Dal 1° marzo 2022, salvo alcune eccezioni, le spedizioni verso l’Egitto devono obbligatoriamente essere coperte con lettera di credito.
Inizialmente dal 22 febbraio 2022, poi confermato dal 1° marzo 2022, non è più consentito importare merci in Egitto utilizzando il sistema CAD (cash against documents, ovvero l’incasso documentario): la Banca centrale egiziana (CBE) ha infatti istituito l’obbligo per le banche egiziane di utilizzare esclusivamente il credito documentario.
Sono consentite le seguenti eccezioni:
importazioni effettuate da filiali di società estere e loro controllate con sede in Egitto per acquisti dalla casa madre;
importazioni di prodotti alimentari e sanitari, tra cui medicinali e principi attivi necessari alla produzione locale degli stessi, te, carne, pollame, pesce, grano, olio, latte in polvere, latte artificiale per neonati, lenticchie, burro, mais;
importazioni di valore inferiore a USD 5’000.- o equivalente;
spedizioni effettuate per posta e corriere;
transazioni tra aziende nelle zone franche e aziende egiziane, se la transazione riguarda il mercato egiziano ed è condotta in valuta locale (sterline egiziane, EGP);
importazioni per uso privato per le quali è utilizzato il modulo 6;
consegne in garanzia;
importazioni di linee di produzione, pezzi di ricambio e simili per uso speciale, per le quali è utilizzato il modulo 6.
Per l’importazione di talune categorie di merci (cfr. questo documento non ufficiale), non viene emessa alcuna lettera di credito senza la preventiva autorizzazione della Banca Centrale.
Successivamente all’entrata in vigore della normativa, ulteriori deroghe sono state annunciate, come ad esempio l’utilizzo del CAD per le importazioni (solo da parte di importatori egiziani qualificati come “produttori”) di “input di produzione e di materie prime” (cfr. comunicazione del 10 maggio 2022 del portavoce del Presidente Sisi). Tali deroghe tuttavia non risultano essere (ancora) confermate ufficialmente.
Poiché, come evidenziato poc’anzi, la lista delle eccezioni è soggetta a modifiche, si consiglia di chiarire bene con i propri partner egiziani se vi sono ulteriori aggiornamenti in merito ai prodotti, come avviene la gestione del credito documentario in tutte le sue fasi e quali documenti vengono effettivamente richiesti.
Salvo eccezioni, l’importazione in Algeria di beni destinati alla rivendita in stato inalterato è ora soggetta alla verifica della mancata disponibilità di tali prodotti sul mercato locale e alla presentazione di un documento rilasciato da ALGEX, l’Agenzia nazionale per la promozione del commercio estero.
L’Algeria ha inasprito l’accesso al mercato dei prodotti esteri: dal 25 aprile 2022, infatti, solo i prodotti non disponibili sul mercato locale potranno essere importati.
Secondo quanto comunicato il 24 aprile 2022 dall’Associazione algerina delle banche e degli istituti finanziari (ABEF) ai direttori delle banche e degli istituti finanziari algerini, il Ministero algerino del commercio e della promozione delle esportazioni ha attivato una piattaforma elettronica per il prodotto nazionale: interattiva e accessibile a tutti i settori e operatori economici, la piattaforma Cartographie Nationale du Produit Algérien deve essere obbligatoriamente consultata dall’azienda importatrice prima di effettuare qualsiasi operazione di importazione di merci destinate alla rivendita in stato immutato e assicurarsi che i prodotti importati non siano già presenti sul mercato locale.
Dopo aver consultato la piattaforma, l’importatore deve imperativamente richiedere il relativo documento all’Agenzia nazionale per la promozione del commercio estero (ALGEX). Tale documento è necessario per ottenere la domiciliazione presso le banche commerciali algerine e quindi per l’importazione.
I provvedimenti sono parte di un processo avviato dall’Algeria per “regolamentare e razionalizzare le importazioni” e spingere gli operatori algerini all’acquisto di beni e prodotti locali.
Produrre in modo responsabile e sostenibile significa far fronte a diverse sfide della realtà economica ambientale, compreso il cambiamento climatico generato dal modello dell’economia lineare, e agire su diverse aree quali l’eco-concezione del prodotto, l’utilizzo laddove possibile di energie rinnovabili e la minimizzazione degli scarti di produzione. Tutti obiettivi che coinvolgono concretamente l’azienda e i suoi stakeholder.
Secondo diversi sondaggi internazionali, clienti e dipendenti favoriscono le aziende che agiscono in modo responsabile dal punto di vista ambientale e sociale e sempre più investitori vogliono investire in aziende considerate sostenibili. Aderendo a pratiche commerciali sostenibili, le aziende non solo si impegnano verso i propri stakeholder, ottenendo una reputazione positiva ai loro occhi, ma possono anche aumentare la loro fedeltà al brand. La sostenibilità sta infatti incidendo maggiormente sulle decisioni di acquisto in tutto il mondo e si configura sempre di più sia come opportunità sia come driver per l’innovazione.
La CSR quale fattore di competitività
L’impegno a favore della sostenibilità si inserisce nella responsabilità sociale di un’impresa (corporate social responsibility, CSR), che è a sua volta un fattore di competitività rilevante, preferenziale e talvolta persino indispensabile, per molte aziende. La Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino sta dedicando molte risorse a questo tema, tanto da aver sviluppato, con il supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE), un modello online di rapporto di sostenibilità, che – tra l’altro – garantisce alle PMI anche un vantaggio nella partecipazione ad appalti pubblici.
Più in generale, il rapporto di sostenibilità è un documento sempre più utile e diffuso, che raccoglie le buone pratiche messe in atto da un’azienda, permettendole di integrare le informazioni economiche con un rendiconto dell’impatto sociale e ambientale della sua attività.
