AVS 21: nessuna nuova votazione

Il Tribunale federale ha deciso oggi che l’errore di calcolo delle previsioni AVS non porterà a una nuova votazione sulla riforma AVS 21

I datori di lavoro accolgono con favore questa decisione: l’annullamento della votazione avrebbe comportato un carico di lavoro sproporzionato e avrebbe sollevato molte domande sul resto della procedura.

L’errore nel calcolo delle previsioni AVS dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (UFAS) non porta ad una nuova votazione sulla riforma AVS 21: oggi il Tribunale federale ha respinto un ricorso in tal senso. Pertanto, le modifiche già in vigore o previste vengono mantenute.

I datori di lavoro accolgono con favore questa decisione perché consente di mantenere importanti misure di stabilizzazione dell’AVS. Inoltre, è giusto, in termini di uguaglianza e di aspettativa di vita, che donne e uomini abbiano la stessa età ufficiale di riferimento. Inoltre, ciò fa risparmiare molti sforzi e problemi sia all’amministrazione che alla popolazione – per quanto riguarda la riforma AVS 21, ma anche voti futuri e previsioni calcolate a monte.

L’annullamento del voto avrebbe reso obsoleta la base giuridica per l’aumento dell’IVA in vigore dal 1° gennaio 2024. Non si sa cosa sarebbe successo alle entrate aggiuntive già generate.

Per i datori di lavoro è chiaro che, data la forte pressione finanziaria che continua a gravare sulle finanze dell’AVS, è necessario adottare altre misure strutturali.

Si aspetta dal Consiglio federale una soluzione praticabile nel quadro della riforma AVS 2026, che prevede un aumento realistico dell’età di riferimento in base alla speranza di vita.


Fonte: Union patronale suisse, dicembre 2024

Riduzione delle vacanze e incapacità lavorativa parziale

Scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti.

Le vacanze sono un diritto dei dipendenti. Lo dice la legge. E questo diritto viene maturato sulla base del tempo passato al servizio dell’azienda per cui si lavora. Infatti, per un anno incompleto di lavoro, le vacanze sono date proporzionalmente alla durata del rapporto di lavoro nell’anno considerato. Fino a qui tutto chiaro. Ma cosa succede se il dipendente non lavora a causa, ad esempio, di una malattia? Nonostante l’assenza, continua a maturare i suoi giorni di vacanza per l’anno considerato?

Su questo punto il Codice delle obbligazioni prevede, a determinate condizioni, la possibilità di ridurre il diritto alle vacanze. Nel caso in cui l’impedimento al lavoro è causato da motivi inerenti alla persona del lavoratore, come malattia, infortunio, adempimento d’un obbligo legale, esercizio d’una funzione pubblica o congedo giovanile, senza che vi sia colpa da parte sua, il datore di lavoro non ha diritto di ridurre la durata delle vacanze se l’impedimento non dura complessivamente più d’un mese nel corso d’un anno di lavoro. E la riduzione scatta comunque solo dopo un successivo mese completo di assenza.

Se invece l’assenza è imputabile ad una colpa del dipendente la riduzione può scattare già dopo il primo mese completo di assenza. La situazione si complica se il dipendente è incapace al lavoro solo parzialmente, al 50% ad esempio.
Come si procede in simili situazioni?

In questi casi il periodo di attesa si calcola allungandolo proporzionalmente al grado di incapacità lavorativa. Ciò significa che per avere un mese completo di assenza bisognerà attendere  due mesi, essendo la persona presente al lavoro per la metà del suo tempo. E di conseguenza il diritto alle vacanze potrà essere ridotto solo dal terzo mese completo di assenza dal posto di lavoro.

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Adeguamento della legge sul salario minimo cantonale

Introduzione della nuova forchetta salariale

Lunedì 18 novembre 2024 il Gran Consiglio ha approvato l’introduzione dell’ultima forchetta salariale prevista dalla legge sul salario minimo cantonale.
A partire dal 1° dicembre 2024, i salari orari minimi lordi dovranno essere compresi nella forchetta salariale CHF 20.00 – 20.50.
Il decreto esecutivo che sarà pubblicato nel Bollettino ufficiale cantonale del 22 novembre 2024 precisa i salari minimi per settore economico.
 
