Regno Unito: confermata l’introduzione del CBAM

Il governo britannico annuncia l’introduzione della carbon tax a gennaio 2027 su determinati prodotti dei settori alluminio, cemento, fertilizzanti, idrogeno, ferro e acciaio, escludendo per il momento i prodotti dei settori ceramica e vetro.

Nella sua risposta alla consultazione sul CBAM lanciata ad inizio anno, il governo britannico ha annunciato l’introduzione di un meccanismo di adeguamento delle emissioni di carbonio alle frontiere del Regno Unito (Carbon Border Adjustment Mechanism, CBAM) a partire dal 1° gennaio 2027 e fornito le prime informazioni.

Seppur con alcune differenze, il CBAM britannico è modellato sul CBAM dell’Unione europea. La prima differenza sta nel campo d’applicazione: il CBAM britannico si applicherà solo alle importazioni di beni specifici nei settori dell’alluminio, del cemento, dei fertilizzanti, dell’idrogeno, del ferro e dell’acciaio (le merci interessate sono elencate nell’Allegato B del documento summenzionato e identificate con le relative voci HS). In questa prima fase, la ceramica e il vetro non saranno presi in considerazione. L’elettricità non rientra invece nel campo d’applicazione.

Nel periodo 2027-2030, il governo britannico adotterà un doppio approccio per quanto riguarda le emissioni incorporate: le aziende potranno utilizzare i dati effettivi o, se questi non sono disponibili, valori predefiniti. Le emissioni incorporate saranno misurate in tonnellate metriche di anidride carbonica equivalente (tCO2e) e includeranno sia le emissioni dirette dei beni CBAM sia quelle indirette. Per garantire che i prodotti importati siano soggetti a un prezzo del carbonio paragonabile a quello pagato dai produttori nazionali, l’aliquota applicata alle emissioni incorporate rifletterà il prezzo del sistema di scambio di quote di emissioni (ETS) del Regno Unito, tenendo conto di eventuali quote gratuite. L’aliquota sarà aggiornata su base trimestrale.

A differenza del CBAM dell’UE, il suo omologo britannico prevede una soglia minima di assoggettamento, pari a 50’000 sterline di merci CBAM importate su un periodo di dodici mesi.

Per ulteriori ragguagli:
Introduction of a UK Carbon Border Adjustment Mechanism from January 2027: Government response to the policy design consultation (30.10.2024, pdf, 503 KB)

Concentrazione sui nostri punti di forza

I punti di forza e le criticità del modello economico svizzero nell’analisi del Prof. Lino Guzzella all’Assemblea Cc-Ti

L’invidiabile situazione finanziaria della Confederazione, a differenza di altri Stati europei zavorrati da un enorme debito pubblico, l’offerta formativa di ottimo livello, le condizioni quadro e, soprattutto, quella capacità d’innovazione che da anni colloca la Svizzera al primo posto nelle diverse classifiche internazionali. Con il suo intervento alla 107esima assemblea della Cc-Ti, il Professor Lino Guzzella, ha offerto un’analisi a 360 gradi del modello economico svizzero. I punti di forza, ma evidenziando anche i suoi elementi di vulnerabilità, in un quadro di forte concorrenza internazionale e di preoccupanti tensioni geopolitiche che, oltre a generare timori e incertezza, possono condizionare le sorti di un’economia che dipende fortemente dal commercio con l’estero.

Prof. Lino Guzzella

Un modello di successo, certamente, ma non acquisito per sempre, nulla è scontato, ha avvertito l’ex rettore e già presidente del Politecnico federale di Zurigo. Perciò, non bisogna mollare la presa. Anzi, visto che il nostro paese può incidere poco sugli inquietanti scenari geopolitici che stanno scuotendo le relazioni tra gli Stati, è più che mai necessario concentrare gli sforzi per salvaguardare e potenziare quei fattori propulsivi che hanno finora garantito la crescita. “Riusciremo a mantenere la nostra prosperità – ha ricordato – solo se possiamo continuare a vendere con successo i nostri prodotti e servizi sul mercato mondiale”.

A cinque anni dal suo primo intervento ad un’assemblea della Camera di commercio, il Professor Lino Guzzella con la sua analisi ha riproposto ora un’articolata visione d’insieme della situazione svizzera, con uno sguardo particolare al Ticino e alle sue potenzialità nel contesto dell’economia nazionale. In questa intervista ripercorriamo col Professor Guzzella i passaggi più importanti della sua relazione, mettendo a fuoco i temi cruciali per il futuro della Svizzera e del Cantone.

Anche se in misura minore rispetto al passato, il Prodotto interno lordo elvetico continua a crescere e le esportazioni in questi ultimi anni hanno retto i contraccolpi della forza del franco. Al confronto di molti altri paesi europei, la Svizzera sta dimostrando una notevole resilienza nel succedersi di varie crisi e crescenti tensioni internazionali. Si riuscirà a mantenere e migliorare questo trend?

Lo spero, ma non ci sono garanzie di successo. Alcuni sviluppi geopolitici non possono essere influenzati dalla Svizzera. Per questo è ancora più importante concentrarsi sui nostri punti di forza. Si tratta di condizioni quadro politiche ragionevoli, di un uso economico delle entrate fiscali, di un sistema educativo duale che seleziona in modo meritocratico, di un’infrastruttura intatta (trasporti, energia, …) e di molto altro ancora”.

Che importanza ha il Ticino nell’economia nazionale e quali sono le sue prospettive di sviluppo? Si sono create le premesse per avere anche qui da noi un ecosistema economico forte e dinamico?

“Il Ticino ha già un vivace ecosistema dell’innovazione, sia nei settori tradizionali (moda, turismo, ecc.) sia in quelli più recenti (biomedicina, sistemi energetici, microelettronica, ecc.). I due centri universitari, USI e SUPSI, che dispongono di eccellenti reti nazionali e internazionali, ne sono il fulcro. L’asse Ticino-Zurigo, che sta assumendo un peso sempre più importante, svolge un ruolo particolare in questo ambito”.

La Svizzera si è confermata ancora al primo posto nelle più accreditate classifiche internazionali per l’innovazione. Quali sono le ragioni di questa affermazione?

“Queste classifiche vanno sempre trattate con cautela e, inoltre, riflettono solo il passato. Ma sì, la Svizzera ha fatto molte cose bene, ad esempio non ha perseguito una politica industriale eccessiva, ma ha sostenuto la ricerca di base e i progetti pilota. È stato importante che alle imprese esistenti e a quelle nuove fosse concessa una grande libertà per partecipare con successo al mercato globale. Altrettanto importante è stato il sistema di istruzione duale, che ha permesso ai giovani di entrare nel mondo del lavoro in base alle loro capacità”.

Quali sono i punti deboli che potrebbero compromettere la forza economica del paese, guardando anche all’industria europea hi- tech che arranca, schiacciata dal peso degli Usa, della Cina e dell’India?

