Pensionamento flessibile nel regime del 1° pilastro

La riforma dell’AVS 21, che è entrata in vigore il 1° gennaio 2024, prevede una maggiore flessibilità nel pensionamento. Ad esempio, il termine “età pensionabile” è stato sostituito da “età di riferimento”, per designare il momento in cui gli assicurati possono richiedere la rendita di  vecchiaia senza essere soggetti a una riduzione per il pensionamento anticipato o a un supplemento per il differimento

Data la complessità della materia e le numerose specificità ed eccezioni, la presente scheda fornisce una panoramica delle nuove possibilità offerte dal primo pilastro, tenendo presente che il primo pilastro è solo uno dei fattori che entrano in gioco nel determinare le risorse disponibili al momento del pensionamento.

Pensionamento all’età di riferimento

L’età pensionabile di riferimento sarà gradualmente innalzata da 64 a 65 anni per le donne, con misure di compensazione per le donne nate tra il 1961 e il 1969. Queste possono assumere varie forme, tra cui prestazioni pensionistiche migliori in determinate situazioni, non soggette al massimale per le donne sposate. Tutti i futuri pensionati devono presentare una richiesta al fondo di compensazione competente alcuni mesi prima del raggiungimento dell’età di riferimento per attivare il pagamento della pensione.

Pensionamento anticipato

  • Anticipo totale
    È ora possibile percepire la pensione in anticipo a partire dal primo giorno del mese successivo al compimento del 63° anno di età. È possibile scegliere di percepire la pensione in anticipo, per intero o in parte. In questo caso, la pensione viene calcolata in modo normale, tenendo presente che la pensione anticipata è generalmente parziale, in assenza di un periodo completo di contributi. L’importo della pensione così calcolato viene poi ridotto di una percentuale che dipende dalla durata del periodo di prepensionamento. Durante il periodo di prepensionamento è necessario continuare a versare i contributi AVS, se necessario, come persona non attiva.
  • Anticipo parziale
    È ora possibile percepire tra il 20% e l’80% della pensione di vecchiaia prima di raggiungere l’età di riferimento. Durante il periodo di anticipazione, è possibile aumentare una volta la percentuale anticipata. In questo caso, il calcolo viene effettuato come per il prelievo anticipato completo.
  • Fine dell’anticipazione
    Al raggiungimento dell’età di riferimento, viene calcolata la pensione di vecchiaia definitiva, tenendo conto dei contributi versati durante il periodo di prepensionamento. Una volta stabilito l’importo della pensione, questo viene ridotto in base alla durata del periodo di pensionamento anticipato.
    Al momento del decesso dell’assicurato che ha versato la pensione anticipata, la pensione della vedova, del vedovo o dell’orfano che gli succede non viene ridotta.

Rinvio del pensionamento

  • Rinvio totale
    Chi raggiunge l’età di riferimento può differire la riscossione della pensione di vecchiaia da uno a cinque anni. Ciò consente di ricevere una pensione di vecchiaia maggiorata, a seconda della durata del differimento. Il meccanismo è quindi inverso a quello dell’anticipazione. Il differimento non può essere inferiore a un anno. Nel caso di assicurati coniugati, l’aumento legato al differimento non è influenzato dal massimale della pensione. Il differimento può riguardare la totalità o una parte della pensione, senza che sia necessario stabilire in anticipo la durata del differimento. Dopo un anno di differimento, è possibile revocarlo, in tutto o in parte, e ottenere il pagamento della pensione a partire dal mese successivo alla revoca. Tuttavia, il differimento non è possibile se l’assicurato percepisce una pensione di invalidità totale o un’indennità di frequenza.
  • Rinvio parziale
    Il differimento può riguardare solo una parte della pensione, dal 20% all’80% della stessa. Questa percentuale può essere ridotta una volta durante il periodo di differimento, ma non aumentata. Se una parte della pensione è stata anticipata, è possibile differire solo il saldo.
  • Fine del rinvio
    Il differimento termina quando l’assicurato revoca la rendita. La revoca si considera avvenuta anche quando è trascorso il periodo massimo di cinque anni, precisando che l’assicurato deve richiedere espressamente il pagamento della pensione. Anche la concessione di un assegno di invalidità o il decesso dell’assicurato pone fine al differimento. Le pensioni di reversibilità che seguono una pensione di vecchiaia differita non vengono aumentate.

