filiale o succursale del datore di lavoro).

Da gennaio 2024

  • Il lavoratore frontaliere può svolgere al massimo il 25% della sua attività di lavoro dipendente in modalità di telelavoro.
  • Il 25% è calcolato su base annua.
  • Questa possibilità è consentita a tutti i frontalieri residenti in un Comune il cui territorio si trova nella zona di 20 km dal confine e ritorna, in linea di principio, quotidianamente al proprio domicilio. I Comuni saranno specificatamente indicati dalle autorità fiscali in un’apposita lista.
  • Il telelavoro è consentito se svolto dal proprio domicilio, inteso come propria abitazione.

Attenzione

  • In Italia a livello assicurativo è consentito senza conseguenze previdenziali il telelavoro dei frontalieri per un massimo del 25%.
    La percentuale del 25% è, in generale, determinata in misura proporzionale al tempo di lavoro totale.
    Il calcolo è effettuato sulla base della situazione prevista per il periodo dei 12 mesi successivi.
  • I due accordi amichevoli si riferiscono esclusivamente alla fiscalità dei dipendenti, non delle aziende. Ciò significa che il fisco italiano, se le condizioni sono soddisfatte, potrebbe eventualmente constatare la presenza di una stabile organizzazione. Le condizioni della stabile organizzazione sono quelle riconosciute a livello internazionale (OCSE).
  • Si raccomanda vivamente di precisare esplicitamente nel contratto di lavoro quale sia il diritto del lavoro applicabile. In assenza di menzione del diritto del lavoro applicabile nel contratto, se una parte significativa del lavoro viene svolta all’estero, l’applicazione del diritto del lavoro svizzero può essere rimessa in questione.
  • Tuttavia, se il contratto di lavoro stabilisce che il diritto del lavoro applicabile è il diritto svizzero, allora questo sarà altresì applicato ai lavoratori frontalieri, anche in caso di telelavoro nello Stato di residenza.


Negate le indennità per lavoro ridotto nella gestione di aree di servizio a ridosso della frontiera

Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.

Il Tribunale federale ha confermato il rifiuto di concedere le indennità per lavoro ridotto ad una società ticinese che gestisce alcune stazioni di servizio nella zona di frontiera, avvallando in tal modo quanto precedentemente deciso dalla Sezione cantonale del lavoro e dal medesimo Tribunale cantonale delle assicurazioni.

La richiesta delle indennità era stata motivata dall’assenza di clienti e dal calo del fatturato dovuti al taglio delle accise sui combustibili fossili, adottato dall’Italia in risposta all’importante aumento del prezzo del petrolio causato dal conflitto in Ucraina e dalle relative sanzioni nei confronti della Russia.

Ma qual ’è stato il ragionamento che ha condotto a tale decisione, tenuto conto che il massiccio calo della clientela è realmente avvenuto?
I giudici hanno innanzitutto stabilito che l’attività in oggetto consiste nella gestione di aree di servizio a ridosso della frontiera con l’Italia proprio per poter beneficiare della differenza di prezzo della benzina nei due Stati. Questa attività, secondo il Tribunale federale è pertanto fondata su tali differenze di prezzo, a loro volta determinate da decisioni politiche.

Tenuto conto dell’intenzionale esposizione a tali variazioni di prezzo da parte dell’azienda ticinese, si può ritenere che le misure politiche che vanno ad influenzare questo parametro siano incluse e considerate nella strategia della società e quindi anche nel normale rischio aziendale.

Ora, l’art. 33 della Legge sull’assicurazione contro la disoccupazione esclude le indennità per lavoro ridotto se il calo dell’operatività è dovuta a circostanze rientranti nella sfera normale del rischio aziendale del datore di lavoro.
Per queste ragioni le richieste dell’azienda ticinese sono state respinte.