“La Svizzera è fortemente dipendente dal commercio estero, da cui dipende quasi la metà del nostro PIL e quasi nessun altro paese ha beneficiato della globalizzazione quanto la Svizzera. Possiamo mantenere la nostra prosperità solo se possiamo continuare a vendere con successo i nostri prodotti e servizi sul mercato mondiale. Questo costringe le aziende a cercare nicchie redditizie in cui competere. Ciò richiede agilità, contatto costante con i clienti e personale eccellente. E, naturalmente, un’abile gestione degli sviluppi geopolitici, che rappresentano una sfida importante soprattutto per le piccole imprese”.

L’economia mondiale è in fase di rallentamento, alcuni parlano di stagnazione secolare, altri di trappola della crescita. Cosa pensa al proposito?

“È una domanda difficile. Da un lato, possiamo vedere dall’esempio della Germania, che non ha avuto crescita economica per cinque anni, come regioni economiche un tempo di successo possano ristagnare. Dall’altro lato, gli Stati Uniti hanno sviluppato un enorme dinamismo nello stesso periodo, ottimizzando le aree di business esistenti e sviluppandone di completamente nuove. Tutto dipende dall’atteggiamento di base di una società: vuole essere il più egualitaria possibile ed è avversa al rischio, oppure accetta le disuguaglianze e gli approcci fallimentari? Solo il secondo approccio può portare sempre nuovi successi”.

Secondo un recente studio di Google Svizzera, entro il 2050 l’intelligenza artificiale generativa potrebbe favorire un aumento del PIL elvetico fino all’11%, pari a qualcosa come 80-85 miliardi di franchi all’anno. Eppure, si guarda agli sviluppi dell’IA con timore.

“Innanzitutto, sarei cauto con le previsioni troppo ottimistiche. Le reti neurali generative aumenteranno certamente la produttività assumendo compiti cognitivi di routine. Quanto siano grandi questi guadagni di efficienza resta da vedere. C’è poi la questione della regolamentazione: ancora una volta, questa varia molto da regione a regione. Come ogni nuovo strumento creato dall’uomo, anche le reti neurali comportano dei rischi. La regolamentazione è una cosa, ma sarà ancora più importante formare le persone affinché possano utilizzare i nuovi strumenti in modo sensato”.

La recente crisi energetica ha dimostrato che un approvvigionamento di energia sicuro e, tendenzialmente, ad emissioni zero è una condizione imprescindibile per lo sviluppo del paese. Quali sono le prospettive al riguardo?

“I paesi che forniscono agli abitanti e all’industria energia affidabile e a prezzi accessibili hanno successo anche dal punto di vista economico. Per la Svizzera sarà fondamentale fornire circa il 50% in più di energia elettrica nel 2050, soprattutto da fonti domestiche. Ma questo non sarà possibile con le misure presentate nel 2017”.

Per compensare i tagli dei contributi alle Università, il Parlamento federale ha deciso di triplicare le tasse per gli studenti stranieri che frequentano i nostri Politecnici. Come giudica questa decisione? Non si rischia di rendere la Svizzera meno attrattiva per quei giovani talenti di cui abbiamo sempre più bisogno?

“L’USI dimostra che la differenziazione delle tasse universitarie non deve necessariamente andare a scapito delle università. Tuttavia, un eventuale aumento delle tasse deve essere abbinato a corrispondenti offerte di borse di studio per i talenti eccezionali”.

In un mondo in cui tutto, produzione, costumi, società, cambia rapidamente, qual è oggi la missione dell’Università?

“In realtà si tratta sempre della stessa cosa: consentire ai giovani di pensare in modo critico e creativo, di apprendere in modo indipendente per essere in grado di plasmare il futuro in modo responsabile”.

Regolamento UE Ecodesign: pubblicate le FAQ

La Commissione europea ha pubblicato una guida completa volta a chiarire il Regolamento sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili.

Il 18 luglio scorso, nell’Unione europea (UE) è entrato in vigore il Regolamento (UE) 2024/1781 sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili (ESPR). Il regolamento Ecodesign, come viene comunemente chiamato, ha l’obiettivo di migliorare la sostenibilità ambientale dei prodotti e a tal proposito introduce criteri di progettazione quali la durevolezza, la riciclabilità, l’impronta ambientale e la riutilizzabilità degli stessi e l’uso del “passaporto digitale” quale strumento di trasparenza e tracciabilità lungo tutta la filiera produttiva.

Il regolamento disciplina praticamente tutti i prodotti immessi sul mercato o messi in servizio nell’UE e non solo i prodotti di consumo. Esistono solo poche esclusioni, quali ad esempio i prodotti alimentari, i mangimi, e i medicinali. La Commissione europea dovrà stabilire i requisiti specifici per i diversi prodotti, dopodiché i produttori e i Paesi dell’UE avranno 18 mesi di tempo per conformarvisi. Tra i primi prodotti a dover essere regolamentati figurano ferro e acciaio, alluminio, prodotti tessili, mobili, pneumatici, detersivi, vernici, lubrificanti, prodotti chimici, prodotti connessi all’energia, prodotti delle TIC e altri dispositivi elettronici (cfr. art. 18 par. 5). Il relativo atto delegato non entrerà in vigore prima del 19 luglio 2025.

Per rispondere ai quesiti più frequenti, a fine settembre la Commissione europea ha pubblicato un documento con 171 FAQ che affrontano un’ampia gamma di argomenti e, nello specifico, chiariscono termini, ambito di applicazione, tempistiche di attuazione, interazione con altri regolamenti (come ad esempio il regolamento sui rifiuti di imballaggio e il REACH) e, non meno importante, le questioni legate al commercio dei prodotti (passaporto digitale, etichettatura, verifica e conformità, implicazioni per gli operatori economici di Paesi terzi,…).

Il documento può essere scaricato qui in formato pdf: Ecodesign for Sustainable Products Regulation (ESPR) – Frequently Asked Questions (1.22 Mb)

Attuazione Convenzione PEM riveduta: aggiornamento

Dal 1° gennaio 2025 al 31 dicembre 2025, all’interno della zona PEM continueranno verosimilmente ad applicarsi due serie di norme: la vecchia (attuale) Convenzione PEM e le norme rivedute (le odierne norme transitorie). Il possibile e sempre più probabile slittamento dell’attuazione della Convenzione PEM riveduta è dovuto alla lungaggine delle procedure legislative di aggiornamento degli accordi di libero scambio con alcuni Paesi. Lo comunicano in una nota congiunta l’Ufficio federale delle dogane e della sicurezza dei confini (UDSC) e la Segreteria di Stato dell’economia (SECO).

Dal 1° gennaio 2025 le norme rivedute della Convenzione PEM si applicheranno automaticamente alla Convenzione AELS e agli accordi di libero scambio (ALS) Svizzera/AELS con l’UE, l’Albania, la Bosnia-Erzegovina, la Georgia, il Montenegro, la Macedonia del Nord, la Serbia e la Turchia.

Gli ALS con Egitto, Israele, Giordania, Libano, Striscia di Gaza e Cisgiordania, Marocco, Tunisia, Ucraina e Isole Faroe non hanno invece ancora potuto essere aggiornati e la lunghezza delle procedure amministrative in questi Paesi sta rendendo evidente che non tutti questi accordi potranno essere modificati entro la fine del 2024. Senza aggiornamento gli accordi continueranno a sottostare alla vecchia (attuale) Convenzione PEM.