Fonte: CVCI, Demain, agosto/settembre 2024. Traduzione ed adattamento: Cc-Ti

Il licenziamento in tronco di un dipendente già licenziato in modo ordinario

Scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti.

I contratti di lavoro possono essere conclusi per una durata determinata o indeterminata. In caso di durata determinata cessano di esplicare effetti giudici allo scadere del tempo previsto. Per contro, nel caso di durata indeterminata la fine del contratto presuppone una disdetta.

La  disdetta è un atto formale con il quale una delle parti al contratto notifica all’altra la sua in tenzione di porre fine al rapporto di lavoro. Proseguendo con i distinguo, la disdetta può essere ordinaria o straordinaria. Quella ordinaria non presuppone alcun motivo da parte di chi la notifica e deve rispettare i termini di preavviso contrattuali. La disdetta straordinaria ha per contro un effetto immediato, nel senso che il contratto prende immediatamente fine, ma deve fondarsi su motivi gravi. Sono reputati gravi in particolare, quelle circostanze che non permettono per ragioni di

buona fede di esigere da chi dà la disdetta che abbia a continuare nel contratto. Si tratta di situazioni in cui il rapporto di fiducia tra le parti è irrimediabilmente compromesso.

Nella realtà può succedere che in determinate situazioni i due tipi di disdetta vengano utilizzati entrambi. In una sua sentenza (4A_546/2023) il Tribunale federale si è infatti occupato di un caso in cui un dipendente era inizialmente stato licenziato in modo ordinario e successivamente, durante il termine di preavviso, una seconda volta con effetto immediato. Infatti, dopo aver proceduto alla disdetta nel rispetto del termine ordinario di preavviso, il datore di lavoro aveva riscontrato alcune situazioni a suo parere incompatibili con il contratto di lavoro ancora in essere, e aveva pertanto proceduto in un primo tempo ad ammonire formalmente la persona e cinque giorni dopo ad un licenziamento in tronco.

È possibile procedere in tal modo? Se un dipendente ha già ricevuto una disdetta ordinaria può, durante il termine di preavviso, ricevere una seconda disdetta con effetto immediato che pone fine seduta stante, prima della scadenza, al rapporto di lavoro?

Il Tribunale federale ha detto di sì, ma in queste situazioni i motivi alla base del licenziamento devono essere particolarmente gravi. In altre parole, la valutazione circa l’esistenza di gravi motivi atti a giustificare un licenziamento in tronco deve essere effettuata in modo più severo se la persona ha già ricevuto una disdetta ordinaria. In effetti nel caso di una persona già licenziata in modo ordinario l’orizzonte temporale del rapporto lavorativo è già determinato ed è nota la data della cessazione del contratto. Per quale ragione è quindi necessario un ulteriore licenziamento in tronco? Non è sufficiente attendere lo scadere naturale del termine di disdetta? Queste sono le domande a cui è necessario rispondere in modo convincente per poter giustificare il secondo licenziamento.

Nel caso concreto il Tribunale federale ha inoltre considerato che il secondo licenziamento è intervenuto solo cinque giorni dopo l’ammonimento e che quindi non vi fosse una reale volontà del datore di lavoro di correggere il comportamento del dipendente ma piuttosto di anticipare la data della fine del contratto. Anche per questa ragione il datore di lavoro non avrebbe potuto ricorrere a una seconda disdetta con effetto immediato. In conclusione, bisogna essere particolarmente prudenti quando si intende procedere in questo modo. A volte meglio lasciar scadere il termine di disdetta ordinario che vedersi coinvolgere in lunghe procedure giudiziarie.

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Cedere la propria azienda è un’operazione complessa

Il passaggio di proprietà di un’azienda è, innegabilmente, una fase importante nella vita di un’azienda

Si tratta di un processo lungo e sfaccettato che tocca diversi ambiti, tra cui quello finanziario (valutazione e finanziamento dell’azienda), giuridico (redazione dei contratti) e fiscale (tassazione dell’imprenditore e dell’azienda). Il punto di vista di uno specialista del settore: Julien J. Collaud, della ditta VZ Conseil juridique et fiscal SA, raccolto dalla Camera di commercio e dell’industria del Canton Vaud.

Secondo alcuni studi, in Svizzera diverse decine di migliaia di PMI sono interessate da trasferimenti non regolarizzati. Quali sono le principali difficoltà incontrate dai proprietari?