A partire dal 1. gennaio 2026 i salari minimi cantonali saranno adeguati al rincaro, prendendo in considerazione la differenza dell’indice nazionale dei prezzi al consumo fra il mese di novembre 2024 e il mese di novembre 2025. 
 
Restando a disposizione, vi preghiamo di prendere nota dei nuovi salari minimi cantonali, la cui decisione parlamentare è giunta purtroppo solo a pochi giorni dalla loro introduzione, anche se già durante l’ultima nostra comunicazione avevamo informato le aziende sulla prospettiva salariale che è poi stata approvata negli scorsi giorni dal Parlamento cantonale. 
 
Restiamo volentieri a disposizione per un supporto dedicato.


Info generali: https://www4.ti.ch/dfe/de/usml/salariominimo/salario-minimo-cantonale

La moglie extra UE di un frontaliere UE non ha il diritto acquisito di lavorare in Svizzera

Scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti.

L’accordo bilaterale sulla libera circolazione delle persone concluso dalla Svizzera con l’Unione Europea prevede, tra le altre cose, pure il diritto al ricongiungimento famigliare. Ciò significa che i membri della famiglia di un lavoratore comunitario che ha un impiego in Svizzera possono trasferirsi assieme a lui. Si tratta di un cosiddetto diritto “derivato”, nel senso che traggono profitto dal diritto originario del lavoratore medesimo che si trasferisce per svolgere un’attività professionale. Il senso di tale diritto è di evitare ostacoli alla libera circolazione che, di fatto, sorgerebbero nel caso in cui il lavoratore non avesse la possibilità di iniziare una nuova attività all’estero con la propria famiglia.
Detto altrimenti, il diritto derivato dei membri della famiglia serve a rendere davvero effettivo il diritto alla libera circolazione di chi si trasferisce all’estero per motivi professionali.

La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE ha ripetutamente sottolineato che il diritto derivato dei membri della famiglia sussiste anche se i medesimi non hanno la nazionalità di un paese dell’UE (questo è invece un requisito necessario per i lavoratori stessi che circolano da un paese all’altro).

Ora, il Tribunale federale si è recentemente occupato del caso della moglie tailandese di un frontaliere francese che lavorava in Svizzera, entrambi domiciliati in Francia. La moglie tailandese aveva chiesto alle autorità ginevrine un permesso quale frontaliera, motivando la domanda sulla base del diritto al ricongiungimento famigliare sancito dall’accordo bilaterale con l’UE. In sostanza la signora aveva argomentato sostenendo che lo statuto di frontaliere del marito permetteva di derivare un diritto pure a suo vantaggio a titolo di ricongiungimento famigliare.

Il Tribunale ha negato questa richiesta sottolineando che dallo statuto di frontaliero del marito, la signora non può desumere alcun diritto derivato di svolgere pure lei un’attività economica in Svizzera come frontaliera. Le disposizioni dell’accordo bilaterale sul ricongiungimento famigliare mirano infatti a consentire ai cittadini di uno stato di vivere una vita famigliare effettiva nel paese di soggiorno.

Tenuto conto che i frontalieri non trasferiscono la propria residenza, e quindi nemmeno la loro vita famigliare, nel paese in cui lavorano, non possono invocare le disposizioni sul ricongiungimento.

In conclusione, non è data la possibilità di concedere a un cittadino extra UE un diritto derivato da quello del coniuge UE di esercitare pure lui un’attività lucrativa in Svizzera come frontaliere.

(Sentenza 2C_158/2023)

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Riforma LPP21

Da tempo le pensioni professionali sono sottoposte a forti pressioni: da un lato a causa dell’invecchiamento della popolazione e dall’altro per ragioni economiche, in particolare la volatilità dei mercati.

La riforma colma le lacune nella previdenza professionale per le persone che lavorano a tempo parziale e per le persone a basso reddito

La riforma AVS21, adottata in maniera restrittiva dal popolo svizzero il 25 settembre 2022, è stata un primo passo verso il risanamento dei fondi pensione.
Il Parlamento a Berna, dopo diverse fasi di deliberazioni ampiamente controverse, ha votato per un compromesso puramente svizzero: Riforma LPP21.
Avendo giudicato il progetto penalizzante per le rendite dei futuri pensionati e delle donne, il sindacato svizzero ha lanciato un referendum e ha raccolto 141.726 firme, motivo per cui il popolo svizzero voterà su questa riforma il 22 settembre 2024.

