La Commissione europea rafforza la misura di salvaguardia sull’acciaio per contenere le importazioni e tutelare l’industria siderurgica dell’UE.
Nell’ambito del suo piano d’azione per la siderurgia e la metallurgia, la Commissione europea ha inasprito la misura di salvaguardia, riducendo il tasso di liberalizzazione dall’1% allo 0,1%. Questo provvedimento limita la quantità di acciaio che può essere importata nell’UE senza dazi. Inoltre, i Paesi esportatori non potranno più usufruire dei contingenti inutilizzati di altri Paesi, inclusi quelli assegnati alla Russia e alla Bielorussia.
Anche il meccanismo di “riporto” (“carry over”), che consentiva ai Paesi di trasferire i contingenti inutilizzati al trimestre successivo, è stato abolito per le categorie caratterizzate da un’elevata pressione sulle importazioni e da un basso livello di consumo.
La maggior parte degli adeguamenti entrerà in vigore il 1° aprile 2025, mentre alcune modifiche, come la riduzione del tasso di liberalizzazione e l’abolizione del trasferimento delle quote inutilizzate per determinate categorie, saranno applicate dal 1° luglio 2025. Tuttavia, la durata complessiva della misura di salvaguardia rimane invariata e si concluderà il 30 giugno 2026.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2025/03/ART25-Misura-salvaguardia-acciaio-UE.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2025-03-26 10:55:072025-03-26 13:19:20L’UE rafforza le misure di salvaguardia sull’acciaio a tutela dell’industria siderurgica
Con una capacità di spesa per i consumi che supera di gran lunga quella della Cina e dell’Unione europea, gli Stati Uniti non solo rappresentano un mercato cruciale per gli esportatori di tutto il mondo, ma giocano un ruolo determinante nelle dinamiche commerciali internazionali. L’introduzione di nuovi dazi doganali, sebbene per ora limitati a determinati Paesi, può avere ripercussioni significative sul mercato globale. La situazione si fa preoccupante e, anche in Svizzera, sia il governo sia le aziende sono chiamati a prendere decisioni rapide e strategiche.
In un contesto economico mondiale sempre più teso e imprevedibile, la Svizzera e le sue aziende si trovano ad affrontare sfide significative e delicate. Con un’economia fortemente orientata all’export, il nostro Paese si rivela estremamente vulnerabile alle turbolenze geopolitiche e alle politiche protezionistiche che stanno ridisegnando gli equilibri commerciali globali.
L’incubo dei dazi
Le aziende svizzere, rinomate per la loro eccellenza nei settori della farmaceutica, dei macchinari di precisione e dell’orologeria, si trovano a navigare in acque sempre più agitate. Oltre ai dazi generalizzati del 25% su alluminio e acciaio in vigore dal 12 marzo, che colpiscono direttamente anche i prodotti elvetici, la (ad oggi) minaccia di nuovi dazi del 25% sulle importazioni di auto, prodotti farmaceutici e altri prodotti europei getta ombre inquietanti sul mercato dell’Unione europea (UE) e sul futuro delle esportazioni svizzere: più della metà delle merci elvetiche destinate all’estero trova infatti mercato proprio nell’UE, e molte di queste vengono incorporate in prodotti venduti negli Stati Uniti.
La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che le tensioni commerciali non si limitano all’asse USA-UE: le misure protezionistiche statunitensi annunciate e/o già varate contro Messico, Canada e Cina e le risposte di questi Paesi rischiano di destabilizzare le catene di fornitura globali, creando un contesto sempre più volatile. Sebbene al momento le aziende svizzere non siano nel mirino diretto delle politiche protezionistiche americane, non possono rimanere immuni dalle ripercussioni: note per la loro integrazione in sofisticate catene del valore globali, le aziende svizzere potrebbero, infatti, trovarsi a fare i conti con aumenti dei costi di produzione, interruzioni nella fornitura di componenti critici e una potenziale riduzione della domanda nei mercati chiave. In questo scenario sono quindi chiamate a ripensare le loro strategie di approvvigionamento, produzione e distribuzione, puntando su una maggiore flessibilità e resilienza.
Strategie di diversificazione e libero scambio
Malgrado un contesto economico sempre più complesso, il commercio internazionale continua, infatti, ad offrire opportunità di diversificazione, innovazione e crescita per le imprese svizzere. Grandi gruppi stanno espandendo la loro presenza in Asia, Africa e Sudamerica, riducendo la dipendenza dai mercati tradizionali. Anche le PMI seguono questa strada di espansione internazionale, seppur con ritmi e risorse differenti.