A parte alcune difficoltà legate al settore o all’azienda da trasferire, i principali ostacoli incontrati dagli imprenditori che desiderano trasferire la propria azienda e che non cercano supporto sono la sottovalutazione del tempo da dedicare alla transazione, la ricerca di un rappresentante in grado di farlo, i cattivi consigli ricevuti da familiari e amici e il non valutare attentamente la complessità della transazione, in particolare in termini di tasse e successioni.

Quali sono le diverse opzioni a disposizione di chi vuole cedere la propria azienda?

In pratica, si distinguono tre tipi di trasferimento d’impresa, che rappresentano una serie di opzioni disponibili per chi desidera cedere la propria azienda:

  • il primo è la trasmissione all’interno della famiglia (Family Buy-Out – FBO), che consiste in una vendita o donazione (totale o parziale) ai membri della famiglia dell’imprenditore
  • il secondo è la trasmissione all’interno dell’azienda (Management Buy-Out – MBO), che consiste nella vendita ai dipendenti dell’azienda, spesso dirigenti
  • il terzo è la vendita a terzi, cioè a persone non legate all’imprenditore.

Possono essere aziende che operano nello stesso mercato, investitori finanziari (private equity, fondazioni d’investimento, fondi d’investimento, ecc.) o persone che desiderano diventare imprenditori.

Esistono scadenze ideali per affrontare questo passaggio?

Ogni caso è unico e ha le sue peculiarità. Possiamo tuttavia affermare che il momento ideale per iniziare a pensare al trasferimento dell’azienda è tra i cinque e gli otto anni prima. Quanto prima si inizia, tanto maggiori sono le possibilità di ottimizzare l’attività, la pianificazione finanziaria personale e la previdenza. È particolarmente consigliabile farlo in anticipo quando la società detiene molti beni non necessari per le operazioni. Poiché l’acquirente probabilmente non sarà interessato ad acquistarli, è opportuno ammortizzarli su più anni per limitare l’impatto fiscale. Inoltre, in caso di cambio di forma giuridica (ad esempio da ditta individuale a società a responsabilità limitata), è previsto un periodo di blocco di cinque anni prima di poter realizzare una plusvalenza esente da imposte.

Come garantire il successo del trasferimento? È consigliabile rivolgersi a degli esperti?

Il trasferimento dell’azienda è un’operazione complessa che tocca diversi ambiti, tra cui quello finanziario (valutazione dell’azienda e finanziamento), giuridico (redazione dei contratti) e fiscale (tassazione dell’imprenditore e dell’azienda). Si consiglia vivamente di avvalersi dei servizi di un esperto in materia di trasferimento d’azienda, che sarà in grado di fornire una consulenza personalizzata durante l’intero processo. Se necessario, può anche aiutarvi a trovare un acquirente. Inoltre, l’esperto vi permetterà di dedicare meno tempo alla vendita dell’azienda, in modo da potervi concentrare il più possibile sulla gestione dell’impresa. Sarebbe un peccato se i risultati dell’azienda diminuissero durante la fase di trasferimento perché l’imprenditore non può più dedicarvi abbastanza tempo.


Fonte: CVCI, Demain, agosto/settembre 2024. Traduzione ed adattamento: Cc-Ti.

AVS 21: nessuna nuova votazione

Il Tribunale federale ha deciso oggi che l’errore di calcolo delle previsioni AVS non porterà a una nuova votazione sulla riforma AVS 21

I datori di lavoro accolgono con favore questa decisione: l’annullamento della votazione avrebbe comportato un carico di lavoro sproporzionato e avrebbe sollevato molte domande sul resto della procedura.

L’errore nel calcolo delle previsioni AVS dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (UFAS) non porta ad una nuova votazione sulla riforma AVS 21: oggi il Tribunale federale ha respinto un ricorso in tal senso. Pertanto, le modifiche già in vigore o previste vengono mantenute.

I datori di lavoro accolgono con favore questa decisione perché consente di mantenere importanti misure di stabilizzazione dell’AVS. Inoltre, è giusto, in termini di uguaglianza e di aspettativa di vita, che donne e uomini abbiano la stessa età ufficiale di riferimento. Inoltre, ciò fa risparmiare molti sforzi e problemi sia all’amministrazione che alla popolazione – per quanto riguarda la riforma AVS 21, ma anche voti futuri e previsioni calcolate a monte.