Si scrive CSR, si legge economia circolare
L’economia circolare è un concetto che implica che è possibile produrre in modo diverso e soprattutto sostenibile. Ciò richiede tuttavia una trasformazione culturale e strutturale e necessità di risorse e impegno nell’innovazione in quanto presuppone un cambiamento di modello di business nonché un sistema produttivo e tecnologie di produzione in grado di rigenerare prodotti e servizi, minimizzare l’impatto sull’ambiente e massimizzare il beneficio sociale.
Questo è più facile da dirsi che da farsi. In Svizzera, infatti, sono ancora diversi gli ostacoli che frenano lo sviluppo dell’economia circolare e impediscono un uso efficiente delle risorse. È quanto emerge da un rapporto sul tema adottato lo scorso 11 marzo 2022 dall’Amministrazione federale, che rileva anche che gli ostacoli sono raramente riconducibili a singole disposizioni o norme, bensì derivano spesso da un insieme complesso di direttive e disposizioni normative che si influenzano a vicenda. Il potenziale di miglioramento in questo senso è particolarmente elevato nei settori delle costruzioni e dell’agroalimentare. Nel settore delle costruzioni, ad esempio, diverse norme e schede esplicative non corrispondono più allo stato attuale della tecnica e non permettono di utilizzare in modo efficiente le risorse, ad esempio facendo uso di materiali rinnovabili o riciclabili. A volte però gli ostacoli derivano da decisioni prese in una situazione di emergenza: è il caso nel settore dell’alimentazione animale, sottoposto a una regolamentazione severa a seguito della crisi della mucca pazza. Le misure adottate hanno consentito di superare la crisi e di rafforzare la sicurezza alimentare, ma nel contempo limitano l’uso di determinati sottoprodotti animali. In generale poi, troppo cibo viene ancora sprecato. Anche la distribuzione di alimenti invenduti o destinati all’eliminazione a organizzazioni o persone certificate è soggetta a regole che non favoriscono la riduzione dello spreco alimentare. Nell’intento di rettificare questa situazione, il 6 aprile scorso il Consiglio federale ha adottato un piano d’azione contro lo spreco alimentare.
L’Unione europea, dal canto suo, ha iniziato già da tempo la sua battaglia a favore dell’economia circolare, sfociata poi, il 30 marzo scorso, in un pacchetto di proposte presentato dalla Commissione europea volte a rendere quasi tutti i prodotti immessi sul mercato UE più rispettosi dell’ambiente, circolari ed efficienti dal punto di vista energetico durante l’intero ciclo di vita, dalla fase di progettazione fino all’uso quotidiano e il fine vita. Nella fattispecie, la Commissione ha presentato una proposta di regolamentoperrendere i prodotti sostenibili la norma nell’UE: tale proposta riguarda la progettazione, che genera fino all’80 % dell’impatto ambientale di un prodotto durante il suo ciclo di vita, e si applicherà praticamente a tutti i settori, eccezion fatta per i medicinali, i prodotti alimentari e i mangimi. La proposta stabilisce nuovi requisiti per rendere i prodotti più durevoli, affidabili, riutilizzabili, aggiornabili, riparabili, più facili da mantenere, rinnovare e riciclare nonché efficienti sotto il profilo energetico e delle risorse. Inoltre, i requisiti di informazione specifici del prodotto consentiranno ai consumatori di conoscere l’impatto ambientale dei loro acquisti: i prodotti regolamentati saranno infatti corredati da un cosiddetto passaporto digitale, che ne faciliterà la riparazione o il riciclaggio e agevolerà la tracciabilità delle sostanze lungo la catena di approvvigionamento. La proposta prevede anche misure volte ad arrestare la distruzione dei beni di consumo invenduti, accrescere il potenziale degli appalti pubblici verdi e incentivare i prodotti sostenibili.
Sempre il 30 marzo 2022, la Commissione ha presentato anche due nuove strategie settoriali: la prima per rendere, entro il 2030, i prodotti tessili più durevoli, riparabili, riutilizzabili e riciclabili nonché per contrastare la moda veloce (“fast fashion”), i rifiuti tessili e la distruzione dei tessili invenduti e garantire la disponibilità di servizi di riutilizzo e riparazione economicamente redditizi; la seconda per promuovere il mercato interno dei prodotti da costruzione, garantire che tali prodotti siano progettati e fabbricati in base allo stato dell’arte per essere più durevoli, riparabili, riciclabili e più facili da rifabbricare e, da ultimo ma non meno importante, che gli ambienti edificati realizzino gli obiettivi di sostenibilità e clima.
Le proposte della Commissione dovranno ora essere discusse dal Consiglio e dal Parlamento europeo.
Caso vuole che, proprio qualche giorno prima, in occasione di un evento tenutosi giovedì 24 marzo 2022, il direttore della Cc-Ti Luca Albertoni e la responsabile del servizio Commercio internazionale Monica Zurfluh, abbiano avuto l’opportunità di sentire di prima mano come l’azienda Geomagworld SA pensi e lavori in un’ottica di economia circolare e collabori con gli attori esistenti nel nostro Cantone in questo campo, come la SUPSI, per innovare e sviluppare nuovi prodotti che possano rispondere sempre di più agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’agenda 2030 dell’ONU (Sustainable Development Goals SDGs). Sul nostro territorio vi sono ovviamente altri esempi virtuosi di aziende che stanno adottando pratiche circolari. La crisi climatica e la crisi della supply chain, iniziata con la pandemia e proseguita con la guerra in Ucraina e le sanzioni internazionali contro la Russia, dimostrano però che è necessario agire ora: gli sprechi vanno ridotti e l’utilizzo di materie prime e risorse vanno ottimizzati. Le aziende del nostro Paese che non l’hanno ancora fatto sono chiamate a trasformare al più presto il loro modello di business virando con decisione e consapevolezza verso una produzione responsabile. In relazione poi a quanto sta avvenendo nell’Unione europea con le nuove proposte della Commissione europea, la produzione responsabile è decisamente un must per quelle aziende che operano nel mercato unico se non vogliono precludersene l’entrata.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/04/ART22-CSR-circular-economy-1.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2022-05-05 09:30:002022-06-22 10:44:25Produzione responsabile: un must
I provvedimenti recentemente adottati dalla comunità internazionale nei confronti della Russia ci forniscono l’occasione di passare brevemente in rassegna il sistema sanzionatorio e di controllo delle esportazioni degli Stati Uniti, la cui portata extraterritoriale è molto spesso sottovalutata dalle aziende estere che riesportano articoli di origine americana o li inglobano nei loro prodotti, per poi esportare questi ultimi verso altri mercati.