Il mondo economico sta esercitando una pressione crescente sul governo federale affinché acceleri l’estensione della rete di accordi di libero scambio, considerati cruciali per garantire l’accesso a nuovi mercati in un contesto di crescente protezionismo. Nello specifico, guarda con attenzione alla ratifica degli accordi con India e Thailandia, conclusi rispettivamente a marzo 2024 e a gennaio 2025, all’aggiornamento di quelli esistenti con Cina e Messico, e alla finalizzazione dell’intesa con il Mercosur. Parallelamente, resta alta l’attenzione sul rilancio dei negoziati con gli Stati Uniti e sulla conclusione gli Accordi bilaterali III con l’UE.
Il Consiglio federale si trova così a dover bilanciare gli interessi economici nazionali con la necessità di mantenere una posizione neutrale nelle dispute commerciali internazionali. Questa sfida diplomatica richiede una strategia sofisticata che permetta alla Svizzera di proteggere i suoi interessi economici senza alienarsi nessuno dei suoi partner commerciali chiave.
Verso una gestione proattiva dei rischi
Dal canto loro, le aziende svizzere sono chiamate a adottare altre misure strategiche per mitigare la loro vulnerabilità, come monitorare le tensioni geopolitiche e condurre analisi approfondite della propria esposizione al rischio. Lo sviluppo di sistemi di analisi avanzata e di allerta precoce (“early warning”) diventa fondamentale per anticipare cambiamenti nei mercati e rispondere tempestivamente a eventuali shock economici. Tecniche di pianificazione strategica, come gli “stress test”, consentono invece di valutare la resilienza dell’azienda di fronte a scenari avversi, simulando impatti di misure tariffarie o altre discontinuità economiche.
In un mondo sempre più interconnesso, il successo delle nostre imprese dipenderà anche dalla loro capacità di adottare una prospettiva trifocale, che le veda integrare strategie a breve, medio e lungo termine nelle loro operazioni quotidiane. Questo richiede il passaggio da un approccio reattivo a una gestione dinamica dei rischi e delle opportunità: non basta reagire ai cambiamenti, ma occorre anticiparli, trasformando le sfide in opportunità di innovazione e crescita. Alcuni esempi di strategie proattive per rispondere celermente ai cambiamenti globali includono l’integrazione di tecnologie avanzate, come l’intelligenza artificiale per le analisi predittive, investimenti in ricerca e sviluppo per ideare prodotti innovativi e meno suscettibili a barriere commerciali, nonché la formazione del personale nella gestione di catene di valore sempre più complesse.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2025/03/ART25-aziende-svizzere-tensioni-globali.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2025-03-12 08:00:002025-03-07 16:14:52Le aziende svizzere al crocevia delle tensioni commerciali globali
Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il 22 gennaio 2025, il Regolamento (UE) 2025/40 sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio sostituirà la Direttiva 94/62/CE introducendo significative innovazioni per la gestione degli imballaggi e dei rifiuti da imballaggio. Entrato in vigore il 12 febbraio 2025, sarà pienamente applicabile dal 12 agosto 2026.
Il regolamento (UE) 2025/40 mira a ridurre l’impatto ambientale e a incentivare il riuso e il riciclo, segnando così un passo significativo verso la riduzione dei rifiuti e il rilancio dell’economia circolare.
Le principali disposizioni includono:
adozione di imballaggi più leggeri e eliminazione di materiali superflui
aumento della percentuale di imballaggi riutilizzabili
fissazione di obiettivi minimi di utilizzo di materiali riciclati entro il 2030, percentuale che aumenterà progressivamente fino al 2040
divieto di sostanze chimiche (tra cui PFAS) al di sopra di determinate soglie negli imballaggi alimentari
standardizzazione nella progettazione degli imballaggi e un’etichettatura più chiara a livello europeo, così da semplificare il corretto smaltimento
divieto di imballaggi di plastica monouso, ad esempio quelli per frutta e verdura fresche, per alimenti e bevande in bar e ristorante
Il fabbricante ha l’obbligo di redazione della dichiarazione di conformità UE. Per gli imballaggi provenienti da Paesi terzi, l’importatore dovrà assicurarsi la loro conformità alle prescrizioni del Regolamento e mettere a disposizione dell’autorità nazionale la relativa documentazione.