(Sentenza C_216/2023)

I contingenti per i cittadini di Stati terzi per il 2024

Berna, 29.11.2023 – Anche nel 2024 l’economia svizzera deve poter reclutare i lavoratori qualificati di cui necessita. Il Consiglio federale lascia quindi immutati i contingenti per i lavoratori provenienti da Stati terzi e per i fornitori di servizi dell’UE/AELS. È mantenuto anche il contingente speciale per i lavoratori provenienti dal Regno Unito.

A medio termine, tuttavia, tale contingente speciale sarà integrato in quello ordinario. Nella seduta del 29 novembre 2023 il Consiglio federale ha approvato la revisione parziale dell’ordinanza sull’ammissione, il soggiorno e l’attività lucrativa (OASA) che entrerà in vigore il 1° gennaio 2024.

L’immigrazione di lavoratori da Stati terzi è limitata: l’ammissione dipende dal bisogno delle imprese, segue l’interesse economico generale della Svizzera e tiene conto della priorità dei lavoratori indigeni nonché di quelli provenienti dall’UE/AELS.

Affinché anche il prossimo anno le imprese svizzere possano reclutare i lavoratori qualificati necessari provenienti da Stati non membri dell’EU/AELS il Consiglio federale ha deciso, dopo aver sentito i Cantoni e le parti sociali, di mantenere il contingente massimo del 2023. Garantendo l’ammissione di lavoratori provenienti da Stati terzi e dal Regno Unito  nonché di fornitori di servizi da Stati dell’UE/AELS in un contesto di scarsità di manodopera qualificata, il Consiglio federale sostiene la stabilizzazione e il rafforzamento dell’economia. L’anno prossimo sarà nuovamente possibile reclutare 8500 lavoratori qualificati di Stati terzi: 4500 con un permesso di dimora B e 4000 con un permesso di soggiorno di breve durata L.

Contingenti per i fornitori di servizi provenienti da Stati dell’UE/AELS

Restano invariati anche i contingenti massimi per i fornitori di servizi provenienti da Stati dell’UE/AELS con un periodo d’impiego superiore a 90 o 120 giorni per anno. Nel 2024 saranno disponibili 3000 unità di contingente per permessi di soggiorno di breve durata e 500 per permessi di dimora. Come finora, questi contingenti saranno sbloccati per i Cantoni a scadenza trimestrale.

Contingenti per lavoratori provenienti dal Regno Unito

Il 1° gennaio 2021 l’Accordo sulla libera circolazione delle persone (ALC) con il Regno Unito ha cessato di essere applicabile. Da allora i cittadini del Regno Unito sono considerati cittadini di Stati terzi. A titolo di soluzione transitoria, per tali cittadini valgono contingenti separati. Secondo la decisione del Consiglio federale, l’anno prossimo sarà nuovamente possibile reclutare fino a 3500 lavoratori provenienti dal Regno Unito: 2100 con un permesso di dimora (B) e 1400 con un permesso di soggiorno di breve durata (L). A medio termine, il Consiglio federale prevede tuttavia di integrare il contingente separato per il Regno Unito nel contingente ordinario.

Utilizzo dei contingenti nel 2023

Negli ultimi anni i contingenti non sono stati sfruttati appieno. A fine ottobre 2023 i permessi di dimora B per i lavoratori di Stati terzi erano sfruttati al 68 per cento e i permessi di soggiorno di breve durata L al 65 per cento; lo sfruttamento dei contingenti per i fornitori di servizi dell’area UE/AELS con un periodo d’impiego superiore a 90 o 120 giorni per anno era pari al 36 per cento (permesso B) e al 45 per cento (permesso L). I contingenti separati per il Regno Unito sono stati relativamente poco utilizzati se si considera la quota di sfruttamento al 23 per cento del contingente per i permessi di dimora B e al 18 per cento di quello per i permessi di soggiorno di breve durata L.

La decisione del Consiglio federale implica un adeguamento dell’ordinanza sull’ammissione, il soggiorno e l’attività lucrativa (OASA; RS 142.201) e dell’ordinanza del DFGP concernente l’approvazione (OA-DFGP; RS 142.201.1).