Negli Stati Uniti, il sistema sanzionatorio e di controllo delle esportazioni si basa su tre aree:
le sanzioni, di competenza dell’OFAC
le International Traffic in Arms Regulations (ITAR), adottate dal Dipartimento di Stato e applicate ai prodotti militari / della difesa
le Export Administration Regulations (EAR), adottate dal Dipartimento del Commercio e applicate ai prodotti commerciali che possono avere uso anche in ambito militare (“dual use”).
Queste tre aree possono, in un modo o nell’altro, toccare e influenzare le attività delle aziende svizzere che operano (anche) con gli Stati Uniti. È compito delle stesse svolgere le opportune verifiche con riferimento ai partner commerciali, alla classificazione doganale dei prodotti importati, lavorati e/o esportati nonché ai servizi acquisiti rispettivamente forniti.
Le sanzioni
Il sistema americano prevede sia sanzioni primarie sia secondarie: le prime vengono applicate direttamente in quanto il soggetto giuridico o la componente di un determinato prodotto è legata alla giurisdizione statunitense; le seconde sono invece sanzioni che possono essere imposte a società non statunitensi che intrattengono determinate attività commerciali con il Paese oggetto di restrizioni. Le sanzioni, così come gli embarghi, sono implementate e fatte rispettare dall’Office of Foreign Assets Control (OFAC) del Dipartimento del Tesoro ed hanno una componente extraterritoriale. Il programma sanzionatorio americano può essere visionato su Sanctions Programs and Country Information | U.S. Department of the Treasury e Other OFAC Sanctions Lists | U.S. Department of the Treasury.
Sanzioni primarie e secondarie
Le sanzioni primarie sono sanzioni imposte direttamente contro Paesi, organizzazioni e/o individui che il governo americano ritiene colpevoli di crimini internazionali o che lavorano contro gli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Esse si applicano generalmente a tutte le transazioni che hanno un nesso con la giurisdizione degli Stati Uniti e devono essere rispettate da “US persons” (“persone statunitensi”), ovvero da cittadini statunitensi o residenti permanenti, entità organizzate negli Stati Uniti (comprese le filiali straniere) e chiunque si trovi negli Stati Uniti (incluse le filiali statunitensi di entità straniere e individui che si trovano fisicamente negli Stati Uniti). Alcuni programmi di sanzioni si applicano altresì alle filiali non statunitensi di persone statunitensi. Le sanzioni primarie riguardano anche le transazioni processate attraverso il sistema finanziario degli Stati Uniti così come qualsiasi transazione in dollari USA. Nella pratica, persone ed entità collegate agli USA devono quindi verificare che i loro clienti non figurino nella lista degli Specially Designated Nationals (SDN). Per agevolare l’analisi, l’OFAC ha approntato un motore di ricerca.
Le sanzioni secondarie si rivolgono specificamente a “non-US persons” (“persone non statunitensi”) e sono volte a impedire a terzi di avere attività commerciali con Paesi oggetto delle sanzioni americane. Più in generale, le sanzioni secondarie sono destinate a rafforzare gli effetti delle sanzioni primarie e a proteggere gli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Esse hanno generalmente come obiettivo determinati settori economici (es. settore oil & gas) e/o transazioni con SDN del Paese sanzionato. Le persone non statunitensi possono continuare a operare nei Paesi oggetto di sanzioni secondarie purché evitino le parti e i settori vietati. Tra le misure punitive per il mancato rispetto delle sanzioni secondarie figurano vari livelli di esclusione dal mercato statunitense, quali il divieto di fare affari con il Paese o restrizioni di accesso al suo sistema finanziario. Nella pratica, il rischio principale per le persone che violano le sanzioni secondarie è di essere aggiunte alla lista SDN. Le banche che violano le disposizioni OFAC sostenendo attività finanziarie e/o commerciali oggetto di divieto possono ad esempio vedersi negare la possibilità di avere conti di corrispondenza e conti di passaggio e di negoziare valute in contropartita con dollari.
Sanzioni globali e selettive
Le sanzioni possono essere globali (“comprehensive”) o selettive (“targeted”):
le sanzioni globali proibiscono alle persone statunitensi di effettuare qualsiasi transazione in/con un territorio specifico, indipendentemente dal fatto che un SDN sia coinvolto o meno. Trattasi nella pratica degli embarghi. Attualmente, i Paesi e regioni oggetto di sanzioni globali da parte USA sono: Corea del Nord, Cuba, Iran, Siria nonché le regioni ucraine di Crimea, Donetsk e Luhansk;
le sanzioni selettive mirano invece a specifiche attività o ambiti.
La regola del 50%
Qualsiasi persona giuridica posseduta al 50% o più da uno o più SDN è trattata come un SDN, cfr. 401 | U.S. Department of the Treasury. In generale, un’entità controllata (ma non posseduta al 50% o più) da una o più persone bloccate non è considerata automaticamente bloccata ai sensi della regola del 50%.
Controlli export
Il processo di controllo delle esportazioni degli Stati Uniti coinvolge due serie di regolamenti: le International Traffic in Arms Regulations (ITAR) e le Export Administration Regulations (EAR). Le regolamentazioni ITAR e EAR impongono requisiti di licenza per talune esportazioni e riesportazioni e possono toccare anche prodotti esteri rispettivamente aziende estere.