L’attuazione della Convenzione PEM riveduta sarà verosimilmente posticipata al 1° gennaio 2026 e nel caso di ALS non aggiornati entro tale data, il cumulo con i relativi Paesi partner sarà interrotto.

L’UDSC e la SECO continueranno a fornire informazioni sugli ultimi sviluppi attraverso note informative e circolari. La matrix sarà aggiornata di conseguenza.


Link:
Nota informativa congiunta UDSC/SECO (20 settembre 2024, aggiornata il 25 ottobre 2024) (pdf)

Innovazione e ricerca e sviluppo tecnologico: quo vadis?

A fine settembre, la Svizzera ha conquistato il primo posto del “Global Innovation Index (GII)” dell’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI) per la sua capacità di innovare: è il 14° anno consecutivo che il nostro Paese si posiziona in testa a questa classifica che valuta la capacità delle singole Nazioni di convertire gli input dell’innovazione in risultati concreti come brevetti e beni tecnologicamente avanzati. Fanno seguito Svezia e Stati Uniti. La Cina si è attestata all’11° posto, diventando uno dei Paesi ad aver scalato più velocemente la classifica negli ultimi 10 anni. Molti degli indicatori del GII sono tuttavia presentati in base alla popolazione o al prodotto interno lordo del Paese: se si considerano gli investimenti complessivi, gli Stati Uniti si confermano il maggior investitore in ricerca e sviluppo (R&S).

La Cina sta però mettendo sempre più in discussione il dominio tecnologico degli USA. Lo conferma il rapporto biennale “State of US Science & Engineering” (Stato della scienza e dell’ingegneria degli Stati Uniti) presentato al Congresso degli Stati Uniti dall’agenzia governativa americana National Science Board (NSB): nel 2021, l’anno più recente incluso nel rapporto, con 806 miliardi di dollari investiti in R&S, sia pubblica sia privata, gli Stati Uniti mantenevano ancora un buon vantaggio sulla Cina (che a sua volta aveva investito “solo” 668 miliardi di dollari), ma ora questo vantaggio si sta erodendo rapidamente.

Esiste poi un’altra classifica, meno nota, realizzata dal think tank australiano Australian Strategic Policy Institute (ASPI), il “Critical Technology Tracker” (localizzatore di tecnologie critiche). Secondo questa classifica, la Cina detiene ora il primato mondiale nella ricerca tecnologica in nove settori critici su dieci e continua ad aumentare il suo vantaggio sugli Stati Uniti: questi ultimi sono leader solo in 7 delle 64 tecnologie considerate critiche, mentre il Dragone guida le altre 57, prevalentemente in campi come la difesa, lo spazio, l’energia, l’ambiente, l’intelligenza artificiale (IA), le biotecnologie, la robotica, la cibernetica, l’informatica, i materiali avanzati e le aree chiave della tecnologia quantistica.

Lo studio dell’ASPI valuta anche il potenziale monopolio della ricerca in questi settori. Il numero di tecnologie considerate “ad alto rischio” di potenziale monopolizzazione è aumentato da 14 a 24. Nell’attuale contesto geopolitico è preoccupante il fatto che molte delle nuove tecnologie considerate ad alto rischio abbiano applicazioni nella difesa e che il Paese di Mezzo sia leader in tutti questi ambiti, oltre a ottenere nuovi risultati nei sensori quantistici, nel calcolo ad alte prestazioni, nei sensori gravitazionali, nei lanci nello spazio e nella progettazione e fabbricazione di circuiti integrati avanzati (produzione di semiconduttori).

Detto ciò, la performance della Cina nella ricerca non riflette ancora il dominio nello sviluppo tecnologico che, come abbiamo visto, rimane in mano agli Stati Uniti: il gigante asiatico è infatti in ritardo su questo fronte. È comunque opportuno sottolineare che nell’ambito del piano “Made in China 2025” volto a rafforzare l’autosufficienza del Paese e a trasformarlo in una potenza economica globale, il Dragone sta investendo molto nelle sue capacità produttive sovvenzionando proprio ambiti chiave come l’industria IT di nuova generazione (circuiti integrati, software ad uso industriale, equipaggiamenti di telecomunicazione), la robotica, l’aviazione e i settori aerospaziale e navale. Gli Stati Uniti seguono attentamente questi progressi e ad inizio settembre hanno introdotto nuovi controlli sulle esportazioni di tecnologie importanti verso lo Stato asiatico nel tentativo di limitargli l’accesso a tecnologie avanzate, come le apparecchiature per la produzione di chip, i computer e i componenti quantistici.

Che ne è degli altri Paesi nell’attuale competizione per le tecnologie critiche? Per 45 delle 64 tecnologie esaminate, l’India figura nella Top5 subito dopo gli Stati Uniti e la Cina, emergendo come centro chiave dell’innovazione ed eccellenza della ricerca globale, soprattutto in diverse aree essenziali e in rapida evoluzione dell’IA, come l’analisi avanzata dei dati, gli algoritmi di IA, gli acceleratori hardware, l’apprendimento automatico, la progettazione e la fabbricazione di circuiti integrati avanzati, l’elaborazione del linguaggio naturale e l’IA avversaria. Dal canto suo, il Regno Unito è uscito dalla Top5 per otto tecnologie e ora si colloca tra i primi 5 Paesi per 36 tecnologie, contro le 44 dello scorso anno. Il Paese ha perso terreno in particolare nelle tecnologie di rilevamento, materiali avanzati e spazio. Nel suo complesso, l’Unione europea continua invece ad essere competitiva: sebbene nessuno degli Stati membri occupi singolarmente la prima posizione nelle tecnologie critiche (la Germania è la più forte, nella Top5 in 27 aree), il blocco europeo è leader in due aree tecnologiche (sensori di forza gravitazionale e satelliti di piccole dimensioni) e figura al secondo posto in 30. Un risultato in linea anche con il più recente rapporto Draghi, che riconosce lo spazio come un settore strategico chiave per il futuro della competitività europea. La rivalità tecnologica tra Stati Uniti e Cina, insieme all’importanza strategica crescente delle tecnologie critiche, ha creato una situazione geopolitica in cui l’Europa dovrebbe (o meglio, deve) svolgere un ruolo più attivo e assertivo, riducendo altresì la sua dipendenza dalle due superpotenze. La domanda che dovrebbe essere posta è: l’Europa sarà in grado di mobilitare la volontà politica e gli investimenti necessari per raggiungere questo obiettivo?