Anche le donne al centro della riforma

Con questa riforma, verranno migliorati i benefici per i redditi bassi, per le persone che lavorano a tempo parziale e per coloro che svolgono più lavori.
I referendari affermano che la riforma costringerebbe gli assicurati a pagare di più a favore delle rendite basse. Tuttavia, uno studio pubblicato dall’istituto BSS per conto dell’organizzazione femminile Alliance F (che sostiene anche la riforma) rivela che 359.000 persone, tra cui 275.000 donne, riceveranno una pensione più alta se la revisione verrà accettata.
Inoltre, abbassando la soglia di accesso alla LPP da 22.050 a 19.845 franchi e modificando la trattenuta di coordinamento al 20% del salario AVS invece dell’importo fisso di 25.725 franchi, verranno nuovamente assicurati circa 100.000 rendite.
Questo cambiamento non è banale poiché il tasso di povertà al momento del pensionamento scende dal 13,6% allo 0,7% se la persona riceve prestazioni del secondo pilastro.

Migliore occupabilità per gli over 50

La riforma mira anche a rafforzare la posizione degli over 50 nel mercato del lavoro.
Attualmente, i contributi LPP aumentano notevolmente con l’età, rendendo i dipendenti over 50 più “costosi” per i datori di lavoro.
La nuova legge prevede quindi di ridurre i contributi dei lavoratori più anziani abbassando l’aliquota contributiva dal 18% al 14% per la fascia di età 45-65 anni. Per le generazioni di transizione è prevista una compensazione al fine di mantenere le rendite al livello attuale nonostante un’aliquota di conversione ridotta.

Una grande alleanza d’intenti a favore del SÌ

Molte organizzazioni mantello e associazioni economiche come l’Unione svizzera dei datori di lavoro, l’Associazione svizzera degli assicuratori e l’USAM sostengono la riforma. Da notare che anche Alliance F, un’associazione che rappresen- ta la voce delle donne nella politica svizzera, si è espressa a favore di questo progetto.

Sul piano politico sostengono la riforma anche il Centro, l’Udc, il PLR e i Verdi liberali
(https://si-lpp.ch/).

La Cc-Ti si unisce all’alleanza e difenderà la proposta federale al 22 settembre.

Il brevetto svizzero “rafforzato” dalla nuova Legge Brevetti

Abbiamo il piacere di segnalare che il Parlamento ha di recente approvato una revisione della Legge Federale sui Brevetti d’Invenzione che, in previsione, entrerà in vigore nella seconda metà del 2026

© Istituto Federale della Proprietà Intellettuale di Berna. Immagine: IPI

Vi illustriamo in sintesi le modifiche principali e il loro impatto per le domande di brevetto e brevetti future/i.

Prassi corrente di svolgimento del rilascio

Il rilascio di un brevetto d’invenzione secondo l’attuale Legge prevede il deposito di una domanda di brevetto presso l‘Istituto Federale della Proprietà Intellettuale (IPI), un esame di aspetti quali la chiarezza e la sufficienza di descrizione, e una verifica che la domanda non riguardi una delle esclusioni assolute previste. Tali esclusioni evitano che siano concessi brevetti sul corpo umano o sulle sequenze (parziali) di un gene in quanto tali, oppure su invenzioni la cui utilizzazione sarebbe offensiva o contraria all’ordine pubblico o al buon costume. A superamento di tutte le obiezioni sollevate dall’IPI, la domanda è concessa.
Non vengono, invece, esaminate novità e attività inventiva (originalità) di una domanda di brevetto, poiché l’esame di tali requisiti ricade al di fuori dello spettro di indagine dell’IPI.
Ciò evidenzia un limite dell’attuale rilascio: una domanda di brevetto è concessa se è conforme ai parametri esaminati dall’IPI, anche nei casi in cui l’ambito di tutela è, a mero titolo di esempio, privo di novità alla luce di documenti già pubblici prima della data di deposito o di priorità della domanda.