Traffic in Arms Regulations (ITAR)
La normativa ITAR è stata sviluppata sotto la giurisdizione del Dipartimento di Stato. L’autorità competente è il Directorate of Defense Trade Controls (DDTC). L’ITAR controlla gli articoli, i servizi e i dati tecnici designati come articoli per la difesa o servizi di difesa. Questi figurano nella U.S. Munitions List (USML)e necessitano diun’autorizzazione all’esportazione da parte del Dipartimento di Stato. Gli articoli per la difesa o i servizi di difesa statunitensi sono sempre soggetti all’ITAR, anche se sono stati incorporati in prodotti esteri (§ 123.9 ITAR).
Export Administration Regulations (EAR)
Le Export Administration Regulations (EAR) regolamentano gli articoli e le tecnologie considerate a “duplice impiego”, ossia adatti sia all’impiego nel settore civile sia a quello militare. L’autorità competente è il Bureau of Industry and Security (BIS) del Dipartimento del Commercio. Gli articoli toccati dall’EAR possono essere beni tangibili, quali ad esempio armi ed esplosivi, oppure intangibili, quali software, tecnologie e dati.
I beni che richiedono una licenza all’esportazione da parte del BIS sono elencati nella Commerce Control List (CCL) (per comodità vedasi anche l’indice analitico). Tali articoli sono identificati da un Export Control Classification Number (ECCN), ovvero un codice alfanumerico che descrive il prodotto e i requisiti che devono essere rispettati per il rilascio della licenza all’esportazione (caratteristiche tecniche del prodotto, destinazione, uso finale e utilizzatore finale). Alcuni articoli, pur rientrando nell’ambito delle EAR, non sono specificamente controllati per l’esportazione e non sono elencati nella CCL. Si tratta generalmente di beni di consumo a bassa tecnologia e classificati come EAR99. Anche se gli articoli EAR99 possono generalmente essere esportati senza una licenza, gli esportatori devono comunque eseguire un’attenta due diligence per assicurarsi che tali beni non siano destinati a Paesi sottoposti ad embargo o a sanzioni, a utenti finali proibiti (lista SDN), o destinati ad un uso finale proibito.
Secondo le EAR, “una merce prodotta all’estero che incorpora merci controllate di origine statunitense, una merce prodotta all’estero ed abbinata ad un software controllato di origine statunitense, un software prodotto all’estero che contiene un software controllato di origine statunitense e una tecnologia prodotta all’estero che contiene tecnologia controllata di origine statunitense” possono essere assoggettati alle EAR (cfr. “Scope of Export Administration Regulations” del BIS, § 734.3 (3)). In generale l’assoggettamento dipende dalla percentuale di valore del contenuto controllato di origine statunitense nel prodotto straniero. Fa stato la cosiddetta regola de minimis del contenuto: fatte salvo alcune eccezioni particolarmente sensibili, per le quali questa regola non può essere applicata (“no deminimis level”), le merci statunitensi classificate come sensibili possono in linea di principio essere incorporate in un prodotto d’esportazione o utilizzate nella sua fabbricazione fino a una quota di valore del 25% senza che questo prodotto sia necessariamente soggetto a licenza. Questa soglia è ridotta al 10% per articoli a destinazione dei Paesi del gruppo E:1 (attualmente Iran, Siria e Corea del Nord) e del gruppo di paesi E:2 (attualmente solo Cuba) (cfr. Supplement No. 2 di EAR Part 734 e Supplement No. 1 di EAR Part 740). L’EAR opera inoltre una distinzione tra esportazione (“export”, § 734.13), riesportazione (“reexport”, § 734.14) e rilascio (“release”, § 734.15). Per aiutare le aziende estere a determinare se un articolo prodotto e situato al di fuori degli Stati Uniti è soggetto all’EAR, il BIS mette a disposizione il De minimis & Direct Product Rules Decision Tool nonché una breve guida riassuntiva.
Da ultimo, ma non meno importante, articoli stranieri che sono il prodotto diretto di una tecnologia, un software o un impianto americano oppure di una componente principale di un impianto realizzato con una tecnologia o un software americano possono essere soggetti all’EAR se soddisfano le condizioni della cosiddetta regola per prodotti esteri diretti (“foreign-direct product (FDP) rule” o“General Prohibition Three”, cfr. § 732.2 (f) e §736.2(b)(3) dell’EAR). Prodotti diretti che sono soggetti all’EAR possono necessitare di una licenza per essere esportati dall’estero o riesportati in determinati Paesi.
Disclaimer: la panoramica qui sopra fornita è a scopo esclusivamente informativo e non ha presunzione di esaustività e completezza.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/04/ART22-USA-sanzioni-controlli.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2022-04-28 08:00:002022-06-22 15:01:58Export controls e sanzioni: l’extraterritorialità delle leggi USA
La Russia e l’Ucraina insieme forniscono un quarto del fabbisogno mondiale di grano. La guerra tra i due Paesi fa salire alle stelle i prezzi di alcuni prodotti alimentari e ha conseguenze destabilizzanti per diversi Paesi del terzo mondo.
L’Ucraina è spesso chiamata il “granaio d’Europa”. In effetti, il grano vi cresce particolarmente bene perché questo grande Paese dell’Europa orientale ha una caratteristica geologica speciale: la maggior parte della rara ed estremamente fertile terra nera del mondo si trova sul suo territorio.
Secondo l’International Trade Centre di Ginevra, l’agenzia congiunta delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione mondiale del commercio, l’Ucraina è però solo il quinto esportatore mondiale di grano. La Russia figura infatti al primo posto, seguita da Stati Uniti, Canada e Francia. La Germania, a sua volta, è all’ottavo posto. De facto, quindi, l’Ucraina non è l’unico granaio europeo.