Viene altresì rafforzato il principio della Responsabilità Estesa del Produttore (EPR): il produttore (o, nel caso di imballaggi provenienti da Paesi terzi, l’importatore) sarà responsabile anche della fase di fine vita degli imballaggi immessi sul mercato.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2025/02/ART25-UE-nuovo-regolamento-imballaggi.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2025-02-13 08:00:002025-02-12 08:58:38Imballaggi: pubblicato il nuovo regolamento UE
Nel 2024, l’economia del Vietnam ha dato prova di una notevole resilienza in un contesto globale dinamico caratterizzato da conflitti militari, competizione strategica tra grandi potenze, crescente protezionismo commerciale, interruzioni delle catene di approvvigionamento ed eventi climatici estremi. Nonostante queste sfide, l’economia ha mostrato segni di stabilizzazione, con miglioramenti nelle prestazioni commerciali, una riduzione delle pressioni inflazionistiche e un panorama finanziario e del mercato del lavoro più solido. Questi risultati, sostenuti da proiezioni ottimistiche di esperti e istituzioni globali, pongono le basi per un promettente 2025 per il Paese.
In questo articolo, esaminiamo i principali aspetti che hanno caratterizzato l’economia del Vietnam nel 2024 e le implicazioni per gli anni a venire.
Performance del PIL
Innanzitutto, è importante soffermarsi sul PIL del Paese: il Vietnam ha raggiunto un impressionante tasso di crescita del PIL del 7,09% nel 2024, a dimostrazione della sua robusta ripresa e adattabilità nonostante le sfide esterne. Sebbene leggermente al di sotto dei picchi del 2018, 2019 e 2022, questa crescita sottolinea la resilienza del Vietnam, posizionandolo come un mercato di spicco nella regione ASEAN.
Il settore dei servizi si è rivelato il principale motore di crescita durante l’anno, contribuendo al 49,46% dell’aumento totale del PIL. I settori “industria e costruzioni” e “agricoltura, silvicoltura e pesca” hanno contribuito rispettivamente al 45,17% e al 5,37%. Il PIL del Vietnam ha raggiunto 11,51 quadrilioni di VND (476,3 miliardi di USD), con un aumento del PIL pro capite a 4’700 USD, pari a un incremento di 377 USD rispetto al 2023.
Inflazione
L’inflazione è un indicatore cruciale della stabilità economica, poiché influisce direttamente sul potere d’acquisto, sui costi aziendali e sulla fiducia economica complessiva. Nel 2024, il Vietnam ha dimostrato una gestione economica efficace mantenendo l’inflazione sotto controllo. L’indice dei prezzi al consumo (CPI) è aumentato del 3,63%, allineandosi all’obiettivo dell’Assemblea Nazionale. L’inflazione core, che esclude elementi volatili, è aumentata di un moderato 2,71%, garantendo stabilità economica e sostenendo la fiducia dei consumatori.
Panorama del commercio
Quando si analizzano i risultati economici di un paese, è importante considerare il panorama commerciale, poiché riflette l’interazione tra la domanda globale, la capacità produttiva domestica e le politiche commerciali. È evidente che, per il Vietnam, il commercio rimane un fattore trainante di crescita economica e integrazione globale. Il Paese ha registrato un totale di 786,29 miliardi di USD di flussi commerciali complessivi nel 2024, con un incremento del 15,4% rispetto all’anno precedente e un surplus commerciale di 24,77 miliardi di USD. Le esportazioni sono cresciute del 14,3% raggiungendo i 405,53 miliardi di USD, mentre le importazioni sono aumentate del 16,7% arrivando a 380,76 miliardi di USD.
Inoltre, vale la pena notare che, per stimolare la crescita delle esportazioni nel 2025, il governo sta migliorando i quadri normativi, promuovendo la competitività industriale e ottimizzando gli accordi di libero scambio (FTA).
Anche gli investimenti diretti esteri (IDE) sono un indicatore chiave dell’attrattività economica di un paese e della sua integrazione nelle catene del valore globali. Per il Vietnam, nel 2024, il panorama degli IDE riflette una fiducia costante degli investitori e un interesse internazionale duraturo. Infatti, fino a novembre 2024, il Vietnam ha attratto 31,4 miliardi di USD (tenendo in considerazione nuovi investimenti, conferimenti di capitale e acquisizioni di azioni da parte di investitori stranieri), segnando un incremento dell’1% rispetto all’anno precedente. Al 30 novembre 2024 si contavano 41’720 progetti attivi in tutto il Paese, con un capitale totale registrato di 496,7 miliardi di USD. Il capitale realizzato accumulato dei progetti di investimento estero ha raggiunto circa 318,9 miliardi di USD, pari al 64,2% del totale del capitale di investimento registrato.