L’annullamento del voto avrebbe reso obsoleta la base giuridica per l’aumento dell’IVA in vigore dal 1° gennaio 2024. Non si sa cosa sarebbe successo alle entrate aggiuntive già generate.

Per i datori di lavoro è chiaro che, data la forte pressione finanziaria che continua a gravare sulle finanze dell’AVS, è necessario adottare altre misure strutturali.

Si aspetta dal Consiglio federale una soluzione praticabile nel quadro della riforma AVS 2026, che prevede un aumento realistico dell’età di riferimento in base alla speranza di vita.


Fonte: Union patronale suisse, dicembre 2024

Riduzione delle vacanze e incapacità lavorativa parziale

Scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti.

Le vacanze sono un diritto dei dipendenti. Lo dice la legge. E questo diritto viene maturato sulla base del tempo passato al servizio dell’azienda per cui si lavora. Infatti, per un anno incompleto di lavoro, le vacanze sono date proporzionalmente alla durata del rapporto di lavoro nell’anno considerato. Fino a qui tutto chiaro. Ma cosa succede se il dipendente non lavora a causa, ad esempio, di una malattia? Nonostante l’assenza, continua a maturare i suoi giorni di vacanza per l’anno considerato?

Su questo punto il Codice delle obbligazioni prevede, a determinate condizioni, la possibilità di ridurre il diritto alle vacanze. Nel caso in cui l’impedimento al lavoro è causato da motivi inerenti alla persona del lavoratore, come malattia, infortunio, adempimento d’un obbligo legale, esercizio d’una funzione pubblica o congedo giovanile, senza che vi sia colpa da parte sua, il datore di lavoro non ha diritto di ridurre la durata delle vacanze se l’impedimento non dura complessivamente più d’un mese nel corso d’un anno di lavoro. E la riduzione scatta comunque solo dopo un successivo mese completo di assenza.

Se invece l’assenza è imputabile ad una colpa del dipendente la riduzione può scattare già dopo il primo mese completo di assenza. La situazione si complica se il dipendente è incapace al lavoro solo parzialmente, al 50% ad esempio.
Come si procede in simili situazioni?

In questi casi il periodo di attesa si calcola allungandolo proporzionalmente al grado di incapacità lavorativa. Ciò significa che per avere un mese completo di assenza bisognerà attendere  due mesi, essendo la persona presente al lavoro per la metà del suo tempo. E di conseguenza il diritto alle vacanze potrà essere ridotto solo dal terzo mese completo di assenza dal posto di lavoro.

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Adeguamento della legge sul salario minimo cantonale

Introduzione della nuova forchetta salariale

Lunedì 18 novembre 2024 il Gran Consiglio ha approvato l’introduzione dell’ultima forchetta salariale prevista dalla legge sul salario minimo cantonale.
A partire dal 1° dicembre 2024, i salari orari minimi lordi dovranno essere compresi nella forchetta salariale CHF 20.00 – 20.50.
Il decreto esecutivo che sarà pubblicato nel Bollettino ufficiale cantonale del 22 novembre 2024 precisa i salari minimi per settore economico.
 
A partire dal 1. gennaio 2026 i salari minimi cantonali saranno adeguati al rincaro, prendendo in considerazione la differenza dell’indice nazionale dei prezzi al consumo fra il mese di novembre 2024 e il mese di novembre 2025. 
 
Restando a disposizione, vi preghiamo di prendere nota dei nuovi salari minimi cantonali, la cui decisione parlamentare è giunta purtroppo solo a pochi giorni dalla loro introduzione, anche se già durante l’ultima nostra comunicazione avevamo informato le aziende sulla prospettiva salariale che è poi stata approvata negli scorsi giorni dal Parlamento cantonale. 
 
Restiamo volentieri a disposizione per un supporto dedicato.


Info generali: https://www4.ti.ch/dfe/de/usml/salariominimo/salario-minimo-cantonale

La moglie extra UE di un frontaliere UE non ha il diritto acquisito di lavorare in Svizzera

Scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti.