Insieme, Ucraina e Russia coprono un quarto della domanda mondiale di grano. E al momento, i due esportatori di grano sono fatalmente legati: a causa della guerra, infatti, i porti ucraini sul Mar Nero sono bloccati, con conseguente interruzione delle catene di approvvigionamento, mentre le sanzioni economiche imposte dalla comunità internazionale alla Russia hanno frenato massicciamente le esportazioni di grano da parte di quest’ultima.
Il prezzo del grano è il grande problema
La guerra in Ucraina non ha ancora causato una vera carenza di grano. Per ragioni di stagionalità, l’Ucraina e la Russia esportano la maggior parte del loro grano in estate e in autunno. Al momento, quindi, i loro clienti internazionali stanno attingendo alle loro scorte o comprano il grano altrove. Secondo l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), la produzione mondiale di grano è attualmente in calo, ma si stima che a medio termine sarà ancora di circa l’1% superiore alla media dell’anno scorso.
Ciò che attualmente pesa sul mercato internazionale del grano è tuttavia il prezzo. Secondo i dati della Deutsche Börse, dal nuovo anno il prezzo del grano è aumentato di quasi un terzo a circa 400 euro per tonnellata ed è praticamente raddoppiato dall’inizio del 2020. Per l’orzo si osserva più o meno lo stesso sviluppo, mentre il fertilizzante è diventato addirittura più costoso del 40%. Dato che il 15% del mais mondiale e più del 50% dell’olio di girasole provengono direttamente dall’Ucraina, anche questi prezzi sono in forte movimento. Per quanto riguarda l’orzo e il mais, a differenza del grano, da quando è iniziata la guerra in Ucraina, la FAO rileva una produzione globale significativamente più bassa rispetto all’anno scorso. Pertanto, altri grandi esportatori di cereali grezzi come l’Argentina, l’India e gli Stati Uniti stanno venendo alla luce.
I prezzi erano già alti prima della guerra
Tuttavia, i prezzi in generale erano già aumentati prima della guerra in Ucraina. Sono da biasimare i problemi logistici e le strozzature di approvvigionamento legate alla pandemia: secondo la FAO, alla fine di gennaio 2022 l’indice dei prezzi alimentari era quasi un quarto più alto dell’anno precedente. Questa tendenza è semplicemente esacerbata dalla guerra in Europa orientale.
Le vere vittime in questo momento sono alcuni Paesi del terzo mondo. Al primo posto c’è l’Egitto, che ottiene circa il 70% del suo grano dall’Ucraina e dalla Russia ed è il più grande consumatore al mondo di grano ucraino. Secondo un recente servizio della televisione svizzera SRF, il governo egiziano ha ridotto l’importante sussidio per il pane e la popolazione è ora costretta a pagare di più. Inoltre, il Paese sta facendo scorta di tutto il suo grano e non esporta più nulla nei Paesi dell’area sahariana, con conseguenze drammatiche per queste Nazioni.
Stando alle statistiche commerciali delle Nazioni Unite relative al 2020 gli altri principali importatori di grano sono Indonesia, Bangladesh, Pakistan, Turchia, Tunisia, Marocco e Libano. La situazione è particolarmente grave in Libano in quanto non può quasi immagazzinare il grano perché i grandi sili nel porto di Beirut sono stati distrutti durante un’esplosione nel 2020. Un ultimo, importante acquirente di grano proveniente dall’Europa orientale, dalla Russia nello specifico, è la Siria, già devastata dalla guerra civile, e il cui governo ha ora introdotto il razionamento del grano.
Anche l’Africa orientale importa molto grano
Poiché i porti del Mar Nero sono bloccati, molti Paesi invieranno navi da trasporto negli Stati Uniti e in Argentina, India e Australia per caricare grano e cereali secondari. Tuttavia, la FAO fa notare che queste opzioni alternative possono compensare solo parzialmente la perdita delle esportazioni provenienti dalla regione settentrionale del Mar Nero.
Anche l’Africa orientale, che ha un’elevata quota di importazione, deve accettare un forte aumento del prezzo del grano. In Kenya, Etiopia, Gibuti e Somalia diverse stagioni delle piogge non si sono concretizzate e i raccolti sono appassiti nei campi. Pertanto, il Programma alimentare mondiale (PAM) delle Nazioni Unite avverte del pericolo di carestia nei prossimi mesi. Insieme al grano, anche altri prodotti alimentari sono diventati più costosi e questo genererà grossi problemi per questi Paesi.
Le carestie e altre gravi crisi di approvvigionamento sono spesso accompagnate da rivolte, come si è potuto osservare in particolare nel Medio Oriente negli ultimi due decenni. Se i governi non accetteranno di accollarsi questo grosso peso sulle casse dello Stato e sovvenzioneranno sempre meno, il cibo si farà più caro e la popolazione ne risentirà. E questo a sua volta potrebbe portare a disordini e destabilizzazione politica.
La durata della guerra in Ucraina è cruciale
I grandi problemi devono quindi ancora arrivare e molto dipenderà dalla durata della guerra: in Ucraina non è ancora possibile prevedere quando e come potrà avvenire la semina del grano quest’anno, mentre per quanto riguarda la Russia, non è chiaro per quanto tempo resteranno in vigore le sanzioni.
Secondo il PAM, la guerra in Ucraina non sarà l’unica causa dei problemi che diverse grandi regioni del mondo dovranno affrontare tra qualche mese: alla guerra si sommano infatti diversi fattori, come il cambiamento climatico, la pandemia e i prezzi a spirale per il cibo e il carburante, aggravati dalle carenze di grano e fertilizzanti. Secondo l’Organizzazione, tutti questi fattori porteranno almeno 44 milioni di persone in 36 Paesi sulla soglia della fame.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/04/ART22-guerra-aumenta-rischio-fame.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2022-04-21 08:00:002022-06-22 10:45:48La guerra in Ucraina aumenta il rischio di fame
La guerra in Ucraina tiene l’agricoltura sulle spine: oltre al grano, anche la quantità disponibile di materie prime per i fertilizzanti sta diminuendo. E il prezzo è almeno raddoppiato in un anno.