Nel 2024 gli investitori stranieri hanno investito principalmente nei settori della produzione e della lavorazione, che hanno rappresentato il 64,4% del totale. Fanno seguito il settore immobiliare, il commercio all’ingrosso e al dettaglio, nonché la generazione e distribuzione di energia elettrica. Vale anche la pena rilevare che il commercio all’ingrosso e al dettaglio è stato il settore con il maggior numero di nuovi progetti registrati, contributi di capitale e acquisizioni di azioni, mentre la produzione è stata il settore leader in termini di capitale aggiuntivo (64,4%).
Nei primi undici mesi del 2024, il Vietnam ha attratto investimenti diretti esteri (IDE) da 110 paesi, evidenziando l’attrattività crescente del Paese come destinazione di investimento globale. Singapore è stata la principale fonte di investimento estero per il Vietnam, rappresentando il 29,1% del totale degli investimenti; la Corea del Sud è arrivata seconda con il 12,4%, seguita da Cina, Hong Kong (Cina) e Giappone.
Confronto con l’ASEAN
Infine, vale la pena menzionare che il Vietnam si distingue come protagonista della trasformazione economica nel Sud-est asiatico, pronto a diventare l’economia a più rapida crescita della regione nel prossimo decennio, con una crescita media annua del PIL del 6,6%, superando le Filippine e l’Indonesia. Il Vietnam ha un’economia orientata alle esportazioni ben posizionata, fonti di IDE altamente diversificate, una competizione inter-provinciale produttiva e livelli elevati di istruzione e forza lavoro qualificata. Notoriamente, il Vietnam sta riscontrando una robusta crescita del capitale, supportata anche dall’aumento degli IDE in semiconduttori e batterie per veicoli elettrici. In questo contesto, si ritiene che il Paese abbia un’importante finestra di opportunità nel prossimo decennio per sfruttare al meglio le opportunità di cui sopra e i vantaggi demografici.
Conclusione
Nonostante le sfide globali e locali, il panorama degli IDE in Vietnam nel 2024 è stato caratterizzato da una crescita costante, fonti di investimento diversificate e un focus sui settori della produzione e della lavorazione. Gli sforzi del governo per migliorare il clima degli investimenti e fornire incentivi competitivi hanno posto solide basi per un successo economico continuativo.
Guardando al 2025, le prospettive economiche del Vietnam rimangono positive, con opportunità sia per gli attori domestici che internazionali.
Excursus:Il tifone Yagi a settembre 2024 ha sconvolto in modo significativo le attività socio-economiche nel Vietnam settentrionale, influenzando la produzione e le catene di approvvigionamento a livello nazionale. Uno studio del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) ha evidenziato l’impatto economico del tifone, illustrando però anche come il processo di ripresa abbia generato opportunità di crescita in settori come costruzioni, commercio al dettaglio e logistica. Gli sforzi di ricostruzione hanno creato un’impennata della domanda, sottolineando la capacità del Vietnam di adattarsi e prosperare di fronte alle avversità.
A metà dicembre 2024, il Parlamento e il Consiglio dell’Unione europea hanno approvato formalmente il rinvio al 30 dicembre 2025 dell’applicabilità del Regolamento sulla deforestazione e il degrado ambientale, che vieta l’importazione di determinate materie prime e prodotti lavorati se la loro produzione è legata alla deforestazione.
Il Regolamento (UE) 2024/3234 del 19 dicembre 2024, approvato il 17 e il 18 dicembre 2024 rispettivamente dal Parlamento e dal Consiglio dell’UE, che modifica il Regolamento sulla deforestazione per quanto riguarda le disposizioni relative alla data di applicazione. È stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’UE il 23 dicembre 2024 ed è entrato in vigore tre giorni più tardi, concedendo alle aziende un anno di tempo per prepararsi al rispetto delle nuove regole. Le nuove tempistiche di applicazione sono le seguenti:
30 dicembre 2025 per le grandi e medie imprese
30 giugno 2026 per le piccole e micro imprese.
Il regolamento 2023/1115 in breve
Come già anticipato su questo canale (cfr. articolo Prodotti a “deforestazione zero” nell’UE – Cc-Ti del 15 febbraio 2024), il regolamento (UE) 2023/115 sulla deforestazione (EU Deforestation Regulation, EUDR) mira a regolamentare l’immissione e la messa a disposizione sul mercato comunitario, nonché l’esportazione dall’UE, disette materie prime – bovini, cacao, caffè, palma da olio, gomma, soia e legno – e dei prodotti che le contengono o che sono stati fabbricati a partire da esse. L’obiettivo è evitare il consumo nell’UE di beni che abbiano contribuito alla deforestazione e al degrado forestale.