Indirizzo cui rivolgere domande

Informazione e comunicazione SEM, medien@sem.admin.ch

Documento

Salario minimo cantonale

INFORMAZIONE IMPORTANTE

Il salario minimo cantonale (salario orario minimo lordo per settore economico) ammonta al 55% della mediana salariale nazionale, differenziato per settore economico.

Scaricate il decreto con i livelli di salario orario minimo lordo per settore economico validi dal 1° dicembre 2023.

Altre informazioni utili su : https://www4.ti.ch/dfe/de/usml/salariominimo/salario-minimo-cantonale

Nessun obbligo di pagare il salario nel caso di chiusure aziendali decise dallo Stato

Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.

Lo scorso mese di agosto Il Tribunale federale ha adottato un’importante sentenza in materia di obbligo di pagare il salario.

In sostanza, i giudici di Losanna hanno chiarito che nel caso di chiusure aziendali imposte dall’autorità nell’ambito della lotta al Coronavirus, i datori di lavoro non hanno l’obbligo di versare il salario ai dipendenti anche se il mancato guadagno non è coperto dalle indennità per il lavoro ridotto.

Nella sentenza è stato sottolineato che le chiusure aziendali decise dallo Stato non rientrano nel rischio aziendale che i datori di lavoro devono generalmente assumersi. Motivi oggettivi che concernono tutti allo stesso modo non possono essere posti a carico dei datori di lavoro, come, ad esempio, problemi generati da situazioni di guerra o da misure decise nell’ambito dell’economia di guerra.

Maggiori dettagli emergeranno al momento della pubblicazione delle motivazioni complete della sentenza (4A_53/2023).

La sicurezza informatica, i processi e la nuova legge federale sulla protezione dei dati

La crescente dipendenza dalla tecnologia e la proliferazione dei dati digitali hanno reso la cybersecurity una delle questioni più urgenti e rilevanti nel mondo moderno. Le interconnessioni del mondo digitale hanno infatti portato ad una crescente consapevolezza della necessità di proteggere le informazioni da minacce virtuali sempre più sofisticate: sono a rischio dati sensibili, informazioni personali e la continuità delle operazioni aziendali.

L’importanza della sicurezza informatica è oggi indiscutibile, ma spesso si misconosce la complessità di questo settore e l’importanza di considerarla come un processo continuo piuttosto che un prodotto da installare una volta per tutte.

Il nuovo paradigma è combinare tecnologia e procedure per una protezione efficace.

La sicurezza informatica non è un destino da raggiungere, ma piuttosto un viaggio in continua evoluzione. Come detto, spesso, si cade nell’errore di considerarla un prodotto, ovvero un insieme di software, firewall o dispositivi hardware che proteggano da minacce. Tuttavia, questa visione è parziale e fuorviante. La sicurezza informatica è piuttosto un processo articolato che coinvolge persone, procedure e tecnologia. Gli esperti del settore sono consapevoli di questa realtà: non offrono solo soluzioni tecniche, ma aiutano le organizzazioni a sviluppare una cultura di sicurezza, implementando procedure robuste e promuovendo la consapevolezza tra i dipendenti. Questo approccio olistico è fondamentale perché, in un mondo digitale in costante cambiamento, la sicurezza deve essere sempre aggiornata e adattata alle nuove minacce.

La tecnologia gioca evidentemente un ruolo fondamentale nella protezione delle informazioni. Firewall, sistemi di rilevamento delle intrusioni, crittografia e altri strumenti tecnologici sono pilastri della sicurezza informatica. Tuttavia, è importante sottolineare che la tecnologia da sola non è sufficiente. È l’abilitatore che consente alle procedure e alle politiche di sicurezza di funzionare in modo efficiente. Per il tramite di queste tecnologie è possibile raggiungere, con strumenti automatici, da configurare correttamente, un buon grado di tranquillità. Le aziende sono chiamate sia ad implementare le soluzioni tecnologiche necessarie sia ad avere una spiccata competenza nella loro gestione e manutenzione. La tecnologia deve essere costantemente monitorata e aggiornata per rimanere efficace contro le minacce in evoluzione. Questo concetto vale sia nel caso in cui si abbia un’infrastruttura gestita internamente sia nel caso in cui questa sia gestita con aziende di supporto esterne.