Il conflitto in Ucraina ha un impatto sul settore agricolo di molti Paesi. La Russia, colpita da gravi sanzioni, è infatti il secondo produttore al mondo di ammoniaca, urea e potassio e il quinto produttore di fosfati lavorati. La Bielorussia è responsabile di un quinto della produzione mondiale di potassio. Tutti elementi essenziali per produrre fertilizzanti.
Africa e Sud America i più colpiti
A causa delle sanzioni internazionali nei confronti di Russia e Bielorussia, le catene di approvvigionamento sono paralizzate. I prezzi dei fertilizzanti aumentano rapidamente a fronte di quantitativi decrescenti, costringendo molti agricoltori a risparmiare sul loro utilizzo. L’uso ridotto di fertilizzanti minaccia di abbassare la quantità e la qualità dei raccolti in diverse regioni del mondo.
Gli esperti di agricoltura stimano che l’Africa e il Sud America soffriranno maggiormente degli alti prezzi dei fertilizzanti, in quanto dispongono di minori scorte e molti agricoltori non potranno più permettersi il fertilizzante industriale a causa dei prezzi elevati.
E in Europa? I produttori del Medio Oriente hanno accettato di deviare le forniture verso l’Occidente. Questo dovrebbe perlomeno stabilizzare i prezzi, ma funzionerà solo se i prezzi dell’energia, già alti, non aumenteranno ulteriormente e se non ci saranno grandi arresti della produzione.
Anche il mercato svizzero dei fertilizzanti sta sentendo gli effetti del marcato aumento dei prezzi: secondo l’Ufficio federale dell’agricoltura, i prezzi dei fertilizzanti azotati sono aumentati da due a tre volte in un anno.
Il prezzo del gas rende costosa la produzione di fertilizzanti
L’incremento dei prezzi dei fertilizzanti non è dovuto unicamente alle catene di approvvigionamento interrotte. Infatti, incidono anche i crescenti costi di trasporto e l’elevato prezzo del gas, che aumenta sempre di più perché il gas naturale russo è attualmente disponibile solo in quantità limitate.
Il prezzo del gas pesa su circa l’80-90% dei costi di produzione di fertilizzanti e ad essere particolarmente colpiti sono i produttori europei perché fortemente dipendenti dal gas russo. Va altresì rilevato che il prezzo del gas naturale e di altri tipi di energia ha raggiunto un livello molto alto già dalla metà del 2020 a causa dell’improvviso aumento del consumo dopo il lockdown. Pertanto, nel quarto trimestre del 2021 molti produttori europei di fertilizzanti, soprattutto di quelli a base di ammoniaca, hanno temporaneamente interrotto la produzione di azoto. Nei paesi dell’UE questo potrebbe ripercuotersi negativamente già sul raccolto di quest’anno.
Nessuna carenza di fertilizzanti in Svizzera
Secondo l’Ufficio federale dell’agricoltura, nel 2021 la Svizzera ha importato circa l’11% dei fertilizzanti chimici ricchi di potassio dalla Russia e circa il 5% dalla Bielorussia. A questi va ad aggiungersi un ulteriore 10% di fertilizzanti chimici che consistono in diversi nutrienti, sempre dalla Russia. Germania e Francia sono invece i più importanti fornitori di fertilizzanti ricchi di potassio (70%). Al momento non c’è carenza di fertilizzanti per gli agricoltori svizzeri: infatti, i contadini hanno già comprato il fertilizzante minerale di cui hanno bisogno per l’anno in corso. Inoltre, i terreni agricoli sono ben forniti di potassio e il letame costituisce un’eccellente fonte di sostanza organica per il terreno.
Tuttavia, a causa della guerra in Ucraina e dello sviluppo generale della domanda e dell’offerta, è ipotizzabile che anche i prezzi in Svizzera continuino a salire, e i quantitativi di fertilizzante a disposizione a diminuire. La situazione va pertanto monitorata.
Il mercato delle materie prime soffre di una congestione della domanda nonché di prezzi elevati sin dalla fine del confinamento dovuto alla pandemia. La guerra in Ucraina e le sanzioni internazionali stanno ora aggravando la situazione, anche per prodotti come il grano e i fertilizzanti.
Lo scoppio della pandemia e il successivo lockdown hanno messo un freno al commercio globale, con ordini cancellati e tagli alla produzione. Dopo il lockdown, la propensione al consumo della popolazione e la rapida ripresa dell’economia hanno portato ad un rilancio del commercio globale molto più celere del previsto, con un aumento vertiginoso della domanda di tutti i tipi di beni e di energia. La conseguenza: tempi di approvvigionamento più lunghi e prezzi di produzione più elevati. La situazione, già difficile, è ora esacerbata dalla guerra in Ucraina e dalle numerose sanzioni internazionali.
Preoccupazione nei principali settori produttivi
La penuria di materie prime e l’esplosione dei prezzi preoccupa i principali settori produttivi. È infatti salito il prezzo di carta e cartone: il materiale scarseggia e ne risente non solo l’editoria, ma anche l’industria del packaging. Stesso dicasi per il vetro, dove mancano le bottiglie per il mondo del beverage e i contenitori per i cosmetici. Altre materie prime come il legno, l’acciaio e la plastica sono in cima alla classifica dei prezzi. Esse servono in grandi quantità per beni durevoli come immobili, macchine, cellulari, elettrodomestici e, nel caso della plastica, gli imballaggi alimentari.