Altri link utili:
Chi guida la corsa alle tecnologie critiche? – Cc-Ti (28 marzo 2023)

107esima Assemblea generale ordinaria della Cc-Ti

Comunicato stampa

Da sin. L. Albertoni, L. Guzzella, C. Maderni, A. Gehri

La tesa situazione internazionale continua a creare incertezza e si confermano alcuni segnali di difficoltà che inducono le aziende, soprattutto nel settore manifatturiero, a una certa prudenza, già manifestata lo scorso anno. È una tendenza che riguarda tutta la Svizzera e non solo il Ticino. Non si tratta di una situazione allarmante, ma che necessita comunque di attenzione. Il tessuto economico ticinese molto diversificato permette comunque di attenuare eventuali tendenze negative che dovessero manifestarsi nel prossimo futuro.


La Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Canton Ticino (Cc-Ti) ha tenuto oggi, 18 ottobre 2024, presso l’Espocentro di Bellinzona, la sua 107esima Assemblea generale ordinaria.

L’evento si è svolto con il supporto dei due sponsor principali EFG Private Banking e Swisscom.

Alla presenza di circa 350 partecipanti, l’Assemblea ha nominato nell’Ufficio presidenziale (composto di 21 elementi in rappresentanza di tutti i settori economici del Cantone) Massimo Cereghetti, nuovo Presidente della Società svizzera degli impresari costruttori, Sezione Ticino (SSIC-TI), che sostituisce l’uscente Mauro Galli.
Dopo i lavori assembleari vi sono stati gli interventi del Direttore della Cc-Ti Luca Albertoni, del Professore emerito e già rettore del Politecnico federale di Zurigo Lino Guzzella, che poi ha dibattuto con Presidente delle Cc-Ti, Andrea Gehri, il Consigliere agli Stati Fabio Regazzi e il Consigliere di Stato e Direttore del Dipartimento finanze ed economia Christian Vitta.

Cinque anni dopo

Il Direttore Luca Albertoni, introducendo il Professor Guzzella, ha invitato a mantenere una visione di sistema che non dovrebbe essere annebbiata dalle discussioni sulle questioni più locali. La dipendenza dall’andamento di partner commerciali importanti come la Germania, gli Stati Uniti e la Cina ha un’influenza che deve essere tenuta in considerazione.

A cinque anni esatti dal suo primo intervento all’Assemblea generale ordinaria della Cc-Ti. Il Professore emerito Lino Guzzella ha analizzato la situazione elvetica e del Ticino dopo la crisi pandemica e quella energetica causata anche dagli scenari di guerra attuali. Egli ha sottolineato i noti punti forti della Svizzera, come la buona situazione finanziaria, l’alto livello di formazione e innovazione, sebbene anche in questi ambiti siano in atto cambiamenti importanti che devono indurre a non dare nulla per scontato e acquisito. Ha pure sottolineato le potenzialità del Ticino quale piazza idonea a proporre progetti di rilevanza nazionale.

Alla presentazione del Professore emerito Lino Guzzella, è seguita una tavola rotonda che lo ha coinvolto insieme al Presidente della Cc-Ti Andrea Gehri, al Consigliere agli Stati Fabio Regazzi e al Consigliere di Stato e Direttore del Dipartimento finanze ed economia Christian Vitta.

La vivace discussione ha portato ad approfondire temi di natura cantonale, federale e internazionale. Il Presidente della Cc-Ti Andrea Gehri ha sollevato diverse questioni che preoccupano l’imprenditoria ticinese, dalla situazione politica confusa, alla questione demografica e alla difficoltà di reperire manodopera, in un contesto sempre più burocratizzato. Il Consigliere di Stato Christian Vitta ha messo in evidenza le difficoltà a trovare intese, in particolare sui conti dello Stato, come pure la pericolosa illusione della risposta statale a ogni necessità della società, sottolineando però al contempo le molte iniziative volte a rafforzare il cantone, come ad esempio la creazione dello Swiss Innovation Park. Il Consigliere agli Stati Fabio Regazzi ha dal canto suo ribadito l’importanza della formazione professionale, che continua a giocare un ruolo decisivo in Svizzera e che pertanto non va trascurata. Così come non vanno bloccati progetti infrastrutturali di fondamentale importanza come l’ampliamento della rete autostradale nazionale in votazione il prossimo 24 novembre, poiché la mobilità è un fattore essenziale per il funzionamento del sistema-paese. Infine, tutti si sono detti preoccupati dalla difficile trattativa in corso con l’Unione europea, nostro principale partner commerciale con il quale è essenziale regolare i rapporti. Dal canto suo il Professore emerito Lino Guzzella ha ribadito che l’innovazione che caratterizza la Svizzera va sostenuta continuamente, favorendo in particolare la creatività e che non vi sono cose scontate, per cui occorre essere abili per adattarsi continuamente alle situazioni che cambiano in maniera molto rapida.


Discorsi


L’evento nei media

  • «La prudenza è necessaria, senza però inutili allarmismi», Corriere del Ticino, 19.10.24

Gallery fotografica

Rivivete i momenti più importanti


Approfondimenti

Leggete quanto emerso nelle precedenti Assemblee:

Discorso del Presidente Cc-Ti Andrea Gehri

Pubblicato in occasione dell’Assemblea generale ordinaria della Cc-Ti del 18 ottobre 2024

Stimati rappresentanti delle autorità,
cari soci della Cc-Ti,
stimati ospiti,

benvenuti alla 107esima Assemblea generale ordinaria della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino (Cc-Ti), associazione-mantello dell’economia ticinese che rappresenta oltre 60 associazioni economiche settoriali e ca. 1’000 aziende – soci individuali, che nel complessivo danno lavoro a ca. 150’000 lavoratori in Ticino che ci legittimano costantemente a difendere e promuovere condizioni quadro migliori per le aziende, per gli imprenditori e per l’economia in generale.

Il nostro ruolo in un contesto sempre più confuso

Il nostro contributo al dibattito pubblico su temi di economia e finanza è di fondamentale importanza, la visione dell’imprenditrice e imprenditore in un contesto sempre più sfaccettato e ricco di contrapposizioni ideologiche ci impongono spesso prese di posizioni puntuali e giustificate. Purtroppo, stiamo assistendo ad un degrado progressivo della qualità del dialogo che, inevitabilmente provoca confusione e genera insicurezze diffuse nella popolazione. Il nostro compito è anche quello di riportare la linea del ragionamento in termini razionali, pratici e a difesa del tessuto economico ticinese che, è bene ricordarlo, genera valore, posti di lavoro e il benessere di cui beneficiamo tutti. Un recente esempio interessante è stato quello del sostegno della recente riforma fiscale dove in qualità di promotori e attraverso un lavoro minuzioso di comunicazione siamo riusciti, compattando il fronte economico cantonale, a spiegare compiutamente le misure contenute nella riforma stessa, giustificando punto per punto la legittimità e la bontà delle misure varate. Ecco un esempio pratico di azione a favore della collettività e non soltanto a sostegno dell’economia.

È innegabile che l’economia del Canton Ticino stia affrontando molte sfide, ma ci sono anche segnali di opportunità e di positività che sarebbe sbagliato ignorare, a meno di voler fare del catastrofismo un dogma inattaccabile per meri scopi politici.