Un depositante può quindi optare per una domanda di brevetto europeo per ottenere un brevetto svizzero vagliato anche nei requisiti sostanziali – e quindi dotato di presunzione di validità più forte – grazie al fatto che i brevetti europei sono validi per la Svizzera.
Malgrado ciò, tale strategia di depositare una domanda di brevetto europeo per ottenere un brevetto europeo valido in Svizzera presenta maggiori costi e una procedura di rilascio in media più lunga rispetto a un brevetto svizzero ottenuto, con esame solo parziale, attraverso il percorso di rilascio nazionale.

Le principali modifiche introdotte

A seguito della revisione approvata della Legge Federale sui Brevetti d’Invenzione, l‘IPI eseguirà una ricerca sullo stato della tecnica dell‘invenzione per ogni domanda di brevetto, in modo da segnalare documenti anteriori (vale a dire resi pubblici prima della data di deposito o di priorità della domanda di brevetto) ritenuti rilevanti per un apprezzamento di novità e/o attività inventiva delle rivendicazioni depositate.
Tale ricerca sarà resa pubblica per consentire a chiunque di verificare la validità del brevetto.
La disponibilità della ricerca creerà maggiore trasparenza e certezza giuridica sia per i depositanti, sia per terze parti.
Entrando maggiormente nello specifico, i depositanti potranno stabilire se vorranno ottenere un brevetto svizzero parzialmente esaminato (come con l’attuale procedura, senza obblighi di apportare modifiche all’ambito di tutela) ma comunque accompagnato dalla ricerca eseguita dall’IPI, oppure se richiedere un esame completo della domanda. Nell’esame completo i depositanti potranno dialogare con un Esaminatore dell’IPI per concordare modifiche alle rivendicazioni e/o alla descrizione alla luce di eventuali criticità emerse dalla ricerca.
Da notare, ciononostante, che l’esame completo di una domanda di brevetto potrà anche essere avviato su istanza di parti terze (ad esempio, di concorrenti), ma solo dopo che il depositante avrà fatto la richiesta d’esame della propria domanda. Tale meccanismo eviterà che un depositante sia costretto ad affrontare l’esame completo di una propria domanda alla quale non è più interessato.
L’opposizione amministrativa all’IPI a valle della concessione del brevetto svizzero non sarà più disponibile dato che, in sostanza, non è mai stata utilizzata dalla sua introduzione. In sostituzione all’opposizione amministrativa si aprirà la facoltà di depositare, entro 4 mesi dalla data di concessione del brevetto, un appello al Tribunale Federale Brevetti per contestare una decisione dell’IPI.
Nell’ambito della procedura di appello un terzo dovrà essere legittimato, dovendo motivare un interesse legale ad agire, per invocare carenze di novità e/o di attività inventiva alla luce di uno stato della tecnica a lui noto e/o dei documenti emersi dalla ricerca dell’IPI. Tuttavia qualsiasi terzo (pur non legittimato) potrà invocare che l’invenzione non è brevettabile in virtù delle suddette esclusioni assolute.
Da notare che l’appello depositato dal terzo non avrà effetti sospensivi sulla concessione, principalmente in modo da evitare che la procedura possa essere abusata per impedire al titolare di azionare il brevetto contro un presunto contraffattore.
Un’ulteriore novità riguarderà il regime linguistico dell’IPI, aprendo la possibilità di utilizzare la lingua inglese nella procedura di concessione, e non più le sole lingue ufficiali svizzere. Le domande saranno quindi depositabili in lingua inglese senza dover far seguire traduzioni in italiano, francese o tedesco. Tale misura consentirà un risparmio di costi, e una riduzione di possibili errori di traduzione.

Conclusioni

Le revisioni mirano a rendere il brevetto svizzero attrattivo soprattutto per PMI e inventori individuali, e ad armonizzarlo rispetto agli standard internazionali.


Articolo di Enrico Eterno, European Patent, Attorney ed European Patent Litigator, M. Zardi & Co. SA

Incapacità lavorativa dovuta ad una situazione conflittuale sul posto di lavoro

Nessuna protezione dalla disdetta se l’incapacità lavorativa è dovuta ad una situazione conflittuale sul posto di lavoro

Scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti.