La scarsità di alluminio e nichel è una conseguenza diretta del conflitto in corso: la Russia è infatti il terzo rispettivamente il secondo produttore mondiale di nichel e nichel raffinato, mentre il gruppo Rusal è il maggiore produttore industriale di alluminio al di fuori della Cina. Grazie alla sua resistenza alla corrosione, il nichel è fondamentale per la produzione di batterie, di acciaio inossidabile e di materiali utilizzati nelle industrie del petrolio e del gas, della produzione di energia, delle tecniche mediche. Mancano anche palladio, rodio e il più economico platino, utilizzati principalmente nei catalizzatori automobilistici, di cui la Russia è il secondo produttore mondiale. L’industria automobilistica non ha pace: assieme all’aerospaziale dipende anche dal titanio proveniente dalla Russia, con alternative limitate disponibili. Il conflitto ha compromesso anche la speranza di una ripresa delle catene di fornitura di microchip, essenziali non solo per il settore auto, ma anche per oggetti di uso quotidiano quali cellulari, elettrodomestici e computer: tra le materie prime essenziali alla produzione dei chip, oltre al palladio, vi è infatti anche il neon, di cui il 70% della produzione mondiale proviene dall’Ucraina.
Infine, anche le materie prime secondarie metalliche (ottenute attraverso il riciclaggio di prodotti metallici smaltiti e usate come materia prima per nuovi beni) registrano un aumento notevole di prezzo.
Russia e Ucraina granai del mondo
Sale anche il prezzo delle materie prime agricole, ambiti in cui Russia e Ucraina primeggiano: i due Paesi generano il 53% del commercio globale di olio di girasole e semi, il 27% di grano, il 23% di orzo, il 16% di semi di colza e il 14% di mais.
Alcuni Stati sono fortemente dipendenti dal grano proveniente dai due Paesi, è il caso della Turchia, dell’Egitto e di molti Paesi del Nordafrica e del Medio e Vicino Oriente. Si prospettano una crisi alimentare mondiale e ripercussioni politiche: non dimentichiamoci che la Primavera araba cominciò proprio a causa del prezzo del pane. L’effetto della guerra si sta già facendo sentire anche in Europa: in Italia c’è allarme grano per il settore della pasta e mais per l’alimentazione del bestiame, mentre la Germania sembra aver esaurito le scorte di olio di girasole.
Emergenza fertilizzanti
La Russia è il secondo produttore al mondo di ammoniaca, urea e potassio e il quinto produttore di fosfati lavorati. La Bielorussia è responsabile di un quinto della produzione mondiale di potassio. Tutti elementi essenziali per produrre fertilizzanti: la loro scarsa reperibilità mette a rischio la quantità e la qualità dei raccolti per gli anni commerciali 2021/22 e 2022/23. Le attuali perturbazioni spingono i prezzi dei fertilizzanti verso l’alto e gli agricoltori dovranno assorbire costi sostanziali per raccolti meno voluminosi. Il rischio di effetti a catena sui consumatori è molto elevato: la crisi delle materie prime potrebbe infatti rendere il pane quotidiano più costoso.
Anche la Svizzera soffre
Se nel medio-lungo termine altri attori potrebbero sostituire Ucraina e Russia nell’industria di alcune delle materie summenzionate, le interruzioni di produzione e consegna stanno minando l’attività economica globale.
Il settore svizzero delle costruzioni soffre già della mancanza di materie prime e semilavorati e dei loro prezzi elevati. Essendo un’economia molto aperta e priva di materie prime, la Svizzera risente degli effetti della guerra anche in altri settori. Le prossime settimane determineranno quanto forte sarà l’aumento dei prezzi in generale e se la produzione ristagnerà.
Complice il franco forte e una produzione interna meno energivora di quella europea, in complesso la Svizzera dovrebbe però cavarsela meglio dei Paesi europei. Il caro franco crea tuttavia pressioni sulle esportazioni: la perdita globale di potere d’acquisto rischia infatti di abbassare la domanda di prodotti e servizi svizzeri.
La Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino sta attualmente conducendo un sondaggio tra le aziende della Svizzera italiana, volto ad ottenere una fotografia regionale dettagliata delle difficoltà legate agli approvvigionamenti e alle esportazioni.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/03/ART22-Materie-prime-pane.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2022-04-05 08:00:002022-06-22 10:46:46La crisi delle materie prime rende il pane più caro
Il Consiglio federale ha proceduto ad una revisione totale dell’ordinanza che istituisce provvedimenti nei confronti della Bielorussia. Sulla scia di quanto adottato contro la Russia, le misure riguardano in particolare il settore commerciale e quello finanziario.
Tra le novità vi è il divieto di esportazione in Bielorussia di tutti i beni a duplice impiego (civile o militare), a prescindere dallo scopo o dal destinatario finale. Viene inoltre vietata l’esportazione di determinati macchinari e di beni per il rafforzamento militare e tecnologico o per lo sviluppo del settore della difesa e della sicurezza. In relazione a tali beni non è più permesso fornire assistenza tecnica, servizi di intermediazione né mezzi finanziari. Sono stati ampliati anche i divieti di importazione nei confronti della Bielorussia, che ora includono anche i prodotti del legno e della gomma, ferro, acciaio e cemento. In base alla nuova ordinanza è vietato fornire finanziamenti pubblici o assistenza finanziaria pubblica per gli scambi commerciali o gli investimenti in tale Paese. Altri provvedimenti in ambito finanziario concernono titoli di credito, mutui e l’accettazione di depositi. Le transazioni con la Banca centrale bielorussa non sono più consentite. Inoltre, le banche elencate nell’allegato sono escluse dal sistema di messaggistica internazionale SWIFT.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/03/ART22-sanzioni-bielorussia.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2022-03-16 14:00:002022-06-22 14:58:51Nuove sanzioni contro la Bielorussia
Si tratta principalmente di sanzioni commerciali e finanziarie, tra cui:
Provvedimenti relativi ai beni
fatte salve le deroghe previste all’art. 6, divieto di esportazione in Russia di beni a duplice impiego (art. 4 cpv. 1, allegato 2 OBDI), a prescindere dallo scopo o dal destinatario finale;
divieto di esportazione in Russia di beni militari speciali (art. 3 cpv. 1, allegato 3 OBDI) e, fatte salve le deroghe previste all’art. 6, divieto relativo ai beni che potrebbero contribuire al rafforzamento militare e tecnologico o allo sviluppo del settore della difesa e della sicurezza della Russia (art. 5 cpv. 1, allegato 1). In questo contesto sono vietate anche l’assistenza tecnica, l’intermediazione e la concessione di mezzi finanziari (art. 5 cpv. 2);
divieto di importare armi da fuoco, munizioni, esplosivi, pezzi pirotecnici e polvere da fuoco dalla Russia e dall’Ucraina (art. 2);
divieti relativi ai beni per l’aviazione e l’industria spaziale e ai servizi ad essi connessi (art. 9);
divieti relativi ai beni per la raffinazione del petrolio (artt. 10-12).