Il nodo dei conti pubblici

Partiamo dall’analisi delle finanze pubbliche che soffrono per i continui disavanzi e crescita della spesa pubblica che, senza interventi strutturali importanti e incisivi atti al contenimento e al ritorno in equilibrio, costituiranno anche per l’economia privata una zavorra e un handicap destinato a incidere negativamente sull’evoluzione del tessuto economico ticinese.

In particolare, conti pubblici contraddistinti da continui disavanzi incidono pesantemente:

  • sulla riduzione degli investimenti per infrastrutture e servizi pubblici, il che potrebbe rallentare lo sviluppo economico del cantone e influire negativamente sulla qualità di vita dei cittadini
  • sull’aumento del debito pubblico che in Ticino potrebbe superare i 2.7 mia. di CHF entro la fine del 2024, aumentando il carico finanziario futuro e limitando la capacità di Cantone e Comuni di finanziare nuovi progetti infrastrutturali;
  • nel varo di misure di austerità per riequilibrare i conti e quindi indurre il governo ad implementare tagli importanti e dolorosi alla spesa pubblica, oltre che pensare ad aumenti di tasse e imposizioni fiscali. Tutte misure che possono impattare negativamente sul potere d’acquisto delle famiglie e sulla competitività delle imprese locali;
  • sulle PMI, le piccole e medie imprese che costituiscono una parte significativa dell’economia ticinese, che potrebbero risentire delle misure di austerità e della riduzione degli investimenti pubblici, con possibili ripercussioni sull’occupazione e sulla crescita economica;
  • sulla crescita economica determinata da una situazione finanziaria instabile che potrebbe creare un clima di incertezza, scoraggiando gli investimenti privati e influenzando negativamente la fiducia dei consumatori e delle imprese.

Risulta pertanto irrinunciabile poter disporre di conti pubblici in equilibrio, sani e che possano promuovere gli investimenti pubblici e privati, senza gravare eccessivamente su cittadini e imprese. Si impone quindi una radicale, approfondita e, a questo punto, imprescindibile analisi dei costi e dei compiti dello Stato, affinché non inghiottano risorse e mezzi sproporzionati e ingiustificati.

Ma questa revisione dei compiti, di cui si parla da decenni ma che nessuno sembra avere il coraggio di affrontare, non può più venir procrastinata. Forse occorre cambiarne il nome, passando a un più semplice “capire chi fa cosa e come”, ma la sostanza non cambia. Questo passaggio costituisce un’urgenza assoluta e dev’essere la prima priorità sull’agenda politica del Governo e del Gran Consiglio. Le nostre aziende, se confrontate con disavanzi tali, sono obbligate ad intervenire e trovare misure di contenimento, pena il fallimento. Lo Stato preleva semplicemente imposte e grava sul bilancio dei cittadini e delle imprese…

Lo Stato dev’essere al servizio del cittadino e delle imprese, ponendosi con efficienza e razionalità alle esigenze comuni e non determinarne un ostacolo invalicabile, addirittura ingombrante.

Una burocrazia troppo invasiva

Oltre alla necessità di poter disporre di finanze pubbliche sane, condizione fondamentale nella gestione dell’economia privata per generare valore, necessitiamo urgentemente anche di una netta e chiara riduzione del carico burocratico e amministrativo a carico delle nostre imprese e cittadini.

Stiamo soffocando a causa di uno Stato sempre più invasivo e costoso che ostacola le imprese e il cittadino a colpi di regolamentazioni, ordinanze, leggi e commissioni create a doc per mettere i bastoni nelle ruote di chi vuol fare.

Una burocrazia pubblica troppo invadente porta con sé diverse conseguenze negative che si possono riassumere principalmente:

  • nel rallentamento dei processi attraverso procedure complesse, lunghe che ritardano l’approvazione di progetti e l’erogazione di servizi, causando frustrazione tra le imprese e i cittadini;
  • nell’aumento dei costi aggiuntivi per le aziende e i cittadini, sia in termini di tempo che di denaro, per adempiere a tutte le formalità richieste;
  • nella riduzione dell’efficienza operativa delle amministrazioni pubbliche, rendendo più difficile la gestione delle risorse e la fornitura di servizi di qualità;
  • nel favorire pratiche illecite e corruzione a fronte della necessità di cercare scorciatoie illegali per accelerare i processi;
  • disincentivando gli investimenti delle imprese che, scoraggiate dall’eccessiva burocrazia, preferiscono mercati e regioni con regolamentazioni più snelle e prevedibili.

La progressiva crescita di sfiducia nelle istituzioni da parte di imprese e cittadini significa far percepire i servizi pubblici come inefficaci e distanti dai propri bisogni, distanziando sempre più l’economia reale da quella pubblica.

Le aziende, le imprenditrici e gli imprenditori necessitano di regole snelle, puntuali ed efficienti affinché possano dedicarsi alle loro attività e generare valore, posti di lavoro e benessere sul territorio.

Gli aspetti positivi

Nonostante queste difficoltà che, purtroppo incidono già ora negativamente sul tessuto socioeconomico del Canton Ticino, vi sono anche iniziative in corso per sostenere l’economia attraverso l’innovazione, la tecnologia e l’intelligenza artificiale che costituiscono con certezza i motori per migliorare l’attrattività economica del nostro Cantone in futuro.

L’economia in Ticino è parecchio diversificata, agile e con eccellenze di primo piano che ha le proprie carte da giocare, affrontando le sfide con determinazione e fiducia nel futuro, innovando e cercando di crearsi nuove opportunità.

Vi sono esempi di aziende e settori economici che dimostrano una capacità di adattamento alle situazioni e alle sfide a loro poste che val la pena di citare.

Il settore della finanza, per esempio, rimane uno dei pilastri dell’economia ticinese e, anche se ha dovuto adattarsi a nuove regolamentazioni e conformarsi ad un contesto economico globale ostile, ha dimostrato di aver affrontato con il giusto piglio la sfida, stabilizzando e rivitalizzando un settore che ora guarda al futuro con maggior ottimismo. Anche il delicato passaggio di Credit Suisse a UBS sta procedendo senza troppi traumi per il mondo imprenditoriale, al di là dei necessari adattamenti che possono creare momenti di incertezza. Certo, la migrazione di determinate competenze verso Ginevra e Zurigo ha un po’ intaccato il terreno delle competenze presenti sul nostro territorio, ma la base per riportare anche la piazza ticinese su un territorio di competitività c’è.

Il turismo è tuttora un settore chiave nel nostro panorama economico e si appresta ad affrontare nuove sfide legate alla diversa mobilità e alle mutate abitudini della clientela nazionale e internazionale.

L’industria manifatturiera è una certezza in Ticino e, nonostante le sfide che pongono le mutevoli e preoccupanti situazioni geopolitiche internazionali e la forza del franco svizzero, contribuiscono in modo significativo al benessere della nostra regione. La produzione di alta qualità e l’innovazione sono punti di forza imprescindibili.

L’industria dei settori della medicina costituisce da anni ormai un fattore di successo della nostra economia. Vi sono realtà ed eccellenze di livello internazionale che hanno i loro quartieri generali in Ticino e sviluppano le loro strategie e modelli di business da noi.