L’accordo bilaterale sulla libera circolazione delle persone concluso dalla Svizzera con l’Unione Europea prevede, tra le altre cose, pure il diritto al ricongiungimento famigliare. Ciò significa che i membri della famiglia di un lavoratore comunitario che ha un impiego in Svizzera possono trasferirsi assieme a lui. Si tratta di un cosiddetto diritto “derivato”, nel senso che traggono profitto dal diritto originario del lavoratore medesimo che si trasferisce per svolgere un’attività professionale. Il senso di tale diritto è di evitare ostacoli alla libera circolazione che, di fatto, sorgerebbero nel caso in cui il lavoratore non avesse la possibilità di iniziare una nuova attività all’estero con la propria famiglia.
Detto altrimenti, il diritto derivato dei membri della famiglia serve a rendere davvero effettivo il diritto alla libera circolazione di chi si trasferisce all’estero per motivi professionali.

La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE ha ripetutamente sottolineato che il diritto derivato dei membri della famiglia sussiste anche se i medesimi non hanno la nazionalità di un paese dell’UE (questo è invece un requisito necessario per i lavoratori stessi che circolano da un paese all’altro).

Ora, il Tribunale federale si è recentemente occupato del caso della moglie tailandese di un frontaliere francese che lavorava in Svizzera, entrambi domiciliati in Francia. La moglie tailandese aveva chiesto alle autorità ginevrine un permesso quale frontaliera, motivando la domanda sulla base del diritto al ricongiungimento famigliare sancito dall’accordo bilaterale con l’UE. In sostanza la signora aveva argomentato sostenendo che lo statuto di frontaliere del marito permetteva di derivare un diritto pure a suo vantaggio a titolo di ricongiungimento famigliare.

Il Tribunale ha negato questa richiesta sottolineando che dallo statuto di frontaliero del marito, la signora non può desumere alcun diritto derivato di svolgere pure lei un’attività economica in Svizzera come frontaliera. Le disposizioni dell’accordo bilaterale sul ricongiungimento famigliare mirano infatti a consentire ai cittadini di uno stato di vivere una vita famigliare effettiva nel paese di soggiorno.

Tenuto conto che i frontalieri non trasferiscono la propria residenza, e quindi nemmeno la loro vita famigliare, nel paese in cui lavorano, non possono invocare le disposizioni sul ricongiungimento.

In conclusione, non è data la possibilità di concedere a un cittadino extra UE un diritto derivato da quello del coniuge UE di esercitare pure lui un’attività lucrativa in Svizzera come frontaliere.

(Sentenza 2C_158/2023)

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Riforma LPP21

Da tempo le pensioni professionali sono sottoposte a forti pressioni: da un lato a causa dell’invecchiamento della popolazione e dall’altro per ragioni economiche, in particolare la volatilità dei mercati.

La riforma colma le lacune nella previdenza professionale per le persone che lavorano a tempo parziale e per le persone a basso reddito

La riforma AVS21, adottata in maniera restrittiva dal popolo svizzero il 25 settembre 2022, è stata un primo passo verso il risanamento dei fondi pensione.
Il Parlamento a Berna, dopo diverse fasi di deliberazioni ampiamente controverse, ha votato per un compromesso puramente svizzero: Riforma LPP21.
Avendo giudicato il progetto penalizzante per le rendite dei futuri pensionati e delle donne, il sindacato svizzero ha lanciato un referendum e ha raccolto 141.726 firme, motivo per cui il popolo svizzero voterà su questa riforma il 22 settembre 2024.

Anche le donne al centro della riforma

Con questa riforma, verranno migliorati i benefici per i redditi bassi, per le persone che lavorano a tempo parziale e per coloro che svolgono più lavori.
I referendari affermano che la riforma costringerebbe gli assicurati a pagare di più a favore delle rendite basse. Tuttavia, uno studio pubblicato dall’istituto BSS per conto dell’organizzazione femminile Alliance F (che sostiene anche la riforma) rivela che 359.000 persone, tra cui 275.000 donne, riceveranno una pensione più alta se la revisione verrà accettata.
Inoltre, abbassando la soglia di accesso alla LPP da 22.050 a 19.845 franchi e modificando la trattenuta di coordinamento al 20% del salario AVS invece dell’importo fisso di 25.725 franchi, verranno nuovamente assicurati circa 100.000 rendite.
Questo cambiamento non è banale poiché il tasso di povertà al momento del pensionamento scende dal 13,6% allo 0,7% se la persona riceve prestazioni del secondo pilastro.