In sostanza, a partire dal 30 dicembre 2025, l’UE impone alle aziende di documentare in modo completo l’origine delle materie e dei prodottielencati tramite voce di tariffa doganale nell’allegato I (pagg. 38-42) dell’EUDR. Tali prodotti sono altresì assoggettati ad undivieto di commercializzazione e di esportazione sul e dal mercato dell’UE a meno che non soddisfino le seguenti tre condizioni:
essere a deforestazione zero
essere stati prodotti conformemente alla legislazione applicabile nel Paese di produzione, e
essere accompagnati da una dichiarazione di dovuta diligenza (Due Diligence Statement, DDS) supportata da informazioni verificabili, come tracciabilità, monitoraggio continuo, ecc. che dimostrino che i prodotti non hanno causato né deforestazione né degrado forestale dopo il 31 dicembre 2020.
Contrariamene ad altre regolamentazioni, il regolamento 2023/115 non si applica direttamente agli operatori extra-UE: sarà infatti il primo operatore stabilito nell’UE a dover farsi carico del rispetto degli obblighi stabiliti dalla norma. Gli operatori extra-UE dovranno tuttavia essere pronti a fornire le informazioni e i documenti necessari al proprio partner europeo (per importazioni nell’UE) o assicurarsi di ottenerli da quest’ultimo (per esportazioni dall’UE). Essi dovranno anche verificare che sia stata eseguita la dovuta diligenza a monte della catena di fornitura (tramite dichiarazione di dovuta diligenza o Due Diligence Statement, DDS).
Le informazioni da fornire riguardano i prodotti, i produttori e le zone di produzione (attraverso dati di geolocalizzazione degli appezzamenti), nonché la catena di fornitura (mostrando di tutti i passaggi dei prodotti tra operatori economici). Per quanto riguarda invece la DDS, il numero di riferimento dovrà figurare nella dichiarazione doganale di importazione o esportazione per consentire i controlli in dogana. In tal senso, la Direzione generale fiscalità ed unione doganale (DG TAXUD) ha pubblicato già a settembre 2024, i codici TARIC relativi ai requisiti stabiliti dall’EUDR.
La Commissione europea metterà in atto un sistema volto a classificare i Paesi in base al loro rischio di deforestazione (basso, normale, alto). Gli obblighi di diligenza possono essere semplificati se le aziende si riforniscono di materie prime e prodotti da Paesi a basso rischio di deforestazione: esse possono infatti rinunciare alla valutazione se rispettano l’obbligo di fornire, su richiesta dell’autorità competente, documentazione a dimostrazione che il rischio di deforestazione è effettivamente trascurabile.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2025/01/ART25-deforestazione.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2025-01-23 07:32:002025-01-21 10:34:20Rinviata di un anno l’applicazione del Regolamento UE sulla deforestazione
Il Regolamento UE sul lavoro forzato è entrato in vigore il 13 dicembre 2024.Dal 14 dicembre 2027 sarà vietato immettere sul mercato UE e mettere a disposizione beni realizzati attraverso il lavoro forzato.
Il regolamento si applica a tutti i prodotti venduti nell’Unione europea o da essa esportati, indipendentemente dalla loro origine o dal settore e senza soglie di valore: a partire dal 14 dicembre 2027, i prodotti e i loro componenti saranno banditi dal mercato se è stato fatto ricorso al lavoro forzato in qualsiasi fase della loro produzione, fabbricazione, raccolta o estrazione, in tutto o in parte, compreso le lavorazioni o trasformazioni connesse a tali prodotti.
Il regolamento non introduce nuovi obblighi di diligenza in materia di diritti umani per le imprese, ma rafforza la legislazione degli Stati membri sul lavoro forzato e i quadri normativi dell’UE, tra cui la direttiva UE sulla dovuta diligenza in materia di sostenibilità delle imprese (CSDDD). Laddove la CSDDD stabilisce obblighi di due diligence relativi all’impatto del lavoro forzato per le imprese lungo tutta la catena del valore, ma non include disposizioni per vietare l’importazione di prodotti nel mercato dell’UE, il FLRimplementa meccanismi per il divieto, il ritiro o lo smaltimento di prodotti realizzati con il lavoro forzato, chiedendo che tali prodotti siano riciclati, resi inutilizzabili o distrutti.
