Per la Svizzera, fortemente dipendente dall’estero, la conclusione di accordi di libero scambio (ALS) costituisce, assieme all’appartenenza all’OMC e alle relazioni con l’UE, uno dei tre pilastri su cui poggia la sua politica di apertura dei mercati e di agevolazione degli scambi internazionali. All’apertura di nuovi mercati, spinta anche dalla globalizzazione e dalla digitalizzazione, si stanno però contrapponendo correnti e politiche protezionistiche.
La Svizzera sta progressivamente estendendo la sua rete di accordi di libero scambio (ALS) e oltre alla Convenzione AELS e all’accordo di libero scambio con l’Unione europea (UE), dispone attualmente di una rete di 28 ALS con 38 partner, a cui a breve se ne aggiungeranno altri due con altrettanti Paesi: l’ALS con la Georgia entrerà infatti in vigore il prossimo 1° maggio mentre l’ALS con le Filippine lo sarà dal 1° giugno.
Gli ALS, in generale, hanno oggi un vasto campo d’applicazione settoriale e contemplano tra l’altro il commercio di prodotti industriali e agricoli, le regole d’origine, le procedure doganali e le agevolazioni degli scambi. Essi favoriscono altresì l’accesso al mercato dei servizi e agli appalti pubblici e garantiscono la protezione della proprietà intellettuale e degli investimenti. Tuttavia, poiché da un lato gli ALS detti “di prima generazione” (ossia quelli conclusi prima del 2000) non sono di così ampia portata e dall’altro i principali concorrenti della piazza economica svizzera hanno nel frattempo anch’essi concluso degli ALS con i partner commerciali del nostro Paese, la Svizzera aggiorna regolarmente questi accordi, negoziando delle revisioni. È il caso attualmente degli ALS con la Turchia, il Messico e Singapore.
Il grande potenziale del ceto medio in crescita nei Paesi emergenti sta spostando l’asse principale dell’economia mondiale verso l’Asia (si stima che nel 2030 due terzi dei consumi del ceto medio si registreranno in questo continente) e, a più lungo termine, anche verso l’Africa e l’America Latina. La Svizzera, assieme all’AELS, si sta già preparando a questo spostamento del baricentro economico del mondo e sul tavolo delle trattative figurano infatti l’ALS con l’Indonesia (il 14° round dei negoziati si è tenuto a Ginevra a fine febbraio – inizio marzo 2018 e il prossimo round è previsto nei prossimi mesi, il che lascia ben sperare sull’esito a breve delle negoziazioni), con l’India, il Vietnam, la Malesia e i Paesi del Mercosur, solo per citarne i principali.
Questi nuovi mercati di riferimento sono però lontani e la necessità di capirli e di superare le specifiche barriere commerciali accresce la complessità degli odierni scambi internazionali. La sfida è resa ancor più ardua dalle correnti e politiche protezionistiche che si stanno rafforzando in tutto il mondo (dai Paesi industrializzati a quelli emergenti), in contrapposizione con la crescente globalizzazione e con l’apertura reciproca dei mercati grazie agli ALS. Secondo i dati del Global Trade Alert, centro di studi indipendente coordinato dall’economista Simon Everett, professore dell’Università di San Gallo, sono migliaia e migliaia le misure protezionistiche adottate dal 2008 ad oggi e a capeggiare la classifica dei Paesi con il maggior numero di misure protezionistiche figurano gli Stati Uniti, seguiti da Germania e India. L’ordine esecutivo “Buy American, hire American” di Trump e l’iniziativa “Make in India” di Modi sono esempi ben noti.
Misure protezionistiche dal 2008 sino ad oggi: non si tratta di un fenomeno nuovo
Fonte: Global Trade Alert, grafico S-GE «Top 10» degli Stati con il maggior numero di misure protezionistiche dal 2008 ad oggi», stato: marzo 2018
Seppure non nella “top 10”, anche la Svizzera ha a sua volta adottato un buon numero di misure protezionistiche. Lʼiniziativa “Swissness”, da noi recentemente tematizzata e che esige che ogni prodotto contraddistinto da questo marchio possieda un contenuto locale specifico di alto livello, può essere considerata come un esempio di protezionismo “casalingo”.
Le misure protezionistiche non riguardano però solo il “buy local” e “produce local”, ma spaziano da dazi commerciali all’export, all’import e antidumping sino agli aiuti di Stato, passando dai contingenti e dalle barriere tecniche al commercio sino alle restrizioni sanitarie e fitosanitarie, solo per fare alcuni esempi.
Ecco quindi che le PMI svizzere hanno un’importante carta in mano da giocare, quella dell’ampia rete di ALS e del trattamento preferenziale dei loro prodotti, con possibilità di sgravio dai dazi e da determinate barriere. Constatiamo tuttavia che esse non solo sfruttano poco questa carta, ma non vi prestano sufficiente attenzione. Nel determinare l’origine dei loro prodotti, i reparti export, approvvigionamento, assicurazione qualità, logistica, finanze e la stessa direzione dell’azienda devono collaborare e soprattutto comunicare: quando, ad esempio, il reparto acquisti cambia fornitore a causa di prezzi più elevati (finora il paese d’origine era la Svizzera, ora è la Cina o un paese terzo), anche il reparto vendite deve essere informato poiché cambia verosimilmente anche l’origine della merce. Le variazioni di prezzo e produzione o le oscillazioni del cambio possono comportare variazioni nella determinazione dell’origine e nella capacità di sfruttamento degli ALS. Inoltre, se questi fattori non vengono tenuti in debita considerazione si corre il rischio di redigere dichiarazioni d’origine false, che possono a loro volta portare a pagamenti supplementari di dazi e persino a sanzioni. I responsabili delle esportazioni o gli specialisti del settore devono conoscere, almeno nei punti salienti, gli accordi di libero scambio e le regole da applicare.
Nei Paesi con i quali la Svizzera non ha (ancora) degli ALS e/o nei mercati in cui talune barriere non tariffarie permangono o addirittura vengono reintrodotte a protezione della produzione locale, le PMI svizzere si trovano confrontate con procedure doganali dispendiose, tasse amministrative relativamente elevate oppure complicate formalità per documenti di accompagnamento della merce o ancora norme legate a requisiti tecnici della merce, in relazione ad aspetti quali la produzione, l’imballaggio e l’etichettatura, le condizioni di trasporto, la sicurezza, la salute o lʼecocompatibilità. Le PMI svizzere devono confrontarsi con questi aspetti, chiarire le condizioni quadro e prepararsi per tempo a far fronte a tali barriere nei loro mercati target.
Monica Zurfluh, Responsabile S-GE per la Svizzera italiana e Valentina Rossi, Responsabile Servizio Export Cc-Ti
Il servizio Export della Cc-Ti e S-GE sono a vostra disposizione per consulenze
in ambito di esportazioni.