Il codice delle obbligazioni prevede che in determinate situazioni il datore di lavoro non possa licenziare i dipendenti.

Si tratta dei cosiddetti periodi di protezione previsti dall’art. 336c CO. Secondo tale norma una disdetta è nulla se notificata quando il lavoratore è impedito di lavorare, in tutto o in parte, a causa di malattia o infortunio non imputabili a sua colpa, per 30 giorni nel primo anno di servizio, per 90 giorni dal secondo anno di servizio sino al quinto compreso e per 180 giorni dal sesto anno di servizio.

Questa protezione è stata introdotta non tanto in considerazione dello stato di salute del lavoratore al momento della ricezione della disdetta, ma perché la possibilità di ottenere un nuovo impiego alla fine del periodo di preavviso è ridotta a causa dell’incertezza dovuta alla durata della malattia.

Questa regola non è applicabile quando la malattia è a tal punto insignificante che non pregiudica la capacità lavorativa e di conseguenza non è atta ad impedire l’inizio di una nuova attività professionale. È ad esempio il caso quando l’incapacità lavorativa è riferita e limitata al posto di lavoro.

In una recente sentenza il Tribunale federale ha confermato tale giurisprudenza, precisando che, se i disturbi depressivi e di ansietà di un lavoratore sono causati da una situazione conflittuale sul posto di lavoro, non vi è alcuna protezione dalla disdetta in quanto la persona, presso un’altra azienda, è completamente abile.

Si precisa che tale situazione di conflitto era stata esplicitamente riconosciuta sia dal lavoratore medesimo che dai rapporti del medico curante. In conclusione, a tali condizioni, la persona può essere validamente licenziata.

Sentenza 1C_595/2023

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Blocco dell’ingresso di un centro commerciale. Nessuna coazione imputabile ai militanti per il clima

Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.

In una recente sentenza il Tribunale federale ha dovuto stabilire se una cosiddetta manifestazione per il clima implicasse responsabilità di natura penale. In concreto si è trattato del blocco durato 2 ore dell’ingresso di un centro commerciale a Friburgo.

Il Ministero pubblico ha sostenuto l’accusa per coazione nei confronti dei militanti per il clima. L’articolo 181 del Codice penale prevede che “chiunque, usando violenza o minaccia di grave danno contro una persona, o intralciando in altro modo la libertà d’agire di lei, la costringe a fare, omettere o tollerare un atto, è punito con una pena detentiva sino a tre anni con una pena pecuniaria”.

I giudici hanno pertanto analizzato in tale prospettiva la manifestazione che, come indicato, ha implicato il blocco dell’accesso al centro commerciale. In questa analisi hanno innanzitutto ricordato i principi già precedentemente sviluppati dalla giurisprudenza pertinente. In particolare, hanno ribadito che le autorità devono dar prova di una certa tolleranza nel caso di assembramenti non autorizzati ma non violenti, così da non svuotare della sua sostanza la libertà di riunione. Hanno poi rammentato che i limiti della tolleranza vanno definiti in relazione alle circostanze concrete di ogni caso e non in modo generico e generalizzato. Nella fattispecie concreta è stato possibile appurare che la manifestazione aveva comunque lasciato liberi altri accessi dello stabile permettendo in tal modo alla gente di uscire o entrare per altre vie percorrendo una deviazione di poco conto.

Stando così le cose, hanno concluso i giudici, la pressione esercitata dai manifestanti sui clienti del centro commerciale non ha raggiunto un’intensità sufficiente da arrecare una grave perturbazione alla loro libertà personale parificabile ad una coazione. A queste condizioni non sussiste pertanto alcuna responsabilità penale dei militanti per il clima come invece era stato in passato il caso in relazione al blocco di tre importanti autostrade.
(Sentenza 6B_138/2023)

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Registrazione dell’orario di lavoro: chi può essere dispensato?

La legge svizzera impone alle aziende di mettere in atto un sistema di registrazione della durata del lavoro e comporta, in modo generale, un obbligo per i lavoratori di registrare il loro tempo di lavoro. Di seguito verrà spiegato quali sono i collaboratori che non devono sottostare a questa norma o che lo sono parzialmente e come procedere per rinunciare alla registrazione dell’orario di lavoro o per mettere in atto una registrazione semplificata.