Entro il 14 dicembre 2025, gli Stati membri devono nominare un’autorità competente e notificarla alla Commissione europea, che ne pubblicherà l’elenco nel cosiddetto “Portale unico del lavoro forzato”. Il portale, che dovrà essere istituito entro il 14 giugno 2026, servirà anche come archivio per le decisioni e le linee guida per le imprese, ivi comprese le procedure di due diligence e le migliori pratiche far cessare i rischi di lavoro forzato o per riparare ai casi di lavoro forzato. La Commissione europea è inoltre tenuta a istituire una banca dati pubblica delle zone geografiche o dei prodotti o gruppi di prodotti a rischio di lavoro forzato, anche per quanto riguarda il lavoro forzato imposto dalle autorità statali. Le decisioni relative al divieto, al ritiro o allo smaltimento dei prodotti saranno riconosciute in tutti gli Stati membri. Le imprese che non si conformano alle decisioni prese ai sensi del regolamento possono incorrere in sanzioni pecuniarie.
Raccomandazioni
Le imprese hanno tre anni di tempo per valutare l’esistenza di rischi legati al lavoro forzato all’interno delle loro catene di approvvigionamento, sia direttamente attraverso le loro attività di importazione o esportazione, sia indirettamente attraverso la dipendenza da prodotti importati o esportati, e mappare la loro potenziale esposizione. Allo stesso tempo, dovrebbero provvedere ad inserire nei contratti con i loro fornitori clausole volte a mitigare il rischio che determinati prodotti vengano trattenuti alle frontiere dell’UE, con conseguente loro ritiro dal mercato o smaltimento.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2025/01/ART25-Divieto-UE-lavori-forzati.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2025-01-09 08:00:002025-01-07 16:36:04Prodotti ottenuti con il lavoro forzato: divieto UE dal 14 dicembre 2027
La vittoria di Trump e, più in generale, il verosimile orientamento della sua amministrazione verso il prolungamento o l’intensificazione del protezionismo commerciale e il disaccoppiamento economico dalla Cina presentano opportunità e rischi per le aziende che esportano negli Stati Uniti, in particolare nei casi in cui le vendite negli Stati Uniti costituiscono quote significative delle vendite globali. Questo vale anche per gli esportatori svizzeri, visto che da ormai alcuni anni la Nazione nordamericana rappresenta il principale mercato di destinazione dell’export elvetico.
Durante la sua recente campagna, Trump si è impegnato a imporre dazi del 60% sulle importazioni dalla Cina e del 10-20% sulle importazioni provenienti dal resto del mondo. Una recente analisi di Global Trade Alert (Briefing 42, 05.11.2024), iniziativa nata come progetto di ricerca dell’Università di San Gallo e ora guidata dal St. Gallen Endowment for the Prosperity Through Trade (SGEPT), basata sulle importazioni complessive degli Stati Uniti nel 2022 (l’ultima serie completa di dati sul commercio internazionale delle Nazioni Unite), mostra che i fornitori stranieri di veicoli, motori, hardware per computer e dispositivi medici sarebbero più vulnerabili delle controparti che forniscono petrolio greggio, prodotti farmaceutici, batterie, apparecchiature per le telecomunicazioni e semiconduttori.
Anche gli esportatori svizzeri sarebbero colpiti dall’aumento dei dazi, come tutti gli altri; tuttavia, a causa delle specifiche dinamiche di mercato e della base di clienti, alcuni settori potrebbero esserlo più di altri. È il caso dell’industria farmaceutica: sebbene sia attualmente poco esposta ai dazi, l’aumento di questi tributi potrebbe avere un impatto significativo sull’intero settore a causa dei volumi esportati. Oltre ai prodotti farmaceutici, la Svizzera esporta principalmente beni di fascia alta, sofisticati e costosi, come macchinari ed elettronica, strumenti di precisione e orologi. Molte aziende svizzere, indipendentemente dall’industria in cui operano, non saranno in grado di incorporare i dazi nella loro struttura dei costi, e quindi potrebbero pensare a trasferire i costi al consumatore. Ciò comprometterebbe la loro competitività e influenzerebbe la domanda, poiché i loro clienti cercherebbero opzioni meno costose. Tuttavia, sottolineare ancora di più la qualità e l’affidabilità della tecnologia svizzera potrebbe aiutarle a giustificare i prezzi più alti derivanti dall’aumento dei dazi. Inoltre, potrebbero aumentare il valore del prodotto fornendo consulenza, manutenzione, personalizzazione e servizi che vanno oltre il prodotto stesso, rendendo più difficile per i concorrenti sostituirlo o replicarlo. Questo aumenterebbe il valore del marchio e i clienti potrebbero essere più disposti a pagare un prezzo più elevato per servizi e competenze unici.