Le procedure sono la spina dorsale di qualsiasi sistema di sicurezza. Devono essere chiare, accessibili e facili da seguire per essere efficaci. Le aziende devono sviluppare procedure che non solo proteggano le informazioni, ma che siano anche sostenibili nell’uso quotidiano.

L’obiettivo è creare un ambiente in cui le procedure di sicurezza siano integrate nella routine lavorativa senza ostacolarne l’efficienza. Questo equilibrio tra sicurezza e praticità è fondamentale per garantire che le procedure vengano seguite in modo coerente da tutto il personale. Un errore comune è ritenere che un informatico possa occuparsi da solo della sicurezza informatica.

Questa è una visione limitata, poiché le competenze richieste per gestire la sicurezza sono diverse da quelle necessarie per gestire l’infrastruttura tecnologica. Un informatico è responsabile della gestione quotidiana dei sistemi e delle reti, ma un esperto di sicurezza ha una prospettiva differente. Si occupa di valutare le minacce, sviluppare politiche e procedure, monitorare l’efficacia delle misure di sicurezza e garantire la conformità alle normative. Queste responsabilità richiedono una profonda comprensione delle minacce digitali e delle migliori pratiche di sicurezza.

Le due figure non sono in contrasto ma sono chiamate a cooperare in modo attivo. La presenza di due figure è fondamentale per garantire un corretto bilanciamento nell’IT aziendale, oltre che perseguire il principio di separazione tra controllato e controllore. Grazie alle competenze di chi si occupa di sicurezza cibernetica, è possibile sviluppare il cosiddetto principio di security by design e security by default, ovvero fornire a chi si occupa di informatica pura tutte le informazioni per implementare i sistemi in modo tale che siano rispondenti ai requisiti di sicurezza che ciascuna azienda si pone. Per questo motivo non è possibile costruire un modello di sicurezza univoco per tutti, se non per questioni fondanti, di principio, ma ciascuno deve ritagliare in modo sartoriale le proprie politiche di gestione della cybersecurity.

L’introduzione, il 1° settembre 2023, della nuova legge federale sulla protezione dei dati (di cui si è anche discusso nell’evento “LPDomani!” tenutosi lo scorso 31 agosto presso il Casinò di Lugano, organizzato dalla Cc-Ti con Gruppo Sicurezza e Casinò di Lugano) sottolinea ulteriormente come la Confederazione ritenga centrale l’importanza della sicurezza informatica e della gestione delle informazioni. La legislazione impone infatti requisiti rigorosi per la protezione dei dati personali e richiede un approccio proattivo alla sicurezza delle informazioni.

A seguito dell’introduzione della nLPD, le aziende devono garantire che i sistemi e le procedure siano conformi alle leggi sulla protezione dei dati, proteggendo così la privacy degli individui. Anche in questo caso, se non per principi cardine, non è possibile creare una gestione della privacy “fotocopia”, uguale per tutte le aziende e le organizzazioni, ma, per garantire le specificità di ciascuno, si deve analizzare e redigere quanto necessario in modo circostanziato e puntuale.

Non si tratta però di un moloch: la chiave del successo è capire che si tratta di un’opportunità per affrontare un viaggio introspettivo nella vita aziendale e comprendere quali dati si trattino e quali procedure siano in essere, per garantirne la corretta protezione. I dati e tutte le informazioni sono la base fondamentale su cui le aziende e le organizzazioni vivono: diventa quindi mandatorio dedicare del tempo a rendere sicure le infrastrutture affinché non vengano modificati, trafugati, divulgati.


Articolo a cura di Ing. Pietro Vassalli, Cyber Security Manager, Gruppo Sicurezza