Migliore occupabilità per gli over 50

La riforma mira anche a rafforzare la posizione degli over 50 nel mercato del lavoro.
Attualmente, i contributi LPP aumentano notevolmente con l’età, rendendo i dipendenti over 50 più “costosi” per i datori di lavoro.
La nuova legge prevede quindi di ridurre i contributi dei lavoratori più anziani abbassando l’aliquota contributiva dal 18% al 14% per la fascia di età 45-65 anni. Per le generazioni di transizione è prevista una compensazione al fine di mantenere le rendite al livello attuale nonostante un’aliquota di conversione ridotta.

Una grande alleanza d’intenti a favore del SÌ

Molte organizzazioni mantello e associazioni economiche come l’Unione svizzera dei datori di lavoro, l’Associazione svizzera degli assicuratori e l’USAM sostengono la riforma. Da notare che anche Alliance F, un’associazione che rappresen- ta la voce delle donne nella politica svizzera, si è espressa a favore di questo progetto.

Sul piano politico sostengono la riforma anche il Centro, l’Udc, il PLR e i Verdi liberali
(https://si-lpp.ch/).

La Cc-Ti si unisce all’alleanza e difenderà la proposta federale al 22 settembre.

Il brevetto svizzero “rafforzato” dalla nuova Legge Brevetti

Abbiamo il piacere di segnalare che il Parlamento ha di recente approvato una revisione della Legge Federale sui Brevetti d’Invenzione che, in previsione, entrerà in vigore nella seconda metà del 2026

© Istituto Federale della Proprietà Intellettuale di Berna. Immagine: IPI

Vi illustriamo in sintesi le modifiche principali e il loro impatto per le domande di brevetto e brevetti future/i.

Prassi corrente di svolgimento del rilascio

Il rilascio di un brevetto d’invenzione secondo l’attuale Legge prevede il deposito di una domanda di brevetto presso l‘Istituto Federale della Proprietà Intellettuale (IPI), un esame di aspetti quali la chiarezza e la sufficienza di descrizione, e una verifica che la domanda non riguardi una delle esclusioni assolute previste. Tali esclusioni evitano che siano concessi brevetti sul corpo umano o sulle sequenze (parziali) di un gene in quanto tali, oppure su invenzioni la cui utilizzazione sarebbe offensiva o contraria all’ordine pubblico o al buon costume. A superamento di tutte le obiezioni sollevate dall’IPI, la domanda è concessa.
Non vengono, invece, esaminate novità e attività inventiva (originalità) di una domanda di brevetto, poiché l’esame di tali requisiti ricade al di fuori dello spettro di indagine dell’IPI.
Ciò evidenzia un limite dell’attuale rilascio: una domanda di brevetto è concessa se è conforme ai parametri esaminati dall’IPI, anche nei casi in cui l’ambito di tutela è, a mero titolo di esempio, privo di novità alla luce di documenti già pubblici prima della data di deposito o di priorità della domanda.

Un depositante può quindi optare per una domanda di brevetto europeo per ottenere un brevetto svizzero vagliato anche nei requisiti sostanziali – e quindi dotato di presunzione di validità più forte – grazie al fatto che i brevetti europei sono validi per la Svizzera.
Malgrado ciò, tale strategia di depositare una domanda di brevetto europeo per ottenere un brevetto europeo valido in Svizzera presenta maggiori costi e una procedura di rilascio in media più lunga rispetto a un brevetto svizzero ottenuto, con esame solo parziale, attraverso il percorso di rilascio nazionale.