Una politica commerciale aggressiva di Trump potrebbe causare anche nuovi conflitti commerciali con la Cina, e non solo. Ciò potrebbe provocare ritorsioni da parte di altri partner commerciali, che a loro volta potrebbero colpire indirettamente la Svizzera: nel 2018, ad esempio, il tycoon ha imposto un dazio del 25% su alcuni prodotti dell’acciaio e un dazio del 10% su alcuni prodotti dell’alluminio. In risposta, l’Unione europea ha introdotto misure di salvaguardia su alcune importazioni di acciaio, e nello specifico un dazio del 25% sulle importazioni che superano determinati contingenti; questo dazio che è stato applicato anche alle importazioni svizzere.
A proposito dell’“elefante nella stanza”: la Cina è il terzo partner commerciale della Svizzera. Dal 2014 la Svizzera e il Dragone hanno un accordo di libero scambio (ALS). A settembre, il governo svizzero ha dato il via libera ai negoziati per ampliare l’ALS. Tuttavia, se le politiche di Trump dovessero portare a ulteriori restrizioni al commercio con il gigante asiatico, le aziende esportatrici svizzere che fanno affidamento su componenti cinesi potrebbero incontrare difficoltà significative. In effetti, un’indagine del 2023 del Centro di ricerca congiunturale del Politecnico di Zurigo (KOF) afferma che un quinto delle imprese industriali svizzere dipende da input essenziali provenienti dalla Cina (materie prime, componenti) in misura da moderata a forte. L’elettronica è il settore più dipendente, seguito dai comparti farmaceutico e chimico. Dall’indagine emerge che un disaccoppiamento dalla Cina sarebbe al momento insostenibile.
Da tempo la Svizzera auspica di concludere un ALS con gli Stati Uniti. La precedente amministrazione Trump si è dimostrata favorevole agli accordi commerciali bilaterali e il nuovo governo potrebbe essere interessato a raggiungere un accordo con il nostro Paese, che però sarà chiamato a gestire attentamente i rapporti con le due super potenze perché una maggiore cooperazione con l’una potrebbe condizionare le relazioni con l’altra. Allo stesso modo, le aziende svizzere che operano o vogliono operare negli Stati Uniti, in particolare quelle attive in settori sensibili, devono essere caute perché le loro operazioni con partner cinesi potrebbero influenzare loro attività negli Stati Uniti, e viceversa. In sostanza, gli esportatori svizzeri devono monitorare attentamente le regolamentazioni in vigore e quando gestiscono la doppia catena di fornitura devono assicurarsi di agire in conformità con le normative di entrambi le Nazioni. Ne derivano un aumento dei costi e della complessità, soprattutto nel caso in cui sia negli Stati Uniti sia in Cina si rendano necessari investimenti produttivi.
Poiché la nuova strategia “America first” di Trump probabilmente favorirà il reshoring delle aziende statunitensi e gli investimenti esteri nel settore manifatturiero, questa opzione sta diventando sempre più concreta. Di conseguenza, le aziende svizzere che esportano attualmente prodotti negli Stati Uniti potrebbero essere incentivate a istituire sedi produttive in loco per evitare i dazi e migliorare la loro posizione sul mercato. Tuttavia, ciò comporterebbe anche delle sfide, come gli elevati costi iniziali di investimento e operativi, la complessità delle normative e delle pratiche commerciali, la ricerca di lavoratori qualificati o l’attuazione di programmi di formazione.
Le aziende svizzere dovranno continuare ad essere innovative e attente, nonché pronte ad adottare le misure necessarie per mantenere la loro posizione nei mercati statunitensi e internazionali.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/11/ART24-Ritorno-Trump.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-11-26 08:00:002024-11-20 14:30:48Il ritorno di Trump: rischi e opportunità per l’export svizzero (e non solo)
Il governo britannico annuncia l’introduzione della carbon tax a gennaio 2027 su determinati prodotti dei settori alluminio, cemento, fertilizzanti, idrogeno, ferro e acciaio, escludendo per il momento i prodotti dei settori ceramica e vetro.
Nella sua risposta alla consultazione sul CBAM lanciata ad inizio anno, il governo britannico ha annunciato l’introduzione di un meccanismo di adeguamento delle emissioni di carbonio alle frontiere del Regno Unito (Carbon Border Adjustment Mechanism, CBAM) a partire dal 1° gennaio 2027 e fornito le prime informazioni.