Provvedimenti finanziari
blocco di averi e di risorse economiche (art. 15);
obbligo di notifica relativo al blocco degli averi e delle risorse economiche (art. 16);
divieto concernente i valori mobiliari e gli strumenti del mercato monetario (artt. 18 e 23, allegati 9, 10 e 11);
divieto di concessione di mutui (art. 19);
divieto di accettare depositi di più di 100’000 franchi da cittadini russi o da persone fisiche e giuridiche nella Russia (art. 20);
dichiarazione obbligatoria relativa ai depositi esistenti (art. 21);
divieto legato alle transazioni con la Banca Centrale della Russia (art. 24);
divieto di fornire servizi specializzati di messaggistica finanziaria (art. 27).
Provvedimenti relativi ai territori designati
divieto d’importare i beni originari dei territori designati senza un certificato d’origine rilasciato dalle autorità ucraine (art. 13 cpv. 1);
divieto d’esportare certi beni e di fornire servizi connessi (art. 14);
divieto di finanziamenti, partecipazioni e certi servizi (art. 25).
Ulteriori restrizioni
divieto di entrata o di transito per talune persone (art. 29, allegato 8).
Coordinate di contatto per richieste specifiche sulle sanzioni: Segreteria di Stato dell’economia (SECO), sanctions@seco.admin.ch, tel. +41 58 464 08 12 (dalle 08:00-12:00 e 13:00-17:00)
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/02/ART22-Ucraina-sanzioni.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2022-03-05 10:14:412022-06-22 10:48:49Situazione in Ucraina: ulteriori sanzioni contro la Russia
Dalla fine del lockdown la domanda di taluni prodotti è in continuo aumento. Questo causa ripetutamente dei colli di bottiglia nella fornitura e nel trasporto. Le aziende della supply chain sono quindi nel mirino: devono superare i colli di bottiglia dell’approvvigionamento e fare di più per soddisfare i loro clienti.
Le richieste dei clienti sono aumentate significativamente spinte anche dalla rapida digitalizzazione nel settore delle vendite: sempre più processi legati ai prodotti si stanno spostando su internet (vedi e-commerce o shopping online).
Contatto e trasparenza
Cosa ricercano i clienti? Desiderano di certo modi facili e veloci di contatto attraverso vari canali. Richiedono anche informazioni/raccomandazioni complete e personalizzate su prodotti e servizi. È importante anche la rapidità nell’elaborazione di un ordine, non soltanto nella consegna.
Si evidenzia una tendenza alla trasparenza: innanzitutto, i clienti stessi vogliono leggere su internet le informazioni inerenti ai servizi. Inoltre, vogliono poter seguire l’intero processo di trasporto e le transazioni commerciali e vederli adattati ai loro standard personali (order-to-cash-process).
Quali sono questi standard personali? Sempre più clienti sono interessati alla protezione dell’ambiente e agli standard etici. Pertanto, spesso vogliono un monitoraggio in tempo reale per poter conoscere direttamente lo stato delle cose.
Incidono gli strumenti digitali
Gli strumenti di comunicazione sono cruciali. Le aziende devono essere raggiungibili via e-mail, telefono fisso, social media e anche tramite una chat sul proprio sito web. In questo contesto è utile disporre di un’unica piattaforma digitale per tutti i canali di comunicazione (omnichannel solution).
Oltre a ciò, le aziende dovrebbero anche essere in grado di inviare SMS e messaggi personali alle applicazioni smartphone dei clienti: infatti, i clienti apprezzano il fatto di ricevere messaggi utili al momento giusto.
Un unico sistema digitale può anche coordinare l’ordine, la consegna e consentire il monitoraggio in tempo reale della merce da parte dei clienti stessi. In questo caso, aiutano gli strumenti basati sull’Internet of Things (IoT). L’IoT può anche far uso di telecamere speciali in loco che permettono di monitorare le merci nei magazzini e durante il trasporto.
Infine, le aziende della catena di approvvigionamento dovrebbero mettere in rete i singoli dipartimenti e filiali. Così facendo, avranno ovunque gli stessi standard elevati di qualità e di servizio al cliente. In questo contesto la tecnologia blockchain può fornire un accesso rapido a tutti i documenti e processi interni.
La consulenza personale
Un servizio clienti personalizzato significa anche digitalizzare i processi banali e impiegare i dipendenti in modo mirato per la consulenza personale ai clienti. In questo modo, i collaboratori possono fidelizzare i clienti coniugando l’accoglienza e l’empatia alla loro competenza in materia di prodotti e servizi.
È altresì importante trattare i reclami in modo positivo: i clienti lo apprezzano. Infine, ogni feedback è utile all’ottimizzazione dei processi interni dell’azienda.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/03/ART22-supply-chain-clienti.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2022-03-03 08:30:002022-06-22 10:49:13Supply chain: concentrarsi sui clienti
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