Quadro normativo

La legge sul lavoro (art 46 LL) impone al datore di lavoro di mettere a disposizione delle autorità di sorveglianza i registri o i giustificativi contenenti le informazioni necessarie all’esecuzione di questa legge e delle relative ordinanze. L’ordinanza 1 relative alla legge sul lavoro (art 73 OLL1) precisa che i registri e i giustificativi devono indicare la durata quotidiana e settimanale del lavoro fornito (lavoro compensativo e supplementare incluso), le coordinate temporali (ore di inizio e fine del lavoro), gli orari e la durata delle pause di una durata uguale o superiore alla mezz’ora.

Registrazione semplificata

Nel quadro della registrazione semplificata (art 73 b OLL1) solo la durata giornaliera del lavoro fornito deve essere presa in considerazione: non è dunque necessario precisare i periodi di lavoro e di risposo, eccezion fatta per il lavoro domenicale e notturno. È altresì possibile creare un sistema di registrazione semplificata per i collaboratori che possono determinare in modo autonomo una parte significativa del loro orario lavorativo.
Secondo la SECO (Segretaria di Stato per l’Economia) i lavoratori che potrebbero sottostare a questa misura sono coloro che possiedono una flessibilità tale da organizzare e fissare almeno un quarto dei loro orari di lavoro (valore indicativo). L’esistenza di orari flessibili non è sufficiente.

Il criterio è soddisfatto quando gli orari fissati non sorpassano il 75% del tempo di lavoro totale e quando l’autonomia del lavoratore non è limitata da altre esigenze (es. riunioni obbligatorie o viaggi d’affari).

Al fine di instaurare la registrazione semplificata occorre concludere un accordo collettivo con i rappresentanti dei lavoratori dell’azienda (commissione del personale) o con un sindacato (oppure in mancanza di ciò con la maggioranza dei lavoratori dell’azienda).
Questo accordo deve indicare:

  • quali categorie di lavoratori sottostanno alla registrazione semplificata;
  • prevedere disposizioni particolari per garantire il rispetto della durata del lavoro e del tempo di riposo (es. blocco delle e-mail durante la notte e la domenica);
  • una procedura paritaria che permetta di verificare il rispetto dell’accordo.

Nelle aziende che impiegano meno di 50 dipendenti è possibile concludere un accordo individuale per iscritto. Quest’ultimo deve menzionare le disposizioni relative alla durata del lavoro e del riposo. Inoltre, l’azienda deve organizzare un colloquio di fine anno sul carico di lavoro e registrarne il contenuto. Anche se un accordo è stato concluso, il datore di lavoro è tenuto a fornire uno strumento adeguato alla registrazione dell’orario di lavoro, perché i dipendenti restino liberi di registrarlo.

Rinuncia alla registrazione

È consentita la rinuncia alla registrazione dell’orario di lavoro se sono soddisfatte cumulativamente quattro condizioni (art. 73a OLL1). Innanzitutto, la rinuncia deve essere stipulata in un contratto collettivo di lavoro (CCL), sottoscritto dalle parti sociali. Questo CCL deve essere sottoscritto dalla maggioranza delle organizzazioni rappresentanti i lavoratori, in particolare nell’azienda o nel settore, e prevedere misure specifiche per garantire la tutela della salute e assicurare il rispetto della durata del riposo fissata dalla legge. Deve includere, inoltre, l’obbligo del datore di lavoro di designare un responsabile o un servizio interno che si occupi delle questioni relative alla durata del lavoro. In secondo luogo, i lavoratori interessati devono disporre di grande autonomia nel loro lavoro e poter fissare, nella maggior parte dei casi, il proprio orario di lavoro. In terzo luogo, questi dipendenti devono ricevere uno stipendio annuo lordo superiore a CHF 120’000.- (ev. bonus inclusi) o la quota corrispondente in caso di lavoro a tempo parziale. In quarto luogo, deve essere concluso un accordo scritto individuale con ciascun dipendente dove viene indicata la rinuncia alla registrazione del proprio orario di lavoro. Questo accordo è revocabile ogni anno. In caso di rinuncia alla registrazione dell’orario di lavoro, il datore di lavoro deve mettere a disposizione delle autorità gli accordi individuali di rinuncia nonché un registro dei lavoratori che hanno rinunciato alla registrazione della durata del loro lavoro.