Seppur con alcune differenze, il CBAM britannico è modellato sul CBAM dell’Unione europea. La prima differenza sta nel campo d’applicazione: il CBAM britannico si applicherà solo alle importazioni di beni specifici nei settori dell’alluminio, del cemento, dei fertilizzanti, dell’idrogeno, del ferro e dell’acciaio (le merci interessate sono elencate nell’Allegato B del documento summenzionato e identificate con le relative voci HS). In questa prima fase, la ceramica e il vetro non saranno presi in considerazione. L’elettricità non rientra invece nel campo d’applicazione.
Nel periodo 2027-2030, il governo britannico adotterà un doppio approccio per quanto riguarda le emissioni incorporate: le aziende potranno utilizzare i dati effettivi o, se questi non sono disponibili, valori predefiniti. Le emissioni incorporate saranno misurate in tonnellate metriche di anidride carbonica equivalente (tCO2e) e includeranno sia le emissioni dirette dei beni CBAM sia quelle indirette. Per garantire che i prodotti importati siano soggetti a un prezzo del carbonio paragonabile a quello pagato dai produttori nazionali, l’aliquota applicata alle emissioni incorporate rifletterà il prezzo del sistema di scambio di quote di emissioni (ETS) del Regno Unito, tenendo conto di eventuali quote gratuite. L’aliquota sarà aggiornata su base trimestrale.
A differenza del CBAM dell’UE, il suo omologo britannico prevede una soglia minima di assoggettamento, pari a 50’000 sterline di merci CBAM importate su un periodo di dodici mesi.
La Commissione europea ha pubblicato una guida completa volta a chiarire il Regolamento sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili.
Il 18 luglio scorso, nell’Unione europea (UE) è entrato in vigore il Regolamento (UE) 2024/1781 sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili (ESPR). Il regolamento Ecodesign, come viene comunemente chiamato, ha l’obiettivo di migliorare la sostenibilità ambientale dei prodotti e a tal proposito introduce criteri di progettazione quali la durevolezza, la riciclabilità, l’impronta ambientale e la riutilizzabilità degli stessi e l’uso del “passaporto digitale” quale strumento di trasparenza e tracciabilità lungo tutta la filiera produttiva.
Il regolamento disciplina praticamente tutti i prodotti immessi sul mercato o messi in servizio nell’UE e non solo i prodotti di consumo. Esistono solo poche esclusioni, quali ad esempio i prodotti alimentari, i mangimi, e i medicinali. La Commissione europea dovrà stabilire i requisiti specifici per i diversi prodotti, dopodiché i produttori e i Paesi dell’UE avranno 18 mesi di tempo per conformarvisi. Tra i primi prodotti a dover essere regolamentati figurano ferro e acciaio, alluminio, prodotti tessili, mobili, pneumatici, detersivi, vernici, lubrificanti, prodotti chimici, prodotti connessi all’energia, prodotti delle TIC e altri dispositivi elettronici (cfr. art. 18 par. 5). Il relativo atto delegato non entrerà in vigore prima del 19 luglio 2025.
Per rispondere ai quesiti più frequenti, a fine settembre la Commissione europea ha pubblicato un documento con 171 FAQ che affrontano un’ampia gamma di argomenti e, nello specifico, chiariscono termini, ambito di applicazione, tempistiche di attuazione, interazione con altri regolamenti (come ad esempio il regolamento sui rifiuti di imballaggio e il REACH) e, non meno importante, le questioni legate al commercio dei prodotti (passaporto digitale, etichettatura, verifica e conformità, implicazioni per gli operatori economici di Paesi terzi,…).
Il Gruppo dei Sette ha pubblicato una guida congiunta volta ad aiutare l’industria a identificare le pratiche di elusione delle sanzioni, a proteggere la propria tecnologia, a prevenire danni reputazionali e a ridurre il rischio di responsabilità.
Per la prima volta in assoluto, lo scorso 24 settembre 2024 i Paesi del G7 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti) hanno pubblicato una guida congiunta sull’applicazione del controllo delle esportazioni.
La guida, rivolta all’industria, mira ad aiutare gli operatori economici a identificare e mitigare i rischi di elusione delle sanzioni adottate nei confronti della Russia. Nello specifico, il documento
identifica i prodotti che presentano un rischio elevato di essere dirottati verso la Russia (“Elenco comune ad alta priorità”)
elenca gli indicatori di allerta (i cosiddetti “red flag”) di potenziale evasione dei controlli delle esportazioni e/o delle sanzioni
evidenzia le migliori pratiche che l’industria può applicare per far fronte a questi indicatori, e
riporta strumenti e risorse di screening a supporto della due diligence.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/09/ART24-Guida-G7.png8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-10-03 08:00:002024-09-27 10:57:07Elusione delle sanzioni: nuova guida del G7
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