Negli ultimi anni, inoltre vi è stata un’accelerazione e crescita significativa nei settori tecnologici legati alla scienza della vita e al lifestyle che hanno creato importanti e ben remunerati posti di lavoro in Ticino. La strategia di far crescere le competenze attraverso il futuro Swiss Innovation Park, parco dell’innovazione ticinese, che promuoverà con il sostegno della scienza universitaria, del Cantone e dell’economia locale lo sviluppo dei settori economici poc’anzi citati, rappresenta un’opportunità di crescita importante per il nostro Cantone, sempre più inserito nel contesto nazionale e certamente da tempo non più un cantone a traino come molti vorrebbero far credere.

Attraverso l’innovazione e la tecnologia si curano pure la crescita sul territorio di startup che, nonostante le difficoltà del mercato, hanno conosciuto un discreto successo e sono destinate a crescere ulteriormente, rendendo il Ticino un luogo ideale per nuove imprese.

Non vorrei inoltre dimenticare il ruolo determinante delle PMI (piccole medie imprese) sul territorio che rappresentano la spina dorsale dell’economia ticinese. Come nel resto della Svizzera, la stragrande maggioranza delle attività economiche è costituita dalle cosiddette PMI che lavorano costantemente in diversi settori economici (artigianato, edilizia, servizi, turismo, gastronomia, commercio al dettaglio, ecc.) per offrire prodotti e servizi di ogni genere. Queste aziende sono determinanti per l’economia ticinese, dove anche loro saranno confrontate con temi quali l’innovazione, la tecnologia per mantenere e migliorare la competitività sul mercato.

L’importanza di un tessuto economico diversificato

Dopo gli anni dell’euforia generata dal settore finanziario (1970-2000) che, forse anche in modo artificiale, ha illuso sulla possibilità di generare valore per tutti con estrema facilità, ci siamo confrontati con l’esigenza di cambiare modello. Ebbene, il Ticino ha saputo trovare le risorse per creare sul nostro territorio modelli di business diversificati che, oggi rappresentano una ricchezza importante per il territorio. Non più una monocultura economica, ma una diversificazione figlia di imprenditrici e imprenditori che hanno creduto e credono tutt’ora nelle potenzialità del nostro territorio. Le sfide per il futuro non mancano, ma posizione geografica privilegiata, il made in Switzerland, come pure organizzazione e servizi stabili, oltre che una moneta forte come il Franco Svizzero costituiscono basi imprescindibili per qualsiasi azienda che desidera un luogo sicuro dove progredire.

Abbiamo saputo raccogliere anche la sfida della trasformazione digitale, che gioca e giocherà un ruolo cruciale nell’economia ticinese del futuro. Negli ultimi anni, il Ticino ha visto una trasformazione significativa grazie all’adozione di tecnologie digitali. Questo processo ha portato a cambiamenti significativi in vari settori, dall’industria al commercio, migliorando l’efficienza e la competitività delle imprese locali.

Le startup innovative sono particolarmente influenti in questo contesto, introducendo soluzioni tecnologiche all’avanguardia che stimolano la crescita economica e creano nuove opportunità di lavoro.

Inoltre, aspetto estremamente importante, la digitalizzazione ha facilitato la collaborazione tra aziende, università e istituzioni, creando un ecosistema favorevole all’innovazione.

Un esempio concreto è l’uso dell’intelligenza artificiale per la gestione del traffico e le piattaforme di e-commerce che stanno rivoluzionando il commercio locale.

Negli ultimi anni abbiamo assistito a una trasformazione radicale del paesaggio tecnologico in Ticino. L’accelerazione della digitalizzazione ha portato e porterà a cambiamenti significativi in quasi tutti i settori economici, influenzando profondamente la vita quotidiana delle persone.

Ovviamente la trasformazione digitale porterà opportunità di innovazione e crescita economica, ma anche sfide come i rischi per la cybersecurity e la protezione dei dati. Queste sfide saranno ancora tutte da affrontare e da vincere ed è per questo che occorre insistere su condizioni-quadro che facilitino il fare impresa e non ostacolino la creatività. La furia regolatrice che attanaglia molti paesi del nostro continente sta invadendo da tempo anche la Svizzera ed è importante che questa furia venga contenuta. Mi pongo ad esempio qualche domanda sulle regole introdotte dall’Unione europea in materia di intelligenza artificiale. Non è che siano eccessive e frenino l’innovazione? Questo genere di domande occorre sempre porsele quando si vogliono introdurre nuove regole o inasprire quelle esistenti.

Incertezza e furia regolatrice sono due elementi che possono essere fatali per lo sviluppo economico e per gli investimenti, asse portante della competitività della nostra economia e tassello fondamentale per creare e mantenere posti di lavoro. In questi anni le aziende ticinesi, comparate a quelle degli altri cantoni, si sono sempre distinte per capacità e disponibilità agli investimenti, anche molto corposi. E il Ticino in generale continua ad essere un’area di grande interesse per gli investimenti, specialmente nel settore dell’innovazione e delle startup tecnologiche. Negli ultimi anni, il Cantone ha visto una crescita significativa grazie a vari incentivi e supporti offerti dalla mano pubblica. La nostra regione è divenuta un hub per le tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale, la blockchain, il fintech e la biotecnologia. Questo dinamismo attira investitori da tutto il mondo, creando un ambiente fertile per la nascita e la crescita di nuove imprese. Lo stesso governo ticinese ha implementato politiche economiche mirate a sostenere l’innovazione e lo sviluppo sostenibile, con un focus particolare sulla creazione di posti di lavoro e sulla crescita economica duratura.

I poli tecnologici e gli incubatori giocano un ruolo cruciale in questo ecosistema, offrendo risorse, mentorship e opportunità di rete per le startup e le aziende in generale.

Necessità di investimento e innovazione che non risparmia nemmeno i settori economici a trazione, diciamo, più tradizionale come l’edilizia, l’artigianato e altri ambiti che sono pure confrontati con l’esigenza di doversi adeguare all’evoluzione attraverso le nuove tecnologie e implementare investimenti per una migliore gestione ed efficienza. Tutto ciò a significare un dinamismo generale che coinvolge tutta l’imprenditoria ticinese, nessun settore sarà escluso.

Non investire nelle nuove tecnologie e nella digitalizzazione significa dover confrontarsi con conseguenze negative per le aziende e l’economia in generale.

Significa, perdita di competitività, riduzione dell’efficienza operativa, difficoltà nell’attrarre talenti e manodopera qualificata, rischi di sicurezza e, soprattutto un impatto negativo sulla crescita economia dell’azienda e della regione in cui si opera.

Investire in tecnologia non costituisce solo una ragione per rimanere al passo con i tempi, ma è fondamentale per garantire la sostenibilità e la crescita a medio-lungo termine.

In conclusione, auspico che si possa far affidamento in futuro su finanze sane ed equilibrate a livello pubblico, oltre che ad una burocrazia a misura per l’utente, condizioni essenziali affinché anche l’economia privata possa crescere e generare valore, posti di lavoro e opportunità di occupazione per i nostri giovani sul nostro territorio.