Quadri superiori e/o dirigenti

I lavoratori che ricoprono una posizione dirigenziale non sono soggetti alla normativa alla legge sul lavoro sul lavoro (art. 3 lett. d LL) e quindi non sono assoggettati all’obbligo di registrazione dell’orario di lavoro. Sono considerati tali i soggetti che, in ragione della loro posizione e responsabilità e date le dimensioni dell’azienda, dispongono di un significativo potere decisionale, o sono in grado di influenzare fortemente le decisioni importanti riguardanti, in particolare, la struttura, l’attività commerciale e lo sviluppo di un’azienda o di una parte di azienda (art. 9 OLL1). La nozione di “alta funzione dirigenziale” è interpretata in modo restrittivo dalla giurisprudenza (v. sentenza del Tribunale Federale ATF 126 III 337 c. 5).


Fonte: articolo di Kathia Pauchard, apparso su “ECHO”, rivista della Camera di commercio e dell’industria di Friborgo, nr 1, marzo 2024. Traduzione ed adattamento Cc-Ti.

Nessun obbligo di pagare il salario nel caso di chiusure aziendali decise dallo Stato: motivazioni della sentenza

Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.

Nel numero di Ticino Business dello scorso ottobre 2023 (nr 4/2023) avevamo riferito di una sentenza del Tribunale federale (4A_53/2023) che esonerava un datore di lavoro dall’obbligo di pagare il salario nel caso di una chiusura aziendale decisa dallo Stato per combattere il Coronavirus (www.cc-ti.ch/no-obbligo-pagare-salario-chiusure-aziendali). Ora sono giunte le motivazioni che
riassumiamo nel seguente modo:

  • Il ragionamento dei giudici è partito dal concetto di mora del datore di lavoro, regolato all’art. 324 CO. Tale regola statuisce che “se il datore di lavoro impedisce per sua colpa la prestazione del lavoro o è altrimenti in mora nell’accettazione del lavoro, egli rimane tenuto al pagamento del salario, senza che il lavoratore debba prestare ulteriormente il suo lavoro”.
    In altre parole, se il dipendente è disposto e pronto a lavorare ma il datore di lavoro gli impedisce negligentemente di farlo deve comunque versare il salario.
  • La stessa conseguenza subentra nel caso in cui la prestazione lavorativa è impossibile senza che vi sia una colpa, ma a causa di un motivo che rientra nel rischio aziendale del datore di lavoro. Il concetto di rischio aziendale non è definito dalla legge ma deve essere valutato concretamente caso per caso. Di regola il rischio aziendale corrisponde alla definizione di cui all’art. 91 CO in cui viene indicato che il creditore di una prestazione (nel caso il lavoro) può rifiutarsi di accettarla solo in presenza di legittimi motivi. Se i motivi non sono legittimi, ci si trova pertanto all’interno del rischio aziendale.
  • Le chiusure aziendali per lottare contro il Coronavirus costituiscono legittimi motivi che possono giustificare il rifiuto delle prestazioni lavorative da parte del datore di lavoro. Si tratta di situazioni che hanno toccato tutti indistintamente. Non rientrano nel rischio aziendale.
  • I datori di lavoro erano tenuti ad obbedire agli ordini di chiusura. A loro non è pertanto imputabile alcuna colpa.
  • La legge federale sulle epidemie non prevede alcun obbligo di individuazione precoce e di sorveglianza nei confronti dei datori di lavoro. La legge impone doveri simili solo a carico della Confederazione e dei Cantoni. I datori di lavoro hanno unicamente il dovere di prevenire i contagi tra i collaboratori.
  • In ogni modo ancora nel febbraio 2020 il Coronavirus era ufficialmente considerato un problema geograficamente limitato alla Cina. Ai datori di lavoro non può quindi essere ascritta alcuna responsabilità per aver eventualmente sottovalutato il problema.
  • Le questioni di diritto privato, come ad esempio il pagamento del salario in caso di chiusura aziendale, sono di esclusiva competenza dei tribunali. Eventuali indicazioni della SECO non sono pertanto decisive per le valutazioni di tali fattispecie.
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