Le principali modifiche introdotte

A seguito della revisione approvata della Legge Federale sui Brevetti d’Invenzione, l‘IPI eseguirà una ricerca sullo stato della tecnica dell‘invenzione per ogni domanda di brevetto, in modo da segnalare documenti anteriori (vale a dire resi pubblici prima della data di deposito o di priorità della domanda di brevetto) ritenuti rilevanti per un apprezzamento di novità e/o attività inventiva delle rivendicazioni depositate.
Tale ricerca sarà resa pubblica per consentire a chiunque di verificare la validità del brevetto.
La disponibilità della ricerca creerà maggiore trasparenza e certezza giuridica sia per i depositanti, sia per terze parti.
Entrando maggiormente nello specifico, i depositanti potranno stabilire se vorranno ottenere un brevetto svizzero parzialmente esaminato (come con l’attuale procedura, senza obblighi di apportare modifiche all’ambito di tutela) ma comunque accompagnato dalla ricerca eseguita dall’IPI, oppure se richiedere un esame completo della domanda. Nell’esame completo i depositanti potranno dialogare con un Esaminatore dell’IPI per concordare modifiche alle rivendicazioni e/o alla descrizione alla luce di eventuali criticità emerse dalla ricerca.
Da notare, ciononostante, che l’esame completo di una domanda di brevetto potrà anche essere avviato su istanza di parti terze (ad esempio, di concorrenti), ma solo dopo che il depositante avrà fatto la richiesta d’esame della propria domanda. Tale meccanismo eviterà che un depositante sia costretto ad affrontare l’esame completo di una propria domanda alla quale non è più interessato.
L’opposizione amministrativa all’IPI a valle della concessione del brevetto svizzero non sarà più disponibile dato che, in sostanza, non è mai stata utilizzata dalla sua introduzione. In sostituzione all’opposizione amministrativa si aprirà la facoltà di depositare, entro 4 mesi dalla data di concessione del brevetto, un appello al Tribunale Federale Brevetti per contestare una decisione dell’IPI.
Nell’ambito della procedura di appello un terzo dovrà essere legittimato, dovendo motivare un interesse legale ad agire, per invocare carenze di novità e/o di attività inventiva alla luce di uno stato della tecnica a lui noto e/o dei documenti emersi dalla ricerca dell’IPI. Tuttavia qualsiasi terzo (pur non legittimato) potrà invocare che l’invenzione non è brevettabile in virtù delle suddette esclusioni assolute.
Da notare che l’appello depositato dal terzo non avrà effetti sospensivi sulla concessione, principalmente in modo da evitare che la procedura possa essere abusata per impedire al titolare di azionare il brevetto contro un presunto contraffattore.
Un’ulteriore novità riguarderà il regime linguistico dell’IPI, aprendo la possibilità di utilizzare la lingua inglese nella procedura di concessione, e non più le sole lingue ufficiali svizzere. Le domande saranno quindi depositabili in lingua inglese senza dover far seguire traduzioni in italiano, francese o tedesco. Tale misura consentirà un risparmio di costi, e una riduzione di possibili errori di traduzione.

Conclusioni

Le revisioni mirano a rendere il brevetto svizzero attrattivo soprattutto per PMI e inventori individuali, e ad armonizzarlo rispetto agli standard internazionali.


Articolo di Enrico Eterno, European Patent, Attorney ed European Patent Litigator, M. Zardi & Co. SA

Incapacità lavorativa dovuta ad una situazione conflittuale sul posto di lavoro

Nessuna protezione dalla disdetta se l’incapacità lavorativa è dovuta ad una situazione conflittuale sul posto di lavoro

Scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti.

Il codice delle obbligazioni prevede che in determinate situazioni il datore di lavoro non possa licenziare i dipendenti.

Si tratta dei cosiddetti periodi di protezione previsti dall’art. 336c CO. Secondo tale norma una disdetta è nulla se notificata quando il lavoratore è impedito di lavorare, in tutto o in parte, a causa di malattia o infortunio non imputabili a sua colpa, per 30 giorni nel primo anno di servizio, per 90 giorni dal secondo anno di servizio sino al quinto compreso e per 180 giorni dal sesto anno di servizio.

Questa protezione è stata introdotta non tanto in considerazione dello stato di salute del lavoratore al momento della ricezione della disdetta, ma perché la possibilità di ottenere un nuovo impiego alla fine del periodo di preavviso è ridotta a causa dell’incertezza dovuta alla durata della malattia.

Questa regola non è applicabile quando la malattia è a tal punto insignificante che non pregiudica la capacità lavorativa e di conseguenza non è atta ad impedire l’inizio di una nuova attività professionale. È ad esempio il caso quando l’incapacità lavorativa è riferita e limitata al posto di lavoro.

In una recente sentenza il Tribunale federale ha confermato tale giurisprudenza, precisando che, se i disturbi depressivi e di ansietà di un lavoratore sono causati da una situazione conflittuale sul posto di lavoro, non vi è alcuna protezione dalla disdetta in quanto la persona, presso un’altra azienda, è completamente abile.

Si precisa che tale situazione di conflitto era stata esplicitamente riconosciuta sia dal lavoratore medesimo che dai rapporti del medico curante. In conclusione, a tali condizioni, la persona può essere validamente licenziata.

Sentenza 1C_595/2023

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