E che la discussione politica e pubblica si basi finalmente su fatti e non solo su contrapposizioni ideologiche. Il mondo è sempre più competitivo e più complesso per tutti, imprese, politici, cittadine e cittadini. Senza visioni di sistema, progetti ad ampio respiro, liberi da interessi egoistici, sarà difficile affrontare il futuro. Sarebbe peccato perché il nostro sistema istituzionale ed economico, sebbene messo a dura prova da tante sfide nuove, è solido e ci offre la possibilità di essere attori del cambiamento, non solo di subirlo. Basta volerlo.


Lugano, 18 ottobre 2024

Denominatore comune: innovazione

Qualche settimana fa abbiamo approfondito le problematiche che stanno mettendo in difficoltà la Germania, fondamentale partner commerciale per la Svizzera. Difficoltà legate anche al rallentamento della Cina, nel settore automobilistico in particolare, ma non solo. Cina che sembra lontana ma che gioca un ruolo importante per l’economia mondiale, compresa quella svizzera, dato che dispone di molte materie prime essenziali per lo sviluppo tecnologico e l’innovazione. Con questa premessa diviene centrale domandarsi: quanto pesa la nostra dipendenza dalla Cina e quali potrebbero essere le alternative? Come sempre la risposta non può essere univoca e vi sono molte sfaccettature da considerare.

Il nodo delle materie prime

Già in passato abbiamo affrontato più volte il tema delle materie prime e della loro provenienza. La guerra Russia-Ucraina ha sollevato un tema altrimenti poco approfondito, ma che va oltre il dramma di questo conflitto.
In effetti, per l’Occidente vi sono, ad esempio, due materie nodali in ambito tecnologico, il gallio e il germanio. Il primo è essenziale per la produzione di chip per computer, per le fotocamere dei telefoni cellulari, i LED e i cavi in fibra ottica e il 98% utilizzato nel mondo viene dalla Cina. Per il germanio la percentuale è “solo” (si fa per dire) del 60%, ma anche qui parliamo di una materia di fondamentale importanza per la produzione di chip per computer, utilizzati in migliaia di oggetti elettronici di uso quotidiano, automobili, telefoni cellulari e negli aerei. Sia gallio che germanio hanno poi applicazioni importanti anche nell’ambito militare perché sono utilizzati nella produzione di dispositivi di visione notturna o di droni.
È quindi evidente che lo sviluppo tecnologico e fette importanti dell’innovazione occidentale dipendono fortemente dalle decisioni del governo cinese, in particolare quando vengono introdotti controlli sulle esportazioni delle materie prime in generale. Non solo delle due citate in particolare, come già avvenuto, ma anche di altre come il tungsteno (importante per molti beni militari e per l’industria automobilistica e aerospaziale) e la grafite (necessaria per la produzione di batterie per auto elettriche e chip per computer). Sullo sfondo della guerra commerciale in atto con gli Stati Uniti, non è escluso nemmeno un divieto di esportazione, che avrebbe effetti pesantissimi anche per la Svizzera. Nel mentre, il prezzo delle due materie è comunque già salito considerevolmente e l’ottenimento delle stesse in Cina, attraverso un complesso sistema di licenze, è tutt’altro che agevole.

Alternative?

Quali alternative esistono? Modificare rapidamente la dipendenza dalla Cina è di fatto quasi impossibile. Attraverso progetti di cooperazione si cerca di ovviare al problema, tanto che quattordici paesi dell’Unione europea si sono raggruppati in un Partenariato per la sicurezza dei minerali, finalizzato a finanziare progetti minerari per le materie prime critiche. Ma spesso anche solo l’ottenimento di determinate materie è complesso, perché occorre dapprima creare una catena di produzione.
Sempre rimanendo su gallio e germanio, è opportuno rilevare che il gallio si ottiene come sottoprodotto nella produzione di alluminio, mentre il germanio è un sottoprodotto della produzione di zinco. Guarda caso, la Cina è il primo produttore mondiale di alluminio e il secondo di zinco. Per produrre grandi quantità di gallio o germanio alle nostre latitudini occorrerebbe dapprima creare catene di produzioni per l’alluminio e lo zinco e, conoscendo anche i tempi lunghi delle scelte politiche, occorre essere realisti che vere alternative sono assai difficili da realizzare. Senza contare che sarebbero necessari investimenti massicci con scarsi margini di redditività. In passato in Germania si produceva il gallio, ma poi i siti sono stati dismessi perché poco redditizi e riavviarli oggi sarebbe oneroso, soprattutto nell’ottica di un impegno finanziario a lungo termine. Gli Stati Uniti, per contro, stanno cercando alternative in Africa.

Quali conseguenze per la Svizzera e il Ticino? Fra politica e innovazione

Come ripetutamente sottolineato, sarebbe illusorio pensare che la Svizzera e il Ticino non siano toccati da questi aspetti, con scenari che sembrano lontanissimi, ma che toccano il quotidiano di molte nostre aziende. Come produttori, fornitori, sub-fornitori, ecc., comprese quindi le aziende ticinesi che realizzano direttamente prodotti finiti oppure con semi-lavorati o componenti che confluiscono in prodotti finiti di altre aziende svizzere.
Non si tratta di allarmismo, ma di sano realismo, perché è inutile cercare di chiamarsi fuori, ignorando quanto succede al di fuori dei nostri confini. Il margine di manovra elvetico (e anche europeo…) è ridotto, visto che molto dipende dalle difficili dinamiche Stati Uniti-Cina e le elezioni presidenziali americane potranno in questo senso giocare un ruolo importante. Ma proprio perché abbiamo un margine di manovra ridotto è, a maggior ragione, fondamentale mantenere un tessuto economico diversificato e buoni rapporti con l’estero, considerando anche che con la Cina abbiamo già in atto un Accordo di libero scambio che può agevolarci in diversi ambiti. Senza dimenticare la necessità di nuovi accordi con l’Unione Europea.

Trovare alternative alle terre rare resta impresa quasi impossibile, almeno nel breve e medio termine. E qui entra in gioco anche l’ampio mondo dell’innovazione perché quella di produzione senza materie prime è di fatto impossibile.
D’altra parte, l’innovazione permette proprio di trovare vie per utilizzare meglio dette materie prime, ad esempio favorendone il riciclaggio in un sistema circolare, che avrebbe risvolti positivi non solo per la sostenibilità ambientale, ma anche per quella economica, troppo spesso dimenticata nella discussione politica, ma fondamentale per far funzionare il sistema-paese.


Think Tank

Recentemente abbiamo ospitato a Lugano una delegazione del Think Tank romando Manufacture Thinking (manufacturethinking.ch), struttura diretta da Xavier Comtesse e attiva da oltre dieci anni nell’analisi dei trend dell’innovazione.

La Cc-Ti ha concretizzato una collaborazione con questo gruppo che raccoglie accademici, unitamente alle più grandi e importanti aziende presenti in Romandia.
Questa collaborazione viene riproposta in un articolo apparso la scorsa settimana nella rivista economica “Agefi” a firma congiunta del Direttore della Cc-Ti, Luca Albertoni, del Direttore della Camera di commercio e dell’industria di Neuchâtel, Florian Németi e dello stesso Direttore della Manufacture Thinking, Xavier Comtesse.

Medtech e macchine sotto il “giogo” europeo

A causa delle sue normative, l’Unione Europea frena l’innovazione al contrario degli Stati Uniti e le cose stanno peggiorando. Come emerge chiaramente in uno studio pubblicato a metà settembre, i Regolamenti dell’Unione Europea (UE) stanno causando gravi danni all’industria Medtech svizzera, costringendola a certificare tutti i dispositivi medici nell’UE, anziché solo in Svizzera come avveniva in precedenza.
Il Regolamento europeo sui dispositivi medici (MDR) è burocratico, costoso e costituisce proprio per le sue dinamiche un freno all’innovazione stessa. Questo iter non è nuovo, ma si è concretizzato negli ultimi due anni. Per gestirne l’applicazione, l’80% delle aziende ha dovuto assumere ulteriore personale e il 60% delle imprese ha dovuto attingere a risorse umane tolte dai settori della ricerca e dello sviluppo. La metà delle aziende ha ridotto il proprio portafoglio di dispositivi in media del 20%. I costi di sviluppo sono aumentati in media del 28% circa, i costi dei dispositivi del 13% circa e i prezzi dei dispositivi dell’8% circa. Questi aumenti non sono esclusivamente legati al succitato MDR. Anche i maggiori costi delle materie prime, dell’energia, dei trasporti e della logistica sono stati e restano un fattore determinante.

La salvezza arriverà dagli Stati Uniti e dalla FDA?

Con la burocrazia del Regolamento MDR, l’Europa è in ritardo rispetto agli Stati Uniti. Già oggi, oltre il 20% delle aziende svizzere non richiede più l’autorizzazione iniziale all’immissione in commercio dei propri dispositivi più recenti nell’Unione Europea, ma negli Stati Uniti. Oltre il 30% certifica i propri dispositivi in entrambe le regioni.
Poiché il processo richiede molto più tempo in Europa che presso la Food and Drug Administration (FDA) statunitense, le innovazioni possono essere rese disponibili al pubblico svizzero solo dopo anni.

Sarà la volta delle macchine?

Sebbene il settore del Medtech abbia sperimentato questo cambiamento normativo soprattutto negli ultimi due anni, esso era già in cantiere dal 2017. Il settore delle macchine (non inteso come automobili ma come macchinari), di importanza vitale per la Svizzera con oltre 300.000 posti di lavoro, sta seguendo lo stesso processo di adeguamento alle norme europee.
Il 29 giugno di quest’anno è stato pubblicato il nuovo Regolamento europeo, che sostituisce la vecchia Direttiva europea sul tema. Il regolamento entrerà in vigore il 20 gennaio 2027, fatte salve alcune disposizioni transitorie. Questo regolamento creerà ulteriori oneri burocratici e costi per le aziende svizzere, che già soffrono di un tasso di cambio sfavorevole con i Paesi europei.

Cosa fare?

È chiaro che l’industria svizzera è messa sotto pressione da un’UE che continua a regolamentare senza comprendere che la propria salvezza è nell’innovazione, non nel protezionismo. Continuando a perseguire questa direzione, le conseguenze si rivelano gravose anche per la Svizzera, legata a doppio filo al mercato dell’UE e che vanta un’industria grande, solida e innovativa. La soluzione per il nostro Paese sarà senza dubbio quella di accelerare ulteriormente la digitalizzazione delle imprese, in particolare attraverso l’uso di strumenti di intelligenza artificiale, particolarmente efficaci nella riduzione della burocrazia.
È pertanto auspicabile un deciso programma nazionale atto a facilitare la creazione di strumenti di intelligenza artificiale in questo settore.

L’inazione e la mancata presa di coscienza rappresentano una condanna per le attività e per le persone che le fanno vivere.

CBAM: nuovo strumento di autovalutazione

La Commissione europea ha messo a disposizione un nuovo tool volto ad aiutare gli operatori economici a capire, in un colpo d’occhio, se una spedizione di merci rientra o meno nel campo d’applicazione del CBAM.

Pensato per gli importatori UE, ma utile anche alle aziende extra-UE che esportano nel mercato comunitario, il nuovo strumento di autovalutazione del CBAM sviluppato e messo a disposizione dalla Commissione europea consente di ottenere una rapida panoramica sull’eventuale assoggettamento al CBAM delle merci importate nell’UE.

Il tool, in semplice formato Excel di facile utilizzo, è suddiviso in due sezioni: in una prima sezione l’utente deve inserire la voce di tariffa doganale a otto cifre della merce (secondo la nomenclatura combinata UE), il Paese d’origine, il valore (è prevista l’esenzione per spedizioni di valore inferiore a 150) e lo scopo dell’importazione; nella seconda sezione risulterà se tale merce rientra o meno nel campo d’applicazione del CBAM e, in caso affermativo, quali informazioni dovranno essere fornite all’importatore rispettivamente richieste al fornitore e dove eventualmente ottenere ulteriori ragguagli sul tema.

È importante sottolineare che questo strumento di autovalutazione è sì pensato per essere d’aiuto agli operatori economici nel periodo transitorio (fino al 31 dicembre 2025), in particolare quelli di dimensioni più piccole e che non hanno le capacità e/o le risorse per approfondire il tema CBAM, ma la Commissione non si assume alcuna responsabilità sull’accuratezza delle informazioni fornite e rimanda a quanto pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

Lo strumento può essere scaricato dal sito web della Commissione europea dedicato al CBAM, nella sezione Guida (“Guidance”): Carbon Border Adjustment Mechanism – European Commission (europa.eu).

Elusione delle sanzioni: nuova guida del G7

Il Gruppo dei Sette ha pubblicato una guida congiunta volta ad aiutare l’industria a identificare le pratiche di elusione delle sanzioni, a proteggere la propria tecnologia, a prevenire danni reputazionali e a ridurre il rischio di responsabilità.

Per la prima volta in assoluto, lo scorso 24 settembre 2024 i Paesi del G7 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti) hanno pubblicato una guida congiunta sull’applicazione del controllo delle esportazioni.

La guida, rivolta all’industria, mira ad aiutare gli operatori economici a identificare e mitigare i rischi di elusione delle sanzioni adottate nei confronti della Russia. Nello specifico, il documento

  • identifica i prodotti che presentano un rischio elevato di essere dirottati verso la Russia (“Elenco comune ad alta priorità”)
  • elenca gli indicatori di allerta (i cosiddetti “red flag”) di potenziale evasione dei controlli delle esportazioni e/o delle sanzioni
  • evidenzia le migliori pratiche che l’industria può applicare per far fronte a questi indicatori, e
  • riporta strumenti e risorse di screening a supporto della due diligence.

Il documento può essere visionato sul sito web della Commissione europea: Sanctions vis a vis Russia: Commission publishes G7 Industry Guidance on preventing sanctions evasion – European Commission (europa.eu)